La trasformazione

di azienda municipalizzata in s.p.a.

e la cessione di quote

Premessa

La forma societaria di capitali si configura come una formula cui l’ente locale può ricorrere qualora, in relazione alla natura del servizio da erogare, si renda opportuna la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati che condividano il rischio d’impresa.

Il motivo ispiratore di fondo della costituzione di società miste a partecipazione locale è quello:

a) di promuovere una gestione imprenditoriale (più efficiente e secondo criteri di economicità) dei servizi pubblici locali, con il passaggio da modelli organizzativi di tipo pubblicistico (quali ad esempio, le aziende speciali) ad un modello organizzativo di tipo privatistico quale è quello della società per azioni;

b) di ridurre la relativa spesa pubblica attraverso l'apertura al con corso non solo finanziario del capitale di rischio privato.

In altri termini, l'obiettivo non è solo quello della privatizzazione formale, ma anche quello di una più o meno accentuata privatizzazione sostanziale nella gestione dei servizi pubblici locali. "La costituzione di una società a partecipazione pubblica per la gestione di pubblici servizi", rilevano al riguardo Cammelli e Ziroldi, "è attività che non sempre si realizza con la semplice progettazione dell'affidamento del servizio ad una nuova struttura estranea all'organizzazione amministrativa dell'ente locale. Se, in questo caso, la creazione del nuovo soggetto coincide con la determinazione di assumere il servizio, più spesso tale operazione si inserisce in una più ampia sequenza procedimentale, costituita dalla sostituzione dei modelli organizzativi di gestione, ed in particolare dalla trasformazione di una azienda speciale in una società per azioni, la cui costituzione, pertanto, si rivela funzionale all'attuazione di una vera e propria procedura di privatizzazione formale, vale a dire della fuoriuscita della gestione del servizio dai modelli organizzativi di diritto pubblico".

Nel delineare la disciplina delle società miste il legislatore ha individuato due modelli, che corrispondono rispettivamente alla privatizzazione formale ed a quella sostanziale. Da un lato, la società per azioni a "prevalente capitale pubblico locale", prevista dall'art. 22, comma 30, lett. c), 1.142/1990, la cui caratterizzazione rispetto alla disciplina di diritto comune è rappresentata essenzialmente dal vincolo della detenzione della maggioranza del capitale sociale da parte degli enti locali. Dall'altro, la società mista con partecipazione maggioritaria dei soci privati, definibile come società con partecipazione pubblica minoritaria, che è stata introdotta dall'art. 12 della 1.428/1992, e le cui modalità operative sono state definite con il regolamento emanato con il d.p.r. 16 settembre 1996, n. 533.

Il concorso delle due normative delinea dunque i modelli di società miste fruibili dagli enti locali per la gestione dei servizi pubblici di loro competenza, introducendo un fattore di maggiore rigidità rispetto al passato. Oggi, infatti, l'ente locale che intende costituire una società mista per la gestione di un pubblico servizio dovrà necessariamente optare per uno dei due modelli alternativi prefigurati dal legislatore, così che resta preclusa per le società costituite dopo l'entrata in vigore delle leggi n.142 del 1990 e n. 498 del 1992 l'adozione di modelli diversi. In particolare, non è più consentita la costituzione di una società con partecipazione paritetica al 50% dell'ente locale e dei soci privati. È invece possibile il passaggio nel corso della vita della società dall'uno all'altro modello attraverso opportune modifiche statutarie.

Peraltro, la normativa introdotta dalla legge 142/90 sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali non disciplinava le procedure da seguire per realizzare il passaggio da una forma all'altra, con riferimento a servizi già assunti dal comune. Tale aspetto è stato regolato dai commi 48 e 51-58 dell’articolo 17 della legge n. 127/1997.

 

Le fasi civilistiche della trasformazione

In particolare, con il comma 51 dell’art. 17, è stata data ai comuni, alle province e agli altri enti locali la facoltà di trasformare, per atto unilaterale, in società per azioni le aziende speciali costituite ai sensi dell'art. 22, comma 3, della 1. 142/90. Trattandosi di facoltà e non di obbligo è evidente che il provvedimento dell'ente locale dovrà essere motivato in ordine alle ragioni che inducono lo stesso ente locale ad operare tale scelta.

