Il Convivio
 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

  Jolanda Serra
Le storie della valle della luna 

La stagione delle piogge era arrivata e la Valle della Luna aveva ritrovato il suo consueto splendore: rigogliosa, lussureggiante, prosperosa, densa di vegetazione di ogni tipo.
Era chiamata “Valle della Luna” perché il suo paesaggio era arido e sterile per buona parte dell’anno, ma quando arrivavano le piogge... allora... allora, era il Paradiso!
Era uno smuoversi e un muoversi eccezionale... era un alzarsi... alzarsi... alzarsi... fino ad arrivare a solleticare il cielo... e la sabbia arida spariva completamente lasciando il posto ad un verde smeraldo che luccicava, come pietre preziose, di sera... all’accendersi della luna!
Le affusolate licopodiacee, i sottili equiseti, le sterminate cicadacee riempivano la parte bassa della foresta; mentre le wilandielle riempivano la parte superiore, aprendo le loro foglie a ventaglio o a ombrello sulla sommità del tronco; tutt’intorno poi era un germogliare di conifere nane, ginko, e felci arboree; svettavano in alto le conifere giganti che con i loro 50 metri d’altezza sembravano vedette in attesa del nemico o forse erano solo ansiose di cogliere, per prime, i raggi del sole che s’alzava all’orizzonte e quelli della luna che inargentava le notti.
Le notti... già... le notti!
Le notti che non tacevano mai, avevano sempre storie da raccontare... sempre nuove e sempre antiche... ed ogni notte un nome diverso.
Al sorgere della luna, ecco un troodonte che comincia la sua caccia... i piccoli mammiferi, per quanto diffidenti e veloci, non riescono mai a sottrarsi allo scatto fulmineo di questo insidioso animale dalla vista acuta e dal cervello efficientissimo che gli permette di reagire con prontezza di fronte ad ogni pericolo.
Come un ghepardo, sferra i suoi attacchi notturni sui cuccioli di dinosauri erbivori, devasta i nidi di orodromeus.
A metà fra un uccello, per i suoi potenti artigli, e un gatto dalle enormi proporzioni, con i suoi ampi occhi e le pupille dilatate per raccogliere tutta la luce possibile, si muove silenzioso nella fitta vegetazione; al cadere dell’oscurità, molte ombre si muovono furtive nel buio ed è ben difficile distinguerle... il troodonte coglie di sorpresa la preda, la tramortisce con un forte morso e con il suo artiglio a falcetto la lacera, dilaniandola poi con le sue robuste mascelle e i piccoli ma affilatissimi denti.
Ogni notte era piena di storie anonime, ma sempre note: ora toccava ad un nido, adesso ad una nidiata di morganucodoni, oppure ad un piccolo plateosauro smarritosi nel tentativo di esplorare il mondo o ancora ad un anchisauro intento a divorare manciate di verdi germogli muschiosi. Ma la storia di quella notte aveva qualcosa di strano ed aveva anche un nome diverso...
Huia camminava ormai da ore, forse da giorni.
Già molte volte la luna aveva illuminato la valle e poi era scomparsa.
Si girava intorno nella speranza di scorgere un rumore amico, un qualcosa di conosciuto, anche solo il tronco di un albero già visto o il colore di un fiore già odorato, qualunque cosa che potesse darle la certezza di essere vicina alla sua dimora.
Spesso inciampava nelle grossi felci, stordita dal forte sole del giorno, indebolita per la fame che non saziava da... da... da un numero sconosciuto di... cosa mangiare, cosa è buono e cosa non lo è!
Quei frutti sembrano buoni, ma sono troppo alti! Quei semi sono gustosi... ma sono troppo duri per aprirli! Quelle bacche sono saporite... ma troppe spine le proteggono a difesa! Quell’erba è dolce... ma è pericoloso avventurarsi nella parte più fitta della foresta.
Cercava di mantenersi ai margini del bosco, così da avere davanti a sé un vasto orizzonte, nella speranza di scorgere un volto amico o sentire un verso simile al suo nome “Hu ... Hu... Huia”
La luna spuntò per l’ennesima volta e si alzò nel cielo argentato in tutto il suo splendore.
