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Le storie
della valle della luna
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La
stagione
delle
piogge
era
arrivata
e la Valle
della Luna
aveva ritrovato il
suo consueto splendore: rigogliosa,
lussureggiante, prosperosa, densa di vegetazione
di ogni tipo.
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Era chiamata “Valle
della Luna” perché il suo paesaggio era arido e
sterile per buona parte dell’anno, ma quando
arrivavano le piogge... allora... allora, era il
Paradiso!
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Era uno smuoversi e
un muoversi eccezionale... era un alzarsi...
alzarsi... alzarsi... fino ad arrivare a
solleticare il cielo... e la sabbia arida spariva
completamente lasciando il posto ad un verde
smeraldo che luccicava, come pietre preziose, di
sera... all’accendersi della luna!
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Le affusolate
licopodiacee, i sottili equiseti, le sterminate
cicadacee riempivano la parte bassa della foresta;
mentre le wilandielle riempivano la parte
superiore, aprendo le loro foglie a ventaglio o a
ombrello sulla sommità del tronco; tutt’intorno
poi era un germogliare di conifere nane, ginko, e
felci arboree; svettavano in alto le conifere
giganti che con i loro 50 metri d’altezza
sembravano vedette in attesa del nemico o forse
erano solo ansiose di cogliere, per prime, i raggi
del sole che s’alzava all’orizzonte e quelli della
luna che inargentava le notti.
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Le notti... già...
le notti!
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Le notti che non
tacevano mai, avevano sempre storie da
raccontare... sempre nuove e sempre antiche... ed
ogni notte un nome diverso.
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Al sorgere della
luna, ecco un troodonte che comincia la sua
caccia... i piccoli mammiferi, per quanto
diffidenti e veloci, non riescono mai a sottrarsi
allo scatto fulmineo di questo insidioso animale
dalla vista acuta e dal cervello efficientissimo
che gli permette di reagire con prontezza di
fronte ad ogni pericolo.
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Come
un
ghepardo,
sferra
i
suoi
attacchi
notturni
sui cuccioli
di dinosauri erbivori, devasta i nidi di
orodromeus.
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A metà fra un
uccello, per i suoi potenti artigli, e un gatto
dalle enormi proporzioni, con i suoi ampi occhi e
le pupille dilatate per raccogliere tutta la luce
possibile, si muove silenzioso nella fitta
vegetazione; al cadere dell’oscurità, molte ombre
si muovono furtive nel buio ed è ben difficile
distinguerle... il troodonte coglie di sorpresa la
preda, la tramortisce con un forte morso e con il
suo artiglio a falcetto la lacera, dilaniandola
poi con le sue robuste mascelle e i piccoli ma
affilatissimi denti.
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Ogni notte era
piena di storie anonime, ma sempre note: ora
toccava ad un nido, adesso ad una nidiata di
morganucodoni, oppure ad un piccolo plateosauro
smarritosi nel tentativo di esplorare il mondo o
ancora ad un anchisauro intento a divorare
manciate di verdi germogli muschiosi. Ma la storia
di quella notte aveva qualcosa di strano ed aveva
anche un nome diverso...
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Huia camminava
ormai da ore, forse da giorni.
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Già molte volte la
luna aveva illuminato la valle e poi era
scomparsa.
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Si girava intorno
nella speranza di scorgere un rumore amico, un
qualcosa di conosciuto, anche solo il tronco di un
albero già visto o il colore di un fiore già
odorato, qualunque cosa che potesse darle la
certezza di essere vicina alla sua dimora.
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Spesso inciampava
nelle grossi felci, stordita dal forte sole del
giorno, indebolita per la fame che non saziava
da... da... da un numero sconosciuto di... cosa
mangiare, cosa è buono e cosa non lo è!
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Quei frutti
sembrano buoni, ma sono troppo alti! Quei semi
sono gustosi... ma sono troppo duri per aprirli!
Quelle bacche sono saporite... ma troppe spine le
proteggono a difesa! Quell’erba è dolce... ma è
pericoloso avventurarsi nella parte più fitta
della foresta.
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Cercava di
mantenersi ai margini del bosco, così da avere
davanti a sé un vasto orizzonte, nella speranza di
scorgere un volto amico o sentire un verso simile
al suo nome “Hu ... Hu... Huia”
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La luna spuntò per
l’ennesima volta e si alzò nel cielo argentato in
tutto il suo splendore.
