Storia della mentalità e problematica della lunga durata in Tempo della Chiesa e tempo del mercante di Jacques Le Goff.

1.    TEMPO E LAVORO NEL MEDIOEVO.

 Con i saggi raccolti in  Tempo della Chiesa e tempo del mercante, l'insigne storico Jacques Le Goff fornisce un affresco della civiltà medievale, partendo da "due nozioni" di cui ha cercato di "seguire le trasformazioni ideologiche nelle concrete condizioni sociali in cui si sviluppavano: quella del lavoro e quella del tempo",[1] in quanto "aspetti essenziali delle strutture e del funzionamento delle società",[2] strettamente intrecciati tra loro,[3] nella convinzione che il loro studio permetta allo storico di disporre, alla stregua del concetto di Mediterraneo per Braudel, di uno di quegli "oggetti globalizzanti costruiti dallo storico"[4] che funga da "osservatorio privilegiato" per le sue ricerche.[5]

Considerato, sulla scorta di un noto sociologo, che "in una società esistono tanti tempi collettivi",[6] che, intersecandosi nella coscienza, concorrono a formare il tempo individuale,[7] Le Goff osserva come il mercante medievale agisse all'interno di "durate in qualche modo stratificate":[8] pur avvertendo, infatti, l’esigenza, nata con l’espansione monetaria e commerciale, di un tempo “misurabile, cioè orientato e prevedibile"[9] (il nuovo "tempo del mercante", connesso anche a una nuova conoscenza pratica dello spazio),[10] alternativo a quello "perpetuamente imprevedibile dell'ambiente naturale",[11] conservava, tuttavia, nel proprio intimo, anche quello sovrannaturale di eredità giudaico-cristiana, orientato teleologicamente,[12] (il "tempo della Chiesa", ossia "del peccato" e "della grazia"[13] "che appartiene solo a Dio e non può essere oggetto di lucro")[14], come un altro orizzonte della sua esistenza, costitutivamente differente da quello della sua vita professionale.[15]

A livello collettivo, comunque, al tempo impreciso delle campane, che aveva fino ad allora scandito le attività rurali secondo il tocco delle horae canonicae,[16] si sostituisce l’esatto “tempo degli orologi",[17]  più consono alle nuove esigenze urbane. Questi "orologi rizzati dappertutto di fronte ai campanili delle chiese",[18] per Le Goff, sono il segno di una tendenza alla razionalizzazione e alla laicizzazione degli elementi dell’universo medievale, innescata, sullo scorcio del XIII secolo, dalle trasformazioni economico-sociali. “Nel cuore della crisi del XIV secolo”,[19] infatti, i nuovi ceti emergenti sollecitarono una promozione ideologica del lavoro che fosse funzionale alla giustificazione teorica delle loro attività. Qual era, quindi, fino a quel momento, lo statuto del lavoro nell’ambito della cultura medievale?

Le Goff cerca di rispondere a questa domanda, tentando di ricostruire quale fosse la dialettica instauratasi tra l’elitario mondo dell’élite dominante, che ha scritto la storia, e il microcosmo folklorico e mitico dell'oralità popolare, riaffiorante al di sotto degli occultamenti e dei travestimenti dell'ideologia e della religione ufficiali.  Possiamo ascrivere questa ricerca, quindi, a quella problematica della "lunga durata" che ha segnato il percorso intellettuale di Le Goff, [20] debitore, in questo, di Braudel, che, accanto al tempo rapido degli avvenimenti politico-militari (événementiel) e a quello intermedio dei cicli economici, ha individuato, nella storia,  quello lento e "quasi immobile"[21] dell'uomo in rapporto all'ambiente. A differenza di Braudel, però, volto alla storia economico-sociale, Le Goff vuole fornire una rappresentazione dinamica delle strutture sociali,[22] indirizzandosi verso uno dei filoni più significativi della "scuola"delle Annales, la storia delle mentalità.

