TAR LAZIO, SEZ. I - Ordinanza 19 luglio 2000 - Pres. Schinaia, Est. Branca - Colosimo ed altri (Avv.ti Sanino e Dipace) c. Presidenza Consiglio dei Ministri ed altri (Avv.ra Stato).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO

Sezione Prima

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 10508 del 1999 proposto da Colosimo Antonello ed altri come da elenco allegato; sul ricorso n.10894 del 1999, proposto da Vecchio Domanti Antonio e Mezzasalma Varani Dina; sul ricorso n. 10897 del 1999 proposto da Calabria Ruggero; sul ricorso n. 1,2367 del 1999 proposto da Niglio Gennaro ed altri come da elenco allegato; sul ricorso n. 4806 del 2000 proposto da Di Virgilio Silvio ed altri come da elenco allegato, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Mario Sanino e dall'avv. Ruggiero Dipace, ed elettivamente domiciliati presso il primo in Roma, viale Parioli 180

contro

la Presidenza Consiglio dei Ministri, il Ministero del tesoro del bilancio e della programmazione economica e il Ministero dell'interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato

per l'annullamento

quanto ai ricorsi n. 10508, n.10894 e n. 10897 del 1999, del d.P.R. 26 febbraio 1999 n. 150 "Regolamento recante disciplina delle modalità di costituzione e tenuta del ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e della banca dati informatica della dirigenza, nonché delle modalità di elezione del componente del comitato dei garanti"; quanto al ricorso n. 12367 del 1999, della Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri l luglio 1999, recante "Linee guida per la definizione dei contratti individuali della dirigenza"; quanto al ricorso n. 4806 del 2000, della circolare 17 gennaio 2000 e della Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 gennaio 2000, recante "Ulteriori linee guida per la definizione dei contratti individuali della dirigenza"

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta alla pubblica udienza del 24 maggio 2000 la relazione del consigliere Marzio Branca ed uditi l'avv. Mario Sanino e l'avvocato dello Stato Francesco Sclafani.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1.1. Con i primi tre ricorsi specificati in epigrafe un gruppo dirigenti generali di diversi ministeri ha impugnato, sotto, numerosi profili, il D.P.R. 26 febbraio 1999 n. 150 "Regolamento recante disciplina delle modalità di costituzione e tenuta del ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e della banca dati informatica della dirigenza, nonché delle modalità di elezione del componente del comitato dei garanti" (in seguito Regolamento), emanato in attuazione del disposto di cui all'art. 23, comma 3, del d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.

Una prima censura è rivolta nei confronti dell'art. 5, comma 2, secondo cui, alla data di entrata in vigore del detto regolamento, "sono soppressi i ruoli della dirigenza delle singole amministrazioni" e i "dirigenti già in servizio confluiscono automaticamente nel ruolo unico dalla stessa data". Tali disposizioni, in conformità al disposto di cui all'art. 23 del d. lgs. n. 29 del 1994, opererebbero la soppressione della qualifica di dirigente generale, nonché la unificazione di tutte le qualifiche dirigenziali.

Si osserva in proposito che la legge di delegazione 23 ottobre 1992 n. 421, nel testo integrato dall'art. 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59, non autorizzava il Governo a sopprimere la qualifica e le prerogative del dirigente generale rispetto alle posizioni degli altri dirigenti. Si assume quindi la violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 76, per eccesso di delega, e 3 per irrazionalità, dovendo tenersi conto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 313 del 1996, aveva giudicato ragionevole e conforme all'art. 97 la differenziazione dei regimi giuridici tra dirigenti generali e altri dirigenti, quale emergeva dalla disciplina originariamente dettata dal d.lgs. n. 29 dei 1993.

Con diverso motivo si denuncia l'art. 5 del Regolamento per violazione dell'art. 23, comma 3, del d. d.lgs n. 29 del 1993, in quanto non assicura la "necessaria specificità tecnica", ossia non istituisce all'interno del ruolo unico una articolazione in sezioni collegata alle diverse professionalità dei dirigenti.

1.2. La doglianza si rivolge poi alla disposizione dell'art. 8, comma 2, del Regolamento, che disciplina la prima attuazione del regime della contrattazione individuale degli incarichi di dirigenza generale.

Si assume che per effetto della norma impugnata il dirigente generale, che non abbia ricevuto un incarico per la direzione di un ufficio di livello dirigenziale generale, può perdere le funzioni fino a quel momento esercitate senza che l'Amministrazione sia tenuta a seguire le procedure di garanzia previste dalla normativa. Ci si riferisce in particolare all'art. 21 del d.lgs n. 29 del 1993, che subordina la revoca dell'incarico all'accertamento della responsabilità dirigenziale, mediante appositi procedimenti da disciplinare con specifica legislazione delegata, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 59 del 1997 cit..

