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La Sicilia

 

Nel corso dell'ultima glaciazione (circa da 120.000 a 20.000 anni fa) le terre che oggi formano la Sicilia presero la forma di un vero e proprio ponte fra l'Europa e l'Africa.
Su di esse s'incrociarono le migrazioni dei popoli preistorici provenienti sia dalle coste africane, sia lungo quelle adriatiche dal Centroeuropa. Le tribù paleolitiche trovarono sedi adatte alla loro vita di cavernicoli e di cacciatori nelle aree ricche di grotte.

Ma il periodo paleolitico si distingue soprattutto per le opere d'arte, in particolare le raffigurazioni dipinte a Levanzo e nella grotta dell'Addaura, presso Palermo.
I1 passaggio dal Paleolitico al Neolitico (fra 10.000 e 7.000 anni fa) è documentato da reperti molto importanti trovati nella grotta dell'Uzzo, fra Castellammare del Golfo e Capo San Vito, dove vissero gruppi di cacciatori e raccoglitori, le cui risorse erano cinghiali, cervi, pesci e crostacei.
La produzione di ceramica distingue invece le varie culture del Neolitico.
I caratteri generali del periodo sono riassumibili nella tipologia della cultura di Stentinello, così detta dal nome della località presso Siracusa. Le ceramiche di Stentinello avevano una grande varietà di fogge - dalle tazze alle coppe provviste di piede, dagli scodelloni alle brocche - ed erano decorate con incisioni. Grotte e capanne formavano un villaggio trincerato con muri di pietra: insediamenti di questo tipo sorgevano anche a Megara Iblea e a Matrensa e a Palma di Montechiaro, presso una zona oggi fuori città. Sempre a Palma di Montechiaro sono stati ritrovati numerosi suppellettili di questo periodo e presso la grotta Zubbia, uno scheletro umano, quasi totalmente integro, pezzo unico in Europa!


Un discorso a parte va fatto per i gruppi insediatisi a Lipari, nelle Isole Eolie, la cui prosperità si deve allo sfruttamento dell'ossidiana: una pietra molto tagliente e perciò particolarmente adatta alla produzione di strumenti. Di essa sorse anche un fiorente commercio e, in epoche successive a quelle neolitiche, gli strumenti di ossidiana fecero concorrenza ai primi manufatti metallici. Le Eolie si distinguono anche per la ceramica: quella dipinta, rosso-nera, prevalse rispetto a quella incisa.
L'Età del Rame è caratterizzata, oltre che dalla diffusione della metallurgia, da armi nei corredi Funebri e soprattutto da culture con ceramica dipinta o incisa. Sono molte le località siciliane che hanno dato reperti di quel periodo: il Monte Tabuto (Ragusa), l'area di Canicattì (grotte Chiusazza e del Conzo), la Conca d'Oro, gli Iblei (San Cono), la zona di Gela (Pian Notaro). La cultura di Serraferlicchio (Agrigento) è però la più unitaria, con la ceramica rossa decorata, in nero, ricca di una grande varietà di motivi. Con l'Età del Bronzo le migrazioni e le fusioni di culture continuarono. Si distinguono bene tuttavia le culture influenzate dalle civiltà egee da quelle di derivazione appenninica.
Di derivazione cretese sono le necropoli rupestri con portali e colonnati scolpiti. D'ispirazione continentale è invece la muratura megalitica «a secco». La necropoli di Castelluccio (Noto) è il più antico e completo esempio delle culture del primo tipo. Fra gli insediamenti del secondo tipo è da ricordare quello di Villafrati, a sud-est di Palermo.
Con l'apparire delle prime grandi civiltà essere un « ponte fra i continenti » determinò in questa terra una situazione molto particolare: le sue genti erano le prime a conoscere le innovazioni tecnologiche portate da altri popoli, ma dovevano anche subirne le mire espansionistiche.
I popoli siciliani originati dalle culture preistoriche, quindi, ebbero sì una loro precisa fisionomia, ma furono presto assorbiti dalle migrazioni indoeuropee e dalle colonizzazioni greco-asiatiche.
I nomi che appaiono sono essenzialmente tre. Gli Elimi, stanziati nella parte occidentale dell'isola, derivavano con tutta probabilità dall'incontro di popolazioni autoctone con altre di origine egea e con gruppi liguri. Già in epoca protostorica convivevano con i Fenici e più tardi, con l'espansione cartaginese, furono da questi ultimi sopraffatti.
I Sicani, che abitavano la Sicilia centrale e sudoccidentale, non erano indoeuropei e subirono l'invasione di un popolo di questo ceppo linguistico.
Gli invasori, i Siculi, originati dai popoli giunti nell'Italia meridionale con la prima ondata migratoria indoeuropea (la stessa dei Latini), si spinsero al di là dello Stretto di Messina due o tre secoli prima della colonizzazione greca: da essa furono quindi ben presto assorbiti.
Dei due popoli autoctoni siciliani, i Sicani e gli Elimi, sappiamo soprattutto che furono influenzati dalle culture del Mediterraneo orientale. Da quella regione il rame era stato portato in Europa passando proprio per il Canale di Sicilia e per lo Stretto di Messina, e quelle rotte continuarono ad essere molto importanti anche nelle Età del Bronzo e del Ferro, quando i Micenei, i Cretesi e i Fenici avevano bisogno di attingere alle riserve metallifere iberiche.

