Il Convivio
 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

Placido Petino: Il giardino delle voci

di Enza Conti

«Il romanzo italiano rappresenta un caso a sé, difficilmente imitabile e perciò, nella grande maggioranza dei casi, irripetibile. Non appena se ne fa uno l’autore stesso, o uno dei suoi prosecutori, subito dopo ne rompe il calco: quel calco, la cui paziente e sistematica ripetizione produce, appunto, tradizione». Questa frase che proviene da una nota critica fatta da Alberto Asor Rosa sul romanzo italiano contemporaneo, bene si addice all’opera di Placido Petino: “Il giardino delle voci”. Si tratta di un romanzo che analizza l’uomo, la storia e i colori della natura, ora forti e intensi ora sfocati dal buio della notte, ma in questa spirale intrigata resta sempre l’uomo e il suo travaglio interiore alla ricerca della verità. Nel romanzo i personaggi assumono un doppio destino: quello della persona coinvolta nell’intreccio del discorso narrativo e quello nella storia, il tutto collocato in uno spazio transitorio e in continua evoluzione. “Il giardino delle voci” colpisce il lettore proprio per le avventure che si snodano in un lungo percorso che parte nel 1586, con Anton Alonso, il quale intraprende un lungo viaggio per andare ad abbracciare il piccolo Dario, il suo bambino, avuto dalla principessa Rasida. Si tratta, di un viaggio caratterizzato dal superamento di mille avversità, tra cui il terribile vento del deserto che lascia dietro di sé morte.
Ed è la morte, il passaggio all’al di là della vita terrena, uno degli elementi che spesso viene trattato dall’autore attraverso i suoi personaggi, anche se il rapporto con il passato viene rafforzato dal cammino terreno di Darius che, diventato maturo, trova nel ricordo del nonno una sorta di guida spirituale. Con questi egli ha un rapporto intenso tanto che lo sentirà sempre vicino. Ma il romanzo scorre veloce, mentre mille esperienze si susseguono in quel processo storico che porta i personaggi in tempi più recenti. Infatti sempre di rapporto umano si parla nella terza ed ultima parte del libro dove il passato riemerge durante un viaggio che Toni Antelli fa insieme al figlio Dario, ma mentre si affacciano all’orizzonte nuovi enigmi, sono quelli celati “nel giardino delle voci”, qui entra in gioco Remigio, figura emblematica di quel giardino dove l’unico intruso riposa in Pace assieme ai Frati  dell’antico monastero.
Nella parte terza, infatti, a farla da padrone è il rapporto tra il Maestro e Toni. «Mio caro Toni, hai superato il travagliato percorso delle innumerevoli angosce dell’esistenza umana, hai attraversato consapevolmente il gelo dell’estrema soglia. Hai compiuto il tragitto che conduce dai contorcimenti d’ogni anima coinvolta dal malessere di questa vita alla pura e incontaminata innocenza di un bambino. Ti è stato svelato il mistero della tua rinascita. Questo è il tuo futuro». E Toni, tenendo fede alla promessa fatta al proprio Maestro, ritorna in quel monastero completamente restaurato alla ricerca delle spoglie di Remigio. Ma ecco che riemerge il passato e Remigio si sente minuscolo e non l’uomo afflitto dal suo stato fisico e psichico. Egli nella mente di Toni viene visto giocare felice nel grande giardino e sarà ancora lui dopo la morte il custode di quel piccolo angolo di paradiso, dove sbocciano fiori dai mille colori. Scrive Sandra Maccarrone nella sua presentazione: «Un sottile legame unisce la vita di una stirpe d’uomini in una profezia, in un cerchio del destino che attraverso i secoli deve chiudersi, trovare una risoluzione. All’interno di questo cerchio, cioè al centro, vi è la figura di Anton Alonso, soldato d’esperienza alla corte del re di Spagna e figlio del nobile e potente don Hugo De Cuninga y de los Antellos. La sua storia, i fatti incredibili che egli vive sono il punto di partenza, l’inizio di un viaggio che si concluderà molti secoli dopo, in epoche e luoghi diversi». E proprio nel giardino silenzioso di quel monastero dove un tempo la vita scorreva tra il vocio allegro dei ragazzi e la voce severa del maestro si conclude la lunga storia di un uomo, o meglio di ogni uomo che vi si può raffigurare. E sul ruolo del romanzo nella letteratura mondiale lo scrittore messicano Carlos Fuentes afferma «che esso fa dell’esperienza un atto di conoscenza che “completa” il mondo; perché il romanzo è l’arte che ha saputo conquistarsi il diritto di criticare il mondo, nella misura in cui ha cominciato a mettere in discussione se stesso». E l’opera “Il giardino delle voci” si colloca in quel contesto globale della letteratura che pone il romanzo su un ampio raggio d’azione: quello dell’universalità.