La competenza a deliberare la trasformazione spetta al consiglio dell'ente locale, sia perché si tratta di materia che attiene alle aziende speciali sia perché riguarda la partecipazione dell'ente locale medesimo a società di capitali (art. 32, comma 1, lett. 1), della 1.142/90).

La trasformazione avviene mediante "atto unilaterale" e cioè con la sola adozione da parte del consiglio della relativa delibera, la quale "tiene luogo di tutti gli adempimenti in materia di costituzione delle società previsti dalla normativa vigente" (art. 17, commi 51 e 52, della l. 127/97). Dal momento che la deliberazione di trasformazione assume il valore di un atto costitutivo della società, essa deve contenere tutte le indicazioni prescritte dall'art. 2328 c.c. per l'atto costitutivo delle società. Con la deliberazione di trasformazione dovrà, inoltre, essere approvato lo statuto "contenente le norme relative al funzionamento della società", poiché lo statuto "anche se forma oggetto di atto separato, si considera parte integrante dell'atto costitutivo e deve essere a questo allegato" (art. 2328, ultino comma, c.c.).

La deliberazione di trasformazione deve, entro il termine di trenta giorni dall'approvazione, essere depositata, con l'allegato statuto, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale (art. 2330, comma 1, c.c.). L'iscrizione della società nel registro delle imprese è, peraltro, subordinata al preventivo controllo di legittimità da parte del tribunale. Ai sensi dell'art. 2330, comma. 3, c.c. (richiamato dal comma 52, dell'art. 17), il tribunale può, infatti, ordinare l'iscrizione nel registro delle imprese, solo dopo aver "verificato l'adempimento delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della società". Il controllo che esercita il tribunale in sede di omologazione ha, quindi, ad oggetto, unicamente la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della società: esula perciò da esso ogni valutazione di merito in ordine alla convenienza economica o a qualsiasi altro profilo di opportunità attinente alla creazione della società.

Il tribunale, verificato l'adempimento delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della società e sentito il pubblico ministero, ordina come dispone l'art. 2330, comma 3, c.c., l'iscrizione della società nel registro delle imprese. La normativa sulla trasformazione delle aziende speciali in società per azioni non richiama, invece, l'art. 2331, comma 1, c.c., il quale prevede che con l'iscrizione nel registro la società "acquista la personalità giuridica". Ciò, presumibilmente, perché le aziende speciali sono già dotate, in base all'art. 23, comma 1, della 1. 142/90, di personalità giuridica propria, che viene acquisita mediante l'iscrizione nel registro delle imprese ai sensi del comma 1 dell'art. 2331 c.c.

Il fenomeno della trasformazione non è, del resto, riconducibile ad un’ipotesi di estinzione e di nuova costituzione di un ente, ma riguarda una semplice "mutazione formale" di un'organizzazione, che sopravvive senza soluzione di continuità, anche per quanto riguarda i rapporti patrimoniali e le relative garanzie a tutela dei terzi. L'esigenza di adeguare l'azienda speciale alle regole proprie della società per azioni comporta, tuttavia, la necessità di verificare se e quali regole inderogabilmente prescritte per la costituzione di tale "tipo" di società debbano comunque essere osservate. Il che spiega la ragione per cui alla fattispecie è stata dichiarata applicabile la disposizione del comma 3 dell'art. 2330 c.c. e non anche quella di cui al comma 1 dell'art. 2331 c.c.

La deliberazione di trasformazione e l'allegato statuto devono, infine, essere pubblicati nel bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata. La pubblicazione della deliberazione di trasformazione e dell'allegato statuto nel BUSARL hanno effetti dichiarativi.

In sintesi, come rileva Gennaro Terracciano, "la società è costituita attraverso la sola deliberazione dell'ente di riferimento dell'azienda, senza porre in essere gli adempimenti in materia di costituzione delle società previste dal codice civile, con salvezza della necessità di iscrizione della società nel registro delle imprese (articolo 2330 del codice civile, commi 3 e 4) e della pubblicazione della deliberazione e dello statuto della società nel bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata... Realisticamente, quindi, il legislatore ha previsto che la società rimanga unipersonale per un periodo congruo, non superiore a due anni dalla sua costituzione. I comuni, le province o gli altri enti locali interessati alla trasformazione rimarranno unici azionisti, fin quando non si saranno realizzate le condizioni per procedere all'ampliamento societario, anche con applicazione delle disposizioni già richiamate di cui all'articolo 12 della legge 498/1992 (e, dunque, con osservanza del regolamento 533/1996".