 

Agrigento (Valle dei Templi)

La storia dell'isola inizia con la sua divisione in due distinte aree d'influenza: quella delle basi fenicie ad occidente e quella degli scali greci sulle coste orientali e meridionali.
I Greci si stabilirono in Sicilia intorno alla metà dell'VIII secolo. Si discute molto su quale sia stata la prima colonia, se Naxos (735 a.C.) o Megara Iblea. Lo scopo dei primi insediamenti era probabilmente commerciale.
Negli anni successivi le colonie greche si moltiplicarono: i Calcidesi fondarono Lentini, Catania e Zancle (oggi Messina), mentre i Corinzi si erano stabiliti a Siracusa (733). Nel 688 Rodioti e Cretesi fondarono Gela, mentre Megara Iblea fu indotta dalla non felicissima posizione a cercare altri spazi, andando a fondare Selinunte. Si iniziò così un ulteriore sviluppo, per cui colonie greche fondarono altri centri: nacque Imera, il centro più occidentale, come colonia di Zancle (648) e Akragas (Agrigento), come colonia di Gela (581).
Senz'altro meno vasta fu la penetrazione fenicia, che sarebbe meglio indicare come cartaginese. Furono tre centri principali: Mozia, di fronte a Marsala, Panormo (Palermo), nell'VIII secolo e, nel V secolo, Trapani.
Del periodo più antico della civiltà greca quasi mitica è la figura di Caronda, uomo politico cui si deve il primo corpo organico di leggi scritte, emanate sull'isola tra il VII e il VI secolo. Tale sistema legislativo fu tanto apprezzato da rimanere in vigore fino alla conquista romana.
Nel corso del VI secolo l'isola conobbe un incremento demografico, segno evidente di aumento del livello di vita. Ma ciò finì per produrre tensioni interne e conflitti fra le varie città. Tutto ciò portò all'affermazione di tiranni e alla crescente importanza di Siracusa, che trovò in Gelone l'uomo capace di controllare le tensioni interne e soprattutto tutta la Sicilia orientale.
Con Gelone, tiranno di Siracusa dal 485, inizia anche la lotta fra Greci e Fenici, che continuò fino alla conquista romana. Un momento fondamentale di questo scontro fu la battaglia navale di Imera, che gli storici antichi accostarono per importanza allo scontro di Salamina tra la Grecia e i Persiani, fissando la stessa data per ambedue: il 4 settembre 480 a.C.
Dopo la morte di Gelone, nel 478, gli succedeva Gerone, che pochi anni dopo fu protagonista della vittoria di tutta la Magna Grecia contro la potenza etrusca a Cuma (474). Siracusa ebbe sempre di più una posizione di preminenza che si manifestò anche in una grande fioritura culturale.
Accanto a grandi poeti indigeni la città ospitò personalità di primissimo piano della civiltà greca: come i poeti Pindaro, Simonide e Bacchilide e il grande tragediografo Eschilo, che rappresentò nel teatro siracusano I Persiani e Le Etnee, una nuova tragedia scritta per celebrare la fondazione di Etna la nuova città voluta dal tiranno Gerone.
La guerra del Peloponneso combattuta fra Sparta e Atene coinvolse anche la Sicilia e le colonie siciliane, da sempre divise secondo la loro etnia, si schierarono alcune con Atene, altre come Siracusa con Sparta e, nel 415, quando Alcibiade intervenne in Sicilia, subì un grave disastro nella battaglia dell'Assinaros. Ai Siracusani rimaneva così il controllo dell'Adriatico e Dionigi il Vecchio (405-367) portò avanti il suo sogno di egemonia della Magna Grecia. Progetto che continuò con Dionigi II il Giovane (367-344).
Durante il loro governo pare che abbia soggiornato a Siracusa anche il grande filosofo Platone, che avrebbe tentato di mettere in pratica le sue teorie sullo Stato proprio qui, con l'aiuto di Dione, zio del tiranno Dionigi II.
Non mancarono comunque dissidi interni, che portarono al potere il saggio Timoleonte. Con lui e con il successore Agatocle continuò la lotta contro Cartagine, ma ormai si era prossimi alla fine dell'indipendenza dell'isola. Dopo la vittoria su Pirro, infatti, Roma era arrivata a Reggio e, mentre a Siracusa il potere era in mano a Gerone II, il conflitto locale per Messina fu l'occasione per l'inizio dello scontro fra Cartagine e Roma attinente al controllo del Mediterraneo.

