Il Convivio  
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003
Adriana Assini

Il fuoco e la creta: un romanzo di Adriana Assini che corre tra storia e passione politica

di Luciano Pirrotta

Una segreta analogia di fondo – si potrebbe dire – accomuna uomini e pupazzi di creta per il presepe, personaggi storici e figure di una rappresentazione fittizia: la ragione finale delle rispettive esistenze cade al di fuori di loro e resta, di fatto, in conoscibile. Con un’essenziale diferenza - tra le tante – a distinguerli: la percezione nei primi, della propria finitudine, di una reciproca afasia unita alla coscienza dolorosa di essere precari granelli trascinati dalla corrente della vita.

«Piccoli sogni infranti. Attese vane. Amori offesi». In queste tre brevi espressioni concatenate possiamo riassumere l’ultimo romanzo di Adriana Assini (Il fuoco e la creta storie comuni in tempi straordinari nella Napoli del 1799, Spring Edizioni, Caserta 2003). Ancora una vicenda ambientata dentro uno specifico quadro storico. Sullo sfondo, le alterne fortune del regno borbonico delle Due Sicilie al chiudersi del ‘700. Ma qui, contrariamente al precedente Gilles, che amava Jeanne, l’autrice torna ad avvicinarsi ai climi intimistici de La signora dei veleni. La protagonista femminile, infatti, Jolanda Croce, è molto più vicina - e non solo fisicamente - alla bella popolana Giulia Tofana, piuttosto che all’androgina ‘Pulzella d’Orleans’. E al pari della ‘Signora dei veleni’ la procace sartina ha al suo seguito due spasimanti. Ora però entro lo scorcio di una Napoli sontuosa e stracciona, superstiziosa e cinica, non c’è spazio né per la libertà individuale, né per la speranza. I personaggi de Il fuoco e la creta Storie comuni in tempi straordinari nella Napoli del1799, sembrano muoversi sotto un’oscura cappa plumbea, che neppure sprazzi di improvviso, incosciente vitalismo riescono a scalfire. La vita quotidiana dei ‘bassi’ napoletani obbedisce alle stesse oscure leggi del destino cui sottostanno gli aristocratici abitanti dei palazzi sul Vomero. È una sostanziale incomunicabilità sfociante in amara solitudine ad accomunare protagonisti e comparse del romanzo. Nemmeno l’amore riesce a spezzare questa barriera invisibile. Se nel microcosmo degli umili che popolano il vicolo, affetti, rancori, ripicche sono inestricabilmente commisti concorrendo a perpetuare la sofferenza, le cose non vanno diversamente presso le decrepite dimore nobiliari. L’impossibilità di gestire al meglio i propri sentimenti trova puntuale riscontro nel macrocosmo storico-politico. Reazionari o rivoluzionari, borbonici o giacobini, tutti sono altrettante marionette d’un palcoscenico sinistro. Parassiti spagnoli e francesi si danno il cambio lungo la penisola italiana. Mai si cesserà di allestire forche, di fucilare, di decapitare, di imprigionare in nome della libertà. Pare quasi che i popolani de Il fuoco e la creta già presentano con maggior lungimiranza dei benestanti Werner e Lucia (infatuati, proprio perché a pancia piena, delle fanfaluche ugualitarie e progressiste) che quei medesimi francesi, rapaci parolai di giustizia, saranno di lì a mezzo secolo i becchini della Repubblica Romana, alfieri della restaurazione pontificia; e che, qualche decennio dopo, la conclamata unificazione sotto la corona sabauda farà ben presto rimpiangere alle plebi meridionali - gravate da nuove gabelle vessatorie – l’antico ‘malgoverno’ spagnolo.

Uomini e donne dunque, quelli delineati dalla Assini, in balia di una sorte che sia nella sfera intima, sia nell’ambito pubblico, li trascende e li trascina. Ma c’è differenza, nel romanzo, fra figure maschili e femminili. La scrittrice, fedele alla costante mantenuta nella produzione precedente, colloca sempre le immagini muliebri alcuni gradini più in alto delle presenze virili. Per quanto le personalità di Aniello, Werner, o prima i Gilles, Tancredi, Damiano, possano brillare per coraggio, umanità, generosità, fascino, sono le varie Jolanda, Lucia, Giulia a tenerne in pugno le segrete fila. Le donne sembrano scegliere - se davvero scelta è data laddove si è solo comparse - almeno la propria infelicità. Così, in queste pagine, non basta la vocazione pseudofilosofica di Werner («La vita scorre senza appartenerci e noi, modeste comparse, restiamo inermi e ininfluenti a guardare gli eventi».), mediocre letterato, a tener testa prima alla vitale Jolanda, poi all’algida Ruth che lo tiranneggia. Nemmeno Aniello, somigliante nell’antro della sua bottega più ad uno stoico del basso impero che al tipico artigiano partenopeo, riesce a fare miglior figura: di fronte all’incostante ma volitiva Lucia (tanto antipatica quanto inverosimile nella lealtà verso la rivale in amore), smette d’improvviso i panni del saggio compassato, arrossisce, farfuglia, rivelandosi fragile creatura disarmata.

Per ciò che attiene il versante formale del romanzo, viene confermata - se ce ne fosse bisogno - la perizia della Assini nella costruzione delle sequenze narrative serrate e incalzanti, la sua mirabile capacità nel caratterizzare con pochi tratti (Gilles resta esempio ineguagliato al riguardo) ambienti e atmosfere, di rendere mediante rapidi chiaroscuri, attraverso un aggettivo o un intercalare gettato nel discorso quasi apparentemente a caso, psicologie e temperamenti. L’uso linguistico del lessico, talvolta ‘alto’, tal’altra gergale o dimesso, con sconfinamenti nel neologismo, non è mai gratuito, concorrendo a calare gli accadimenti in cornici di palpitante realtà.

A riprova del talento tecnico della scrittrice - dietro la cui felicità espressiva si intravede un lungo lavoro di ricerca storica e di limatura linguistica - sottolineiamo in ultimo la bipartizione strutturale de Il fuoco e la creta. La prima parte del libro, volta a lumeggiare per lievi tocchi i personaggi nel loro contesto spazio-temporale, mantiene vivo l’interesse del lettore nonostante la sostanziale immobilità della trama. La seconda, in cui gli eventi si susseguono secondo la nota alternanza bremondiana rispondente alla logica dei possibili narrativi, si snoda invece sui ritmi binari di miglioramento-peggioramento. Il fatto che tale mutamento di registro resti tanto più invisibile anche ad un occhio smaliziato, aggiunge prove della levatura di Adriana Assini, mostrandola capace di impiegare con disinvoltura modalità narrative diversificate all’interno di schemi creativi rigorosamente unitari.