Lo schema previsto dal legislatore ricalca, dunque, quello seguito per la privatizzazione formale degli enti pubblici economici, consentendo ai comuni, alle province ed agli altri enti locali di trasformare in società per azioni preesistenti aziende speciali procedendo anche alla loro scissione con destinazione a società di nuova costituzione di singoli rami aziendali. Operazioni queste che possono essere realizzate anche al solo fine di un riassetto organizzativo nella gestione del servizio; per dar vita cioè ad una semplice privatizzazione formale non preordinata alla successiva cessione ai privati della maggioranza del pacchetto azionario. È infatti assente nella formulazione definitiva della norma l'originario riferimento al fine (esclusivo) "di agevolare la dismissione dei beni, aziende o complessi aziendali secondo la procedura e i principi" della normativa del 1994 sulle privatizzazioni. Come stabilisce il comma 54, questo costituisce solo uno dei possibili fini della trasformazione dell'azienda speciale in s.p.a., mentre è ammesso il rinvio ad un momento successivo dell'opzione per uno dei due modelli di società miste per la gestione dei servizi pubblici locali. L'unico vincolo per l'ente che opta per la trasformazione è infatti quello di non poter restare azionista unico per un periodo superiore a due anni dalla trasformazione.

Siccome la trasformazione comporta una semplice modificazione della configurazione giuridica dell'azienda speciale (per cui la società che risulta dall'operazione rappresenta la continuazione dell'azienda stessa), è stato stabilito che il capitale iniziale della società debba essere riproduttivo del capitale di dotazione dell'azienda "trasformata". Ed, infatti, ai sensi del comma 51 dell'art. 17, l. 127/97, nella deliberazione di trasformazione il "capitale iniziale" delle società deve essere determinato "in misura non inferiore al fondo di dotazione delle aziende speciali risultante dall'ultimo bilancio di esercizio approvato e comunque in misura non inferiore all'importo minimo richiesto per la costituzione delle società medesime". Questa ultima limitazione sembra che debba essere messa in relazione con la decisione dell'ente deliberante circa la scelta del modello societario: infatti, se l'ente si propone di mantenere una posizione minoritaria nella società alienando le azioni ai sensi dell'articolo 12 della legge 498/1992, il capitale minimo non potrà che essere quello fissato nel regolamento di attuazione pari ad almeno un miliardo di lire. In ogni caso, l’eventuale residuo di patrimonio è imputato a riserve e fondi.

La "misura" del capitale delle società risultanti dalla trasformazione delle aziende speciali, determinata dal consiglio dell'ente locale con la deliberazione di trasformazione, è, peraltro, non solo "iniziale", ma anche "provvisoria". La misura "definitiva" deve, infatti, essere determinata in seguito al procedimento descritto dal comma 53 dell'art. 17. Quest’ultimo dispone che gli amministratori della società, per la definitiva determinazione dei valori patrimoniali conferiti devono richiedere ad un esporto designato dal presidente del tribunale una relazione giurata "ai sensi e agli effetti dell'art. 2343, co. 1, cod. civ.". La richiesta degli amministratori deve essere effettuata entro tre mesi dalla "costituzione" del società, o entro tre mesi dall'approvazione della deliberazione di trasformazione, il che determina un notevole acceleramento del procedimento di trasformazione.

Va inoltre sottolineato come la legge n. 127/1997 precisi che le società possono assumere sia la forma delle società per azioni sia quella a responsabilità limitata. La nuova versione dell'articolo 22 prevede poi che le società per la gestione dei servizi pubblici possano essere costituite o partecipate dall’Ente titolare del servizio. Tale formulazione sembra legittimare la possibilità che, accanto alle ipotesi di società appositamente costituite per la gestione del servizio pubblico, vi siano anche quelle di società già costitute e di cui l'Ente locale (titolare del servizio) assume una partecipazione successivamente alla loro costituzione. Ipotesi quest’ultima che era stata negata dalla giurisprudenza, secondo la quale la norma di cui all'articolo 22 della legge n.142/1990 "ha usato il termine ‘costituzione’ di società (da intendersi come creazione della stessa) e non già la mera adesione (mediante l'acquisto di azioni) a quelle già esistenti". L’Ente deve in ogni caso indicare le ragioni di opportunità che legittimano il ricorso allo strumento societario in relazione alla natura del servizio da erogare o all'ambito territoriale di tale servizio.