Taormina Teatro Greco

La prima guerra punica fu fondamentalmente uno scontro per la Sicilia e si concluse con la vittoria navale romana alle Egadi (241 a.C.). Siracusa fu inizialmente fedele alleata dei Romani, ma poi si schierò contro e subì il famoso assedio del 212 a.C., in cui brillò la genialità di Archimede.
Seguirono i secoli della romanizzazione, epoca caratterizzata dal deperimento della vita economica e sociale dell'isola.
I Romani iniziarono un massiccio disboscamento, cui seguì la coltivazione estensiva del grano: questa era organizzata con il sistema del latifondo (cioè di vaste estensioni in mano a grandi proprietari che le facevano coltivare dagli schiavi), il quale, non lasciando spazio alla piccola proprietà, impoveriva l'economia locale. Ci si spiega, così, come della Sicilia romana si ricordino soprattutto le rivolte degli schiavi e le splendide ville dei proprietari terrieri.
Significativo è poi l'episodio del processo che, nel I secolo a.C., i Siciliani intentarono contro Verre, pretore romano che aveva imposto alla provincia tasse molto gravose e ne aveva depredato i tesori, sia pubblici sia privati, accumulatisi nei secoli della civiltà greca. Cicerone, che era stato anch'egli pretore in Sicilia, pronunciò contro Verre due orazioni d'accusa e altre cinque ne pubblicò, documentando tutti i delitti di cui l'amministratore si era macchiato.
Durante 1'Impero, la Sicilia subì la concorrenza di altre regioni come 1'Egitto. Continuava comunque ad essere fornitrice di grano; anche il latifondo resisteva, ne danno testimonianza le grandi ville sparse nel suo territorio, come quella di Piazza Armerina, decorata nei suoi 10.000 mq da straordinari mosaici, collegabili con quelli delle ville romane nordafricane.
Arrivarono poi i Vandali e i Goti; infine, i Bizantini che si insediarono nella regione nel 535 e vi rimasero per tre secoli. Essi, pur dotando molti centri siciliani di opere pubbliche militari, commerciali e civili - data l'importanza strategica che per loro aveva l'isola - imposero alte tasse alla popolazione e il predominio della loro nobiltà sui proprietari terrieri provocò ribellioni che spianarono la strada alla conquista araba.
Gli Arabi avevano toccato più volte le coste siciliane con scorrerie tra il VII e l'VIII secolo, ma fu nell'estate dell'827 che iniziò la lenta conquista del territorio. Nell'831 fu conquistata Palermo, nell'859 Enna, nell'878 Siracusa. Alla metà del X secolo la Sicilia è completamente in mano araba.
Furono gli Arabi i primi ad instaurare un rapporto diverso con la regione. Dapprima se ne conobbe la ferocia di predoni, ma quando ebbero consolidato la loro supremazia fecero fiorire sull'isola una civiltà che, se pur fondata sul potere nobiliare, dava grande impulso alle attività economiche e commerciali .