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Huia, stanca e
sfinita, si appoggiò al tronco di una grossa
conifera e, in men che non si dica, i suoi occhi
già vedevano volti cari e sentivano il calore
buono e sicuro del fuoco nella grotta.
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Silenzioso e acuto,
il troodonte avanzava nella notte e già pregustava
prelibati pranzetti; avanzava a passi rapidi e
sicuri, scrutando a destra e a sinistra in cerca
di ...
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Scorse il tenero
viso di Huia all’ombra dell’arbusto, illuminato
dai raggi della luna che riempiva ormai l’intero
vasto cielo.
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Al vederla, i suoi
occhi acquistarono luce nuova e divennero ancora
più enormi.., il piacere già colava dalla sua
bocca spalancata in abbondante saliva ...
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Attese ancora
qualche attimo, quasi volesse gustarsi quell’immagine
con gli occhi; per un istante in quegli occhi
avidi.., sembrò di intravedere un barlume di
istinto materno, quell’istinto che gode della
vista delle proprie creature addormentate: era un
troodonte femmina che aveva appena avuto dei
cuccioli e si aggirava per la foresta in cerca di
cibo per i suoi nati.
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La dolcezza di quel
volto dolce sembrava l’avesse incantata.., ma fu
solo un attimo... l’esitazione di un attimo che le
costò molto cara.
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La legge della
Natura è crudele e l’istinto di sopravvivenza è
più forte di quello tenero di una madre.
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Allungò il suo
sottile collo e i suoi denti luccicarono colpiti
da un raggio di luna che filtrò improvviso tra le
foglie dell’albero sotto il quale dormiva la
ragazza.
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Ma quella notte la
luna aveva deciso di non essere sua complice e di
prendere le difese di quel cucciolo d’uomo.
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Poco più lontano
qualcos’altro, di altrettanto affilato e tagliente
quanto mortale, luccicò allo stesso raggio di
luna.
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Le lance di selce
di alcuni uomini erano già puntate contro il suo
collo che s’allungava e fu una pioggia di frecce
rapida e precisa quella che in un solo istante
trapassò la sua dura pelle, il predatore, come la
legge della jungla vuole, era diventato preda.
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Non fece nemmeno in
tempo ad emettere un ultimo grido che il suo corpo
si allungò ai piedi della ragazza, svegliata
dall’aria smossa provocata dall’accasciarsi del
mostruoso animale.
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Spalancò gli occhi
che si incendiarono di paura e restò immobile,
bloccata, per decidere da che parte venisse il
pericolo.
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Non capiva perché
quel grosso bestione stesse fermo, immobile ai
suoi piedi, perché non l’aggrediva, che cosa stava
aspettando?
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Poi senti un
muoversi di foglie e di occhi che nella notte
l’osservavano: due... quattro... otto... tanti...
tanti occhi tutti in una volta!
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Occhi amici o occhi
nemici?! Buoni o cattivi?!
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La sua mente non
riusciva a capire cosa fare: aspettare...
scappare... gridare... fidarsi...
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Certo.. fidarsi...
ma di chi... di chi erano quegli occhi che la
scrutavano nella notte?
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Gli uomini uscirono
allo scoperto e fecero cerchio intorno a lei, si
assicurarono che il troodonte non potesse più far
del male a nessuno e abbassati i loro archi
fissavano, adesso, quegli occhi di cerbiatto
spaventato.
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Gli unici uomini
che aveva visto in vita sua erano quelli del suo
clan che conosceva uno per uno: chi aveva una
cicatrice sulla guancia, chi zoppicava, a chi
mancava un braccio, calpestato da un branco di
bisonti, a chi la zanna di un mammut aveva portato
via un occhio... ma quei volti, fra quei volti non
riconosceva nessuno di loro.
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Fu comunque
contenta che si trattasse di uomini, capì anche
che erano stati loro a salvarla dal pericolo che
incombeva su di lei. Ma sentiva ugualmente
nell’aria che un altro pericolo stava per
attraversare la sua vita, qualcosa di altrettanto
terribile, forse più della morte stessa, stava per
ferire la sua tenera sorte e senti di essere tutt’altro
che al sicuro.
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Ingenua e delicata,
si alzò in piedi e un raggio di luna la investì in
pieno mostrando le sue tenere membra di ragazzina.
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Gli occhi degli
uomini si accesero di uno strano desiderio,
s’illuminarono come quelli del troodonte alla
vista della preda e si schiusero per catturare
quanta più luce possibile così da ammirarla
meglio.