Secondo i ricorrenti, la norma di prima attuazione, ora in esame, realizzerebbe un meccanismo di tipo "spoil system" per tutti i dirigenti generali, mentre il legislatore delegato lo ha previsto all'art. 19, comma 8, solo per gli incarichi dei segretari generali e capi di dipartimento, i quali possono essere revocati senza particolare motivazione in base al gradimento politico. Si realizzerebbe, quindi, una soggezione del dirigente generale al vertice politico, in contrasto con il principio informatore della riforma, rappresentato dalla separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di gestione. In tal modo, la funzione del dirigente generale non potrebbe conformarsi al dovere costituzionale dell'imparzialità, essendo il funzionario esposto alla perdita delle funzioni senza adeguate garanzie di accertamento della propria incapacità o della contravvenzione alle direttive,politiche.

I ricorrenti approfondiscono la loro argomentazione mettendo in risalto come la privatizzazione estesa ai dirigenti generali, implicando la natura fiduciaria del rapporto tra l'imprenditore e il manager, su cui si innesta come effetto naturale la revocabilità ad nutum dell'incarico, non si riveli idonea garantire lo svolgimento di una funzione pubblica, che deve svolgersi secondo i principi buon andamento e imparzialità.

1.3. Un profilo oggetto di autonoma censura si individua poi nella previsione dello stesso art. 8, comma 2, che l'Amministrazione conferisca o abbia conferito l'incarico ad un dirigente entro i novanta giorni dalla entrata in vigore del Regolamento. Ne risulterebbe frustrato il principio della contrattazione individuale, che presuppone non già un potere autoritativo di conferimento, ma una posizione paritaria tra le parti contraenti; in caso contrario il dirigente subirebbe gli svantaggi del regime privatistico senza godere di alcun vantaggio.

1.4. Ancora una violazione dell'art. 23 del d.lgs. n. 29 si rinviene nell'art. 8, comma 1, dei Regolamento, che vieta di conferire un numero di incarichi superiore al numero dei dirigenti in servizio presso di essa alla data dell'entrata in vigore dello stesso.

Si assume che in tal modo si realizzerebbe un ridimensionamento indiretto delle piante organiche, comprimendo illegittimamente le aspirazioni dei dirigenti di prima fascia ad assumere gli incarichi presso tutti gli uffici previsti, anche se in ipotesi privi del titolare alla data indicata.

1.5. Viene poi contestato l'art. 6 del Regolamento, che concerne i dirigenti generali cui non sia stato affidato un incarico di direzione. Essi potranno essere applicati a funzioni ispettive, di consulenza studio e ricerca, ai sensi dell'art. 19, comma 10, del d.1gs. n. 29, il quale, peraltro, demanda al Regolamento la disciplina delle "modalità per l'utilizzazione dei predetti dirigenti". Si censura che il detto art. 6 non rechi se non la ripetizione della disposizione di legge, senza fissare limiti di numero e di durata degli incarichi, o altri principi che evitino agli interessati una permanenza indefinita in una sorta di limbo in attesa dell'incontro di un gradimento politico.

1.7. Altro profilo di illegittimità della stessa norma deriverebbe dalla penalizzazione retributiva subita dagli stessi dirigenti a causa dell'impossibilità di fruire del trattamento economico accessorio previsto dall'art. 24 del d.lgs. n. 29 per i dirigenti titolari di incarico, considerato altresì che il fondo di cui all'art. 24, comma 9, dello stesso d.1gs. non risulta ancora istituito. .

1.8. L'ultimo motivo concerne la composizione del comitato di garanti, che, a norma dell'art. 21, comma 3, dei d.lgs. n. 29, esprime parere vincolante sui provvedimenti di accertamento della responsabilità dirigenziale. Si osserva che, mentre l'organo svolge i suoi compiti nei confronti sia dei dirigenti della prima che di quelli della seconda fascia, sia chiamato a farne parte soltanto un dirigente di prima fascia. La norma citata sarebbe quindi invalida per contrasto con il principio di eguaglianza e ragionevolezza, di cui all'art. 3 cost., poiché anche i dirigenti di seconda fascia avrebbero diritto ad esservi rappresentanti.

Sebbene i ricorrenti appartengano alla prima fascia, affermano di voler tutelare l'interesse ad una corretta struttura dell'organo.

In conclusione si chiede l'annullamento, previa sospensione, delle disposizioni denunciate, salva la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame delle questioni di legittimità come sopra sollevate.

Le Amministrazioni intimate si sono costituite in tutti i giudizi sostenendo l'inammissibilità e l'infondatezza dei gravami.

