Il Convivio

 

 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

La silloge di Fedel Franco Quasimodo scorre dal personale al sociale con una soavità d’intenti che liberano il poeta da ogni dimensione schematica. I versi iniziali inteneriscono per la dolcezza che il poeta manifesta verso il debole: «Ma sarò sempre al tuo fianco / a vigilare, custodire, con te, soffrire e gioire, / perché vedo in te / lo spirito di Cristo». Allo stesso modo, però, non stupisca il tono severo della critica storica che Quasimodo rivolge all’«uomo calvo e truce, / che si fa chiamare Duce», all’«ignoto aviatore» che «regala la Morte, / e ha una medaglia sul petto» o all’«austriaco caporal. / Trascinatore di popolo, / rivendicatore di torti, / trascina la Nazione / in un ginepraio di morti». Sono i diversi risvolti di un carattere poetico sensibile ed altruista, di uno spirito inquieto incapace di tacere le contraddizioni della storia, del quotidiano e le proprie. «Perché getto versi?» si domanda Quasimodo. «È forse perché / voglio tradurre in arte / la mia angoscia?». Il suo è un percorso difficile, così come è difficile quello dell’essere umano in genere. Soffre il soldato, destinato a morire «per vivere in eterno, / osservando con grande giubilo / l’odio che inalbera / il vessillo di resa». Soffre il vecchio «perché avvolto dalla malinconia / di non avere più nulla da dire / e nulla da fare». Soffre lo squatter «cattivo, forse, / ma anche vittima: / di una famiglia che non ti ha mai parlato / e ti ha solo sopportato». E soffre anche il poeta. Malinconico, depresso, saltimbanco, ma poeta. Che «gioca con la rima, / per guadagnar vana stima». Poeta a dispetto di chi lo vorrebbe isolato nel suo eremo. Un poeta legato emotivamente al mondo; forte nelle immagini più accese dei suoi versi ed emozionante nel pianto in cui scioglie le sue inquietudini più profonde. «Non sono altro che una lacrima / che mai muore / perché sgorga / da una fontana / sempre zampillan­te / che è l’umanità».

Eloisa Nicotra