Un emiro (amir), la cui residenza era a Palermo, assicurava l'unità del governo dei territori conquistati, divisi in tre distretti detti valli (« di Noto » per la zona sudorientale, «di Demone» per i territori intorno a Catania, «di Mazara» per la parte occidentale). A capo di ciascuna valle stava un cadì, ma i principi locali avevano potere personale sui loro possedimenti.
Nonostante le rivalità sorte fra i nobili, l'emiro riuscì sempre ad assicurare una stabilità politica che entrò in crisi solo col sopraggiungere dei conquistatori normanni.
Le città che si erano date spontaneamente agli Arabi (quasi tutte) si mantennero autonome pagando un tributo, ma anche per le altre il dominio non fu pesante. La popolazione non era soggetta all'obbligo del servizio militare e va ricordato che proprio in Sicilia gli Arabi attenuarono la rigidità della legge islamica, non imponendo la conversione di fede (i Cristiani dovevano però portare un simbolo di riconoscimento sul vestito).
I latifondi furono divisi in piccoli appezzamenti. Molti erano affidati a contadini berberi (secondo il principio musulmano di dare la terra incolta a chi per primo l'avesse lavorata), ma numerosi erano anche quelli che il governo centrale dava in affitto. In generale s'impose la piccola proprietà, incrementata dalle leggi arabe che garantivano la divisione dell'eredità fra molti membri di una famiglia.
La monocoltura agraria venne ridotta per fare posto ai « giardini », orti e frutteti, nei quali vennero introdotte molte nuove specie di piante. La palma, il gelsomino e il cotone fanno parte della tipica vegetazione dell'isola; i limoni, gli aranci e le melanzane sono prodotti importanti ancora oggi nell'agricoltura siciliana.
Per le nuove coltivazioni furono creati sistemi d'irrigazione che, oltre a dare vigore ai giardini, arginavano il dissesto geologico dovuto ai disboscamenti delle epoche precedenti.
Le città, soprattutto quelle costiere e Palermo in particolare, divennero fiorenti centri commerciali.
I contrasti violenti fra i capi arabi e il declino del mondo islamico nordafricano favorirono il crollo del dominio arabo in Sicilia e l'impresa dei Normanni di Roberto il Guiscardo e di Ruggero d'Altavilla. Questi ultimi cominciarono la loro impresa da Messina nel 1061, portandola a termine nel 1091. Ruggero II, poi, il più grande dei re normanni in Sicilia, cinse la corona di re di Sicilia nel duomo di Palermo nel 1130 e fu protagonista di una politica vivace e intelligente, favorendo la pacifica convivenza tra le popolazioni musulmane, greche e latine

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Palermo Palazzo dei Normanni

