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n. 12-2000

STEFANO TENCA

Natura giuridica degli atti compiuti dal datore di lavoro nel rapporto di pubblico impiego privatizzato con particolare riguardo al conferimento di incarichi dirigenziali

L’emanazione del Decreto Legislativo n° 29 del 03/02/93 e dei provvedimenti legislativi susseguenti [1] ha impostato su basi totalmente innovative la gestione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Il compimento della cosiddetta "depubblicizzazione" incide sulla qualificazione delle determinazioni datoriali assunte nel rapporto di pubblico impiego, che si trasformano da provvedimenti amministrativi ad atti rientranti nell’orbita negoziale.

Occorre tuttavia sottolineare come mentre da un lato le disposizioni normative prevedono che "le amministrazioni pubbliche definiscono…….mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individuano gli uffici di maggiore rilevanza ed i modi di conferimento della titolarità dei medesimi, determinano le dotazioni organiche complessive (art. 2 comma 1 D. Lgs. 29/93) [2], sotto un diverso profilo si puntualizza che "nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’art. 2, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art. 4 comma 2) [3].

La scelta del legislatore appare univocamente orientata ad attribuire natura contrattuale privatistica ai poteri datoriali di gestione singolare o collettiva del rapporto di lavoro, mentre permane una cornice pubblicistica presupposta, ossia una serie di linee organizzative portanti formulate dal singolo ente in piena autonomia: si introduce pertanto una distinzione lineare di fonti regolative tra un livello macro organizzativo, retto dai principi e dalle regole del diritto amministrativo, ed un livello micro organizzativo, attratto nell’ambito della gestione privatistica [4].

Il nuovo assetto si riflette sul versante processuale ove l’art. 68 comma 1 del D. Lgs. 29/93, nell’attribuire l’intero settore di contenzioso del pubblico impiego al giudice ordinario, gli riconosce un potere di disapplicazione quando si imbatta in atti amministrativi presupposti illegittimi, i quali restano sindacabili dal giudice amministrativo pur se la relativa impugnazione non è causa di sospensione del processo innanzi al g.o.

La medesima impostazione ha trovato accoglimento nel sistema organizzativo degli Enti locali, per i quali il Testo unico approvato con D. Lgs. n° 267 del 18/08/2000 delinea, all’art. 89, un sistema di fonti che prevede una competenza di livello statutario e regolamentare in alcune fondamentali materie, demandando ai dirigenti o ai responsabili dei servizi il compimento degli atti di gestione dei rapporti di lavoro con i poteri del datore di lavoro privato [5].

Nell’ambito della delineata bipartizione di fonti regolative del rapporto di pubblico impiego, è sorto il problema della qualificazione degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali.

I sostenitori della natura privatistica degli incarichi [6] evidenziano anzitutto il dato testuale dell’art. 19 comma 1° ultima parte del D. Lgs. 29/93, ai sensi del quale "al conferimento degli incarichi ed al passaggio ad incarichi diversi non si applica l’art. 2103 del codice civile" [7]: la necessità di escludere esplicitamente l’applicazione di una norma civilistica comprova la soggezione della fattispecie alla disciplina tipica del diritto del lavoro comune.

In seconda battuta è stato osservato che il comma secondo del medesimo art. 19 prevede la definizione contrattuale dei contenuti principali dell’incarico, ossia l’oggetto, gli obiettivi da conseguire, la durata ed il trattamento economico.

Da ultimo si rileva come l’art. 68 comma 1° del D. Lgs. 29/93 abbia devoluto al giudice ordinario l’intera materia delle controversie afferenti ai rapporti d’impiego con le pubbliche amministrazioni, dalla fase dell’assunzione fino alla cessazione con la sola esclusione delle modalità di gestione ed espletamento delle procedure concorsuali e comprendendo testualmente il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali [8].

L’impostazione delineata non è condivisa da un diverso orientamento, il quale ravvisa nell’attribuzione di incarichi dirigenziali il compimento di atti amministrativi [9].

L’art. 2 comma 1° lett. c) della L. 421/92 ha sancito la sottoposizione all’ambito pubblicistico, tra l’altro, della materia relativa agli organi, agli uffici e del modo di conferimento della titolarità dei medesimi. Il principio è ribadito, come sopra evidenziato, dall’art. 89 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

E’ pur vero che taluno ha manifestato perplessità sulla riconduzione degli atti in questione nell’alveo delle fonti pubblicistiche, dato che gli atti organizzativi di cui all’art. 2 D. Lgs. 29/93 riguardano "l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza" e le relative "modalità di conferimento", mentre non contemplano il vero e proprio "conferimento dell’incarico" [10].

Un altro elemento è rinvenuto nell’art. 4 comma 2 del decreto legislativo, il quale stabilisce che le misure assunte con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro sono, testualmente, quelle compiute dagli "organi preposti alla gestione" e non, viceversa, dagli organi che esprimono l’indirizzo politico amministrativo. In altri termini, non appaiono assumere natura privatistica tutti gli atti di gestione del rapporto di lavoro, bensì solo quelli di competenza dirigenziale [11].