Entro sei mesi dal "ricevimento di relazione", gli amministratori e i sindaci sono tenuti, come prevede il comma 53 dell'art. 17, a determinare i "valori definitivi di conferimento" dopo aver controllato le valutazioni contenute nella relazione stessa. La determinazione definitiva dei valori di conferimento costituisce il momento fondamentale per le successive vicende della società, in quanto sino a quando essa non verrà effettuata "le azioni della società sono inalienabili" (comma 53, art. 17).

L'alienazione delle azioni può essere effettuata dall'ente locale per dismettere la partecipazione sino alla perdita del controllo sulla società, o per trasformare tale partecipazione da (inizialmente) "totalitaria" in "minoritaria" (comunque non inferiore al 20%) ai sensi dell'art. 12 della l. 498/92 (comma 54 e 55 dell'art. 17 l. 127/97). Le "finalità" che possono essere perseguite dall'ente locale con l'alienazione delle azioni della società derivata dall'azienda speciale non sono, tuttavia, solo quelle indicate dai commi 54 e 55. La trasformazione delle aziende speciali in società per azioni si deve, infatti, considerare ammessa anche per consentire all'ente locale di costituire società "a prevalente capitale pubblico locale" e cioè per passare dalla partecipazione (inizialmente) "totalitaria" a quella "maggioritaria" (quindi, comunque, superiore al 50%).

La previsione di due diversi modelli di società miste, con disciplina speciale diversa, impone la necessaria specificazione in sede di redazione dell'atto costitutivo del modello per il quale si opta. Andrà in altri termini specificato, per consentire il controllo da parte del giudice dell'omologazione, se la società è costituita ai sensi dell'art. 22 della legge n. 142 del 1990, o dell'art. 12 della legge n. 498 del 1992.

Va però precisato che i due modelli di società miste non possono essere trattati come due tipi di società per azioni, ma come forme di organizzazione privatistica del servizio pubblico "fruibili alternativamente nel tempo, in base a scelte discrezionali, senza dar vita a trasformazione in senso tecnico della società". Un'indicazione indiretta è offerta dal nuovo testo dell'art. 22, comma 3, lett. e). Infatti, la formula: società "costituite o partecipate" dall'ente titolare del pubblico servizio lascia intendere che una società può assumere i caratteri di società a prevalente capitale pubblico locale anche successivamente alla sua costituzione.

Come si è già detto, poi, l'opzione per l'uno o per l'altro modello legale di società mista non è necessario che sia compiuto "in origine" quando la società trae origine dalla trasformazione per atto unilaterale di una preesistente azienda speciale. Almeno quando il capitale iniziale non sia inferiore a un miliardo, l'ente titolare dell'intero pacchetto azionario ha infatti a disposizione il periodo di due anni dalla trasformazione per decidere se conservare nella società così costituita una partecipazione di maggioranza o di minoranza. L'ente può infatti restare azionista unico per tale periodo (art. 17, comma 51, legge n. 127 del 1997).

 

 

 

La partecipazione di più enti locali e dei soci privati

Oltre l'indicazione esplicita del valore minimo che la partecipazione dell’Ente locale deve integrare perché sia costituita validamente una società ai sensi della legge 142/90 e della legge 482/92, il legislatore non si preoccupa di fornire specificazioni ulteriori né per individuare l'Ente locale di riferimento, né per chiarire se possano partecipare altri Enti locali.

E’ evidente però che, nel caso in cui sia previsto dalla legislazione di settore, che un servizio pubblico debba essere gestito unitariamente su un'area in cui insistono una pluralità di Enti locali, allora tali soggetti dovranno necessariamente partecipare al capitale sociale, nella loro qualità di titolari del servizio. In caso contrario, la qualifica di società sarebbe soltanto formale, trovandosi sostanzialmente di fronte ad una "emanazione" dell'Ente locale. In questo caso, infatti, l'apporto economico dell'Ente locale finirebbe per configurarsi come capitale dato in dotazione e non conferito.