E’ lo stesso Le Goff, infatti, a considerare i saggi di Tempo della Chiesa e tempo del mercante come contributi alla "costituzione di un'antropologia storica dell'Occidente preindustriale"[23] (fondata da Marc Bloch con I re taumaturghi),[24]che porti inevitabilmente la storia globale[25] ad attingere al di sotto delle espressioni coscienti e delle agitazioni superficiali prodotte dagli individui e dagli eventi storico-militari, alla realtà permanente delle "strutture". Ciò, infatti, "che cambia più lentamente nelle società e nelle civiltà",[26] ma che deve, comunque, seguirne le evoluzioni nel tempo è, per Le Goff, proprio la mentalità. Per "cercare di capire come funzioni una società", quindi, "è indispensabile guardare anche nell'ambito dell'immaginario",[27] analizzando anche le fiabe e i sogni e cogliendo i meccanismi di transfert operanti nelle collettività. In analogia con le ricerche di Freud e Jung, allora, lo storico deve "tentare di essere lo psicanalista del passato collettivo",[28] per coglierne "i desideri coscienti e incoscienti",[29] anche attraverso i significati profondi e i messaggi latenti dei documenti.

Quello che Le Goff sostiene di praticare è un "eclettismo ragionato", in quanto, a causa della "fecondità dei molteplici approcci nell'ambito delle mentalità"[30], questo o quel tipo di documento si rivela, di volta in volta (a seconda delle chiavi di lettura adottate e delle circostanze), più utile alla ricerca: si può partire, ad esempio, anche dalle illustrazioni dei lavori dei mesi,[31] o da una leggenda agiografica.[32] Ad esservi richiamati più frequentemente, però, sono i testi letterari, segnatamente, data la temperie medievale, quelli religiosi (come i manuali dei confessori, o le leggende agiografiche); per Le Goff, infatti, la letteratura, essendo espressione dei ceti produttori di cultura, rappresenta la realtà in modo riflesso e sublimato e costituisce un vero e proprio specchio deformante della società.[33] Ne deriva la necessità di "destrutturare" e "demistificare" il testo, analizzando le sue condizioni di produzione e la sincerità del suo autore, per mostrarne gli eventuali automatismi psicologici e gli occultamenti,[34] nella persuasione che anche il silenzio dei documenti su alcuni temi sia già significativo di una mentalità.

A questo riguardo, Le Goff individua un segno della scomparsa dei lavoratori dall'ideologia e dalla società altomedievali nel silenzio del materiale iconografico e delle fonti letterarie coeve su questo tema,[35] rintracciando il concorso di molteplici "eredità"nell'ambiguo rapporto degli uomini dell'epoca con il lavoro (oscillante tra rifiuto e valorizzazione di esso).[36] In modo ancor più sistematico[37] di quelle greco-romana (caratterizzata sia dal disprezzo per il lavoro manuale, che dall'energetismo virgiliano)[38] e barbarica (in cui si esalta la vita guerriera, ma si attribuisce prestigio sociale anche agli artigiani metallurgici),[39] l'eredità giudaico-cristiana[40] offre "agli uomini del Medioevo un arsenale ideologico contenente armi a sostegno di tutte le posizioni, tanto in favore del lavoro quanto del non-lavoro",[41] poiché pone l'accento sulla vita contemplativa e, contemporaneamente, soprattutto nella teologia paolina, contiene anche i germi della promozione del lavoro, i cui prodromi sono rintracciabili nella Rinascita Carolingia; a partire dal secolo VIII, infatti, con l'ondata di dissodamenti, il termine labor assume il nuovo senso di guadagno e di conquista (pur se in riferimento alla terra). I laboratores (identificati da Le Goff proprio con l'élite contadina protagonista dell'estensione delle coltivazioni), inoltre, fanno la loro comparsa anche nello schema letterario della società tripartita (immagine sublimata e propagandistica del mondo medievale, in uso nelle monarchie post-carolingie), costituendo una triade in cui, subordinatamente a quello religioso e a quello militare (rappresentati da oratores e bellatores), incarnano il valore economico della prosperità materiale.[42] riscattandolo dal'evoluzione "dal lavoro come penitenza, della Bibbia e dell'Alto Medioevo ",[43] praticato dai monaci come esercizio di mortificazione, a un lavoro riabilitato come mezzo di salvezza.