Alla corte normanna lavoravano funzionari di origine araba e bizantina, il che favoriva i rapporti commerciali con tutto l'Oriente e con l'Africa del Nord; in Sicilia, inoltre, erano molti gli scali commerciali degli Amalfitani, dei Pisani, dei Baresi, dei Veneziani, dei Genovesi e dei Lucchesi, cioè di tutte le maggiori potenze economiche italiane del tempo.
Nei principali centri dell'isola vi erano dunque colonie della più diversa provenienza. Fra di esse furono molto fiorenti soprattutto quelle ebraiche e greco-bizantine, le quali svilupparono attività economiche importanti: le manifatture delle stoffe e della seta, ad esempio, nacquero quando Ruggero II fece venire a Palermo un gruppo di artigiani greci, presi prigionieri durante le sue campagne militari antibizantine.
Qualcosa di simile accadde anche con le comunità degli Arabi siciliani. Dapprima i Normanni li lasciarono liberi di vivere in propri quartieri, di essere sottoposti ad un sistema giudiziario autonomo e di gestire gran parte delle attività commerciali. Ma con lo sviluppo delle comunità latine e greco-bizantine si crearono contrasti sempre più duri, che andarono di pari passo con la crescente prepotenza dei nobili, che costituivano attraverso i feudi la vera potenza militare ed economica del regno. I successori di Ruggero II non riuscirono a controllare la situazione. Ci furono rivolte e violenze contro i Musulmani. Solo con Guglielmo II detto il Buono (1166-1189) l'isola riacquistò una pace interna.
Alla morte di Guglielmo II, sul trono di Sicilia salì la zia Costanza d'Altavilla, sposata a Enrico VI di Svevia, il figlio di Federico Barbarossa. I baroni siciliani si opposero alla successione, cercando di imporre uno di loro: Tancredi, figlio bastardo di Ruggero II. Ma alla morte di quello, superata ogni opposizione, Enrico VI entrò a Palermo. Moriva però pochi anni dopo, nel 1197, lasciando il regno a Federico II che aveva solo tre anni e che perciò fu posto sotto la tutela della madre prima e, dopo la morte di quella, di papa Innocenzo III.
Federico II (1197-1250) caratterizzò con la sua opera la prima metà del secolo e non solo in Sicilia. Egli seppe rinnovare la vita economica e sociale del regno rifacendosi sia all'esempio arabo sia a quello di Ruggero II: favorì innanzitutto l'autonomia delle città, controllò la feudalità e dette impulso alle opere pubbliche e alla cultura. Alcune restrizioni commerciali causarono però il malcontento delle città portuali, tanto che Messina arrivò a ribellarsi alla corona facendo così il gioco dei nobili, insofferenti dei limiti che erano stati loro imposti.
Scomparso nel 1250 Federico II, il papa diede la corona di Sicilia a Carlo d'Angiò, che ne assunse il pieno controllo dopo avere sconfitto Manfredi, figlio naturale di Federico II, nel 1266, e il nipote Corradino nella battaglia di Tagliacozzo del 1268.
Ma, contro la politica degli Angioini, esplose nel 1282 l'insurrezione popolare dei « Vespri Siciliani », movimento che fu poi controllato dai baroni, i quali offrirono la corona di Sicilia a Pietro III d'Aragona. Per un secolo continuò lo scontro fra Aragonesi e Angioini, scontro che provocò una decadenza economica e sociale dell'isola; in questa crisi chi finiva per prevalere era l'aristocrazia feudale: crebbe cioè la potenza economica dei baroni.
Solo alla fine del secolo riuscì a costituirsi un forte potere centrale per mano della dinastia aragonese e in particolare con Alfonso il Magnanimo (1416-1458), con il quale la Sicilia rientra nell'orbita della monarchia spagnola. D'ora in avanti l'isola sarà retta da viceré e questa condizione mortificante del viceregno spagnolo durerà fino al 1713. Il baronaggio resta il protagonista della vita politica e sociale, che trovava nel Parlamento, composto dal clero, dai baroni e dai rappresentanti dei comuni demaniali, il centro di potere. La Spagna del resto cercò sempre l'alleanza dei baroni.

In quegli anni la Sicilia vide fiorire sul proprio territorio una moltitudine di città, fondate "per volere di Dio e col consenso della Corona" sull'onda di una fede sempre più legata all'apparire. Tra questi nuovi insediamenti urbani ricordiamo Palma di Montechiaro, fondata il 3/Maggio/1637 da una nobilissima famiglia siciliana: i Tomasi, che cercarono di ricostruire, nel territorio che era stato feudo dei Chiaromonte (famiglia ribellatasi alla Corona Spagnola e per questo sterminata), una nuova Gerusalemme, utilizzando a tal fine metafore di ogni genere sia nell'architettura e nell'urbanistica, sia nelle varie opere d'arte (sculture, affreschi, argenterie ecc.)


