Il Convivio
 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

 Lucia Tumino: Raccolta unica di pensieri e poesie (Ed. Iblea Grafica, dicembre 2000)

Albe, stagioni e lacrime sono il substrato più caratteristico di questa raccolta. Ma anche ricordi e nostalgie, affetti familiari e sogni giovanili e, infine ma non ultima, la ‘pietas’ per gli sventurati e i diseredati del mondo. Insomma ce n’è in abbondanza per soggetti poetici. Il lettore che sa leggere troverà preziosi gioielli da evidenziare e da illuminare con i più smaglianti colori di ‘flashes’ caleidoscopici. Naturalmente ci sono anche gli ‘extra’. Scegliamone subito uno, tanto per cominciare (e anche per esemplificare): «Si cullan le parole / come sull’onde / che io leggo / e a voi trasmetto / e parlano del cuore... / L’amore piange / se è tradito...». Questo cullarsi di onde e di parole e il significato che il poeta ne trae è indubbiamente molto intrigante, soprattutto se ciò viene trasmesso al lettore con l’incalzare dei sentimenti («parlano del cuore») che si placano proprio sotto l’effetto di questo suo dolce ondeggiamento. E tale interferenza delle forze (o delle dolcezze) della natura sugli intrighi del cuore è quasi una ‘costante’ nella poesia di quest’autrice. Altro momento lirico simile lo troviamo, ad esempio, nella poesia “Una lacrima sul monte”, in cui rugiada, sole, aria, manto celeste, infinito si fanno complici - tutti insieme nell’accogliere una lacrima, sgorgata, è vero, dal dolore, ma trasformata poi, per il coinvolgimento di tanti elementi riequilibranti, in ‘verità eterna” che porta «alla elevazione / fra cielo e terra» e ingiustizia combatte. Affascinanti le emozioni per l’alterna varietà delle stagioni. Si passa dai miracoli agricoli di uno smagliante mese di giugno, in cui tutto è bellezza e incantesimo: l’ora di mietere, la falce febbricitante, le biche, il granaio colmo e la gioia del colono alla «pioggerella di maggio» («pioggerella delle rose»), a un passato lontano che ridesta soavi ricordi, il passato di una fanciulla in fiore «che ride al domani sconosciuto». Ma forse «questo domani sconosciuto» non è stato poi tanto esaltante quanto la giovinezza, nella sua fresca ingenuità, aveva sognato.
Certo la vita, nel suo evolversi, diventa sempre più matrigna man mano che passano gli anni e si accumulano i casi, frangendosi contro le intemperie più avverse e inattese, quasi a sfacciato tradimento delle aspettative giovanili. Allora le albe diventano nemiche, gli asfalti notturni si bagnano di sangue «al riso succede il tedio» e «sbiadisce l’esistenza» (Pag. 32). La preghiera a Dio, affinché spanda i suoi colori che possano dare, se non altro, un tocco di speranza a tutti gli infelici del mondo, è fra le più calde e sincere di questo pellegrinaggio terrestre. Anche i vari momenti del giorno: albe, tramonti, meriggi, che pur esplodono, al primo apparire, con radiosi voti augurali, alla fine delle fini, si pongono anch’essi tra le strutture tortuose della povera umanità martoriata dai suoi mille problemi esistenziali.
Unico conforto rimane la preghiera e la carità verso quella parte di umanità che è ancora più infelice di noi. Ma anche piangere di commozione insieme al triste canto notturno dell’usignolo si fa complice di dolcezza.
Leopardianamente, anche gli elementi della natura, quali sole, luna, cielo, mare, terra guardano indifferenti alle miserie degli umani, sono sordi ai lamenti e non ascoltano le «voci dei tapini» (pag. 87). Indubbiamente la garanzia di sentirsi mamma e mamma di mamma placa un po’ le angosce della vita per l’impeto d’amore che riesce a scatenare, ma le negatività sono troppe e troppo gravi. L’aperta confessione di non sapere più dove approdare e come colmare certi vuoti è la più franca e sofferta conclusione di una vita vissuta sotto una misteriosa tirannia, probabilmente responsabile di torti ingiustamente inflitti a una creatura innocente. Ma il conforto della poesia sarà alla fine la risoluzione di ogni problema.
Maria Pina Natale