Il Convivio

 

 
A. IV n. 4
Ottobre - Dicembre 2003

Gianfranco Vinante, mondo eclettico di concetti in In Elegia (Ed. Helicon)

Poesia fantasiosa, concepita con una variabilità concettuale che, talvolta frastorna il lettore, ma non lo scoraggia, anzi lo stimola ad approfondire l’attenzione. I versi svolazzano come leggere farfalle, ondeggianti nell’aria ma sempre relativi ad un mondo che si adegua alle contingenze: «Tessono già dall’alba le cicale / in spola dardeggiante l’afa e l’aria. Questi versi danno il senso della fantasiosità di questa poesia che si immerge nella affannosa ricerca di motivazioni, di giustificazione, di senso delle cose. Vinante, con “In Elegia”, si tuffa in un mondo eclettico di concetti, ricco di ispirazioni auliche, per poi rivolgersi a quella eternità che sfugge, ma che va sempre ricercata e, se possibile, scoperta. È vero, spesso il verso è sconcertante, perché ballonzola spregiudicatamente nella fluidità di concetti non sempre facilmente individuabili. Occorre farne una lettura meticolosa per cogliere il nesso del pensiero di Vinante, per scoprire la pluralità dei contenuti. Il contingente è impreziosito da perifrasi quanto mai originali e da sprazzi linguistici improvvisi d’una mente effervescente, ricca di terminologia, impegnata ad elevare il discorso. Una poesia incisiva, che dà libero sfogo a quello che la mente suggerisce, senza remore metriche, impegnata a dire, nel modo migliore e meno obsoleto, il senso di una realtà sempre presente. I temi sono i più svariati: ambienti, personaggi, sensazioni, reminiscenze, località note, spiritualità, natura, insomma Vinante è un cronista attento, meticoloso nelle descrizioni, prolisso nelle esemplificazioni, caleidoscopico nell’espressione, mai soddisfatto sempre alla ricerca di quel nuovo, di quel diverso che non è ricorrente. «Non so misurare il peso del presente». Gli spunti ispirativi sono sempre quelli che la vista ci propone, ma visti con gli occhi di questo estroso autore diventano originali e nuovi. In lui non c’è catastrofismo, neppure esasperato pessimismo, ma solo contegnoso giudizio, impegno a forbire il consueto discorso. Non trascura la drammaticità di certi eventi come nel caso di “Terracina e Cohen”: «Erano in quarta con noi / Terracina e Cohen, un olivastro e un biondo». Più oltre. «Se ne andarono prima delle “razziali”, due vittime della ferocia, ad Auschwitz. Un elogio all’amicizia che gli fa esclamare: «Proseguirà chi non sarà mai ceco». La raccolta si conclude con alcuni haiku che servono a dare un giudizio più completo di questo poeta, di questo tessitore linguistico.

Pacifico Topa