I tre secoli del viceregno spagnolo furono di fatto tre secoli di immobilismo dal quale la Sicilia cominciò ad uscire solo quando, alla fine della guerra di successione spagnola, l'isola fu consegnata dai trattati di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714) nelle mani di Vittorio Amedeo di Savoia. Ma vi rimase solo fino al 1718.
Allora, infatti, si riaccese il contrasto fra Filippo V di Borbone e Carlo VI d'Austria. La regione, dopo il breve viceregno austriaco (1718-1735), ritornò in mano ai Borboni. E con Carlo e Ferdinando di Borbone fu avviato un ampio programma di riforme, ripreso poi dal marchese Domenico Caracciolo nominato viceré (1781-1786).
Il riformismo del Caracciolo provocò comunque un insanabile conflitto con i baroni.
Con la Rivoluzione francese, poi, Palermo fu scelta come sede in cui ripararono Ferdinando di Borbone e la corte napoletana, protetti dalle truppe inglesi che di fatto controllavano l'intera isola.
Maturò allora il proposito di una riforma della costituzione che portò nel 1812 alla rivendicazione di un'autonomia per la regione. Di fatto, nel 1812 i nobili imposero alla monarchia una costituzione favorevole ai loro interessi, quando in l'Europa gli ideali della Rivoluzione francese avevano invece promosso movimenti progressisti.
Naturalmente il re si rimangiò la costituzione all'indomani del Congresso di Vienna (1815) e 1'8 dicembre 1816 assumeva il titolo di re delle Due Sicilie. Ma questa politica accentratrice provocò non pochi risentimenti, dai quali scaturirono i moti del 1820 a Palermo e la rivoluzione del 1848; abolì tasse impopolari ma non riuscì ad imporsi sulla nobiltà, arrivando in breve alla crisi economica e politica. Il popolo di Palermo, mentre i capi rivoluzionari prendevano la via dell'esilio, resistette per tre giorni senza armi alle truppe borboniche.
Il 1860 sarà l'anno decisivo del Risorgimento e dell'unità d'Italia. Al nord una serie di guerre e di operazioni politiche portano all'annessione di più stati al Regno di Sardegna. Un gruppetto di democratici, tra cui Garibaldi e Cattaneo, decide allora di accelerare questo processo di unificazione. Garibaldi e Cattaneo scelgono la Sicilia come terreno d'azione, poichè i movimenti rivoluzionari sono particolarmente virulenti nell'isola. A Palermo, si organizza un complotto rivoluzionario per il 4 aprile, ma la polizia informata da una spia arresta tutti i congiurati.
Soffocata nella città, la rivolta si sviluppa allora nelle campagne. I 1000 volontari di Garibaldi sbarcano a Marsala l'11 maggio e infliggono una prima sconfitta alle truppe regolari.
Questa spedizione rappresenta una vera speranza per una popolazione, che per parecchi secoli, ha subito le diverse dominazioni straniere. I contadini si batteranno per la terra e per il lavoro, e Garibaldi sarà considerato come un salvatore. Il 21 ottobre i siciliani scelgono per plebiscito di essere annessi al giovane Regno d'Italia. La Sicilia conosce allora gli stessi problemi del mezzogiorno peninsulare. Roma è lontana. Durante l'ultima guerra, essa spera di diventare il centro di quel <<Mare nostrum>> sognato da Mussolini, ma il 10 luglio 1943 le truppe anglo-americane sbarcano tra Licata e Siracusa.
Il soffio del separatismo passa sulla Sicilia ma il movimento degenera.
Il 15 maggio 1946, lo statuto di autonomia regionale della Sicilia è promulgato con decreto e il primo parlamento siciliano è eletto nell'aprile del 1947, dando cosi all'isola una autonomia amministrativa regionale.
La Sicilia è divisa in nove provincie i cui capoluoghi sono: Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa, Trapani.

 

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