2.1. Con due ulteriori ricorsi, proposti come in epigrafe, sono state impugnate, con l'uno, la direttiva dei Presidente del Consiglio dei Ministri l luglio 1999 recante linee guida per la definizione dei contratti individuali della dirigenza, e con l'altro, la circolare della Presidenza del Consiglio del 17 gennaio 2000 e la nuova Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 gennaio 2000, anch'esse in materia di contratti individuali dei dirigenti.

La direttiva 1 luglio 1999 viene censurata in primo luogo per illegittimità derivata dipendente dalla illegittimità dei Regolamento adottato con il d.P.R. n. 150 del 1999, denunciata con i ricorsi di cui si appena riferito. assumendosi che tale Regolamento, disponendo il trasferimento dei dirigenti generali nel ruolo unico, rappresenta il presupposto della Direttiva. Nel gravame si riproducono, quindi, i motivi già esaminati, cui si aggiungono le specifiche censure di cui appresso.

La contestazione di maggior rilievo concerne la determinazione di dar corso ai contratti individuali ed alla fissazione del trattamento economico dei dirigenti generali senza aver prima provveduto a concludere un contratto collettivo nazionale apposito per l'area della dirigenza di prima fascia. Ai sensi dell'art. 2 e dell'art. 24 del d. lgs. n 29, commi 1 2, infatti, i contratti collettivi per le aree dirigenziali dovrebbero costituire la fonte della disciplina del rapporto e', del trattamento economico. Il provvedimento impugnato intende invece dare avvio alla riforma in assenza di un presupposto fondamentale.

In secondo luogo, si censura la determinazione con la quale, in assenza degli appositi contratti, si impone di desumere gli importi per la determinazione del trattamento economico fondamentale dei dirigenti di prima fascia dai "valori economici massimi" indicati dall'ultimo contratto collettivo per la dirigenza, stipulato il 9 gennaio 1997, scaduto e non ancora rinnovato.

Si fa rilevare che in tal modo si finisce per applicare ai dirigenti di prima fascia valori economici che sono stati contrattati per i dirigenti di seconda fascia con evidente penalizzazione dei primi. Sarebbe quindi palese la violazione dell'art. 23, comma 1, dei d. lgs. n. 29, secondo cui la divisione in due fasce "ha rilievo ai fini del trattamento economico ma soprattutto dell'art. 36 Cost., che impone la proporzionalità della retribuzione alla qualità del lavoro prestato.

Risulterebbe poi del tutto arbitraria la attribuzione della maggiorazione del 30% della retribuzione individuale di anzianità (r..i.a.) ai dirigenti con incarico di segretario generale, o di direzione di strutture, articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali. Solo per questi ultimi, infatti, e non per tutti i dirigenti di prima fascia, si terrebbe conto della retribuzione in godimento prima della riforma.

Oggetto di autonoma censura è anche la proposizione che richiede di determinare nel contratto individuale gli obbiettivi da perseguire, con riferimento agli indirizzi fissati all'inizio dell'anno con la direttiva del vertice dell'amministrazione. Si osserva che se il contratto individuale viene stipulato in corso d'anno, il nuovo dirigente sarebbe esposto a responsabilità per non aver raggiunto i risultati che erano stati concordati con il dirigente sostituito.

Si conclude chiedendo l'annullamento della direttiva.

2.2. Gli atti che formano oggetto dell'impugnazione proposta con il quinto dei ricorsi in epigrafe sono, come accennato, la Circolare 17 gennaio 2000 a firma del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e la Direttiva del Presidente in data 21 gennaio 2000.

La Circolare, prendendo spunto dalle dimissioni rassegnate dal Governo il 18 dicembre 1999, intende fornire alcuni chiarimenti operativi per le procedure di affidamento di incarichi di direzione, all'epoca già avviate, ma perfezionate soltanto in qualche caso.

In particolare si stabilisce che i contratti stipulati con i dirigenti di prima fascia per l'affidamento della direzioni di uffici, debbano contenere una clausola per la quale l'efficacia del contratto è subordinata al formale conferimento dell'incarico, ossia all'adozione dell'apposito provvedimento amministrativo previsto dai commi 3 e 4 dell'art. 19 del d. lgs. n. 29. Per conseguenza, in caso di crisi di governo, e di mutamento del ministro che ha stipulato il contratto, lo stesso potrebbe essere disatteso dal nuovo ministro, che avrebbe il potere di rinnovare l'intera procedura (contratto e proposta di d.P.C.M o d.P.R.) a favore di un diverso dirigente. In tal modo peraltro si perverrebbe ad una applicazione generalizzata del c.d. "spoil sistem", con conseguente stravolgimento del principio della separazione delle funzioni di indirizzo politico da quelle di gestione dell'amministrazione.

