TRIBUNALE DI VENEZIA - Ordinanza 8 giugno 2000 - Pres. Santoro, Est. Marra - Amministrazione dei Lavori Pubblici c. Carbonara (conferma ord. Giudice del lavoro dr.ssa D’Avino del 17.4.2000).

Il regime dei reclami avverso i provvedimenti cautelari del tribunale del lavoro in composizione monocratica non è dissimile dal regime applicabile ai reclami avverso i provvedimenti cautelari adottati da un qualunque giudice "singolo del tribunale"; la soppressione nel corpo della formulazione originaria dell’art. 669 terdecies, co. 2, c.p.c. del riferimento al reclamo contro i provvedimenti del pretore a seguito della istituzione del giudice unico di primo grado, infatti, non giustifica dubbi interpretativi.

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, espressamente prevista dall’art. 68 D.L.vo n. 29\1993 e successive modifiche, l’azione con la quale un dipendente pubblico chiede il mantenimento dell’incarico in cui è stato confermato (1).

Non può essere dichiarato inammissibile un ricorso avverso la revoca di un incarico dirigenziale che non sia stato notificato al dipendente al quale l'incarico stesso è stato successivamente conferito. Per costante indirizzo giurisprudenziale e dottrinale, infatti, ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario soltanto quando venga dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile che renda necessaria la partecipazione al processo di tutti i titolari dello stesso; i rapporti di lavoro hanno invece natura bilaterale con conseguente indifferenza della sorte degli uni sugli altri se non in via di fatto. Né la categoria dei controinteressati, tipica del processo amministrativo, è trasferibile nel processo ordinario per la diversità radicale dell’oggetto dei due modelli procedimentali, l’uno vertente su rapporti. l’altro su atti di esercizio di un potere che, per sua connotazione precipua, si dirige verso una pluralità di soggetti portatori di interessi differenziati e spesso confliggenti.

La temporaneità degli incarichi, prevista dall’art. 19, comma 2, D.L.vo n. 29/1993, la cui durata deve essere ricompresa tra i due e i sette anni, si applica sia ai dirigenti assunti a tempo indeterminato, sia a quelli assunti a tempo determinato. La modifica dell’incarico, una volta che quest'ultimo sia stato concordato, non può aver luogo sino alla scadenza se non per mutamenti consensuali ovvero per volontà unilaterale dell’Amministrazione in presenza di ipotesi legittimanti la revoca, previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva per ragioni subiettive, ricollegate al rendimento o all’inosservanza di direttive (art. 19, co. 7, D.L. vo n. 29, art. 14 CCNL 23.12.1999), oppure per ragioni obiettive, di natura organizzativa e produttiva (art. 13 CCNL cit.).

Nel caso in cui sia stato validamente raggiunto tra l’Amministrazione ed un pubblico dipendente l’accordo in ordine al conferimento dell’incarico dirigenziale, l’Amministrazione stessa non può mutarne l’oggetto in via unilaterale (alla stregua del principio nella specie è stata confermata la sospensione di un provvedimento con il quale un dipendente pubblico era stato rimosso dall’incarico di dirigente; ha aggiunto il Tribunale che, in sede cautelare, alla sospensione del provvedimento di revoca del precedente incarico, implicita nell’ordinanza reclamata - cfr. Trib. Firenze ord. 13.10.1999 e 20.7.1999 in F.I., 1, 1302 e ss. - si riconnette l’ordine di restituzione nell’incarico rivendicato) (2).

(1) Ha aggiunto il Tribunale che nella fattispecie in questione (revoca di incarico dirigenziale) la posizione giuridica azionata era "senz'altro qualificabile quale diritto soggettivo perfetto nascente dal contratto di conferimento, sicché ogni rimozione operata unilateralmente dall’Amministrazione è da qualificarsi atto di gestione di rapporto di lavoro di natura privatistica valutabile in termini di adempimento\inadempimento. La presenza di atti amministrativi presupposti, d’altra parte, non impedisce la devoluzione della controversia al giudice ordinario posto che, anche in tal caso per espressa previsione di legge (art. 68, co. 1, cit. "ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti .."), questi può far ricorso all’istituto della disapplicazione".

(2) V. sul punto la nota di Luigi Oliveri, Il sistema degli incarichi dirigenziali e delle revoche..

