Il Convivio

 

 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

Francesco De Napoli, Giogo/Forza, Epigrammi

(Cassino, Centro Culturale “Paideia”, 2000)

Giacomo Leopardi, che aveva tradotto epigrammi dal greco, ne L’infinito introdusse una siepe allo scopo di dilatare la tradizionale cognizione poetica di orizzonte (dal greco hòros, confine; in latino, finis ), un concetto di per sé limitato, circoscritto alla materialità dello sguardo. La finzione di tale illimitatezza risiede nella necessità di ampliare l’orizzonte interiore del poeta: un’esigenza avvertita, altresì, nella riflessione speculare dell’aforisma - come sostiene Giuseppe Pontiggia - ogni qual volta l’autore cerca di recuperare l’“immagine originaria di uno sguardo interiore” (in Scrittori italiani di aforismi, Milano, Mondadori, 1997). La distanza pressoché impalpabile esistente oggi fra poesia lirica, epigramma ed aforisma - specie nei comuni aspetti gnomici - spiega la duplice valenza della produzione di Francesco De Napoli, il quale alterna la pubblicazione di opere in cui sembra dare libero sfogo alla vena lirico-sentimentale con altre a carattere prettamente epigrammatico.

Un legame inscindibile, che nasce dall’indifferibile esigenza di “dir le cose del tempo co’ nomi loro”, come insegnò nei Pensieri proprio il Leopardi, il quale condannava l’arte rancida di chi s’illude d’essere felice. E sono gli elementi biografici, ossia le vicende di vita vissuta, a spingere il nostro a coltivare con tanta costanza e dedizione questi due filoni così apparentemente diversi, che invece in lui coesistono secondo un vero e proprio “sistema di vasi comunicanti”, come chiarisce lo stesso De Napoli in una nota posta a chiusura di Giogo/forza. Un’ansia di verità muove l’autore a seguire la “ferrea e rigida disciplina spartana” - afferma - propria del genere epigrammatico, quella verità che è “il pane degl’intelletti robusti”, scrisse Arturo Graf in Ecce Homo. Vocazione esplosa non per caso, perché in nuce già nelle prime opere dello Scrittore cassinate: basterebbe rileggere attentamente Noùmeno e realtà (1979), Fernfahrplan (1980) e La dinamica degli eventi (1983).

L’aspetto che salta subito agli occhi, nella produzione epigrammatica di De Napoli, è la coraggiosa volontà di demistificare l’importanza di quei divi dello spettacolo (ma anche della cultura), i quali fanno la parte del leone sui palcoscenici mondiali lasciando dietro di sé il vuoto più assoluto. Leggiamo, ad esempio, in Onnipresenza: «Da Hyde Park / a Caracalla, / da Tokyo / a Tele-Papalla. / Sei unico, / Pavarotti. / Per questo / ci hai rotti». Altrove l’autore coglie la profonda frattura generazionale esplosa, con toni tragicomici, negli ultimi decenni. È il caso di Tendenze: «La senescenza / è tutta / per il grande Bo. / Jovanotti: / Il grande Boh!». Nel fondo nascosto di questi straordinari testi predomina, tuttavia, una evidente sofferenza interiore, ossia un sentimento di sconforto dovuto al senso di solitudine e di incomprensione che Francesco De Napoli avverte aleggiare intorno al proprio lavoro letterario. Così è per l’epigramma intitolato Poesia: «Arricchimenti illeciti / procura questa attività / di spaccio, / né mi riesce / l’espianto / da mente e cuore / di questo tumore». In un altro componimento, dal titolo Valori bollati, il poeta ironizza sull’ipocrisia delle cosiddette autorità, le quali, invitate agli incontri culturali organizzati dal Sodalizio dell’autore, ritengono loro dovere limitarsi ad inviare dei semplici messaggi augurali. È notevole il doppio senso dell’espressione che dà il titolo all’epigramma (“Valori bollati”, appunto): «Agli incontri di Paideia / spauriti epigrammi / su bianchi sudari. / Piovono fax / e telegrammi». Nulla sfugge alla sottile e inattaccabile vis satirica dello Scrittore. Nemmeno poteva salvarsi la metodologia tipica di certe discutibilissime statistiche, sempre al centro di polemiche e di opinioni contrastanti circa i “risultati ufficiali”, mai riguardo alla loro effettiva validità e finzione. Il lettore resta così folgorato dalla lapidaria verve di un testo geniale, a cui De Napoli conferisce, per contrasto, l’altisonante titolo ISTAT: «Italiani / più ricchi, / più violenti / e più alti». “Giogo/forza” ha ottenuto il plauso di intellettuali quali: Giorgio Bàrberi Squarotti, Mariella Bettarini, Domenico Cara, Liana De Luca, Antonio Piromalli, Gerardo Vacana e altri.

Adriana Capuano