Secondo i ricorrenti tali determinazioni sono illegittime per violazione del d. lgs. n. 29 del 1993, che ha introdotto il sistema della scelta del dirigente in base al mero gradimento politico soltanto per un limitato tipo di uffici (segretari generali, uffici di direzione articolati ed equiparati).

Ma sarebbe ravvisabile anche una disparità di trattamento, illegittima perché dipendente da fattori casuali, tra chi ha ottenuto il decreto di conferimento prima del 18 dicembre 1999 e chi non ha potuto conseguirlo.

2.3. Con riguardo sia alla Circolare suddetta, sia alla Direttiva 21 gennaio 2000 si "contesta la legittimità della determinazione secondo cui il trattamento economico di base, riconosciuto ai dirigenti titolari di uffici di livello generale secondo i criteri indicati nella direttiva del 1 luglio 1999, ha carattere provvisorio ed è soggetto a conguaglio, "in attesa delle determinazioni del contratto collettivo nazionale di lavoro per le aree dirigenziali in corso di stipulazione". "Qualora il trattamento definitivo risultasse inferiore a quello provvisorio, l'importo differenziale sarà trasferito sul trattamento accessorio, effettuando i necessari conguagli ...".

Osservano i ricorrenti che risulta violata la norma dell'art. 24 comma 2, del d. lgs. n. 29/1993, che stabilisce il principio opposto, ossia che il trattamento economico fondamentale dei dirigenti con incarico dirigenziale generale viene stabilito con il contratto individuale. I provvedimenti impugnati operano invece nel senso di rendere prevalente il contratto collettivo sul contratto individuale. Il trasferimento dell'eccedenza dal trattamento fondamentale al trattamento accessorio comporterebbe una grave penalizzazione agli effetti pensionistici.

La Direttiva 21 gennaio 2000 stabilisce infine che per i dirigenti di prima fascia con incarichi diversi da quelli di direzione di uffici di livello generale il contratto collettivo determinerà in via definitiva sia il trattamento economico fondamentale che quello accessorio. Secondo i ricorrenti la proposizione sarebbe illegittima, dovendo ritenersi che anche gli incarichi in questione siano regolati da contratti individuali.

Anche in questi giudizi si è costituita la Presidenza del Consiglio dei Ministri, eccependo l'inammissibilità dei gravami e chiedendone il rigetto nel merito.

Alla pubblica udienza del 24 maggio 2000 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Ritiene il Collegio che i cinque ricorsi presentino consistenti elementi di connessione oggettiva e soggettiva. Se ne dispone, pertanto, la riunione ai fini di un'unica decisione.

2. Va esaminata preliminarmente la eccezione di inammissibilità sollevata dall'Amministrazione, secondo la quale i provvedimenti impugnati, di natura regolamentare o generale, essendo destinati a regolare futuri comportamenti o atti amministrativi, difetterebbero del requisito della immediata lesività delle posizioni soggettive tutelate.

L'eccezione va disattesa.

Per quanto concerne il Regolamento adottato con il d.P.R. n. 150 del 1999, è sufficiente osservare che esso reca disposizioni, puntualmente impugnate, direttamente ed automaticamente produttive di effetti sullo status dei dirigenti, ed in particolare dei dirigenti generali, segnando il momento in cui ha preso vigore la riforma scaturente dalla legge di delegazione 23 ottobre 1992 n. 421, nel testo integrato dall'art. 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59, e dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dal d.lgs. 31 marzo 1998 e dal d.1gs. 29 ottobre 1998, n. 387.

L'art. 5, comma 2, del citato Regolamento, infatti, dispone che, dalla data di entrata in vigore, "sono soppressi i ruoli della dirigenza delle singole amministrazioni statali ... e cessa di produrre effetti la pregressa appartenenza ad un ruolo. I dirigenti già in servizio confluiscono automaticamente nel ruolo unico dalla stessa data".

Ed è, appunto, dalla confluenza nel ruolo unico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che acquista efficacia, nei suoi vari aspetti, il nuovo assetto della dirigenza pubblica, caratterizzato dalla suddivisione dei dirigenti in due fasce; dalla possibilità di assumere, non più in via permanente ma con incarico temporaneo, la direzione di uffici di livello dirigenziale generale, oppure il semplice incarico di funzioni ispettive o di consulenza, studio e ricerca; dal passaggio dallo status disciplinato direttamente da norme di legge al regime della contrattazione, collettiva ed individuale, con le conseguenti incidenze sul piano del trattamento economico e previdenziale.