TRIBUNALE DI VENEZIA

SEZIONE LAVORO

Composta da:

dott. Roberto Santoro - Presidente

dr.ssa Anna Maria Marra - Giudice rel.

dott. Enrico Stefani - Giudice

riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul reclamo proposto ex art. 669 terdecies c.p.c. dall’Amministrazione dei Lavori Pubblici avverso l’ordinanza emessa dal giudice del lavoro dr.ssa Gabriella D’Avino in data 17.4.2000.

FATTO

Con ricorso ex art. 700 c.p.c., depositato unitamente ai ricorso ex art. 414 c.p.c., l’ing. Nicola Carbonara lamentava di essere stato rimosso dall’incarico di dirigente del Bacino idrografico Adige - Garda - Mincio, già ricoperto dal 1993, confermatogli dal Magistrato alle Acque con lettera del 6.9.1999, e chiedeva in via cautelare un provvedimento anticipatorio del ripristino dei proprio diritto a mantenere la predetta funzione dirigenziale.

Instaurato il contraddittorio con l’Amministrazione, il giudice adito accoglieva la domanda ordinando la restituzione del Carbonara nell’incarico rivendicato.

La reclamante chiede la revoca della predetta ordinanza insistendo, come fatto davanti al giudice monocratico, sul difetto di giurisdizione dell’A.G.O., sulla incompatibilità dell’istituto della disapplicazione con la fase cautelare, sulla violazione del principio del contraddittorio non essendo stato convocato in giudizio il dirigente assegnatario dell’Area Dirigenziale corrispondente al bacino Adige - Garda - Mincio; con riferimento al fumus boni iuris, ribadisce che in capo al reclamato è ravvisabile soltanto il diritto all’espletamento di "funzione conferente alla sua qualifica" e fa presente che, in difetto di forma scritta, nessun accordo può considerarsi concluso tra le parti avente ad oggetto lo specifico incarico di dirigenza dell’Ufficio Bacino dell’Adige, tanto meno con riferimento all’Area Dirigenziale n. 6, rispetto alla quale manca del tutto l’incarico stesso; quanto al periculum in mora contesta che esso possa ricollegarsi a valutazioni soggettive in ordine alla dignità degli incarichi.

Il Carbonara nel costituirsi in sede di reclamo eccepisce la incompetenza del tribunale spettando, a suo dire, alla corte d’appello la cognizione dei reclami avverso i provvedimenti adottati dal giudice del lavoro; nel merito contesta i motivi di reclamo.

DIRITTO

Il reclamo è infondato.

In via preliminare va ravvisata la competenza del tribunale adito in ordine al reclamo proposto.

La soppressione nel corpo della formulazione originaria dell’art. 669 terdecies, co. 2, c.p.c. del riferimento al reclamo contro i provvedimenti del pretore a seguito della istituzione del giudice unico di primo grado, dà luogo alla seguente formulazione: "Il reclamo contro i provvedimenti del giudice singolo del tribunale si propone al collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato".

La lettera della norma non giustifica dubbi interpretativi: il regime dei reclami avverso i provvedimenti cautelari del tribunale lavoro in composizione monocratica non è dissimile dal regime applicabile ai reclami avverso i provvedimenti cautelari adottati da un qualunque giudice "singolo del tribunale". Non si vede quale norma positiva possa essere invocata per attribuire la cognizione dei reclami ex art. 669 terdecies cit., per i soli provvedimenti del giudice del lavoro, all’organo competente per l’appello. Peraltro non è rinvenibile nel nostro ordinamento un principio secondo cui il reclamo avverso i provvedimenti cautelari spetta al giudice competente per l’appello sulla causa di merito, anzi dall’art. 669 terdecies c.p.c., considerato nel suo complesso, si evince il principio opposto poiché la competenza sui reclami è mantenuta presso l’ufficio a cui appartiene il giudice, monocratico o collegiale, che ha deciso sulla cautela.

Gli argomenti usati da quanti sostengono la tesi propugnata dal reclamato (cfr. Trib. Catanzaro, ord. 28.10.1999 in F.I. 2000, I, 642 e ss.) appaiono invero deboli a fronte della chiarezza ed univocità del dettato normativo.