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Si scambiarono
occhiate di complicità fra loro, poi uno di loro
si avvicinò alla ragazza, la prese sul suo dorso,
a mo’ di preda catturata e in silenzio si
diressero verso l’altro margine del bosco.
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Camminarono a
lungo, tanto a lungo che Huia non sapeva più se il
suo corpo ancora le appartenesse: era provato
dalla fame, dalla stanchezza, dalla paura e da
quella strana posizione che da ore si trovava a
vivere sulle spalle di quell’ uomo.
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Finalmente l’alba
infervorò il cielo.
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Di lì a poco,
giunsero in una radura e da lontano già si
scorgevano delle caverne sotto un’alta roccia
ricoperta da fitto muschio..
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Il suo corpo fu
finalmente deposto sull’erba umida e gelida del
mattino.
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Altri uomini le si
fecero intorno: uomini... solo uomini.., tanti
uomini...!
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E tutti uomini a
lei sconosciuti.
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Fu un solo sguardo
quello che passò fra i loro occhi, un solo
desiderio, un solo pensiero.
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Da troppo tempo
stavano lontano dalle loro famiglie, erano partiti
due stagioni prima per inseguire un branco di
bisonti e l’inseguimento li aveva portati molto
lontani dalle loro terre, i bisonti continuavano a
sfuggire ai loro attacchi e loro si allontanavano
sempre più.
- I desideri che
Huia leggeva negli occhi di quegli uomini erano
molto pericolosi, capì in quel momento che il
vero predatore non era il troodonte... ma coloro
che le stavano intorno!
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Usci,
per
ultimo,
dalla
caverna
più
grande,
un
uomo
muscoloso
e
alto,
fiero
e
robusto;
aveva il
corpo segnato da profondi cicatrici, lo sguardo
duro ed una mente che sapeva pensare... ma anche
lui era un uomo... e a lui toccava fare ciò che
gli altri si aspettavano che facesse. Formarono un
cerchio intorno a lei e cominciarono a muoversi
ritmicamente emettendo suoni gutturali come quelli
di un gufo nella notte.
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Lo sciamano davanti
a lei la fissava dritta negli occhi seguendo il
movimento delle sue pupille stupite che cercavano
di sapere... di capire... di sentire... quale
pensiero nella mente di quegli uomini stava
rìtmando in quel modo. Il ritmo si faceva sempre
più intenso, profondo, ossessionante e cominciò ad
entrarle dentro... attraverso gli occhi, le
orecchie... le narici.., invase tutto lo spazio
dentro di lei... fino a quando il suo corpo si
accasciò al suolo come foglie caduta dal ramo. Lo
stregone alzò allora una mano e tutto tacque.
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Due di loro presero
la ragazza e la portarono nella grotta più grande,
al centro della quale ardeva un grande fuoco.
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Un bastone di legno
era stato messo di traverso sul fuoco e la punta
era già di un rosso incandescente; era di un legno
particolare, che bruciava molto lentamente e
manteneva il calore a lungo. I due uomini uscirono
dalla grotta e si misero in cerchio con gli altri
che, seduti, aspettavano... aspettavano...
aspettavano...
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Lo stregone ritirò
quel bastone dal fuoco, fece alcuni gesti a lui
noti, e poi l’affondò nella tenera pelle bianca
della ragazza: un filo di fumo si alzò da quel
contatto e l’odore di carne bruciata riempì la
grotta spandendosi fuori nella notte, ad inebriare
le narici degli uomini seduti all’aperto: ora
tutto era compiuto... ora quella “preda”
apparteneva a loro, era parte di loro e su di lei
avevano acquisito il diritto di vita e di morte.
- Il dolore non
aveva sfiorato la mente della ragazza che era
lontana... lontana... in sterminate praterie,
trasportata da quel ritmo incalzante, su pianure
e foreste ricche di fiori e di cibo ogni tipo.
- Passò qualche
ora, poi lentamente Huia tornò in sé e riaprì
gli occhi, scoprì così che il suo corpo ormai
non le apparteneva più per davvero: i desideri
degli uomini le avevano lasciato cicatrici
profonde, molto profonde... sulla sua pelle e
sul suo essere donna.