Per parlare di una vera e propria promozione ideologica del lavoro, però, bisogna attendere che la Chiesa fornisca ai nuovi ceti emergenti con lo sviluppo urbano la giustificazione teorica e la promozione spirituale delle loro attività; alla società feudale delle aristocrazie terriere e militari, che, anche sulla scorta di tabù ancestrali,[44] disprezza il lavoro, si sostituisce, quindi, l'universo della mobilità sociale, in cui quasi tutti i mestieri prima considerati illeciti sono divenuti legittimi. Di per sé, il lavoro cessa di rappresentare la linea di demarcazione tra considerazione e disprezzo, per diventare un merito e un mezzo di salvezza, grazie al quale seguire la propria vocazione e imitare l'opera creatrice divina.[45] Con il conseguente superamento del "tabù del denaro",[46] però, si aprono i due problemi simmetrici della commercializzazione del tempo e di quella della scienza. Se, infatti, il mercante fa del tempo, che prima apparteneva solo a Dio, un oggetto di lucro, anche l'insegnante (il lavoratore intellettuale) percepisce il suo salario proprio in quanto trasmette la scienza, donum Dei.[47]

Dal superamento degli ostacoli teologici (per la vendita della scienza) e psicologici (per il disprezzo del lavoro),[48] l'intellettuale, come il mercante, esce giustificato nel suo nuovo statuto professionale, in quanto "ogni salario o beneficio è legittimo quando è percepito pro labore".[49] A costituire il nuovo fine del lavoratore intellettuale, però, non concorre solo la pecunia, ma anche la laus, la gloria procurata dal sapere;[50] se già la "parola-insegna"[51] di "filosofo", con cui Abelardo designa il magister, evoca il primato della ragione sull'autorità, è con l'affermazione sigeriana della magnanimitas (in antitesi all'umiltà) che si celebra "la esaltazione delle virtù intellettuali legate allo status universitario"[52] e si getta la base teorica per la coscienza professionale del "mercante spirituale". Raggiunto il culmine, però, le Università, nate come corporazioni autonome di studenti e insegnanti, tendono a ripiegarsi in senso conservatore, diventando, nel Quattrocento, centri di formazione professionale per i quadri ecclesiastici e civili dei pubblici poteri.[53]

In antitesi alla saldatura tra cultura dotta ed élite dominante,[54] inoltre, Le Goff rintraccia un sostrato folklorico comune alle masse popolari e avverte che, nell'analizzare tale contrapposizione, non ha "abbandonato né il lavoro, né il tempo",[55] in quanto lo studio dell'immaginario collettivo permette di comprendere meglio le modalità di funzionamento e di trasformazione della società.[56]

A questo proposito, lo studioso francese individua, nella cultura ecclesiastica merovingia, una parziale accoglienza di alcuni elementi della tradizione folklorica,[57] ma un sostanziale rifiuto di essa (in quanto legata ai culti pagani delle masse rurali), che viene realizzato non solo abolendone i motivi, ma anche snaturandoli o sovrapponendo ad essi temi cristiani.[58] Nella leggenda agiografica della lotta di San Marcello con il drago, ad esempio, Le Goff individua contaminazioni greco-romane, asiatico-germaniche e indigene, operanti al di sotto dell'identificazione cristiana del drago con il diavolo, e, ravvisando nel santo la cristianizzazione dell'eroe sauroctono, del taumaturgo che riesce ad ammansire le forze naturali, ne conclude che si tratti del mito di fondazione, ricco di elementi folklorici, del borgo parigino di Saint-Marcel. Testimoni di questa duplice eredità (folklorica e cristiana), due draghi di San Marcello "si aggirano", così, per la Parigi tardomedievale: l'uno, immortalato tra le sculture di Notre Dame, è il simbolo del diavolo sconfitto dal pastorale, mentre l'altro è il drago processionale delle Rogazioni cittadine, legato ai riti propiziatori di fertilità.[59] Nello stesso mito medievale dell'Oceano Indiano ("orizzonte mentale",[60] più che vero e proprio luogo geografico), inoltre, Le Goff ravvisa la duplice tendenza a concepire l'India come terra di fenomeni contro natura (nell'ambito di un universo folklorico e mitico) e, nello stesso tempo, ad allegorizzare e moralizzare tali meraviglie.[61] Anche la leggendaria Melusina, la demoniaca[62] donna-serpente che torna a visitare di notte la sua prole, ha tutta l'aria, al di là del rivestimento cristiano, di essere la "trasformazione medievale di una dea-madre della fecondità",[63] il cui volto storico è legato alla congiuntura dell'ondata di dissodamenti e del decollo economico del Basso Medioevo.[64] 

