Il Convivio

 

 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

L’haiku, genere poetico adottato dai Giapponesi e diffuso ormai nel mondo, è molto simile, per la sintesi, la brevità e il contenuto “concentrato”, ad un aforisma, ad una sentenza, ad un proverbio. Si distingue dalle composizioni “chiuse”, a volte di non facile interpretazione, di alcuni ermetici, perché i suoi versi sono chiari, trasparenti, comprensibili. Non è semplice imitare i Giapponesi, afferma Antonio Bonchino. «Come ripetere noi, occidentali, quell’incanto? Non si corre il rischio delle copie inautentiche, della stanchezza, del falso?». Ma Vincenzo Campobasso è riuscito ad esprimersi in forma genuina, a cantare con la voce di Erato, ad essere originale. Ci vuole arte, percezione interiore del tutto, capacità di sintetizzare, di racchiudere in una parola, in un verso breve, l’universo intero... Chi non scopre in quelle quattro parole di Ungaretti, «M’illumino d’immenso», il vasto cielo e il mare sterminato e l’infinito azzurro che li unisce in un unico mondo intangibile e irraggiungibile? Cielo e mare, due immensità, «luce senza confini». L’anima ne è folgorata. Nella prima lirica, triste la sorte di Filippo, venuto morto nel mondo dei vivi, «innanzitempo». I centosette haiku della prima parte sono un susseguirsi di voci, di suoni, d’immagini, di sensazioni che vibrano, che parlano, che lanciano messaggi ed emozioni. C’imbattiamo nella furba capinera, nell’incognito, e nell’indifferenza, d’un’alba uguale a tante altre, ascoltiamo il frusciare delle foglie nel bosco silenzioso, il lamento del clarinetto, canti d’uccelli, mormorio di onde, avvertiamo il tepore della terra, ultimo giaciglio dell’uomo, seguiamo il ramarro, “alta la coda”, che corre alla salvezza, contempliamo l’odorosa ginestra, maestosa fra zolle e rupi, la pallida luna, le vivide stelle, ci commuoviamo alla vista del bimbo scalzo che piange perché ha perso la mamma, aspiriamo il buon profumo dei gelsomini, l’odore della terra bagnata dalla pioggia, condividiamo il traboccare d’amore il senso pieno della vita dell’autore, c’immergiamo nella visione panica di angoli stupendi della natura che il poeta ha saputo ritrarre con veridicità e vivo stupore... E nell’ultima parte «la più ghiotta, la più ‘confortevole’, la più dotta sezione: ‘Mondo fungino’», così come si esprime nella prefazione - quasi una provocazione alla degustazione - Antonio Bonchino. Esperto conoscitore di funghi, l’autore ne menziona molte specie: Prugnali, Panterine, Geloni, Porcini, ecc... La poesia di Campobasso va annoverata tra quelle opere che racchiudono l’alito dello spirito e la luce delle Muse.

Antonia Izzi Rufo