Da tutto ciò discende, al di là di ogni dubbio, la titolarità di un interesse concreto ed attuale da parte degli ex dirigenti generali a sottoporre al sindacato del giudice amministrativo la legittimità del d.P.R. n. 150 del 1999, ai sensi dell'art. 68, comma 1, del d.lgs. n. 29 del 1993, come modificato dal dAgs. n. 80 e dal d. lgs. n. 387 del 1998. Un ragionamento non diverso concerne l'impugnazione delle direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri 1 luglio 1999 e 21 gennaio 2000 relative alla definizione dei contratti individuali della dirigenza.

Si tratta di disposizioni che si propongono di dare attuazione all'art. 24 del d.lgs. n. 29 del 1993, e fissano in termini non derogabili, con indicazione degli importi, l'entità del trattamento economico fondamentale dei dirigenti di prima fascia, che dovrà essere recepito nei singoli contratti individuali.

In ordine alla attualità del pregiudizio, va tenuto presente che, secondo quanto stabilito dal paragrafo 6 della Direttiva 1 luglio 1999, il regime retributivo in essa indicato prende a decorrere dal 1 gennaio 1999, valorizzandosi il disposto di cui all'art. 24, comma 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, che ha individuato nell'anno 1998 l'ultimo periodo di applicazione del previgente sistema di adeguamento automatico della retribuzione di prima fascia, ai sensi della legge n. 216 del 1992.

3. Tanto premesso, tra i motivi di ricorso vanno esaminati prioritariamente quelli con i quali si deducono questioni di legittimità costituzionale di norme legislative, che, secondo l'assunto, costituiscono il presupposto giuridico e logico degli atti amministrativi impugnati.

Il dubbio di incostituzionalità investe, quindi, sia le norme della legge 15 marzo 1997 n. 59, che, all'art. 11, commi 4, lettere a) e b), e 6, apportando modifiche ed integrazioni alla legge di delegazione 22 ottobre 1992 n. 421, ha previsto l'estensione del regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali, rendendo così applicabili a questi ultimi i principi e criteri direttivi dettati, originariamente solo per i dirigenti non generali, dall'art. 2 della legge n. 421 cit.; sia le norme del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i decreti legislativi 31 marzo 1998 n. 80 e 29 ottobre 1998 n. 387, ed in particolare gli artt. 15, 19, 21, 23 e 24, dai quali scaturisce il nuovo regime dei funzionari già inquadrati nella qualifica di dirigente generale ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748.

Si assume che la suddetta normativa, configurando l'attribuzione delle funzioni direttive di livello generale secondo un rapporto privo di stabilità, disancorato da una progressione di carriera, regolato da un contratto individuale che fissa il contenuto della prestazione, condizionato al rispetto delle direttive politiche ed al conseguimento degli obiettivi contrattuali più che all'osservanza della legge, si ponga in contrasto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione che sembrano imporre un assetto normativo orientato a garantire, oltre al buon andamento, l'imparzialità dell'attività amministrativa, tramite pubblici funzionari posti al servizio esclusivo della Nazione.

La stessa normativa violerebbe il canone della logicità e della ragionevolezza, sancito dall'art. 3 della Costituzione, rilevandosi che il rapporto esclusivamente fiduciario tra il dirigente generale e il titolare dell'indirizzo politico, voluto dal nuovo ordinamento, avrebbe l'effetto di vanificare il motivo ispiratore centrale della riforma, costituito dalla separazione fra politica e amministrazione. L'organo politico, infatti, pur non essendo formalmente il titolare della attività amministrativa, ne assumerebbe la sostanziale gestione tramite i dirigenti, appositamente scelti intuitu personae, al di fuori di ogni obbligatorio collegamento con la carriera percorsa nello specifico ramo tecnico e professionale.

4. Osserva il Collegio che dette questioni appaiono rilevanti e non manifestamente infondate.

In punto di rilevanza, emerge testualmente dall'art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 29 del 1993, che l'impugnato d.P.R. n. 150 del 1999 detta la disciplina attuativa del ruolo unico dei dirigenti, ossia dell'istituto su cui si impernia il nuovo regime giuridico del rapporto di servizio e del rapporto di ufficio degli ex dirigenti generali, sicché la definizione delle censure prospettate dai ricorrenti richiederebbe l'applicazione delle norme di legge investite dagli accennati dubbi di legittimità costituzionale.

Le stesse questioni risultano peraltro non manifestamente infondate.