La partecipazione azionaria del socio privato è, invece, disciplinata analiticamente soprattutto nelle società miste con partecipazione locale minoritaria (art. 1, comma 4, del regolamento governativo del 1996), con riferimento sia ai soggetti legittimati ad assumerla, sia alla misura della stessa, sia al criterio di scelta dei soci.

L'art. 1, comma 4, del regolamento, oltre a prevedere per la s.p.a. mista a partecipazione maggioritaria dei soci privati un capitale sociale minimo non inferiore a 1 miliardo e una durata della società non inferiore a 10 anni, stabilisce che la partecipazione di maggioranza può essere assunta solo da "imprenditori o da società, singolarmente o raggruppati allo scopo". La misura minima della partecipazione privata di maggioranza è fissata nel 51% del capitale sociale. Si richiede dunque una partecipazione di maggioranza assoluta.

Il regolamento, inoltre, predetermina la partecipazione minima che deve essere riservata in sede di costituzione all'ente locale promotore, che è fissata nel 20% del capitale sociale (art. 1, comma 3, reg.); è comunque possibile la previsione nello statuto di una partecipazione minima degli enti locali più elevata. Nel caso in cui gli enti locali promotori siano molteplici, è richiesto che la partecipazione minima "sussista almeno in capo ad uno di essi". Ciò per evitare che il frazionamento di tale partecipazione e la mancanza di coordinamento possano compromettere l'esercizio dei diritti di minoranza.

Le modalità di scelta del socio privato prevedono il ricorso ad una procedura di natura pubblica. Per le società miste con partecipazione pubblica minoritaria, è prevista una procedura concorsuale ristretta, assimilata all'appalto concorso di cui al d. lgs. 157/95 e articolata in due fasi: quella della prequalificazione e quella della gara. Quanto al contenuto del bando si sottolinea l'ampliamento delle "informazioni" da portare a conoscenza dei concorrenti, in relazione sia agli aspetti tecnico-economici, sia a quelli più propriamente afferenti al regime privatistico della società (clausole che attribuiscono diritti speciali e/o facoltà agli Enti pubblici, disciplina interpretativa dei rapporti Ente locale-società, ecc.).

In assenza di riferimenti legislativi, il regolamento ha optato dunque per l’attribuzione del pacchetto di maggioranza ad un unico centro di riferimento rappresentato da imprenditori individuali o da società, singolarmente o raggruppate: quindi non è ammessa la partecipazione alla gara di più soggetti distinti per l'aggiudicazione della quota di maggioranza. Questa opzione rappresenta il compromesso tra l'esigenza di individuare un unico "interlocutore" dell'ente promotore e quella di consentire forme di aggregazione in grado di potenziare la capacità finanziaria di ciascun aspirante all'aggiudicazione delle azioni. Tale scelta pone però evidenti problemi non tanto in sede di gara in ordine alla imputabilità dei requisiti, quanto in relazione al regime delle azioni successivamente all'aggiudicazione. Non si capisce infatti come possa essere mantenuta, una volta costituita la società, la struttura unitaria del pacchetto di maggioranza anche con riferimento all'esercizio unitario dei diritti derivanti dal possesso delle azioni.

È invece rimesso ad un accordo fra soci pubblici e socio privato di maggioranza, successivo alla costituzione della società, la determinazione della quota di capitale riservata all'azionariato diffuso e delle modalità di collocamento della stessa sul mercato (art. 1, comma 5, reg.). E’ invece stabilito che l'aliquota di capitale diffusa fra il pubblico non possa superare il 29%. È questa infatti la percentuale che residua, tenuto conto della percentuale minima degli enti locali (20%) e del socio privato di maggioranza (51%).

Lo statuto speciale della partecipazione del socio di maggioranza è poi completato dalla specifica disciplina della circolazione della stessa dettata dall'art. 4, commi 3 e 4, la quale pone limiti al fine di evitare che il cambiamento dei soci privati possa ostacolare il raggiungimento delle finalità sottostanti alla costituzione della società. È prescritta infatti l'obbligatoria inserzione nell'atto costitutivo di una clausola che escluda, "fino al 31 dicembre del quinto anno della data di costituzione della società", ogni atto che possa determinare la perdita della posizione di maggioranza del socio privato e che successivamente subordini tali atti al gradimento dell'ente o degli enti pubblici partecipanti che detengono la maggioranza del capitale pubblico. Questi vincoli trovano giustificazione nel ruolo primario che assume la valutazione delle capacità imprenditoriali del partner privato nell'affidamento del servizio ad una società mista e che consentono inoltre di evitare una facile elusione della normativa di selezione concorsuale attraverso il divieto assoluto di alienazione nei primi cinque anni dalla costituzione della società.

