Il Convivio

 

 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

Vittoriano Esposito: Questioni Siloniane (vecchie e nuove)

Vittoriano Esposito, massimo conoscitore di Silone, pubblica in questi giorni un nuovo volume sull’opera del grande scrittore marsicano (Questioni Siloniane (vecchie e nuove), Edizioni Marsica Domani, 2003). Il titolo sintetizza adeguatamente il contenuto dell’opera ed offre un essenziale contributo ad una più vasta conoscenza dell’autore, che egli da giovane seguì nei calorosi comizi ed interventi vari nei centri della sua terra. Il lavoro di Esposito mette a fuoco non solo le istanze politico-sociali e il carattere morale del suo impegno religioso, ma, attraverso il fissaggio di relazioni e corrispondenze con i grandi teorici di diverse ideologie, tende a ripercorrere il formarsi del messaggio “rivoluzionario” dello scrittore, imperniato sull’asse giustizia e libertà, valori incancellabili, maturati in Silone, non solo a contatto con la disperata esistenza dei suoi “cafoni” determinata dall’applicazione di una “giustizia” ingiusta, ma anche mediante la riflessione su esperienze singolari e sul confronto tra il culto di idee, apparentemente in contrasto ed in realtà concordanti sulla linea social-liberale-umanitaria.

Oltre all’accenno alla ben nota aneddotica che incise sull’acuirsi della vocazione sociale di Secondo Tranquilli, Esposito riesplora i racconti, da lui stesso curati per la stampa qualche anno fa, identificando nelle loro trame, le storie sviluppate nelle opere maggiori. In essi, infatti, emergono i temi della fame e dell’amore, della fede e della morte, sullo sfondo degli stridenti problemi di ogni giorno, espressi nel contrasto tra potere e libertà, città e campagna, sofferenza delle masse e tentativi di rivolta. Particolarmente significativo si rivela “Viaggio a Parigi”, che, scritto secondo Gisella Padovani nel ‘28, del capolavoro siloniano anticipa vibranti segmenti della trama di Fontamara. Nella storia di Beniamino possono cogliersi riscontri evidenti con le disavventure di Berardo Viola, dall’ansia di liberarsi dalle catene della povertà alla robustezza fisica, al dipanarsi di vicissitudini deprimenti. Egli, per scongiurare la miseria, lascia il paese per Roma, con poche lire in tasca, vive drammatiche vicende nella capitale, subisce iniquità ed è vittima dei pregiudizi di una società ostile che lo conducono in galera; la fortunata picaresca fuga verso Parigi, lo fa surrealmente sprofondare in un assurdo e convulso sogno, pieno di incubi e di visioni orrende, tra cui il sorprendente incontro con Belzebù che, di fronte all’orrore del protagonista, risponde: «Non avevi preferito andare all’Inferno, anziché rimanere a Fontamara?».

Alla fine di orripilanti vicissitudine, Beniamino torna a Roma e vergognoso di svelare la verità del suo ritorno, riprende la via di Fontamara, perché ha capito che dappertutto “si mangia polenta”, per cui non conviene abbandonare il paese delle radici. Con lucida congruenza critica, Esposito individua vari collegamenti tra racconto e romanzo e, a proposito del fallito tentativo di evasione di Beniamino, il critico osserva che nel gesto non si deve cogliere il segno di una sconfitta di ascendenza verghiana, ma la consapevolezza di chi ha tentato di combattere in un racconto che costituisce la preistoria di Fontamara. Il volume di Esposito straripa di analisi, circostanze, incontri, riflessioni, eventi storici che sarebbe lungo elencare in questa sede. Particolarmente noto e determinate si rivela l’incontro con don Orione che, conosciuto durante il terremoto della Marsica (1915), gli insegnò la necessità di una ribellione ad un destino assurdo, la solidarietà con i poveri e gli sventurati, la scelta dei compagni nelle classi più umili, la ferma volontà di battersi per il riscatto degli oppressi.

Non essendo egli, né un credente, né un praticante nel senso comune del termine, nonostante la sua adesione spontanea al Socialismo e la partecipazione alla fondazione del partito comunista (Livorno, 1921), ci ha lasciato una visione religiosa della vita e della storia, ispirata ai principi di un Cristianesimo, evangelico, riconducibile ai suoi tradizionali valori pauperistici.

Il concetto di giustizia, che rappresenta un punto cardinale del pensiero e dell’azione siloniana, ha poca visibilità di parentela teorica con il concetto di giustizia teorizzato nelle epoche precedenti. Il concetto di giustizia di Silone è “togato”, quello cioè che si amministra nelle aule dei tribunali, dove in ogni epoca il vero senso del diritto si è faziosamente piegato alle ragioni della forza del potere. Silone capì che per riuscire a far mutare la stessa assuefazione delle masse a tale concetto, bisognava agire in senso opposto, come egli fece in tutta la sua vita ed evidenziò nelle sue opere.