Huia, stanca e sfinita, si appoggiò al tronco di una grossa conifera e, in men che non si dica, i suoi occhi già vedevano volti cari e sentivano il calore buono e sicuro del fuoco nella grotta.
Silenzioso e acuto, il troodonte avanzava nella notte e già pregustava prelibati pranzetti; avanzava a passi rapidi e sicuri, scrutando a destra e a sinistra in cerca di ...
Scorse il tenero viso di Huia all’ombra dell’arbusto, illuminato dai raggi della luna che riempiva ormai l’intero vasto cielo.
Al vederla, i suoi occhi acquistarono luce nuova e divennero ancora più enormi.., il piacere già colava dalla sua bocca spalancata in abbondante saliva ...
Attese ancora qualche attimo, quasi volesse gustarsi quell’immagine con gli occhi; per un istante in quegli occhi avidi.., sembrò di intravedere un barlume di istinto materno, quell’istinto che gode della vista delle proprie creature addormentate: era un troodonte femmina che aveva appena avuto dei cuccioli e si aggirava per la foresta in cerca di cibo per i suoi nati.
La dolcezza di quel volto dolce sembrava l’avesse incantata.., ma fu solo un attimo... l’esitazione di un attimo che le costò molto cara.
La legge della Natura è crudele e l’istinto di sopravvivenza è più forte di quello tenero di una madre.
Allungò il suo sottile collo e i suoi denti luccicarono colpiti da un raggio di luna che filtrò improvviso tra le foglie dell’albero sotto il quale dormiva la ragazza.
Ma quella notte la luna aveva deciso di non essere sua complice e di prendere le difese di quel cucciolo d’uomo.
Poco più lontano qualcos’altro, di altrettanto affilato e tagliente quanto mortale, luccicò allo stesso raggio di luna.
Le lance di selce di alcuni uomini erano già puntate contro il suo collo che s’allungava e fu una pioggia di frecce rapida e precisa quella che in un solo istante trapassò la sua dura pelle, il predatore, come la legge della jungla vuole, era diventato preda.
Non fece nemmeno in tempo ad emettere un ultimo grido che il suo corpo si allungò ai piedi della ragazza, svegliata dall’aria smossa provocata dall’accasciarsi del mostruoso animale.
Spalancò gli occhi che si incendiarono di paura e restò immobile, bloccata, per decidere da che parte venisse il pericolo.
Non capiva perché quel grosso bestione stesse fermo, immobile ai suoi piedi, perché non l’aggrediva, che cosa stava aspettando?
Poi senti un muoversi di foglie e di occhi che nella notte l’osservavano: due... quattro... otto... tanti... tanti occhi tutti in una volta!
Occhi amici o occhi nemici?! Buoni o cattivi?!
La sua mente non riusciva a capire cosa fare: aspettare... scappare... gridare... fidarsi...
Certo.. fidarsi... ma di chi... di chi erano quegli occhi che la scrutavano nella notte?
Gli uomini uscirono allo scoperto e fecero cerchio intorno a lei, si assicurarono che il troodonte non potesse più far del male a nessuno e abbassati i loro archi fissavano, adesso, quegli occhi di cerbiatto spaventato.
Gli unici uomini che aveva visto in vita sua erano quelli del suo clan che conosceva uno per uno: chi aveva una cicatrice sulla guancia, chi zoppicava, a chi mancava un braccio, calpestato da un branco di bisonti, a chi la zanna di un mammut aveva portato via un occhio... ma quei volti, fra quei volti non riconosceva nessuno di loro.
Fu comunque contenta che si trattasse di uomini, capì anche che erano stati loro a salvarla dal pericolo che incombeva su di lei. Ma sentiva ugualmente nell’aria che un altro pericolo stava per attraversare la sua vita, qualcosa di altrettanto terribile, forse più della morte stessa, stava per ferire la sua tenera sorte e senti di essere tutt’altro che al sicuro.
Ingenua e delicata, si alzò in piedi e un raggio di luna la investì in pieno mostrando le sue tenere membra di ragazzina.
Gli occhi degli uomini si accesero di uno strano desiderio, s’illuminarono come quelli del troodonte alla vista della preda e si schiusero per catturare quanta più luce possibile così da ammirarla meglio.
