Il Convivio

 

 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

Guido Lo Giudice: la profonda sensibilità di Nuvole (Ed. La fontana)

Il giovane Guido Lo Giudice si affaccia nel panorama poetico con una silloge “Nuvole”, che già dal titolo preconizza il contenuto, ma che denota una padronanza linguistica e la fantasia tipica dell’età: egli dialoga con queste impalpabili creature celesti, affidando loro le espressioni spontanee di un cuore ingenuo, generoso, ricco di entusiasmi, non ancora intaccato dal­le crudezze esistenziali: «Voi, così fragili / date armonia / ad infelici anime / vaganti» L’empireo attira l’attenzione di questo giovane tanto che il volo delle rondini gli ispira frasi elevate come: «Foglie e tessere argentee / trasportate dal vento» oppure se bagnate di pioggia «nere nubi che fanno da sfondo». A proposito di questa aggiunge: «Piove / il giorno si bagna». Sono semplici considerazioni che denotano sensibilità d’animo. Lo Giudice aleggia con le sue composizioni su un vasto orizzonte, quello in cui le nuvole navigano, spinte dal vento, pregne di pioggia, elemento essenziale per la nostra sopravvivenza. Pur nella sua giovane età, questo giovane riesce a colpire nel segno e lo fa con una disarmante facilità, ma con tanta precisione, qualità questa solitamente appannaggio di lunga esperienza, la perspicacia è notevole ed altrettanto apprezzabile la facilità espressiva. Nella serie “Agrodolce” l’autore s’inverte nella triste realtà, analizza l’esistenza, qui il tono cala nella serietà del tema. «Vita / malinconia di un colore acceso / che si spegne / ...troppo spesso». Questo annuncia la seriosa intenzione di non trascurare i lati meno accattivanti dell’esistenza umana. Il tono si fa pensieroso, la tristezza avanza e con essa la convinzione che le cose belle hanno breve durata. «Cadrò in una lacrima» è il preannuncio della sofferenza; nelle sue parole c’è realismo, l’angoscia assilla, specie quando annuncia la perdita di una persona cara, il rischio è sempre in agguato. Lo Giudice si abbandona a sfoghi di sconforto e piange «... di fronte allo sguardo del mare / sfavillante al tramonto / allo specchio del lago / su cui si rimirano / monti, nuvole e cielo». Il fascino della natura lo commuove, indizio di particolare sensibilità! È un pianto liberatorio conseguente al fatto che si sente indifeso di fronte al male che dilaga. Il pensiero della morte provocata dalla violenza umana, lo assilla e accentua il contrasto con la frivolezza dell’attuale società, costretta a vivere tra le ingiustizie. La sua poesia si fa aspirazione ad un futuro migliore, invidia la quercia simbolo della secolarità, ma non trascura l’amore... «Ti ho cercata con lo sguardo / ma sei rimasta indifferente», ciò lo colpisce, suggerendo parole di rimpianto. Dove Lo Giudice si esalta è nella “Melodia d’amore”, composizioni pregne di sentimento, sature di aspirazione affettive, interminabili attese, sogni e progetti, tipici della sua età. Invoca un amore puro, «aspettami piccola / perché l’amore aleggia». Il solo guardare le stelle gli fa pregustare gioie inenarrabili. Ma con “Ratto” la silloge torna a parlare delle problematiche della vita, lavoro, guerre, necessità varie che occupano e preoccupano l’essere. Poesia tanto umana!

Pacifico Topa