L’argomento secondo cui la composizione collegiale del tribunale è prevista in via transitoria dall’art. 134 bis D.L. vo n. 51\1998 soltanto per le cause di lavoro in grado di appello proposte sino al 31.12.1999, non è condivisibile: quella previsione si riferisce alla cognizione delle cause di lavoro in grado d’appello e non esclude che vi siano altre ipotesi di composizione collegiale per le cause di lavoro e previdenza, giusto appunto quella implicita nel disposto dell’art. 669 terdecies, co. 2, c.p.c. per l’organo competente in sede di reclamo, la cui collegialità discende dalla previsione che la decisione deve emessa in camera di consiglio (art. 669 terdecies, co. 4). Altrettanto debole è l’altro argomento secondo cui la competenza della corte d’appello si giustificherebbe per la necessità di riservare ad un giudice specializzato la materia del lavoro e della previdenza. Tale esigenza può sì costituire criterio di interpretazione di un precetto normativo dubbio ma da sola non dà luogo ad una norma.

Passando alle censure formulate dall’Amministrazione reclamante, va ravvisata la giurisdizione del giudice ordinario espressamente prevista dall’art. 68 D.L.vo n. 29\1993 e successive modifiche, il quale stabilisce al co. 1: "Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 20, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 40, incluse le controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali ...", mentre al co. 2, nel precisare i poteri che il giudice ordinario può esercitare in ordine ai rapporti di lavoro pubblico, dispone: "Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati".

Conviene aggiungere che la posizione soggettiva azionata dal Carbonara, concretandosi nella richiesta di mantenimento dell’incarico in cui è stato confermato con lettera del 6.9.1999, è senz'altro qualificabile quale diritto soggettivo perfetto nascente dal contratto di conferimento perfezionatosi nei modi che di seguito si diranno sicché ogni rimozione operata unilateralmente dall’Amministrazione è da qualificarsi atto di gestione di rapporto di lavoro di natura privatistica valutabile in termini di adempimento\inadempimento.

La presenza di atti amministrativi presupposti, d’altra parte, non impedisce la devoluzione della controversia al giudice ordinario posto che, anche in tal caso per espressa previsione di legge (art. 68, co. 1, cit. "ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti .."), questi può far ricorso all’istituto della disapplicazione. Sul punto, così passando oltre all’esame di altra specifica censura dell’Amministrazione reclamante, si osserva che la disapplicazione, che per chiarezza è quella prevista dall’art. 5 L.A.C., non è incompatibile con la fase cautelare. Nella fattispecie dedotta in giudizio non vi è però alcuna necessità, come rilevato nell’ordinanza oggetto di reclamo, di utilizzare detto istituto: l’adozione del provvedimento di ristrutturazione dell’Ufficio, che l’Amministrazione sostiene avere natura organizzatoria e in quanto tale sottratto alla giurisdizione dell’AGO, non ha determinato il mutamento dell’incarico del Carbonara il quale ben avrebbe potuto esser mantenuto presso l’Area Dirigenziale identificata dal bacino Adige - Garda - Mincio.

Con riguardo poi alla censura relativa alla violazione del principio del contraddittorio, occorre segnalare che per costante indirizzo giurisprudenziale e dottrinale ricorre un’ipotesi di litisconsorzio. necessario soltanto quando venga dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile che renda necessaria la partecipazione al processo di tutti i titolari dello stesso: i rapporti di lavoro hanno invece natura bilaterale con conseguente indifferenza della sorte degli uni sugli altri se non in via di fatto. Né la categoria dei controinteressati, tipica del processo amministrativo, è trasferibile nel processo ordinario per la diversità radicale dell’oggetto dei due modelli procedimentali, l’uno vertente su rapporti. l’altro su atti di esercizio di un potere che, per sua connotazione precipua, si dirige verso una pluralità di soggetti portatori di interessi differenziati e spesso confliggenti.

Venendo al merito cautelare, sotto il profilo del fumus boni iuris le doglianze espresse in sede di reclamo sono riconducibili a due argomenti: per un verso l’Amministrazione evidenzia che l’unica posizione qualificabile quale diritto soggettivo riconoscibile in capo al Carbonara è quella del diritto all’espletamento di mansioni proprie della fascia di appartenenza; per altro verso, la reclamante sostiene, in ciò censurando la ricostruzione operata dal giudice di prime cure, che in difetto di forma scritta, necessaria per qualsiasi contratto con una Pubblica Amministrazione, nessun accordo avente ad oggetto lo specifico incarico dirigenziale rivendicato dal Carbonara può considerarsi validamente concluso.

