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Un pomeriggio
di maggio a Castiglion della Pescaia: è una
giornata limpida, con un cielo terso di un
incredibile azzurro, che si rispecchia in un
mare calmo, appena increspato da una brezza
leggera. L’aria è fresca e frizzante, scarsi i
turisti che si godono la tranquillità che,
certo ancora per poco, regna nella cittadina
balneare.
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I pescherecci
stanno rientrando con il loro carico ancora
guizzante e, ad uno ad uno, stanno attraccando
alla banchina.
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Alcuni
curiosi
si
avvicinano ad un barcone che ha appena gettato
le ancore e si accinge a compiere le
operazioni di ormeggio. La pesca è stata
buona: le cassette piene di pesce ancora vivo
sono accatastate le une sulle altre. I
marinai, a torso nudo, con la pelle bruciata
dal sole, i muscoli segnati da anni di
fatiche, si affaccendano con gesti rapidi e
sicuri, senza badare agli spettatori.
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I gestori delle
pescherie che aprono sul porto, intanto, sono
usciti dalle loro botteghe e stanno prendendo
contatto con i marinai: osservano il pesce,
valutano la merce, contrattano il prezzo. I
curiosi sono aumentati di numero: i passanti
che sopraggiungono, attratti da quell’animazione,
si fermano a loro volta e, in breve, una
piccola folla si assiepa lungo il bordo della
banchina.
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A un tratto un
uomo del gruppo addita, senza parlare, qualcosa
che si muove sul fianco del peschereccio,
all’esterno, appena sopra il cornicione di legno
che cinge la chiglia della barca: è qualcosa di
bianco lattiginoso, serpentino, che esce da un
piccolo foro, meno di due centimetri, e si muove
allungandosi a poco a poco. Dopo qualche secondo
un altro filamento, simile al primo, si affaccia
al foro e, faticosamente, si allunga anch’esso:
sono due tentacoli di un polipo; evidentemente
la bestiola è caduta dalla cassetta e,
trovandosi in prossimità del buco, sta tentando
la fuga.
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L’attenzione di
tutti e ben presto catturata da quel piccolo
essere
che sta cercando, disperatamente, di
riguadagnare la libertà, anche se ognuno sta
cercando di fare l’indifferente
per
non
attirare
l’attenzione
dei
pescatori.
Poiché, inutile
dirlo, tutti sono immediatamente dalla parte
del polipo e tifano per lui che, intanto,
pazientemente, continua la sua opera verso la
salvezza, tentacolo dopo tentacolo, con
lentezza, con evidente difficoltà e con grande
fatica, ma con una determinazione che sembra
voler annullare le leggi della fisica.
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«Non può
farcela!» dice, infatti, a bassa voce un uomo
del gruppo, «la testa non può passare da quel
buco, è troppo piccolo!» L’animaletto, però,
continua il suo paziente, faticoso, lavoro,
finché tutti i tentacoli sono fuori. Comincia,
allora ad agitarsi per fare uscire il corpo.
Con movimenti costanti, contorsioni,
avvitamenti, anche la parte superiore, a poco
a poco, incredibilmente, sta venendo fuori.
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La piccola
folla comincia a sperare nella riuscita di
quell’impresa che sembrava disperata. Non è
più un polipo quello che stanno guardando, ma
un essere che sta lottando per restare vivo e
lo fa con tale coraggio che, sicuramente,
merita di riuscire nel suo intento.
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Improvvisamente
un giovane pescatore mette un piede sul bordo
dell’imbarcazione e, con un balzo, salta sulla
banchina. Tutti trattengono il fiato volgendo
altrove lo sguardo per non insospettirlo; ma
l’uomo non si accorge di nulla e si allontana
rapidamente. Con un sospiro di sollievo il
gruppetto torna ad osservare la bestiola che
continua nei suoi sforzi e, ormai, sembra avere
buone possibilità di riuscire.
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A bassa voce,
sempre attenti a non farsi notare, ormai
fortemente partecipi alla sorte di quell’esserino
coraggioso, quelle persone che fino a pochi
minuti prima non si conoscevano,
improvvisamente solidali, si scambiano
impressioni: «Ormai ce l’ha quasi fatta!» dice
uno.
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«No, deve ancora
uscire la testa» dice un altro.
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Ma d’un tratto,
senza che nessuno l’abbia notato, torna il
pescatore che si era allontanato poco prima.
Ammutoliscono, di nuovo, tutti. Il giovane ha
già messo un piede sul bordo della barca e sta
per saltarvi dentro, quando lo sguardo gli cade
sul disgraziato polipo che, ormai, sta
completando la sua fatica. Rapido, l’uomo si
china e, afferrata la povera bestiola, con un
brusco strappo, la tira definitivamente fuori
dal buco.
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«No...». Un
grido si leva dal gruppetto che ha seguito
fino a quel punto i faticosi progressi di quel
coraggioso esserino lattiginoso.
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«Lo lasci
libero!» implora una ragazza «ha fatto tanta
fatica per liberarsi...».
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Il marinaio la
guarda un po’ infastidito, poi guarda ad una ad
una quelle facce che lo osservano ansiose
sperando in un gesto di clemenza.
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«Anch’io» dice
poi a bassa voce «anch’io ho fatto tanta fatica
per prenderlo e mi sono alzato all’alba».
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Quindi getta il
polipo nella cesta insieme ai suoi disgraziati
fratelli e salta, di nuovo, dentro il
peschereccio senza più voltarsi.
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Nessuno dei
presenti parla più e, a poco a poco, ognuno
riprende la sua strada, in silenzio, ma con
una sensazione di disagio che induce ad
allontanarsi da quel luogo al più presto.
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Ognuno è tornato
un estraneo per l’altro: queste persone che,
fino a qualche minuto prima, si sono scambiati
impressioni e commenti, ora evitano perfino di
incrociare gli sguardi.
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In fretta il
gruppetto si disperde.
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La luce della
sera, ormai, sta perdendo la sua luminosità, il
cielo non è più così azzurro, né il mare così
splendente.
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Un altro giorno sta avviandosi alla fine.