5. Si è già accennato che il d.lgs. n. 29 del 1993, e successive modificazioni, sulla scorta del criterio direttivo dettato dall'art. 11, comma 4, lett. a) della legge 15 marzo 1997 n. 59, ha esteso %l regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche, mantenendo ferme le altre esclusioni di cui all'articolo 2, commi 4 e 5". Il comma 6 dello stesso art. 11, ha ribadito il principio sopprimendo le parole "ai dirigenti generali ed equiparati" dalla originaria legge di delegazione 23 ottobre 1992 n. 421.

A fugare ogni dubbio circa la possibile sopravvivenza dell'ordinamento pubblicistico della dirigenza fino a quel momento vigente, l'art. '74, comma 2, dei d.lgs. n. 29 ha abrogato espressamente, con riguardo al personale interessato alla presente vertenza, le disposizioni del d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748 di cui al capo 1, titolo 1, "nonché le altre disposizioni del medesimo decreto n. 748 del 1972 incompatibili" con quelle del decreto legislativo. Tra queste ultime, di particolare rilievo è certamente l'art. 47, recante la tabella delle retribuzioni, stabilite, appunto, con norma di legge.

A tale riguardo non può essere trascurato che la Corte costituzionale, con giurisprudenza costantemente seguita fino ai primi anni 80, ha ritenuto che il "principio enunciato nell'art. 97 Cost. non riguarda esclusivamente l'organizzazione interna dei pubblici uffici, ma si estende alla disciplina del pubblico impiego 'in quanto possa influire sull'andamento dell'amministrazione' (sent. n. 124 del 1968, n. 6 in motivazione). In altre parole, è innegabile che la disciplina del lavoro è pur sempre strumentale, mediatamente o immediatamente, rispetto alle finalità istituzionali assegnate agli uffici in cui si articola la pubblica amministrazione" (sent. 5 maggio 1980 n. 68).

Il Collegio non ignora che con sentenze n. 313 del 1996 e n. 309 del 1997, il detto orientamento è stato oggetto di riesame, pervenendosi, proprio con riguardo alla privatizzazione del rapporto di impiego dei dirigenti dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ai sensi della legge n. 421 del 1992 e del d.lgs. n. 29 del 1993, ad una valutazione di infondatezza delle questioni in riferimento agli artt. 97 e 3 Cost..

Va però osservato che tali pronunce hanno preso in esame una normativa che escludeva dalla privatizzazione i dirigenti generali, ed anzi, proprio di tale esclusione è stato affermato il fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento per un verso, ragionevolezza e non discriminazione, per altro verso.

In tali occasioni è stato rilevato come, "solo ai dirigenti generali competono, fra tali funzioni (dirigenziali), quelle che - siccome di attribuzione e di impulso - sono più direttamente raccordabili alla attività politica di definizione degli obiettivi". Inoltre, si è considerato che, per, effetto delle leggi del 1992/93, "il distacco fra i dirigenti e i dirigenti generali s'è accentuato notevolmente, finendo questi ultimi con l'essere conformati quale raccordo tra potere politico e comune dirigenza, la cui attività essi verificano e controllano ... anche con potere sostitutivo in caso di inerzia"'. "Risulta allora evidente osservava ancora la sent. n. 313 del 1996 - come non siano confrontabili le rispettive posizioni e come, in ogni modo; sia giustificabile la denunciata diversità di regimi"

Da tali affermazioni si può legittimamente dedurre che, in ragione della rilevata "contiguítà" dei dirigenti generali con l'Esecutivo, ma nella non dubitabile consapevolezza del ruolo di garanti dell'imparzialità dell'azione amministrativa, che ad essi compete in forza del pur vigente art. 97 Cost, la Corte abbia voluto tener fermo il principio, consolidato nella sua risalente giurisprudenza, secondo cui " se si intendesse privatizzare i rapporti di lavoro con lo Stato non collegati all'esercizio di potestà pubbliche, dovrebbero pur sempre essere conservati come rapporti di diritto pubblico quelli dei dipendenti, cui tale esercizio è o potrebbe essere affidato" (sent. n. 68 del 1980).

La normativa ora in contestazione sembra disattendere il detto principio, non tanto perché elimina la natura pubblicistica del rapporto di impiego del dirigente generale, che potrebbe anche considerarsi, come ha ritenuto la sent. 309/1997 cit., precetto "non imposto dall'art. 97 Cost.", ma perché elude il valore sostanziale ivi enunciato, ossia che ai vertici degli apparati burocratici deve essere assicurato uno status coerente al dovere dell'imparzialità e del buon andamento.

E tale non può ritenersi una disciplina che assoggetta l'acquisizione e la conservazione dell'incarico di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale, ossia la naturale destinazione del dirigente di prima fascia del ruolo unico (art. 19, comma 4, d.lgs. n. 29/93), e quindi la sua carriera e il trattamento economico, al gradimento del vertice politico dell'Amministrazione.