Orbene: il Carbonara, dirigente di 2^ fascia inserito nel ruolo unico dei dirigenti delle amministrazioni dello stato previsto dalla riforma della dirigenza pubblica, a seguito della emanazione del regolamento sul ruolo unico, avvenuta con il DPR n. 150\1999, con comunicazione del 4.9.1999 espresse la volontà di permanere nell’incarico, in corso sin dal 1993, di dirigente presso l’Ufficio Bacino Adige - Garda - Mincio; con lettera del 6.9.1999 il Presidente del Magistrato alle Acque, dirigente di prima fascia, nell’esercizio delle prerogative riconosciutegli dall’art. 19, Co. 5, D.L.vo n. 29\1993 e successive modifiche, confermò il Carbonara nel predetto incarico; nel dicembre dello stesso anno il Presidente del Magistrato alle Acque di nuova nomina adottava il decreto del 16.12.1999 con cui ripartiva tra gli otto uffici dirigenziali, denominati Aree Dirigenziali di gestione, sia le funzioni già proprie del Magistrato alle Acque in materia idraulico-fluviale, lagunare e marittima, sia quelle di nuova acquisizione del Provveditorato OO.PP. in materia di urbanistica ed edilizia demaniale, con esclusione della sola Arca n. 6, priva ditali ultime competenze, e destinava con ordine di servizio del 26.1.2000 a ciascuna delle Aree Dirigenziali di gestione così individuate i dirigenti in dotazione dell’ufficio; al Carbonara, in particolare, veniva assegnata l’Area Dirigenziale n. 6, relativa al bacino dell’Isonzo, mentre l’Area Dirigenziale n. 2, relativa al bacino dell’Adige - Garda - Mincio, veniva attribuita ad altro dirigente.

Fin qui i dati di fatto, del tutto pacifici.

Conviene premettere brevemente che la disciplina della dirigenza pubblica è stata profondamente mutata dal D.L.vo n. 29\1993, e successive modifiche: l’obiettivo avuto di mira è stato quello di creare un bacino unitario a cui la Amministrazione possa attingere per l’affidamento degli incarichi dirigenziali mentre il tratto distintivo del rapporto intercorrente con i dirigenti è rappresentato dalla mobilità su base consensuale. L’art. 19 cit. al Co. 2 prevede infatti: ‘Tutti gli incarichi di direzione degli uffici delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, sono conferiti a tempo determinato secondo le disposizioni del presente articolo. Sono definiti contrattualmente, per ciascun incarico, l’oggetto, gli obiettivi da conseguire, la durata dell’incarico, salvi i casi di revoca di cui all’art. 21 nonché il corrispondente trattamento economico..". La temporaneità degli incarichi, la cui durata deve essere ricompresa tra i due e i sette anni, si applica sia ai dirigenti assunti a tempo indeterminato sia a quelli assunti a tempo determinato. La modifica dell’incarico, una volta concordato, non può aver luogo sino alla scadenza se non per mutamenti consensuali ovvero per volontà unilaterale dell’Amministrazione in presenza di ipotesi legittimanti la revoca, previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva per ragioni subiettive, ricollegate al rendimento o all’inosservanza di direttive (art. 19, co. 7, D.L. vo n. 29, art. 14 CCNL 23.12.1999), oppure per ragioni obiettive, di natura organizzativa e produttiva (art. 13 CCNL cit.).

Destituita di fondamento è pertanto la tesi propugnata in via principale dalla reclamante secondo cui il dirigente ha un diritto soggettivo perfetto soltanto allo svolgimento di incarico corrispondente alla fascia di appartenenza.

L’Amministrazione lamenta altresì l’inesistenza del contratto previsto dall’art. 19, co. 2 cit. in ordine a "oggetto, obiettivi da conseguire, durata dell’incarico" mancando la forma scritta, necessaria per tutti i contratti con le Pubbliche Amministrazioni.

