Il Convivio

 

 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

Franco Ruffo, La vita, l’amore e la morte nella poesia di Lionello Fiumi

(Libraria Padovana Ed.)

Nella “Cittadella” di Cronin, il medico si riduce a lavorare come operaio nella miniera, l’uomo ignorante e intraprendente, che vive di espedienti e sotterfugi, assurge alle più alte cariche dello Stato. Accade spesso che persone valide, ignorate e non riconosciute nei loro meriti, finiscano nel dimenticatoio, mentre altre, che non hanno cultura né titoli, occupino posti di prestigio, «restino sugli altari e vengano assunte a ‘santoni’ di certe correnti e parrocchie politiche e inserite nelle antologie scolastiche» (Licio Gelli). Quanti bravi artisti sconosciuti meriterebbero di essere collocati vicino ai cosiddetti ‘Grandi’... Un plauso a tutti coloro che conducono uno studio attento per riscoprire talenti dimenticati, farli conoscere e inserirli tra quelli meritevoli come loro ma più fortunati. Nel nostro caso la lode va a Franco Ruffo il quale, attraverso una ricerca dettagliata e scrupolosa, è riuscito a raccogliere in un saggio importanti notizie sulla vita e sull’opera di Lionello Fiumi. Questo poeta, uomo molto sensibile e incline alla solitudine, aveva una certa ritrosia a coinvolgere gli studiosi che avrebbero voluto e potuto accrescerne la notorietà e mostrarlo nel suo reale valore poetico e come divulgatore di letteratura all’estero. È uno dei motivi della sua dimenticanza. Ogni dolore, ogni dispiacere, lo portavano ad isolarsi: nella solitudine riusciva ad alleviare la sua pena, a dare conforto al suo animo angosciato. Ruffo ne descrive le tappe progressive in tutti i campi: nella vita familiare, ricca di avvenimenti più tristi che lieti, nella fertile produzione poetica, nelle numerose iniziative culturali, nei viaggi frequenti in molti luoghi dello scibile, nei molteplici riconoscimenti di Premi Letterari  Internazionali... Ne illustra le tendenze letterarie tese più verso l’antico che verso il moderno, «Liberarsi degli ingombri del passato senza cadere negli eccessi del futurismo»; presentalo scrittore nel suo aspetto di “uomo liberista” (incompreso per le sue idee troppo personali), nella sua poesia triste e profonda che lo avvicina alla «meravigliosa potenza leopardiana», nel suo tornare alla spontaneità della libera melodia francescana col verso libero. «Si può trattare il verso libero e non essere futurista» proclamava Fiumi nel “Manifesto” preposto a “Polline”, nella sua considerazione per le donne viste dapprima come “amori facili”, dopo come Amore vero, maturo (quello che sentiva per la moglie... Le due donne ispiratrici della sua vita furono la madre e la moglie Marta). Caflos D. Fernandes: «Allontanandosi da Marinetti, la cui estetica gli parve chiassosa ed esibizionista, Fiumi fu uno dei pionieri dell'avanguardismo». Ruffo termina il saggio, edito dalla nota Libraria Padovana Editrice, con queste parole: «Storia di vita, d’amore, di morte di un ‘neoromantico avanguardista, sempre in prima fila’ che visse e morì di Poesia e d’Amore».

Antonia Izzi Rufo