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Si era addormentata
fanciulla e... si risvegliava donna... i segni
degli uomini passati su di lei le avevano lasciato
un dolore che la prendeva fino in fondo... in un
luogo profondo che lei non aveva mai conosciuto
prima di allora e non capiva cos’era... cosa c’era
adesso nel suo corpo che prima non c’era...
cos’era quel dolore così intenso che la straziava
dentro pur senza esserci segni di ferite fuori...?
Il suo corpo portava il segno del passaggio
dell’uomo e come un fiore che dura solo una notte,
si trovò smarrita nella sua breve vita
e nella sua
fragile pelle... si cercava... si cercava... ma
quella pelle le faceva paura, non le apparteneva
più... capì in quel momento che gli uomini, pur
non avendo artigli a falcetto e denti aguzzi come
il troodonte, nel quale, anche se per un solo
istante, era pur affiorato un delicato istinto
materno... capi che gli uomini possono fare più
male degli stessi dinosauri: nei loro occhi era
passato un desiderio fermo che soddisfaceva quell’istinto
predatore che non conosce pietà per le prede
indifese:
l’istinto
di
conservazione della specie è più forte
dell’istinto di sopravvivenza, ed è nell’uomo che
questo istinto tocca la sua massima ampiezza!
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Ora lei, cerbiatto
ferito nella trappola umana, segnata a fuoco e a
sangue, era diventata parte di quella nuova tribù
e come a loro doveva la vita, così adesso a loro
doveva anche la sua morte.
-
Non fu mai più
padrona dei suoi giorni e delle sue notti: ognuno
di loro, con quel rito, ne era diventato ‘legittimo’
proprietario.
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A distanza di mesi,
con lo sciogliersi delle nevi, il gruppo nomade
ritornò finalmente nelle sue terre, nella valle
dove le famiglie attendevano il loro ritorno. Uno
schiamazzo di bimbi li accolsero festanti. Altri
occhi, con nello sguardo la stessa cicatrice
presente nel suo, si fecero avanti, portando, tra
le braccia, bimbi appena nati, nudi come il suo
... sulla pelle chiara ogni mamma portava lo
stesso segno nero fissato nella notte
- Non avrebbe
rivisto più la sua famiglia, non avrebbe rivisto
più la sua valle... ora quella famiglia, quella
valle sarebbero state le uniche persone e le
uniche cose che avrebbe visto da quel giorno in
poi... una fitta di dolore ... le/mi...
attraversò il cuore... e mi svegliai, strofinai
gli occhi ed ebbi paura... il bambino... il
bambino... dov’è... l’ho perso... chi ha preso
il mio bambino...?
- Parole senza
senso uscivano dalla mia bocca e mia figlia mi
guardava stupita: “Ma cosa dici, mamma, quale
bambino, di quale bambino parli? Non c’è nessun
bambino qui, non hai nessun bambino, noi siamo
ormai cresciuti... chi cerchi?”
- Per un istante
non capii e non riconobbi il suono della sua
voce.., poi tutto mi fu......
-
“Niente, niente...
devo aver solo sognato... almeno credo...!”.
-
Un dubbio, però,
attraversò i miei pensieri... andai allo specchio
e cercai, cercai e... non era possibile, non era
possibile!!!
- Sulla mia
pelle bianca... un segno nero! Come una
bruciatura... una cicatrice profonda che
violentava il mio corpo! E quando me l’ero
fatta? Non me lo ricordavo, proprio non me lo
ricordavo! Forse quand’ero piccola mi ero
scottata con il fuoco, forse un incidente...
forse... forse... ma perché non l’avevo mai
vista prima?
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La voce del
giornalista mi riportò alla realtà...
- «Aveva appena
14 anni, è stata uccisa e forse stuprata in una
cascina di campagna... dai suoi stessi compagni
e da un uomo... un uomo adulto... che ha
lasciato sul suo corpo... il segno del suo
passaggio... un desiderio nato da un
istinto...».
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Un istinto ferino e
primordiale, un istinto che segna più dei denti
del troodonte! - continuai io nella mia mente -
Si chiamava Huia...
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Ma il giornalista
continuò: «Si chiamava Desirèe ed era una ragazza
dolcissima!».
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La luna tornò ad illuminare la
valle d’argento e a prepararsi per la sua
prossima storia... poi illuminò il mio balcone e
capii che la luna vive un tempo che non passa
mai, non ha confini, fra Huia e Desirèe erano
passati pochi istanti, forse neanche uno...
forse erano la stessa persona... eppure il
calendario segnava un tempo fra di loro... lungo
anni... milioni di anni!!!
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Racconto
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