2.    MULTIDISCIPLINARIETA' E STORIA-PROBLEMA.

Le Goff accoglie l’appello della "scuola" delle Annales alla multidisciplinarietà, nella convinzione che la storia, in quanto "scienza dell'uomo"[65] debba cogliere le collettività nel loro concreto operare (senza privilegiare alcun settore della vita sociale) ed aprirsi, quindi, agli scambi con le altre discipline. Anche per Le Goff, in antitesi a una ricerca esclusivamente politico-diplomatica, che si appiattisce sugli avvenimenti e sui grandi uomini (l'histoire-bataille), "lo scopo della vera storia è sempre stato quello di essere una storia globale o totale",[66] "in cui la civiltà materiale e la cultura si intersechino"[67] nell'ambito dell'analisi economica e sociale. Tempo della Chiesa e tempo del mercante reca, a tale riguardo, numerosi esempi dell'intreccio con le scienze sociali, di cui si applicano concetti e risultati; l'immagine letteraria della società tripartita, ad esempio, richiama alla mente di Le Goff lo schema indoeuropeo della società tri-funzionale (definito da Dumézil),[68] mentre un fondo atavico, costituito da tabù primitivi, è rintracciato nella proibizione altomedievale di certi mestieri.[69] E' il loro stesso autore, inoltre, come abbiamo visto, a considerare i saggi di Tempo della Chiesa e tempo del mercante come tappe per la "costituzione di un'antropologia storica dell'Occidente preindustriale",[70] fondata da Marc Bloch con I re taumaturghi.[71]

A tale riguardo, anche temi meno "tradizionali", come le leggende di Melusina e di San Marcello e il drago, il mito dell'Oceano Indiano o lo statuto del sogno nell'immaginario medievale, si rivelano utilissimi per ricostruire l'outillage mental dell'epoca. Questo concetto, usato da Febvre (sulla scorta degli studi antropologici di Lévy-Bruhl)[72] nel suo libro sulla presunta incredulità del Cinquecento,[73] ricorre più volte in Tempo della Chiesa e tempo del mercante[74] e, indicando "vocabolario, categorie di pensiero, norme estetiche e morali"[75] propri di un'epoca, rappresenta per lo storico un ammonimento a rifarsi, se non vuole incorrere in anacronismi, al bagaglio concettuale del periodo che si accinge a studiare.

Anche il pericolo, inoltre, che lo storico delle mentalità scivoli "verso lo pseudoscientifico"[76] può essere allontanato, per Le Goff, coniugando, secondo l'esempio di Michelet ("uomo di grande fantasia", ma anche "uomo d'archivio"),[77] "il rigore e l'immaginazione",[78] ossia ancorando le proprie ipotesi a solide basi documentarie. In Tempo della Chiesa e tempo del mercante, difatti, è frequente il richiamo alle fonti, che si presentano numerose e di varia natura, in ossequio al principio febvriano che tutto possa essere documento. Conformemente alle esigenze di una storia globale che non privilegi alcun settore della vita sociale, infatti, il materiale dello storico delle Annales è costituito non solo da documenti ufficiali o da testi scritti, ma anche, all'occorrenza, da qualunque reperto del passato (come "un poema, un quadro, un dramma: documenti che per noi testimoniano una storia viva e umana").[79]

Ormai lontano dal modello positivistico della storia-narrazione (che si limiterebbe ad accertare imparzialmente i fatti "bruti" e a concatenarli causalmente), per Le Goff "non vi è fatto storico che all'interno di una storia-problema",[80] nella consapevolezza che l'obiettività possa fungere soltanto da idea regolativa:  l'osservatore di un fenomeno, infatti, non può essere del tutto neutrale, poiché è condizionato dal proprio outillage mental ed è sempre guidato da ipotesi preliminari e categorie interpretative, che fanno isolare, nel mare delle testimonianze del passato, ciò che, in quel caso specifico, si possa considerare "documento".[81]

