Il Convivio

 

 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

Desiderio ed aspirazione nella silloge Un grido di luce di Rosalba Masone Beltrame con nota di Mario Lungarotti (Book editore, Dicembre 2000)

Nella silloge “Un grido di luce” Rosalba Masone Beltrame sfoggia uno stile poetico quanto mai innovativo ed originale, sia nella stesura che nella forbitezza linguistica. La potremmo definire una raccolta del ‘desiderio’ in quanto sovente emerge l’ansia di un qualcosa a cui lei aspira, ma che le sfugge, o invoca invano... «Mai ti disseteranno pioggia vento / Non ti disseteranno / né t’allieteranno / né colmeranno il nulla». La nota pessimistica che aleggia cupamente le negatività esistenziali sono evidenti, lei le stigmatizza per cui la terra «è un ponte gettato /nel blu / dove / il dolore / passeggia». Ed ancor più avanti: «chiudere gli occhi / per non vedere / per non sentire». V’è rassegnazione di fronte a questo turbinio di... «sproloqui e turpiloqui», raffigurazione negativa di questa nostra realtà protesa verso conquiste effimere, ma lei dubita: «C’é chi possa ascoltare / l’urlo ferito / offeso / strozzato? / C’é? / Chi sarà?.». Ogni tanto un barlume di speranza... «Se / Dio è / amore infinito / e l’amore è dolore / Dio è sofferenza infinita». La raccolta s’inoltra nella profondità di argomentazioni concretamente realistiche che scuotono dal profondo. «Perché si mutano i tempi? / o il tempo siamo noi / sempre diversi? / perché nulla resta? / e noi non vediamo». Profondità amletica e concettuale. Talvolta colpisce l’asprezza di certe parole: «Perché mi manca / anche il presente?». Sono strali verbali che infilzano nella mente, lanciati da chi ha nell’animo l’angoscia, il tormento oltre che il desiderio di riscatto. Nell’attenta lettura di queste composizioni s’ha la possibilità di intuire un animo esasperato che esterna la sua virulenza poetica con versi singhiozzati, quasi lanciati con forza contro le coscienze altrui. In “Adesso che il mistero”  il poetare si fa più delicato la descrizione quasi idilliaca. «La stradina dietro il filare / un dolce dolcissimo perdersi / dove / lontano / si alza la chiesa / e la sua nostalgia». Ma anche qui la mestizia ha il sopravvento. «C’é sempre la nebbia / quando il cuore si confonde con la memoria». A questo punto la rievocazione si tinge di struggente rimpianto; ambiente familiare... «mio padre che lavorava... la famiglia è quasi un’orchestra d’amore». Più oltre: «Eccola mia madre / al centro della vasta cattedrale / che era / l’infanzia». Il sentimento si mescola con la nostalgia. «Tiepide di sole / le panchine / lungo i viali / di Milano». Malcelato rimpianto di quel tempo felice! Alla fine sintetizza se stessa dichiarando: «Ho percorso il mondo... Il tempo è corso / senza noi tra le dita / ne tengo stretti i capi». Ed infine sentenzia: «Il tempo / è indifferente dio / solenne». Poetica quanto mai concettuale di non sempre facile accesso, ma pur valida, perché intensamente sentita.

Pacifico Topa