Il Convivio

 

 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

Fiorisce la letteratura dialettale con l’opera di Domenico Peci:

L’infanzia e l’adolescenza negate (Prova d’Autore, maggio 2003)

Viene acquistando particolare rilievo nel vernacolo siciliano la poesia di Domenico Peci, che inaugura una vena autonoma e originale, espressione di una cultura ricca di pittoreschi quadretti e di temi di lirica, intessuta di riflessioni sui problemi sociali, di vita quotidiana e di confessioni autobiografiche, che si ravvivano di immagini e di concetti assumenti caratteri di tensione suprema ed emozioni umane ricche e variate.

La padronanza tecnico-linguistica e l’analisi metrica e stilistica della raccolta “L’‘infanzia e l’adolescenza negate”, prima edizione, maggio 2003, Prova d’Autore Editrice, celebrativa della sacralità dei diritti dei bambini indifesi, oggetto di impressioni e di risonanze interiori del poeta, rivelano una complessa struttura metrica, non intervallata da scansioni da una strofe all’altra e modulata da sapiente cadenza ritmica, mentre i versi, di forma regolare, hanno l’andatura di una magica frase musicale, che espande ogni suo elemento, risolto in un intenso monologo contemplativo «intra stu’ munnu», e proietta la voce intrinseca del poeta sulla realtà esterna. La poesia ritrova in tal modo la propria intima espressività nel linguaggio colorito e in una sorta di rapimento estatico di esplodente e incontenibile commozione. Peci è pervaso dal richiamo all’amore per i piccoli indifesi dell’“infanzia negata”, suggerito dalla misteriosa voce della coscienza, che gli fa evocare, con una sorta quasi di rito, immagini dolci, «u surrisu di ‘mpicciriddu» «i ‘angili do’ surrisu», miste con l’urgenza di dichiarare qualcosa di convincente e di risolutivo, che deve rivelare ai lettori la presenza di una sconcertante realtà, nella quale, con «Virgógniti, ómu, ránni!», la lirica si trasforma in inquietante esigenza di moralità e brama di giustizia, che fanno assurgere ed elevare le considerazioni ad esplicita condanna.

Nella ripresa di questi motivi peculiari di un’etica tradizionale e risentita, il poeta opera un approccio tramato di perplessità e di riserve, in cui si avverte la viva eco del linguaggio e della lezione della voce del cuore, al cui ascolto si sente inondare di ebrietà vera e accendersi di sacro ardore e di mistico entusiasmo. Nella vita c’è bisogno di fratellanza e di amore, che il poeta ravvisa «intra ‘n ‘orfanotrofiu», dove, nella gioia della comunità di vita, si dovrebbe insegnare come bisogna avere nell’intimo tutto un tesoro di parole, stillante il miele della bontà per chi passa «L‘infanzia senza la ninnaó», per cullare chi ha necessità di consolazione e lenire le angosce segrete: norme immutabili su cui sono basate le fondamenta del grande consorzio civile. Le «Tirribili profanazioni», il «Miserabili cummerciu d’organi umani», il «No a lu travagghiu minorili» denotano un fervido attivismo sociale nell’animo di Peci, che agisce in senso apertamente anticonformistico, supportato filosoficamente da una ripresa evidente dei motivi etici principali, dei sentimenti di umanità, onde l’ingegno e gli studi non valgono quando non si racchiude in fondo all’essere un cuore palpitante di bontà, che disdegna le prassi, tanto consuete quanto stolte, e quando non c’è l’amore affratellante, supremo consigliere in tutte le contingenze della vita.

Ma al di là del manipolo di componimenti in metro vario, impreziositi da espedienti ritmici gustosi e consistenti, accanto alla palpabile suggestione di morbido e tenero sentimentalismo, vigono un’intonazione pietosa e una prospettiva umanitaria, che dettano al poeta eterogeneità tematiche e stilistiche, ordinate e ricomposte in liriche sociali dal sapore scopertamente polemico, che segna davvero una svolta espressiva, in cui affonda le radici il nuovo corso della sua poesia, che si adegua alla personalità spiccatamente originale. La materia della lirica è certamente di una sua specificità, ove l’amore e le gioie della vita cozzano con l’attenzione sulle atrocità di recenti conflitti in Iraq e in Afghanistan, che danno maggiore corposità al volume, che si può definire una perfetta raccolta autonoma nel suo genere, iscritta nel contesto di una ispirata tessitura poetica. Sul piano dello sperimentalismo espressivo, il vernacolo siciliano di Peci continua le raffinatezze linguistiche e tecniche nella ripresa delle inflessioni di un vocabolario vivo e parlato ed echeggia la stessa ansia di ricerca di uno stile proprio, la stessa percezione vivissima e sofferente del tempo, lo stesso schiudersi appassionato e travolgente del riferimento immediato del quadro di vita in che viviamo, che furono già del neoclassicismo arcade di Meli e del verismo caricaturale e grottesco di Martoglio, ai quali non esiterei ad accostarlo. La foggia della ricostruzione delicata e sfumata della sensibilità lirica, che può offrire il dialetto scelto dal vivo, fornisce in tal modo la chiave di lettura più consona per l’affermazione di temi che non perdono in lui l’esasperata tensione della sincerità espressiva e le delicate fattezze di istanze poetiche di dimensione perfetta, da cui emana la sua spiritualizzata idealità neorealistica, sia sul fronte contenutistico, che sulla scelta della forma, a tratti tipicamente elegiaca. In essa si placa l’anelito alla ricerca di uno strumento espressivo duttile e malleabile capace di rendere concreta la proteica complessità dell’anima del poeta.

Nino Sanfilippo