ITALIA OGGI – 20.10.00

LO SPOIL SYSTEM NELLE MANI DEI BUROCRATI E GIUDICI ORDINARI

Di Paola Balducci – Avvocato in Roma, docente universitario

Come era prevedibile il partito dei burocrati ha trovato validi alleati nei giudici ordinari.

La rivoluzione Bassanini della p.a. deve sempre più fare i conti con una serie crescente di pronunce del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, cui sono state devolute con il dlgs 31 marzo 1998 le controversie relative al rapporto di pubblico impiego.

Da ultimo la Corte d'appello di Firenze ha riformato una precedente decisione del giudice di primo grado, annullando il provvedimento di revoca di un segretario comunale da parte del sindaco, sulla base di censure relative alla mancata specificazione dei motivi pubblicistici posti alla base del provvedimento stesso.

Pochi giorni prima il tribunale di Campobasso aveva disapplicato un decreto ministeriale di organizzazione dell'assetto dirigenziale, censurando quest'ultimo sotto i profili amministrativistici dell'eccesso di potere, dello sviamento e della violazione di legge.

La filosofia sottesa a queste decisioni è tutta frutto di un equivoco pericoloso, su cui il legislatore deve in tempi brevi intervenire.

L'interpretazione restrittiva del principio dello spoil system operata dalla magistratura ordinaria rischia infatti. di vanificare la portata della riforma.

Va intanto fatta rilevare l'anomalia di un giudice ordinario che adotta le categorie pubblicistiche, proprie della giustizia amministrativa, per sindacare un rapporto di lavoro privatizzato, sì da far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta.

La separazione tra compiti politici e compiti di gestione sancita dalla nuova normativa ha come conseguenza la necessaria specularità complementare dei due livelli, quello politico e quello gestionale, e quindi l'altrettanto necessaria fiduciarietà alla base del rapporto che lega il dirigente (e lo stesso segretario comunale) all'amministrazione, ma anche, e soprattutto nella nuova logica organizzativa, all'organo politico.

Viene a crearsi così una linea di rapporto fiduciario e diretto tra autorità politica e titolare di funzioni dirigenziali. Rispetto all'autonomia gestionale della dirigenza, oggi quanto mai accentuata, il contrappeso non può che essere rappresentato da una contestuale accentuazione del rapporto fiduciario con l'autorità titolare dell'indirizzo politico-amministrativo.

Viceversa avremmo un organo politico responsabile dei risultati della gestione, ma impossibilitato a scegliere, ex ante, i dirigenti più idonei a realizzare il programma delineato.

Corollario a conferma di questa impostazione, fortemente voluta dal legislatore, è l'ulteriore elemento del carattere temporaneo dell'incarico dirigenziale, che non si configura più come completamento di una qualifica di vertice dell'amministrazione.

Per effetto della privatizzazione del pubblico impiego, nel ricorso giurisdizionale proposto contro un provvedimento incidente sulle materie oggetto di contrattazione non sono ammissibili censure che presuppongono la natura pubblicistica dell'atto impugnato, in quanto le doglianze del dipendente avverso disposizioni del contratto di lavoro vanno limitate, in base ai principi generali civilistici, alla sola violazione del contratto collettivo o di norme interpretative.

D'altronde la scelta di equiparare gli atti di gestione del rapporto di lavoro pubblico a quelli del privato datore di lavoro è stata fatta per migliorare le finalità istituzionali delle p.a.

L'art. 2 del dlgs 29/93 traccia la linea di demarcazione fra il giudice ordinario e quello amministrativo, e questa è costituita dal seguente criterio: "Le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi". L'organizzazione degli uffici è quindi esclusiva competenza del Tar, laddove al giudice ordinario è devoluta la cognizione relativa al rapporto di lavoro.

Molte delle decisioni giurisdizionali che si stanno susseguendo, invece, vertono di fatto in tema di organizzazione, non di rapporto di lavoro.

L'atto d'individuazione degli uffici dirigenziali e delle funzioni a essi attribuite, con cui viene composto l'assetto organizzativo dell'ente, va correttamente inquadrato nell'ambito amministrativo, laddove l'applicazione del contratto collettivo va inquadrato nell'ambito civilistico.

Conseguentemente la prima attività pertiene al giudice amministrativo, la seconda perde il carattere pubblicistico e segue le regole e i principi civilistici, il che comporta l'impossibilità di configurare nei suoi confronti i noti vizi di legittimità degli atti amministrativi, essendo l'unico parametro di riferimento ai fini della correttezza degli atti la rispondenza degli stessi ai criteri previsti dalla contrattazione collettiva e dalle norme di diritto comune in materia di lavoro.

Le censure che qualche giudice di merito ha mosso sul piano del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità della p. a. di cui all'art. 97 della Costituzione, appaiono quanto meno contraddittorie.

La scelta del legislatore di trasformare gli atti di gestione del rapporto di lavoro pubblico, equiparandolo a quelli del privato datore di lavoro, è stata infatti operata per offrire un modulo gestionale idoneo a meglio realizzare le finalità istituzionali delle pubbliche amministrazioni e, quindi, per perseguire con modalità diverse i principi costituzionali di imparzialità e buona amministrazione.

L'auspicio è che il legislatore intervenga a chiarire definitivamente l'ambito di intervento del giudice ordinario.

In caso di inerzia ci troveremmo dinanzi a una situazione schizofrenica, caratterizzata dalla costante, e pressoché, certa, permanente "giustiziabilità" dei provvedimenti inerenti l'organizzazione degli assetti della p.a. da parte di un giudice ordinario sempre più orientato a considerare questi ultimi all'interno delle vicende del rapporto di lavoro, e al tempo stesso a far prevalere, con evidente contraddizione, valutazioni pubblicistiche.

Paola Balducci