Il Convivio  
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003
Pina Ardita

La poesia di Francesco Fiumara ricerca della conoscenza degli orizzonti dell’anima, nel saggio di Domenico Defelice.
Siamo, dunque, tutti poeti e critici? In un certo senso sì, se ciò che facciamo lo facciamo con profondo amore, scrive Domenico Defelice, riaffermando la convenzione del filosofo Rosario Viola... e la luce di questa profonda certezza si rivela, per meno di una lucerna accesa, come quando, durante le notti di novilunio, il buio ammanta la campagna e il contadino deve irrigare i campi per evitare che le piante seccano sotto il sole dell’estate, cosi il critico va, scrutando con materna sensibilità, alla ricerca di riscontri ai suoi sibili dolenti e coscienti, creatori di fantasmi, di sogni, ma anche liberatori di rimpianti e ricordi.
Il saggio di Domenico Defelice su Francesco Fiumara è un’analisi volta alla ricerca di un’intima corrispondenza tra due anime. Pertanto, il saggio, non si rivela al lettore come un’arida valutazione stilistica o contenutistica di simboli, di significati e significanti, ma sfocia, sovente, nei versi della poesia del Fiumara, quasi fosse un corollario della Messa. Pertanto, si può parlare di corrispondenza orizzontale tra critico e poeta. Corrispondenza che avviene tra due anime, dove ha sede l’intima unione della divinità soggettiva, e in questo modo essa diventa universale.
Strutturalmente il saggio si divide in un’analisi della poetica del Fiumara attraverso le sue opere: “Date a me anche l’ulivo”; “ Le favole hanno gli occhi di pietra”; “Fiori di siepe”. Domenico Defelice analizza gli elementi salienti che rappresentano le scintille dalle quali scaturiscono le parole, dopo, tramite essi, le immagini più intime e segrete: l’amore, la luna, l’infanzia, gli uccelli, la libertà, la notte, il panico e il panismo, l’ironia e la satira. Il critico riesce a compenetrarsi totalmente nel pensiero del poeta. Quando egli parla dell’amore che è visto dal Fiumara come un’«eco che s’è spenta di un amore smarrito». Sembra quasi che il Defelice sia costantemente in ascolto del ritorno dell’Eco del poeta per cogliervi briciole di comune essenza. Eco, che potrebbe manifestarsi come rivelazione dell’infanzia, attraverso la memoria volontaria ed involontaria, tanto cara a Proust. Anche nella poesia del Fiumara, come evidenzia il Defelice, l’infanzia si ricompone tramite tanti tasselli, dove le miserie infinite diventano rimpianto, dolce canto d’infiniti bisbigli accumulati, soffocati, ma mai estinti, che soffusi seguono il tempo.
Nondimeno, gli uccelli diventano il simbolo di questo canto; di ciò che è racchiuso nel cuore umano. Il riscontro con il simbolismo non è mai sopito, e si ritrova, anche nel Fiumara, l’“Albatros” baudelairien ed il romantico “Passero Solitario” leopardiano. Secondo il Defelice, nel poeta, la sensibilità riesce a svincolarsi dal dolore, e quello dell’usignolo è un canto creatore d’infinite armonie. Non vuol forse intendere Domenico Defelice che il poeta con il suo mistico canto, riesce a trasformare il suo eterno spleen, se non in gioia, almeno in Speranza? Questa considerazione è ripresa dal Defelice, quando parla di Panico e Panismo. Se il Panico riuscisse ad astrarsi dalle profonde paure ed angosce che sono condivise con gli altri Esseri animati e non, in un afflato mistico, in quel momento esso sfocerebbe nel Deismo, e il Panico diventerebbe Panismo, cioè corrispondenza Materia-Spirito nella Bellezza e nella Gioia. In esso il poeta riuscirebbe a percepire il trasformarsi dell’informe caos nel miracolo della Scoperta di Dio. Da qui, il grido, aprendo lo scrigno dell’anima: «E poi che del recondito / l’idea la mente arreca!: Eureka, Eureka, Eureka» esclama con ardore. E durante questa trasformazione che la strategia dell’anima accetta il coesistere di ragione e mito (Serena Zoli), che nella realtà temporale-spaziale sono indispensabili per una trasformazione creativa del mondo. La Speranza del mondo? La poesia, che nel tempo è fautrice del Tempo. Segue un’analisi di una biografia atipica del Mazzini, nella quale Domenico Defelice mette in rilievo come Francesco Fiumara analizza la vita del grande statista nell’intimità: la famiglia, gli amori, le aspirazioni, le delusioni, il suo carattere generoso e puro, ma soprattutto è rivalutata la presenza delle donne, come amiche e confidenti sincere. Anche il confronto, tra due socialisti come Marx e Mazzini, è fatto con precisione e chiarezza. Il Fiumara come sottolinea il Defelice, ama sondare quei valori morali che sono sempre fondamento di tutte le azioni.
Alla fine del saggio sono analizzati alcuni racconti del Fiumara come “Serracapra un paese del nord” che appartiene alla narrativa memorialistica. Racconti tratti dal vero come delle foto storiche, tratteggiato da parole e ricordi, che con il tempo sarebbero state dimenticate, invece così essi diventano memoria storica. L’espressione che usa il Defelice di rara precisione: «per riassaggiare l‘umanità vera», dove nella povertà dei paesini del sud si divideva un tozzo di pane o una mangiata di fave con chi non ne aveva, per contrapporla «al disumano della città moderna», dove si ha tutto, ma si è persa la gioia della condivisione.
L’ultima opera ad essere analizzata è “Le voci della notte” che sembra essere una continuazione delle precedenti sillogi. Infatti anche in esse il programma morale del Fiumara continua, asserisce il Defelice, e tende a guardare «agli orizzonti dell’anima... a una speranza che splende».