6. Se può ammettersi, infatti, che già in forza dell'art. 25 del d.P.R. n. 748 del 1972, grazie alla facoltà di scelta dei dirigenti generali tra funzionari appartenenti ad altre amministrazioni od estranei, il rapporto anzidetto presentasse una connotazione parzialmente fiduciaria (vedi in tal senso Cons. St., Sez. IV 5 novembre 1991 n. 89), non di meno, anche a prescindere dalla eccezionalità delle nomine di personale non proveniente dalla stessa Amministrazione, la stabilità pressoché assoluta, nella qualifica e nell'incarico, di cui godeva il dirigente generale, era tale da offrire sufficiente garanzia circa l'esercizio della funzione in condizioni di reale indipendenza ed autonomia, al servizio esclusivo della nazione.

Il quadro normativo di riferimento, oggi radicalmente mutato, sembra invece esporre l'esercizio della funzione dirigenziale ad un pesante condizionamento, con grave pregiudizio dei menzionati principi.

Va tenuto presente, in primo luogo, che si è reso alquanto incerto lo stesso conseguimento dell'incarico di direzione di un ufficio di livello dirigenziale generale, in passato connesso automaticamente alla nomina, essendosi previsto che tali incarichi possano essere conferiti, "in misura non superiore ad un terzo", a dirigenti della seconda fascia del ruolo unico, oltre che ad estranei, nel limite del 5 per cento dei dirigenti di prima fascia (art. 19, comma 4).

L'incarico, inoltre, è caratterizzato da una intrinseca precarietà.

E' conferito a tempo determinato: la sua durata, che può essere non inferiore a due e non superiore a sette anni, con facoltà di rinnovo, è stabilita dal contratto individuale, che accede al provvedimento amministrativo di conferimento (art. 19, comma 2). La scadenza del termine di durata, non seguita dal rinnovo, determina quindi la perdita dell'incarico, senza che occorra l'adozione di una qualche determinazione amministrativa che ne renda conoscibili e sindacabili le ragioni.

Ma l'incarico, soprattutto, è revocabile. Se gli incarichi di segretario generale di ministeri o di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali (dipartimenti) sono esposti, secondo un principio tipico dello "spoil system", anche alla revoca entro novanta giorni dal voto di fiducia al Governo (art. 19, comma 8), tutti gli incarichi dirigenziali, e quindi anche quelli di uffici dirigenzialí generali, sono revocabili per responsabilità dirigenziale (art. 19, comma 7).

L'art. 21 del d.lgs. n. 29, lungi dal collegare la revoca dell'incarico a comportamenti o decisioni adottati in violazione di norme giuridiche, come era lecito attendersi in un sistema retto dal principio di legalità, configura due tipi di responsabilità dipendenti da apprezzamenti latamente discrezionali del vertice politico. Il primo consegue ad una valutazione negativa della gestione amministrativa, ovvero di mancato raggiungimento degli obiettivi (comma l); il secondo all'ipotesi di "grave inosservanza delle direttive impartite" (comma 2). La responsabilità del primo tipo comporta la semplice revoca dell'incarico, salva la possibilità, puramente eventuale, di conseguirne altro di pari livello, ossia di direzione di ufficio, oppure un incarico, di minor prestigio e retribuzione, tra quelli menzionati nell'art. 19 comma 10.

La responsabilità del secondo tipo può avere le conseguenze ancor più gravi indicate dall'art. 21, comma 2: divieto di incarichi per due anni o licenziamento, sia pure a seguito del parere conforme dei comitato di garanti di cui al comma 3.

Né va sottaciuto che il trasferimento della giurisdizione sul rapporto al giudice ordinario ha eliminato il sindacato sull'eccesso di potere, tipico della giurisdizione amministrativa.

7. La pressione esercitabile sul dirigente generale in base alla normativa contestata, affinché segua comportamenti idonei a garantirgli il gradimento dell'organo politico, da cui dipende per la qualità del lavoro, la carriera, la retribuzione, emerge con piena evidenza ove si tenga conto dei seguenti elementi.

I comportamenti che determinano la responsabilità amministrativa sono indicati con espressioni assolutamente generiche e tali da potersi applicare ad evenienze e valutazioni disancorate da qualunque criterio oggettivo.

La valutazione delle prestazioni dei dirigenti generali è effettuata sulla base degli elementi forniti dai servizi di controllo interno, che sono definiti uffici di diretta collaborazione del Ministro (d.lgs. 30 luglio 1999 n. 286, art. 6), tradizionalmente scelti in base a rapporto fiduciario.