Inoltre, l'atto costitutivo dovrà prevedere che il successivo trasferimento delle partecipazioni sia subordinato alla presenza nell'atto costitutivo di una clausola che richieda il preventivo motivato gradimento degli enti pubblici soci. Il gradimento deve essere fornito entro 60 giorni, decorsi i quali, in mancanza di deliberazione contraria o di richiesta di ulteriori informazioni, il gradimento si intende prestato (art. 4, comma 4).

Pur essendo uno strumento poco utilizzato, non sembra che vi sia alcun ostacolo ad ammettere che l'atto costitutivo stabilisca a carico dei soci (o di alcuni) l'esecuzione di prestazioni accessorie (diverse dal denaro). Ciò potrebbe essere utile, come è stato evidenziato, per consentire alla società di procurarsi più agevolmente forniture di cose o di servizi o prestazioni personali dei soci.

Analogamente sembra ammissibile la creazione di categorie di azioni fornite di diritti diversi ex art. 2348, comma 2, c.c. Si può ritenere, infatti, che si possano emettere azioni privilegiate (con maggiori vantaggi rispetto alle azioni ordinarie per quanto riguarda i diritti patrimoniali), o con voto limitato, ed anche azioni di risparmio (per il caso di quotazione in borsa) o di godimento ex art. 2353 c.c. E’ anche ammissibile l'eventualità di emissione di azioni a favore dei dipendenti della società (soprattutto se in collegamento all'esclusione del diritto di opzione; di emissione di obbligazioni o di acquisto di azioni proprie ex art. 2357 c.c..

Al contrario sembra che agli azionisti non competa in nessun caso il diritto di recesso dalla società fissato dall'art. 2437 c.c.. Questo diritto spetta al socio dissenziente dalle deliberazioni dell'assemblea per le ipotesi (tassativamente indicate) di cambiamento dell'oggetto sociale, di trasformazione e di trasferimento della sede sociale all'estero. In considerazione di quanto evidenziato in precedenza circa i vincoli della scelta del tipo di società, nessuna delibera risulterebbe legittima su questo punto.

 

 

La cessione delle partecipazioni pubbliche

Il problemi inerenti le società miste a maggioranza azionaria pubblica riguardano essenzialmente la costituzione della società: non va, però, dimenticato che l'ente pubblico può, durante la vita della società stessa, decidere la dismissione di tutto o parte del proprio pacchetto azionario.

Se da un lato, infatti, non è da escludere il verificarsi di situazioni (politico-istituzionali, economiche) che inducano l'ente a cedere, in blocco o progressivamente, i propri pacchetti azionari, sia per ricavarne entrate di bilancio, sia per promuovere il proprio intervento in altri settori, dall'altro si deve osservare che la privatizzazione della proprietà societaria può passare proprio attraverso successive dismissioni dei pacchetti azionari detenuti dall'ente pubblico socio di maggioranza. I problemi che la decisione dell'ente pubblico di cedere a terzi le proprie azioni di società di gestione dei pubblici servizi sono sostanzialmente di un duplice ordine, ed investono: - le procedure da seguire; - la sorte della società una volta venuta meno la mano pubblica.

Innanzitutto, va considerato che la dismissione delle azioni è il risultato di una scelta politico-organizzatoria dell'ente che va adottata nelle forme della deliberazione consiliare, trattandosi di un atto contrario a quello che ha deciso la costituzione della società o la sottoscrizione delle sue azioni e, quindi, riservato all'organo rappresentativo. Occorre, pertanto, una motivazione che giustifichi la sussistenza dell'interesse pubblico sotteso a tale scelta, nonché l’indicazione della procedura con la quale essa dovrà essere effettuata la cessione.

