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Albe, stagioni e
lacrime sono il
substrato più
caratteristico di
questa raccolta. Ma
anche ricordi e
nostalgie, affetti
familiari e sogni
giovanili e, infine ma
non ultima, la ‘pietas’
per gli sventurati e i
diseredati del mondo.
Insomma ce n’è in
abbondanza per soggetti
poetici. Il lettore che
sa leggere troverà
preziosi gioielli da
evidenziare e da
illuminare con i più
smaglianti colori di
‘flashes’
caleidoscopici.
Naturalmente ci sono
anche gli ‘extra’.
Scegliamone subito uno,
tanto per cominciare (e
anche per
esemplificare): «Si
cullan le parole / come
sull’onde / che io
leggo / e a voi
trasmetto / e parlano
del cuore... / L’amore
piange / se è
tradito...». Questo
cullarsi di onde e di
parole e il significato
che il poeta ne trae è
indubbiamente molto
intrigante, soprattutto
se ciò viene trasmesso
al lettore con
l’incalzare dei
sentimenti («parlano
del cuore») che si
placano proprio sotto
l’effetto di questo suo
dolce ondeggiamento. E
tale interferenza delle
forze (o delle
dolcezze) della natura
sugli intrighi del
cuore è quasi una
‘costante’ nella poesia
di quest’autrice. Altro
momento lirico simile
lo troviamo, ad
esempio, nella poesia
“Una lacrima sul
monte”, in cui rugiada,
sole, aria, manto
celeste, infinito si
fanno complici - tutti
insieme nell’accogliere
una lacrima, sgorgata,
è vero, dal dolore, ma
trasformata poi, per il
coinvolgimento di tanti
elementi
riequilibranti, in
‘verità eterna” che
porta «alla elevazione
/ fra cielo e terra» e
ingiustizia combatte.
Affascinanti le
emozioni per l’alterna
varietà delle stagioni.
Si passa dai miracoli
agricoli di uno
smagliante mese di
giugno, in cui tutto è
bellezza e incantesimo:
l’ora di mietere, la
falce febbricitante, le
biche, il granaio colmo
e la gioia del colono
alla «pioggerella di
maggio» («pioggerella
delle rose»), a un
passato lontano che
ridesta soavi ricordi,
il passato di una
fanciulla in fiore «che
ride al domani
sconosciuto». Ma forse
«questo domani
sconosciuto» non è
stato poi tanto
esaltante quanto la
giovinezza, nella sua
fresca ingenuità, aveva
sognato.
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Certo la vita, nel suo
evolversi, diventa
sempre più matrigna man
mano che passano gli
anni e si accumulano i
casi, frangendosi
contro le intemperie
più avverse e inattese,
quasi a sfacciato
tradimento delle
aspettative giovanili.
Allora le albe
diventano nemiche, gli
asfalti notturni si
bagnano di sangue «al
riso succede il tedio»
e «sbiadisce
l’esistenza» (Pag. 32).
La preghiera a Dio,
affinché spanda i suoi
colori che possano
dare, se non altro, un
tocco di speranza a
tutti gli infelici del
mondo, è fra le più
calde e sincere di
questo pellegrinaggio
terrestre. Anche i vari
momenti del giorno:
albe, tramonti,
meriggi, che pur
esplodono, al primo
apparire, con radiosi
voti augurali, alla
fine delle fini, si
pongono anch’essi tra
le strutture tortuose
della povera umanità
martoriata dai suoi
mille problemi
esistenziali.
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Unico conforto rimane
la preghiera e la
carità verso quella
parte di umanità che è
ancora più infelice di
noi. Ma anche piangere
di commozione insieme
al triste canto
notturno dell’usignolo
si fa complice di
dolcezza.
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Leopardianamente, anche
gli elementi della
natura, quali sole,
luna, cielo, mare,
terra guardano
indifferenti alle
miserie degli umani,
sono sordi ai lamenti e
non ascoltano le «voci
dei tapini» (pag. 87).
Indubbiamente la
garanzia di sentirsi
mamma e mamma di mamma
placa un po’ le angosce
della vita per l’impeto
d’amore che riesce a
scatenare, ma
le
negatività
sono
troppe e troppo gravi.
L’aperta confessione di
non sapere più dove
approdare e come
colmare certi vuoti è
la più franca e
sofferta conclusione di
una vita vissuta sotto
una misteriosa
tirannia, probabilmente
responsabile di torti
ingiustamente inflitti
a una creatura
innocente. Ma il
conforto della poesia
sarà alla fine la
risoluzione di ogni
problema.
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Maria Pina Natale