I sostenitori della tesi pubblicistica sottolineano come per gli incarichi dirigenziali di livello apicale l’atto di conferimento è espressamente configurato come atto unilaterale promanante dall’organo politico [12]: in buona sostanza ricorre un momento decisionale interamente amministrativistico [13]. Ciò significa che il rapporto tra ente pubblico e dirigente prescelto potrebbe essere regolato negozialmente mentre resterebbe pubblicistica la sua genesi: l’atto di conferimento risulterebbe così sottoposto alle regole ed ai principi pubblicistici [14]. La qualificazione dell’atto di conferimento degli incarichi dirigenziali si articola in due diverse fasi, attinenti rispettivamente alla decisione di affidare l’incarico ed all’accordo fra le parti destinato a contenere elementi dettaglio [15].

E’ stato osservato come tale orientamento non dovrebbe condurre a dubitare della giurisdizione del giudice ordinario, ma semmai a considerare più ampia l’estensione dei suoi poteri, in quanto l’art. 68 comma 1° potrebbe aver devoluto alla giurisdizione ordinaria anche gli atti amministrativi. Il giudice ordinario, avvalendosi della potestà di adottare tutti i provvedimenti di tipo costitutivo nei confronti della p.a. ai sensi dell’art. 68 comma 2°, potrebbe anche conoscere degli effetti lesivi dell’atto amministrativo nei confronti del privato per poi caducarlo, "giacchè l’annullamento è certamente provvedimento costitutivo" [16].

La qualificazione dell’atto in esame come atto amministrativo pone l’ulteriore problema dell’inquadramento nella categoria degli atti politici o di alta amministrazione, risolto dalla prevalente giurisprudenza nel secondo senso con conseguente obbligo, in capo all’organo politico, di dare adeguatamente contro dei criteri seguiti e delle ragioni giustificatrici anche al fine di consentire una puntuale verifica in sede giurisdizionale [17].

L’individuazione della natura, attizia o negoziale, dell’atto di conferimento degli incarichi dirigenziali spiega rilevanti effetti sotto il profilo sostanziale e processuale.

Dalla natura negoziale dell’atto consegue che il sindacato del giudice ordinario deve essere operato non alla stregua dei parametri di legittimità (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) ma alla luce dei vizi propri della patologia negoziale (nullità, annullabilità, inesistenza, risolubilità) derivanti dalla violazione delle norme di legge e delle clausole contrattuali che regolano l’azione privatistica della p.a. datrice di lavoro, ovvero alla luce della violazione del principio di correttezza, buona fede e parità di trattamento richiamati spesso dal pretore del lavoro [18].

L’atto gestionale di natura negoziale, non essendo dotato di imperatività, è altresì inidoneo a spiegare l’effetto degradatorio dei diritti del lavoratore derivanti dalla legge o dal contratto: pertanto la posizione del dirigente destinatario dell’incarico non sarebbe di interesse legittimo ma di diritto soggettivo pieno.

Infine l’atto gestionale, ove ritenuto privatistico, diviene insindacabile in sede amministrativa mediante ricorso gerarchico o straordinario mentre sarà possibile chiedere al giudice ordinario il sindacato non entro termini decadenziali ma nel più lungo termine prescrizionale.

[1] Si richiama in particolare il Decreto Legislativo 31 marzo 1998 n° 80 ed il Decreto Legislativo 29 ottobre 1998 n° 387.

[2] La disposizione recepisce le previsioni della Legge delega 421 del 23/10/92, che individua all’art. 2 comma 1 lett. c) le materie sottratte alla privatizzazione.

[3] La previsione va correlata con la disposizione di cui all’art. 2 comma 2 del D. Lgs. 29/93 la quale stabilisce che "I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto...".

[4] In questo senso si esprimono MARCELLO CLARICH e DOMENICO IARIA, "La riforma del pubblico impiego", Maggioli editore, III edizione, 1999, pagg. 70 e segg. Gli autori osservano in aggiunta che "l’accennata distinzione attua in ambito organizzativo, ancorchè in linea tendenziale, il principio generale posto dall’art. 3 del D. Lgs. 29/93, diretto a distinguere tra funzione di indirizzo politico-amministrativo di competenza degli organi di governo e funzioni di gestione di spettanza dei dirigenti".

[5] Il dato testuale dell’art. 89 comma 2, nell’individuare le materie soggette alla disciplina pubblicistica, elenca le medesime fattispecie contemplate all’art. 2 comma 1 lett. c) della L. 421/92, mentre il comma 6 riproduce pressochè fedelmente il contenuto del sopracitato art. 4 comma 2 del D. Lgs. 29/93.

[6] Cfr. da ultimo in giurisprudenza Tribunale di Udine, ordinanza 28 agosto 2000, in www.giust.it 2000, rivista internet di diritto pubblico, 2000, come pure Tribunale di Vallo della Lucania, ordinanza 13 settembre 2000, in www.giust.it 2000, cit.. In entrambe le fattispecie si esaminano i presupposti del provvedimento di revoca di un Segretario comunale. Si rimanda altresì a Tribunale di La Spezia, Sezione Lavoro, ordinanza 26 aprile 1999, in www.giust.it 2000, cit., ove si riconosce natura privatistica ad un provvedimento sindacale di nomina ad un posto apicale di un settore del Comune.