Si scambiarono occhiate di complicità fra loro, poi uno di loro si avvicinò alla ragazza, la prese sul suo dorso, a mo’ di preda catturata e in silenzio si diressero verso l’altro margine del bosco.
Camminarono a lungo, tanto a lungo che Huia non sapeva più se il suo corpo ancora le appartenesse: era provato dalla fame, dalla stanchezza, dalla paura e da quella strana posizione che da ore si trovava a vivere sulle spalle di quell’ uomo.
Finalmente l’alba infervorò il cielo.
Di lì a poco, giunsero in una radura e da lontano già si scorgevano delle caverne sotto un’alta roccia ricoperta da fitto muschio..
Il suo corpo fu finalmente deposto sull’erba umida e gelida del mattino.
Altri uomini le si fecero intorno: uomini... solo uomini.., tanti uomini...!
E tutti uomini a lei sconosciuti.
Fu un solo sguardo quello che passò fra i loro occhi, un solo desiderio, un solo pensiero.
Da troppo tempo stavano lontano dalle loro famiglie, erano partiti due stagioni prima per inseguire un branco di bisonti e l’inseguimento li aveva portati molto lontani dalle loro terre, i bisonti continuavano a sfuggire ai loro attacchi e loro si allontanavano sempre più.
I desideri che Huia leggeva negli occhi di quegli uomini erano molto pericolosi, capì in quel momento che il vero predatore non era il troodonte... ma coloro che le stavano intorno!
Usci, per ultimo, dalla caverna più grande, un uomo muscoloso e alto, fiero e robusto; aveva il corpo segnato da profondi cicatrici, lo sguardo duro ed una mente che sapeva pensare... ma anche lui era un uomo... e a lui toccava fare ciò che gli altri si aspettavano che facesse. Formarono un cerchio intorno a lei e cominciarono a muoversi ritmicamente emettendo suoni gutturali come quelli di un gufo nella notte.
Lo sciamano davanti a lei la fissava dritta negli occhi seguendo il movimento delle sue pupille stupite che cercavano di sapere... di capire... di sentire... quale pensiero nella mente di quegli uomini stava rìtmando in quel modo. Il ritmo si faceva sempre più intenso, profondo, ossessionante e cominciò ad entrarle dentro... attraverso gli occhi, le orecchie... le narici.., invase tutto lo spazio dentro di lei... fino a quando il suo corpo si accasciò al suolo come foglie caduta dal ramo. Lo stregone alzò allora una mano e tutto tacque.
Due di loro presero la ragazza e la portarono nella grotta più grande, al centro della quale ardeva un grande fuoco.
Un bastone di legno era stato messo di traverso sul fuoco e la punta era già di un rosso incandescente; era di un legno particolare, che bruciava molto lentamente e manteneva il calore a lungo. I due uomini uscirono dalla grotta e si misero in cerchio con gli altri che, seduti, aspettavano... aspettavano... aspettavano...
Lo stregone ritirò quel bastone dal fuoco, fece alcuni gesti a lui noti, e poi l’affondò nella tenera pelle bianca della ragazza: un filo di fumo si alzò da quel contatto e l’odore di carne bruciata riempì la grotta spandendosi fuori nella notte, ad inebriare le narici degli uomini seduti all’aperto: ora tutto era compiuto... ora quella “preda” apparteneva a loro, era parte di loro e su di lei avevano acquisito il diritto di vita e di morte.
Il dolore non aveva sfiorato la mente della ragazza che era lontana... lontana... in sterminate praterie, trasportata da quel ritmo incalzante, su pianure e foreste ricche di fiori e di cibo ogni tipo.
Passò qualche ora, poi lentamente Huia tornò in sé e riaprì gli occhi, scoprì così che il suo corpo ormai non le apparteneva più per davvero: i desideri degli uomini le avevano lasciato cicatrici profonde, molto profonde... sulla sua pelle e sul suo essere donna.