L'individuazione di quest'ultima deve avvenire sulla base della disciplina in materia di offerte pubbliche di acquisto e vendita di valori mobiliari e di privatizzazione delle società a partecipazione statale, utilizzabili anche per le partecipazioni degli enti pubblici locali. Essenzialmente, la cessione delle quote deve avvenire o tramite offerta pubblica di vendita (secondo la nuova disciplina della riforma Draghi), o a trattativa privata nei modi previsti dalla l. 30 luglio 1994 n. 474, di conversione del d.l. 31 maggio 1994 n. 332 recante, appunto, norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazione azionarie pubbliche.

L'art. 1, primo comma, della l. 474 laddove prevede che l'alienazione delle partecipazioni debba avvenire "di norma" seguendo le indicazioni della legge n.149 del 1992, modificata per l’appunto dal d.lgs. n. 58/1998. Queste, di fatto, si sostanziano in una offerta pubblica di vendita che deve contenere il prezzo di vendita dei titoli, immodificabile nel corso dell'offerta, ed essere comunicata alla CONSOB, anche se le società a partecipazione pubblica locali non siano quotate in borsa. La normativa, poi, disciplina puntualmente le ipotesi di accettazioni inferiori o superiori al quantitativo offerto, la possibilità di prolungare il periodo di offerta, le forme e modalità dell'accettazione, che è irrevocabile, e infine sancisce il divieto per la società di compiere, in pendenza del termine per l'accettazione, atti idonei a modificare la consistenza del patrimonio e del capitale sociale.

In alternativa alla offerta pubblica di vendita, l'art. 1, comma 2, della l. 474 prevede il ricorso alla trattativa diretta con gli offerenti. Difatti, la stessa legge, all'art. 1, comma 6, stabilisce che gli enti pubblici provvedano, in autonomia, ad individuare "criteri e procedure" per la dismissione.

La trattativa privata appare mirata espressamente alla creazione di un nucleo stabile di azionisti di riferimento al quale pervenire valorizzando l'intuitus personae nella definizione della scelta. Essa, quindi, risulta opportuna in relazione a-l'esigenza di assicurare, ad esempio, la continuità del pubblico servizio erogato dalla società, tendendo ad evitare che la fuoriuscita del capitale pubblico determini, di fatto, il progressivo declino della vita societaria.

La l. 474, all'art. 1, comma 3 prevede che la trattativa possa strutturarsi come un invito a "potenziali acquirenti che presentino requisiti di idonea capacità imprenditoriale", ad avanzare offerte di acquisto di azioni comprensive dell'impegno a garantire determinate condizioni finanziarie, economiche e gestionali. Il contratto di cessione, che si conclude tra ente pubblico e tale "nocciolo duro" di azionisti può contemplare inoltre il divieto di cessione dell'azienda, ovvero della partecipazione e prevedere, in caso di inadempimento di una delle parti, meccanismi risarcitori modellati sullo schema civilistico della clausola penale (art. 1382 c.c.).

L'esistenza di un interesse pubblico generale rivolto a garantire determinate forme di organizzazione e controllo della società in seguito alla dismissione delle azioni pubbliche appare ulteriormente confermata dagli art. 2 e 3 della legge 474, applicabili anche alle società degli enti locali territoriali operanti nel campo dei servizi pubblici (art. 2, comma 3).

L'art. 2 prevede che all'atto della cessione, l'ente pubblico possa individuare quelle società nelle quali, "prima di ogni atto che determini la perdita del controllo" debba essere introdotta una clausola statutaria che attribuisca all'ente stesso particolari attribuzioni, che possono consistere:

a) nell'esercizio del potere di gradimento all'assunzione di partecipazioni superiori al 5% del capitale, con divieto di esercizio del diritto di voto in attesa del gradimento;

b) esercizio del potere di gradimento alla conclusione di patti parasociali tra soci che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale con diritto di voto nell'assemblea ordinaria;

c) nel potere di veto all'adozione di delibere di scioglimento, trasferimento della sede sociale all'estero, fusione e scissione;

d) nella nomina di almeno un amministratore o di un quarto dei membri del consiglio e di un sindaco (previsione, questa, che non fa altro che specificare quanto già disposto in via generale dall'art. 2458 c.c.).