[7] L’art. 2103 del c.c. recita: "Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamentie svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al compenso corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo."

[8] Cfr. Tribunale di Venezia, ordinanza 8 giugno 2000, in www.giust.it 2000: partendo dal presupposto che ai sensi dell’art. 68 del D. Lgs. 29/93 sono devolute al giudice ordinario le controversie relative ai rapporti di lavoro, incluse quelle concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, il giudice giunge a qualificare l’incarico non come provvedimento unilaterale di tipo autoritativo, ma come atto negoziale di diritto privato di gestione del rapporto di lavoro.

[9) Cfr., in giurisprudenza, Tar. Puglia, Sez. I – Lecce, sentenza 6 febbraio 1999 n° 271, in T.A.R. 1999, I, 1539.

[10] Si veda l’articolo di VITO TENORE ed ENNIO ANTONIO APICELLA, "Corte di Cassazione e Consiglio di Stato in contrasto sulla natura attizia o contrattuale delle determinazioni datoriali nel rapporto d’impiego pubblico privatizzato" in Foro Amministrativo 1999, 2167 nota 2: alla luce di tali considerazioni dovrebbero considerarsi atti di diritto privato sia i decreti del Presidente del Consiglio con i quali si conferiscono gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale, sia i decreti del Presidente della Repubblica con cui si conferisce l’incarico di segretario generale di Ministeri (art. 19 commi 3 e 4 D. Lgs. 29/93).

[11] Si veda il commento di LUIGI OLIVIERI, "Note a margine dell’ordinanza del Tribunale di Udine 28 agosto 2000", in www.giust.it, cit.: l’autore in particolare afferma che gli organi di direzione politica ben possono adottare atti di gestione del personale, in via derogatoria rispetto al principio generale enunciato all’art. 4 comma 2 del D. Lgs. 29/93. Tale potere pertanto si configura come eccezionale e limitato "alla gestione del rapporto di lavoro dei funzionari di vertice, di quei dipendenti che hanno un diretto contatto con gli organi di governo, non esistendo al di sopra nessun altro filtro organizzativo dell’apparato burocratico".

[12] L’art. 19, ai commi 3° e 4°, prevede che gli incarichi di segretario generale dei ministeri e di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale sono conferiti nel primo caso con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente e nel secondo caso con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente. Nello stessa direzione il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali prevede, agli artt. 50 e 109, che gli incarichi dirigenziali siano attribuiti e definiti dal Sindaco e dal Presidente della Provincia con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.

[13] In questo senso si esprime LUIGI OLIVIERI, "Note a margine dell’ordinanza del Tribunale di Udine 28 agosto 2000", cit., il quale osserva che nella procedura di nomina l’individuazione del soggetto interessato è una fase attratta nella sfera pubblicistica, poichè il dirigente "può contrattare il contenuto della prestazione ed il compenso, ma è chiaro che non può contrattare la nomina".

[14] La tesi è affermata da MARCELLO CLARICH e DOMENICO IARIA, "La riforma del pubblico impiego", cit.

[15] Cfr. Corte dei Conti, Sez. Controllo, sentenza 22 giugno 1999 n° 45, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 1999, 928: le due fasi si pongono su due diversi piani, di diritto pubblico il primo e di diritto privato il secondo.

[16] L’interessante spunto ricostruttivo è suggerito da LUIGI OLIVIERI, "Note a margine...", cit. Ad avviso dell’autore si potrebbe ritenere, per questa limitata casistica di atti, che "si sia in presenza dell’unificazione in un solo giudice del potere di sindacare gli atti amministrativi alla stregua dei canoni processuali amministrativi".

[17] Il rispetto inderogabile dell’obbligo di motivazione è affermato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 5 febbraio 1999 n° 120. Si veda anche la pronuncia di Tar Puglia, Sez. I – Lecce, sentenza 6 febbraio 1999, cit.

[18] Si veda in particolare VITO TENORE ed ENNIO ANTONIO APICELLA, "Corte di Cassazione e Consiglio di Stato in contrasto sulla natura attizia o contrattuale delle determinazioni datoriali nel rapporto d’impiego pubblico privatizzato", cit.: gli autori osservano altresì che la qualificazione in senso privatistico comporta la sottrazione alla disciplina dettata dalla Legge 241/90, per cui in riferimento ad eventuali provvedimenti di secondo grado (annullamento e revoca dell’incarico) non sarà emesso l’avviso di avvio del procedimento, non avrà luogo il contraddittorio infraprocedimentale con il destinatario del provvedimento e non sarà dovuta la comunicazione del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere. Si rileva inoltre che l’atto inficiato da nullità è insuscettibile di sanatoria a differenza dell’atto amministrativo.