Siamo, dunque,
tutti poeti e critici? In un certo senso sì, se ciò che facciamo lo
facciamo con profondo amore, scrive Domenico Defelice, riaffermando la
convenzione del
filosofo
Rosario
Viola... e la luce di questa profonda
certezza si rivela, per meno di una lucerna accesa, come quando,
durante
le
notti
di
novilunio,
il buio
ammanta
la campagna e il contadino deve irrigare
i campi per evitare che le piante seccano sotto il sole dell’estate,
cosi il critico va, scrutando con materna sensibilità, alla ricerca di
riscontri ai
suoi
sibili dolenti e coscienti, creatori di
fantasmi, di sogni, ma anche liberatori di rimpianti e ricordi.
Il saggio di Domenico Defelice su
Francesco Fiumara è un’analisi volta alla ricerca di un’intima
corrispondenza tra due anime. Pertanto, il saggio, non si rivela al
lettore come un’arida valutazione stilistica o contenutistica di
simboli, di significati e significanti, ma sfocia, sovente, nei versi
della poesia del Fiumara, quasi fosse un corollario della Messa.
Pertanto, si può parlare di corrispondenza orizzontale tra critico e poeta.
Corrispondenza che avviene tra due anime, dove ha sede l’intima unione
della divinità soggettiva, e in questo modo essa diventa universale.
Strutturalmente il
saggio si divide in un’analisi della poetica del Fiumara attraverso le
sue opere: “Date a me anche l’ulivo”; “ Le favole hanno gli occhi di
pietra”; “Fiori di siepe”. Domenico Defelice analizza gli elementi
salienti che rappresentano le scintille dalle quali scaturiscono le
parole, dopo, tramite essi, le immagini più intime e segrete: l’amore,
la luna, l’infanzia, gli uccelli, la libertà, la notte, il panico e il
panismo, l’ironia e la satira. Il critico riesce a compenetrarsi
totalmente nel pensiero del poeta. Quando egli parla dell’amore che è
visto dal Fiumara come un’«eco che s’è spenta di un amore smarrito».
Sembra quasi che il Defelice sia costantemente in ascolto del ritorno
dell’Eco del poeta per cogliervi briciole di comune essenza. Eco, che
potrebbe manifestarsi come rivelazione dell’infanzia, attraverso la
memoria volontaria ed involontaria, tanto cara a Proust. Anche nella
poesia del Fiumara, come evidenzia il Defelice, l’infanzia si ricompone
tramite tanti tasselli, dove le miserie infinite diventano rimpianto,
dolce canto d’infiniti bisbigli accumulati, soffocati, ma mai estinti,
che soffusi seguono il tempo.
Nondimeno, gli uccelli diventano il simbolo di questo canto; di ciò che
è racchiuso nel cuore umano. Il riscontro con il simbolismo non è mai
sopito, e si ritrova, anche nel Fiumara, l’“Albatros” baudelairien ed il
romantico “Passero Solitario” leopardiano. Secondo il Defelice, nel
poeta, la sensibilità riesce a svincolarsi dal dolore, e quello
dell’usignolo è un canto creatore d’infinite armonie. Non vuol forse
intendere Domenico Defelice che il poeta con il suo mistico canto,
riesce a trasformare il suo eterno spleen, se non in gioia, almeno in
Speranza? Questa considerazione è ripresa dal Defelice, quando parla di
Panico e Panismo. Se il Panico riuscisse ad astrarsi dalle profonde
paure ed angosce che sono condivise con gli altri Esseri animati e non,
in un afflato mistico, in quel momento esso sfocerebbe nel Deismo, e il
Panico diventerebbe Panismo, cioè corrispondenza Materia-Spirito nella
Bellezza e nella Gioia. In esso il poeta riuscirebbe a percepire il
trasformarsi dell’informe caos nel miracolo della Scoperta di Dio. Da
qui, il grido, aprendo lo scrigno dell’anima: «E poi che del recondito /
l’idea la mente arreca!: Eureka, Eureka, Eureka» esclama con ardore. E
durante questa trasformazione che la strategia dell’anima accetta il
coesistere di ragione e mito (Serena Zoli), che nella realtà
temporale-spaziale sono indispensabili per una trasformazione creativa
del mondo. La Speranza del mondo? La poesia, che nel tempo è fautrice
del Tempo. Segue un’analisi di una biografia atipica del Mazzini, nella
quale Domenico Defelice mette in rilievo come Francesco Fiumara analizza
la vita del grande statista nell’intimità: la famiglia, gli amori, le
aspirazioni, le delusioni, il suo carattere generoso e puro, ma
soprattutto è rivalutata la presenza delle donne, come amiche e
confidenti sincere. Anche il confronto, tra due socialisti come Marx e
Mazzini, è fatto con precisione e chiarezza. Il Fiumara come sottolinea
il Defelice, ama sondare quei valori morali che sono sempre fondamento
di tutte le azioni.
Alla fine del saggio sono analizzati
alcuni racconti del Fiumara come “Serracapra un paese del nord” che
appartiene alla narrativa memorialistica. Racconti tratti dal vero come
delle foto storiche, tratteggiato da parole e ricordi, che con il tempo
sarebbero state dimenticate, invece così essi diventano memoria storica.
L’espressione che usa il Defelice di rara precisione: «per riassaggiare
l‘umanità vera», dove nella povertà dei paesini del sud si divideva un
tozzo di pane o una mangiata di fave con chi non ne aveva, per
contrapporla «al disumano della città moderna», dove si ha tutto, ma si
è persa la gioia della condivisione.
L’ultima opera
ad essere analizzata è “Le voci della notte” che sembra essere una
continuazione delle precedenti sillogi. Infatti anche in esse il
programma morale del Fiumara continua, asserisce il Defelice, e tende a
guardare «agli orizzonti dell’anima... a una speranza che splende».
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