Inoltre, l'art. 3 prevede la possibilità di una delimitazione statutaria all'assunzione di partecipazioni azionarie da parte di persone fisiche eccedenti il 5% del capitale sociale, fermo restando che il superamento di questa soglia comporta l'esercizio dei semplici diritti patrimoniali (escluso, quindi, quello di voto).

 

 

La cessione di quote private

Già si è rilevato come la normativa non contenga alcuna indicazione sulla entità del capitale da affidare liberamente al mercato: scelta, questa, che probabilmente trova giustificazione nell'esigenza di introdurre ulteriori elementi di rigidità nella complessiva composizione del capitale sociale. Il d.P.R. 533/96 elimina i possibili equivoci prevedendo all'art. 1, comma 5 che "all'azionariato diffuso è riservata una quota determinata del capitale sociale" e che "i soci pubblici e il socio privato di maggioranza definiscono di comune accordo, dopo la costituzione della società, la misura della predetta quota e le modalità del suo collocamento", applicando le norme del codice civile e della legislazione in materia.

Circa gli atti di disposizione delle azioni da parte del socio privato, va rilevato come la rigidità prevista dall'originario disegno governativo (che prevedeva una s.p.a. pubblica minoritaria ideata come organismo a composizione sostanzialmente bloccata, almeno per il periodo iniziale) è stata tendenzialmente affievolita in seguito al venire meno della sanzione di nullità che colpiva gli atti di disposizione delle azioni da parte del privato compiuti entro i limiti del 31 dicembre del quinto anno dalla costituzione della società e tali da determinare la perdita della maggioranza.

Dispone ora l'art. 4, c. 3 che "l'atto costitutivo della società esclude, fino al 31 dicembre del quinto anno dalla data di costituzione della società, atti di cessione di azioni, costituzioni di diritti reali sulle stesse e ogni altro atto idoneo a determinare la perdita della posizione di maggioranza del socio privato". Decorso tale termine, gli atti di disposizione risultano efficaci a condizione che l'ente pubblico, socio di minoranza, esprima il proprio motivato gradimento (art. 4, c. 4). Dunque, gli atti di dismissione posti in essere dal privato si potranno considerare inefficaci nei confronti della società solo se avvenuti nel quinquennio, oppure, decorso tale termine, nel caso di mancata richiesta di gradimento.

La modifica degli equilibri societari può essere poi provocata dagli aumenti di capitale, che costituisce del resto la procedura ordinaria per l'ingresso di nuovi azionisti pubblici (art. 4, c. 1). Come si è già avuto modo di osservare, l'eliminazione dell'inapplicabilità del diritto di opzione, originariamente prevista, risulta diretta proprio ad assicurare la tendenziale corrispondenza nel tempo all'assetto iniziale dei rapporti. Questa rigidità risulta però soltanto eventuale, dal momento che è condizionata a scelte negoziali, così che le normativa non rende impossibile il mutamento degli originari rapporti di forza.

Dal punto di vista gestionale, la trasformazione di aziende municipalizzate in società per azioni rappresenta, dunque, una scelta funzionale all'obiettivo di mutare i criteri di gestione dell'organizzazione produttiva, specie per quanto concerne le relazioni contrattuali interne e esterne.

Nel versante interno, l'adozione del modello societario privatistico può offrire una maggiore flessibilità nell'impiego e nel disegno dell'organizzazione rispetto agli obiettivi che ne informano l'azione. In particolare, rilevanti sono i riflessi nella gestione finanziaria e contabile. Viene enfatizzata la stringenza degli obiettivi di economicità della gestione, della chiarezza dei reporting e dei bilanci, la trasparenza delle transazioni finanziarie, sia all'interno (attraverso le forme del controllo di gestione e la contabilità analitica) che verso l'esterno. In particolare, con l'introduzione di modelli di controllo di gestione, fondati sul puntuale rilievo dei costi e ricavi (per centri operativi o di costo) e di controllo budgetario, può risultare incentivata l'efficienza e la razionalizzazione della gestione e delle scelte. Peraltro, il fatto che ogni impresa pubblica trasformata in s.p.a, dovrà disporre di una contabilità che garantisca gli azionisti, i risparmiatori ed i terzi che operando al di fuori dell'organizzazione non devono essere penalizzati da asimmetrie informative, sarà incentivata l'efficacia del processo informativo, affinché sia di effettiva guida delle scelte degli azionisti.