Si era addormentata fanciulla e... si risvegliava donna... i segni degli uomini passati su di lei le avevano lasciato un dolore che la prendeva fino in fondo... in un luogo profondo che lei non aveva mai conosciuto prima di allora e non capiva cos’era... cosa c’era adesso nel suo corpo che prima non c’era... cos’era quel dolore così intenso che la straziava dentro pur senza esserci segni di ferite fuori...? Il suo corpo portava il segno del passaggio dell’uomo e come un fiore che dura solo una notte, si trovò smarrita nella sua breve vita e nella sua fragile pelle... si cercava... si cercava... ma quella pelle le faceva paura, non le apparteneva più... capì in quel momento che gli uomini, pur non avendo artigli a falcetto e denti aguzzi come il troodonte, nel quale, anche se per un solo istante, era pur affiorato un delicato istinto materno... capi che gli uomini possono fare più male degli stessi dinosauri: nei loro occhi era passato un desiderio fermo che soddisfaceva quell’istinto predatore che non conosce pietà per le prede indifese: l’istinto di conservazione della specie è più forte dell’istinto di sopravvivenza, ed è nell’uomo che questo istinto tocca la sua massima ampiezza!
Ora lei, cerbiatto ferito nella trappola umana, segnata a fuoco e a sangue, era diventata parte di quella nuova tribù e come a loro doveva la vita, così adesso a loro doveva anche la sua morte.
Non fu mai più padrona dei suoi giorni e delle sue notti: ognuno di loro, con quel rito, ne era diventato ‘legittimo’ proprietario.
A distanza di mesi, con lo sciogliersi delle nevi, il gruppo nomade ritornò finalmente nelle sue terre, nella valle dove le famiglie attendevano il loro ritorno. Uno schiamazzo di bimbi li accolsero festanti. Altri occhi, con nello sguardo la stessa cicatrice presente nel suo, si fecero avanti, portando, tra le braccia, bimbi appena nati, nudi come il suo ... sulla pelle chiara ogni mamma portava lo stesso segno nero fissato nella notte
Non avrebbe rivisto più la sua famiglia, non avrebbe rivisto più la sua valle... ora quella famiglia, quella valle sarebbero state le uniche persone e le uniche cose che avrebbe visto da quel giorno in poi... una fitta di dolore ... le/mi... attraversò il cuore... e mi svegliai, strofinai gli occhi ed ebbi paura... il bambino... il bambino... dov’è... l’ho perso... chi ha preso il mio bambino...?
Parole senza senso uscivano dalla mia bocca e mia figlia mi guardava stupita: “Ma cosa dici, mamma, quale bambino, di quale bambino parli? Non c’è nessun bambino qui, non hai nessun bambino, noi siamo ormai cresciuti... chi cerchi?”
Per un istante non capii e non riconobbi il suono della sua voce.., poi tutto mi fu......
“Niente, niente... devo aver solo sognato... almeno credo...!”.
Un dubbio, però, attraversò i miei pensieri... andai allo specchio e cercai, cercai e... non era possibile, non era possibile!!!
Sulla mia pelle bianca... un segno nero! Come una bruciatura... una cicatrice profonda che violentava il mio corpo! E quando me l’ero fatta? Non me lo ricordavo, proprio non me lo ricordavo! Forse quand’ero piccola mi ero scottata con il fuoco, forse un incidente... forse... forse... ma perché non l’avevo mai vista prima?
La voce del giornalista mi riportò alla realtà...
«Aveva appena 14 anni, è stata uccisa e forse stuprata in una cascina di campagna... dai suoi stessi compagni e da un uomo... un uomo adulto... che ha lasciato sul suo corpo... il segno del suo passaggio... un desiderio nato da un istinto...».
Un istinto ferino e primordiale, un istinto che segna più dei denti del troodonte! - continuai io nella mia mente -  Si chiamava Huia...
Ma il giornalista continuò: «Si chiamava Desirèe ed era una ragazza dolcissima!».
La luna tornò ad illuminare la valle d’argento e a prepararsi per la sua prossima storia... poi illuminò il mio balcone e capii che la luna vive un tempo che non passa mai, non ha confini, fra Huia e Desirèe erano passati pochi istanti, forse neanche uno... forse erano la stessa persona... eppure il calendario segnava un tempo fra di loro... lungo anni... milioni di anni!!!

 Racconto

 

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