La dignità di Francesca
Quel giorno che
Francesca perse la dignità era febbraio e c’era
una leggera nebbia.
Erano
circa
le 19.00,
tornava
da
una
drammatica seduta da uno psicoterapeuta dove era
andata di nascosto del marito. Era la prima
volta che si avvicinava a queste figure, ne
aveva sempre avuto diffidenza. Ma, finalmente,
si era aperta ad un’amica e per la prima volta
aveva confessato il suo drammatico segreto: suo
marito la picchiava, anche davanti ai figli.
Lei, ormai stanca, aveva deciso di reagire.
Quella volta non
era stata come le altre che alla fine aveva
sempre perdonato, magari riempiendosi di rancore
e soprattutto di sfiducia verso se stessa,
quella volta aveva da pochi giorni perso sua
madre, aveva lei stessa la morte nel cuore e
quella violenza era stata incommensurabile.
L’amica,
stupita, si era subito messa in movimento e,
attraverso la sua rete di conoscenze, le aveva
procurato questo incontro con lo psicoterapeuta.
Egli le aveva subito detto: «Se non coinvolgi
tuo marito non potrò fare nulla per te» e poi le
aveva sentenziato che era stata amata nel modo
sbagliato proprio da quella madre che lei tanto
piangeva e dalla sorella maggiore, materna a sua
volta, ma che l’avevano fatta sentire, con i
loro continui rimproveri, sempre inadeguata, mai
all’altezza delle sue responsabilità.
E pensare che
lei si era sentita tanto caldamente amata da
queste figure: si era sentita una principessa,
coccolata, rassicurata e protetta e forse aveva
deciso di non crescere per non perdere questo
tipo di amore! Ma a sentirsi sentenziare: «Ti
hanno amato in modo sbagliato» lei pianse tanto
e disperatamente. Tornata verso casa con l’animo
ed il viso disfatti, pensò di passare dal marito
per assicurarsi che tutto fosse tranquillo e non
avesse sospettato nulla. Egli le venne incontro
insospettito dai silenzi e dalle incerte scuse
della sorella, custode momentanea dei figli:
«Dove sei
stata?».
Il viso
contratto
e
cattivo,
o forse sofferente… chissà!? E lei glielo disse.
Immediatamente una ferocia inaudita si abbatté
su di lei. La colpì con una ferocia mai usata,
calci, pugni, fino in mezzo alla strada. Forse
la leggera nebbia e l’oscurità della sera
avranno pietosamente distratto i vicini, ma lei
non potrà mai averne la certezza. Solo le
macchine passavano. Una si fermò. Vedendo quella
violenza lì sull’asfalto, il conducente scese
dalla macchina, s’infervorò contro quel bruto,
ma questi lo scacciò dicendogli che «lei se lo
meritava» ed il passante, brontolando, ripartì.
Lei tornò a casa, chiamò il fratello, ai suoi
occhi era ancora un soldato eroico e
rassicurante e decise di andare all’ospedale.
Anche lì perse
la dignità per le domande e gli sguardi curiosi
di chi certo ti conosce. Poi partì la denuncia
d’ufficio presso i locali carabinieri che si
prodigarono fin troppo con interrogatori ai
testimoni citati ed a Francesca. La cosa fu
lunga finché lei si stancò e ritirò tutto.
Nel
frattempo se ne era andata di casa, ma senza
figli, quindi la lacerazione e i sensi di
colpa verso di loro si facevano più grandi man
mano che i grossi lividi neri si schiarivano e
perché qualche “mediatore” le riferiva che lui
soffriva molto, che si sentiva a sua volta
violentato dalla durezza delle parole di lei.
La sua spiegazione: «Alla violenza delle sue
parole corrisponde la mia violenza fisica»
questo il suo teorema… logico secondo alcuni.
Ma Francesca
tornò a casa, anche perché aveva capito che
nessuno, nemmeno i suoi eroici fratelli
l’avrebbero aiutata e difesa e che le prendevano
i pochi soldi che aveva con sé per fare la spesa
per il suo “mangiare”.
Come avrebbe potuto farcela
senza “niente”, senza un solo centesimo di
suo, già perché quasi sempre lei veniva
picchiata quando si ribellava all’avarizia di
lui e, nonostante avesse cresciuto i figli e
si fosse prodigata ad aiutarlo nel suo lavoro,
lei non possedeva nulla, proprio nulla,
nemmeno una minima eredità dei suoi genitori
che non c’erano più.
E si ricamò un
ritorno a casa da sposa innamorata, ma chissà…
se avesse potuto scegliere!
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Racconto
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