Si è già detto che, sulla base della disciplina transitoria prevista dall’ad. 8 DPR n. 150\1999 e della circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 7 deI 5.8.1999, con lettera del 4.9.1999, inviata al Presidente del Magistrato alle Acque, il Carbonara manifestò la volontà di permanere nell’incarico dirigenziale in atto presso il Bacino Adige - Garda - Mincio, e che con lettera del 6.9.1999 il Magistrato alle Acque confermò all’ing. Carbonara e a tutti gli altri dirigenti in dotazione all’ufficio gli incarichi in corso a quell’epoca. Si evidenzia che la conferma riguardava specifici incarichi, indicati per ciascun dirigente nella comunicazione appena menzionata del 6.9.1999, sicché del tutto infondato appare l’assunto della reclamante secondo cui tale ultima lettera aveva unicamente lo scopo di confermare il destinatario tra i dirigenti in servizio presso il Magistrato alle Acque senza particolari attribuzioni, possibilità peraltro neppure praticabile alla luce della normativa vigente posto che i dirigenti inseriti nel ruolo unico, se non raggiungono l’accordo su un qualche ufficio dirigenziale loro assegnato da parte una singola amministrazione, rimangono a disposizione della Presidenza del Consiglio dei ministri per essere utilizzati nei programmi indicati dall’ad. 6, co. 2, DPR n. 150\1999 (in tal senso v. AA.VV., Riforma dell’organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Nuove leggi civili, 1999, 1185 e ss.).

Orbene, anche a voler condividere la esigenza della forma scritta per il contratto di concreta individuazione dell’incarico dirigenziale, atteso che il requisito della forma scritta per i contratti degli enti pubblici non esclude che la loro conclusione possa risultare da un insieme di dichiarazioni scambiate fra le parti contraenti così come avviene nella negoziazione comune (cfr. Cass. n. 6262\1996), deve ritenersi che l’accordo relativo allo specifico incarico di dirigenza dell’Ufficio Bacino Adige - Garda - Mincio sia assistito dalla forma predetta rinvenibile nelle manifestazioni di volontà sopra indicate, inviate dall’una all’altra parte in causa.

Quanto ai restanti elementi del contratto di incarico, il trattamento economico poteva considerarsi determinato ai sensi dell’art. 39 CCNL 1997 mentre la durata, in difetto di diverso accordo tra le parti, ai sensi dell’art. 8, Co. 2, DPR n. 150 risultava fissata in due anni. Con riguardo alla individuazione degli obiettivi da conseguire, cui pure fa riferimento l’art. 19 co. 2, è stato osservato in dottrina (in tal senso v. AA.VV., Riforma dell’organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, cit., 1160 e ss., nonché riferimenti ivi contenuti) che l’obiettivo non costituisce oggetto dell’obbligazione ricadente sul dirigente bensì è strettamente funzionale alla responsabilità dirigenziale di cui all’art. 21 stesso D.L. vo, da ricostruirsi in termini di responsabilità di risultato. Se così è, l’indicazione dell’obiettivo non è elemento essenziale che concorre alla determinazione dell’oggetto del contratto, inteso come insieme delle obbligazioni ricadenti sulle parti, con ogni conseguenza in punto di validità del contratto che non contenga la specificazione ditale obiettivo.

Ma vi è di più: invero, considerata la specialità della materia ed il rinvio operato dall’art. 2, co. 2. del D.L. vo n. 29\1993, e successive modifiche, alla disciplina comune dei rapporti di lavoro salve le diverse disposizioni contenute nel medesimo decreto legislativo, in difetto di norme, di legge o di contrattazione collettiva, che prescrivano specifici requisiti formali, il principio vigente per la "definizione contrattuale" di cui all’art. 19 D.L.vo n. 29 cit. è quello de1la libertà di forma, quanto meno con riguardo ai rapporti interni tra dirigente ed Amministrazione. Le esigenze di forma scritta connesse all’espletamento dei controlli previsti dall’art. 3 L. n. 20\1994 di riforma delle funzioni della Corte dei conti riguardano piuttosto l’atto di conferimento dell’incarico di funzione dirigenziale non anche il contratto che tra le parti disciplina l’incarico stesso. Non sembra fuori luogo, inoltre, richiamare in questa sede il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi nel sistema previgente secondo cui l’assenza di un formale atto di nomina era considerato irrilevante ai fini della costituzione di un rapporto di pubblico impiego (cfr. ex plurimis Cass. n. 2214\1997).