Il trattamento economico fondamentale del dirigente generale, come anche quello accessorio, è determinato contrattualmente, ma non già dal contratto collettivo, bensì da quello individuale, che accede al provvedimento di conferimento dell'incarico (art. 24 comma 2 del dAgs. n. 29). Tale contratto, peraltro, è lo stesso atto che vincola il dirigente generale ad una determinata prestazione ed al raggiungimento di determinati obiettivi, incidendo quindi in larga parte sul contenuto del rapporto di lavoro. L'art. 19, comma 1, ultimo periodo, dispone, inoltre, che al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'art. 2103 del codice civile, sottraendo al dirigente generale anche la garanzia della conservazione delle mansioni convenute.

Sembra arduo, invero, riconoscere nel regime sopra riferito quell' equilibrato dosaggio di fonti regolatrici", (legge e contratto collettivo) che la Corte costituzionale (sent. n. 313 del 1996) aveva individuato nella originaria disciplina della dirigenza (non generale), secondo la versione della riforma anteriore alle leggi del 1997 e 1998, giudicandolo capace di garantire l'imparzialità del dipendente anche al di fuori dello statuto pubblicistico.

Ritiene, conclusivamente,- il Collegio che possa legittimamente dubitarsi della conformità di un regime siffatto ai già invocati principi di cui agli artt. 97 e 98 Cost..

8. La seconda questione assume come parametro di raffronto il principio di ragionevolezza, la cui inosservanza è ravvisabile nella normativa sopra esaminata, se valutata sul piano della logicità e della coerenza interna.

La riforma della pubblica amministrazione assume tra i principi fondamentali la separazione tra l'indirizzo politico e la gestione amministrativa. L'art. 3 del d.lgs. n. 29/93 regola in tal senso la distribuzione delle funzioni affidate alle pubbliche amministrazioni, assegnando agli organi di Governo la definizione degli obiettivi e dei programmi e ai dirigenti la adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, anche di spesa, dei quali sono "responsabili in via esclusiva". La responsabilità del ministro, come quella del Presidente del Consiglio dei Ministri, deve essere di natura politica, ai sensi dell'art. 95 Cost., come si evince anche con maggior chiarezza dall'art. 14, comma 3, del d. lgs. n. 29/93 che vieta al ministro di avocare, riformare, ecc. atti di competenza dei dirigenti, prevedendo interventi sostituivi solo tramite un commissario ad acta per casi particolari e gravi.

Si vuole quindi che la responsabilità dei dirigenti sia la conseguenza della esplicazione effettiva delle loro competenze tecniche nel perseguimento degli obiettivi, spettando al ministro la verifica e il controllo.

Un sistema così congegnato postula che il dirigente generale sia messo nelle condizioni di operare scelte gestionali realmente proprie, e come tali tecniche, esclusivamente finalizzate ad assicurare efficienza ed efficacia all'apparato amministrativo, tramite una regolamentazione, sia pure di stampo privatistico, ma capace di impedire la ingerenza della volontà politica nella condotta della gestione.

Al contrario, un regime della dirigenza che, come quello qui contestato, sia eccessivamente orientato verso rapporti di ufficio, costituiti su base fiduciaria, e minacciati da risoluzione in termini anche assai brevi, con pesanti conseguenze economiche e di carriera, non può che produrre una gestione largamente influenzabile da preoccupazioni politiche.

In tal modo, il regime configurato per la dirigenza di vertice contraddice l'impostazione della riforma, perché tradisce la scelta di principio della separazione tra politica ed amministrazione, avviandosi sulla via della commistione impropria dei ruoli e delle responsabilità.

Ne costituisce palese riscontro l'istituto dei contratto individuale di cui all'art. 19, comma 2, cui è demandato di definire "per ciascun incarico, l'oggetto e gli obiettivi da perseguire, che mai si concilia con il disposto dell'art. 3, secondo cui spetta al Ministro la scelta degli obiettivi.

In tal modo l'organo politico può gestire senza assoggettarsi alla relativa responsabilità civile, penale o amministrativa, e il dirigente

rimane responsabile di scelte non autonome, in un assetto destinato a riproporre le inefficienze cui si voleva ovviare.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima, riuniti i ricorsi in epigrafe, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, in riferimento agli artt. 97, 98 e 3 Cost., le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 11, comma 4, lett. a), secondo periodo, della legge 15 maggio 1997 n. 59, e degli articoli 15, comma 1, 19, 21, 23 e 24, comma 2, del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i decreti legislativi 31 marzo 1998 n. 80 e 29 ottobre 1998 n. 387;

sospende i giudizi in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 maggio e del 21 giugno 2000 con l'intervento dei magistrati:

Mario Egidio Schinaia Presidente

Marzio Branca - Consigliere est.

Germana Panzironi - Consigliere