Il Convivio
 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

  Laura Caleri Faclone
Il polipo 

Un pomeriggio di maggio a Castiglion della Pescaia: è una giornata limpida, con un cielo terso di un incredibile azzurro, che si rispecchia in un mare calmo, appena increspato da una brezza leggera. L’aria è fresca e frizzante, scarsi i turisti che si godono la tranquillità che, certo ancora per poco, regna nella cittadina balneare.
I pescherecci stanno rientrando con il loro carico ancora guizzante e, ad uno ad uno, stanno attraccando alla banchina.
Alcuni curiosi si avvicinano ad un barcone che ha appena gettato le ancore e si accinge a compiere le operazioni di ormeggio. La pesca è stata buona: le cassette piene di pesce ancora vivo sono accatastate le une sulle altre. I marinai, a torso nudo, con la pelle bruciata dal sole, i muscoli segnati da anni di fatiche, si affaccendano con gesti rapidi e sicuri, senza badare agli spettatori.
I gestori delle pescherie che aprono sul porto, intanto, sono usciti dalle loro botteghe e stanno prendendo contatto con i marinai: osservano il pesce, valutano la merce, contrattano il prezzo. I curiosi sono aumentati di numero: i passanti che sopraggiungono, attratti da quell’animazione, si fermano a loro volta e, in breve, una piccola folla si assiepa lungo il bordo della banchina.
A un tratto un uomo del gruppo addita, senza parlare, qualcosa che si muove sul fianco del peschereccio, all’esterno, appena sopra il cornicione di legno che cinge la chiglia della barca: è qualcosa di bianco lattiginoso, serpentino, che esce da un piccolo foro, meno di due centimetri, e si muove allungandosi a poco a poco. Dopo qualche secondo un altro filamento, simile al primo, si affaccia al foro e, faticosamente, si allunga anch’esso: sono due tentacoli di un polipo; evidentemente la bestiola è caduta dalla cassetta e, trovandosi in prossimità del buco, sta tentando la fuga.
L’attenzione di tutti e ben presto catturata da quel piccolo essere che sta cercando, disperatamente, di riguadagnare la libertà, anche se ognuno sta cercando di fare l’indifferente per non attirare l’attenzione dei pescatori. Poiché, inutile dirlo, tutti sono immediatamente dalla parte del polipo e tifano per lui che, intanto, pazientemente, continua la sua opera verso la salvezza, tentacolo dopo tentacolo, con lentezza, con evidente difficoltà e con grande fatica, ma con una determinazione che sembra voler annullare le leggi della fisica.
«Non può farcela!» dice, infatti, a bassa voce un uomo del gruppo, «la testa non può passare da quel buco, è troppo piccolo!» L’animaletto, però, continua il suo paziente, faticoso, lavoro, finché tutti i tentacoli sono fuori. Comincia, allora ad agitarsi per fare uscire il corpo. Con movimenti costanti, contorsioni, avvitamenti, anche la parte superiore, a poco a poco, incredibilmente, sta venendo fuori.
La piccola folla comincia a sperare nella riuscita di quell’impresa che sembrava disperata. Non è più un polipo quello che stanno guardando, ma un essere che sta lottando per restare vivo e lo fa con tale coraggio che, sicuramente, merita di riuscire nel suo intento.
Improvvisamente un giovane pescatore mette un piede sul bordo dell’imbarcazione e, con un balzo, salta sulla banchina. Tutti trattengono il fiato volgendo altrove lo sguardo per non insospettirlo; ma l’uomo non si accorge di nulla e si allontana rapidamente. Con un sospiro di sollievo il gruppetto torna ad osservare la bestiola che continua nei suoi sforzi e, ormai, sembra avere buone possibilità di riuscire.
A bassa voce, sempre attenti a non farsi notare, ormai fortemente partecipi alla sorte di quell’esserino coraggioso, quelle persone che fino a pochi minuti prima non si conoscevano, improvvisamente solidali, si scambiano impressioni: «Ormai ce l’ha quasi fatta!» dice uno.
«No, deve ancora uscire la testa» dice un altro.
Ma d’un tratto, senza che nessuno l’abbia notato, torna il pescatore che si era allontanato poco prima. Ammutoliscono, di nuovo, tutti. Il giovane ha già messo un piede sul bordo della barca e sta per saltarvi dentro, quando lo sguardo gli cade sul disgraziato polipo che, ormai, sta completando la sua fatica. Rapido, l’uomo si china e, afferrata la povera bestiola, con un brusco strappo, la tira definitivamente fuori dal buco.
«No...». Un grido si leva dal gruppetto che ha seguito fino a quel punto i faticosi progressi di quel coraggioso esserino lattiginoso.
«Lo lasci libero!» implora una ragazza «ha fatto tanta fatica per liberarsi...».
Il marinaio la guarda un po’ infastidito, poi guarda ad una ad una quelle facce che lo osservano ansiose sperando in un gesto di clemenza.
«Anch’io» dice poi a bassa voce «anch’io ho fatto tanta fatica per prenderlo e mi sono alzato all’alba».
Quindi getta il polipo nella cesta insieme ai suoi disgraziati fratelli e salta, di nuovo, dentro il peschereccio senza più voltarsi.
Nessuno dei presenti parla più e, a poco a poco, ognuno riprende la sua strada, in silenzio, ma con una sensazione di disagio che induce ad allontanarsi da quel luogo al più presto.
Ognuno è tornato un estraneo per l’altro: queste persone che, fino a qualche minuto prima, si sono scambiati impressioni e commenti, ora evitano perfino di incrociare gli sguardi.
In fretta il gruppetto si disperde.
La luce della sera, ormai, sta perdendo la sua luminosità, il cielo non è più così azzurro, né il mare così splendente.
Un altro giorno sta avviandosi alla fine.

 Racconto

 

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