Infine l’Amministrazione, con ciò spostandosi in parte dalla contestazione del fumus al piano della attuabilità della misura cautelare chiesta e concessa, sostiene che l’Ufficio Bacino Adige - Garda - Isonzo, a seguito della riorganizzazione operata con il decreto n. 8\99, non esiste più sicché la restituzione del ricorrente nel precedente incarico non sarebbe realizzabile mentre, con riguardo all’Area Dirigenziale n. 6 di nuova istituzione, comprensiva del bacino su indicato, eccepisce che il Carbonara non vi è mai stato preposto. La premessa di fatto da cui muove la reclamante è insussistente, ciò che determina la infondatezza della relativa doglianza: dall’esame degli atti, e in particolare del decreto n. 8\99, non risulta affatto soppresso l’ufficio di dirigenza avente come ambito di competenza il bacino idrografico Adige - Garda - Mincio. A riprova di quanto precede si osserva che il Presidente del Magistrato alle Acque ha attribuito con provvedimento del 26.1.2000 i dirigenti tecnici in servizio alle Aree Dirigenziali individuate con il decreto n. 8\99 "applicando il principio della rotazione". Precisato che il criterio della rotazione riguarda la fase dell’affidamento dell’incarico ma non consente il suo mutamento in corso di svolgimento, come evidenziato dal giudice di prime cure, è del tutto evidente che la rotazione presuppone l’identità degli uffici rispetto ai quali essa viene attuata. Tale rilievo denota in via sufficientemente esplicita che il medesimo autore del "riordino" (cfr. decreto n. 8\99 nella premessa) valutava trattarsi di iniziativa che non comportava il radicale mutamento dell’assetto organizzativo precedente. D’altra parte, in presenza ditale seconda evenienza l’Amministrazione avrebbe potuto e dovuto procedere ad una revoca dell’incarico per "motivate ragioni organizzative e produttive" (cfr. art. 13 CCNL 23.12.1999) con ogni conseguenza in punto di allegazione e prova delle stesse.

Sulla base delle considerazioni fin qui esposte deve dunque ritenersi validamente raggiunto tra l’Amministrazione (nella specie il Presidente del Magistrato alle Acque) e il Carbonara l’accordo in ordine al conferimento dell’incarico dirigenziale relativo all’Ufficio Bacino di Adige - Garda - Mincio, Ufficio ridenominato Area Dirigenziale n. 6; consegue che il Presidente del Magistrato alle Acque non poteva mutarne l’oggetto in via unilaterale; consegue ulteriormente che l’assegnazione del Carbonara ad incarico diverso è avvenuta in violazione dell’accordo concluso e pertanto è invalida. In sede cautelare, alla sospensione di tale ultimo provvedimento, implicita nell’ordinanza reclamata (cfr. Trib. Firenze ord. 13.10.1999 e 20.7.1999 in F.I., 1, 1302 e ss), si riconnette l’ordine di restituzione nell’incarico rivendicato, correttamente disposto dal giudice di prime cure.

Con riferrmento al periculum in mora, si segnala che esso va senz’altro ravvisato nella circostanza che tra l’incarico di dirigenza relativa al bacino Adige - Garda - Mincio e quello di dirigenza del bacino dell’Isonzo, pur essendo prevista per entrambi la copertura mediante dirigente di medesimo livello, vi è un’indubitabile differenza quali-quantitativa suscettibile di valutazione oggettiva, connessa alla diversa estensione ed alla diversa importanza dei corsi d’acqua e dei bacini lacuali. In proposito si rileva che l’art. 19, co. 1, D.L. vo n. 29 prevede che per il conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale e per il passaggio a funzioni diverse si tiene conto "della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, delle attitudini e della capacità professionale del singolo dirigente, anche in relazione ai risultati perseguiti in precedenza ...". E’ pertanto di palmare evidenza il pregiudizio, difficilmente riparabile una volta realizzatosi, derivante al dirigente dall’assegnazione all’una ovvero all’altra Area Dirigenziale in riferimento al suo sviluppo di professionalità ed alle possibilità di vedersi assegnare in futuro ulteriori incarichi nella stessa o in altra Amministrazione.

Conclusivamente la ordinanza reclamata va confermata.

Spese al definitivo trattandosi di reclamo proposto avverso ordinanza cautelare adottata su ricorso ex art. 700 c.p.c. richiesto in corso di causa.

P.Q.M.

Rigetta il reclamo e conferma l’ordinanza impugnata; spese al definitivo.

Depositata in data 8 giugno 2000.