A tale proposito, Esposito sottolinea la positiva influenza paterna sul giovane nelle elezioni politiche del 1907, quando il genitore si rifiutò coraggiosamente di parteggiare per il principe di Torlonia, in contrasto con le posizioni del fratello ed esponendosi a irreversibili conseguenze pericolose. Come si è già detto, tutti i valori presenti nei racconti di “Viaggio a Parigi”, continueranno a essere sviluppate in tutte le opere maggiori dello scrittore, sia quelle della “Trilogia dell’esilio”, sia quelle del rientro in Italia, fino all’“Avventura di un povero cristiano”(1968), che a prescindere dalle conventuali notizie biografiche cloroformizzate nelle quotidiane biografie dei frati, lascia aperti inquietanti interrogativi sia sui rapporti tra “ecclesia spiritualis” ed “ecclesia carnalis” che sull’esistenza della giustizia all’interno della istituzione storica che dovrebbe incarnare l’insegnamento di Cristo. Come è noto, Silone ebbe frequenza assidua con le maggiori personalità politiche “trasgressive” e letterarie del tempo, in Italia e all’estero durante i lunghi anni di clandestinità, a incominciare da Camus, ai fratelli Rosselli, a dissidenti russi, a Piero Gobetti, a cui lo scrittore era accomunato dal rifiuto di formule codificatorie e ancora di più dopo il delitto Matteotti, considerato come l’episodio che aprì al regime un nuovo spazio ad “un altro fascismo”, più vero, più pericoloso, annidato nei gruppi parlamentari burocratici e plutocratici.

Si apriva così nella concezione dei due uomini politici la necessità di promuovere “un esperimento di governo di socialismo liberale”, con il coinvolgimento di socialisti e popolari. Le vicende, poi, andarono diversamente, in quanto all’Aventino seguì un inasprimento del regime poliziesco, forse dovuto al fatto che era mancata un’adeguata formazione di spiriti liberi. A questa delusione doveva seguire dentro Silone il crollo della fede nel comunismo, dopo i ben noti avvenimenti svoltisi a Mosca nel 1927, durante i lavori del Comintern, quando Silone capì il carattere monolitico dell’ideologia comunista che non concedeva alcuna voce ad ogni ipotetica e pacifica dialettica. Allora il doversi staccare dai compagni rappresentò una riconversione dolorosa.

Esposito ricostruisce anche le problematiche critiche suscitate dalla diffusione delle opere siloniane in Italia, enucleando le contrapposte e pregiudiziali posizioni disfattiste dei critici dell’estrema destra e dell’estrema sinistra, ma dando maggiore visibilità del passato alla riconciliante posizione di cattolici, come Gino Pampaloni, che tra i primi assunse una netta posizione di valorizzazione totale del lavoro letterario dello scrittore abruzzese. Seguirono gli interventi, consapevolmente documentati, di Carocci e  Bo, Falqui e Vigorelli che riequilibrarono gli estremismi iconoclasti di fazione e ridefinirono il plasma cristiano che impregna la produzione siloniana.

Con l’uscita postuma della storia di “Suor Severina”, la tematica dell’autore illimpidì i suoi lineamenti di modernità religiosa, in quanto attraverso la scelta della novizia Severina che, richiamata irresistibilmente dalla “sirena” della contestazione del ‘68, esce dal convento e si va ad immolare sull’asfalto accanto ai manifestanti in rivolta, Silone crea una nuova gigantesca figura di donna, magistrale interprete emblematica di una Chiesa avviata al rinnovamento in sintonia con le istanze concrete della società, mediante le più moderne analisi e posizioni, maturate nei lavori del Concilio Vaticano. Severina potrebbe rappresentare la continuazione della lotta iniziata da Berardo Viola, nel contesto della siloniana visione di una nuova società, la nascita del cosiddetto “Terzo regno”, fondata sul teorema “social-liberal-umanitario”.

Un capitolo a parte riserva Esposito a “Confiteor”, una sorta di autointervista con 43 domande, con cui lo scrittore mira, negli anni ‘50, a confutare e a difendersi dalle accuse e aggressioni critiche negative dei suoi detrattori. Il documento adeguatamente illustrato da Esposito risulta molto importante per la causa siloniana, in quanto il critico lo inserisce come testimonianza inoppugnabile, nel “fuoco” delle questioni vecchie e nuove. In maniera convincente e capziosamente analizzata, viene affrontata l’infiammata polemica su “Silone delatore”. Ricostruendo tutte le fasi della questione, Esposito (che al problema ha dedicato convegni e interventi sui “quaderni siloniani” da lui fondati e diretti e a cui si rinvia per una consultazione definitivamente chiarificatrice), la corrispondenza tra lo scrittore e il funzionario di polizia Guido Bellone viene riportata nell’ambito dell’attentato al re Vittorio Emanuele II avvenuto nel ‘29 alla fiera di Milano. Dell’atto delittuoso venne accusato il fratello minore di Silone, Romolo Tranquilli, da poco iscrittosi a P.C.I, e condannato a morte. Lo scrittore, convinto dell’innocenza del fratello e preso dal rimorso di sentirsi responsabile della scelta politica del fratello (in realtà, ignaro del coevo abbandono del partito da parte di Silone), opera un tentativo di richiesta di concessione di grazia presso i massimi gestori del regime, fornendo qualche notizia innocua e già diffusa dalla stampa.

Presto “il dialogo” si interruppe, mentre Romolo veniva riconosciuto innocente, ma ugualmente condannato a dodici anni di durissima prigione a Procida, dove morirà a causa delle torture ricevute.  Intervenuti con approfondite ricerche, Tamburrano, Granati e Isinelli, «smontano le tesi accusatorie in tutto e per tutto, con un’analisi dei documenti, rivelatisi in gran parte false o manipolate». Lo stesso Frassinelli (specialista della storia dei servizi segreti), ricostruendo il tormentato itinerario siloniano, rafforza la coerenza, l’onestà e la elevata dimensione etico-civile dello scrittore, come vero maestro di vita. Con la pubblicazione di questo ulteriore lavoro, Vittoriano Esposito, già benemerito studioso della letteratura Italiana e particolarmente di quella del Novecento, su cui ha pubblicato una serie di sette Volumi, offre all’attenzione degli studiosi e degli appassionati lettori di Silone un documento completo e convincente, di immediata presa, idonea a chiarire a tutti i risvolti e le evidenti appariscenze del “caso Silone”.