La metodologia della "storia-problema", condotta "per approssimazioni successive", sottende, quindi, anche ai saggi di Tempo della Chiesa e tempo del mercante presi nel loro complesso, in quanto l'idea di lavoro vi assume la funzione di "osservatorio privilegiato" per lo studio dei rapporti tra la storia delle mentalità e quella economico-sociale, ipotesi di ricerca che permette di cogliere l'universo mentale e materiale di un'intera epoca.

 

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

A)   FONTI

M. BLOCH, I re taumaturghi (tr. it. di S. LEGA), Torino, Einaudi 1989, con Prefazione (tr. it. di U. GHERNER) di J. LE GOFF (pp. XIII-XLVI).

F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II (tr. it. di C. PISCHEDDA, Torino, Einaudi 1982, 2 voll.

G. DUMÉZIL, Jupiter Mars, Quirinus (tr. it. di F. LUCENTINI), Torino, Einaudi 1955.

L. FEBVRE, Problemi di metodo storico (tr. it. di C. VIVANTI), Torino, Einaudi 1966.

ID., Il problema dell'incredulità del secolo XVI (tr. it. di L. CURTI), Torino, Einaudi 1978.

J. LE GOFF, Tempo della Chiesa e tempo del mercante (trad. it. di M. ROMANO), Torino, Einaudi 1977.

ID., "Storia" (tr. it. di G. ROVIDA), in R. ROMANO (a cura di), Enciclopedia, Torino, Einaudi 1981, vol. XIII, pp. 566-656.

L. LÉVY-BRUHL, La mentalità primitiva (tr. it. di C. CIGNETTI), Torino, Einaudi 1966.

B) STUDI

A. D'ORSI, Alla ricerca della storia. Teoria, metodo e storiografia, Torino, Paravia 1999.



[1] J. LE GOFF, Tempo della Chiesa e tempo del mercante (trad. it. di M. ROMANO), Torino, Einaudi 1977, p. X.

[2] ivi., p. X.

[3] ivi, p. XI

[4] articolo, p. 585.

[5] Tempo…

[6] ivi, p. 18.

[7] ibidem

[8] ivi, p. 18.

[9] ivi, p. 13.

[10] Per il mercante, infatti, "la durata essenziale è quella di un tragitto" (ivi, p. 15), come si può notare nell’innovazione della prospettiva, espressione di una visione in cui "gli uomini e gli oggetti sono raggiunti successivamente - secondo tappe quantitativamente misurabili - dai procedimenti umani" (ivi, p. 16).

[11] ibidem

[12]"Questo tempo, d'altra parte, è lineare, ha un senso, una direzione, tende verso Dio", ivi, p. 8.

[13] ivi, p. 17.

[14] ivi, p. 5.

[15] ibidem

[16] ivi, p. 26.

[17] ibidem

[18] ivi, p. 14.

[19]

[20] Cfr. ID., Tempo della Chiesacit, p. VIII.

[21] F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II (tr. it. di C. PISCHEDDA),Torino, Einaudi 1982, vol. I, p. XXVII.

[22] Cfr. J. LE GOFF, Tempo della Chiesa… cit., p. 53.

[23] ivi, p. XII.

[24] Cfr. ID., Prefazione (tr. it. di U. GHERNER), in: M. BLOCH, I re taumaturghi (tr. it. di S. LEGA), Torino, Einaudi 1989, p. XLIII.

[25]

[26]Cfr. ID., Tempo della Chiesa… cit., p. 53.

[27] ivi, p. XII.

[28] ivi, p. 101.

[29] ivi, p. 101.

[30]

[31] Cfr. J. LE GOFF, Tempo della Chiesa… cit., p. 89.

[32]

[33] ivi, p. 100.

[34] Cfr. ID.,"Storia", ed. cit., p. 630.

[35] ivi, pp. 81-83.

[36] ivi, p. 76.

[37] ivi, p. 79.

[38] ivi, pp. 77-78.

[39] ivi,  pp. 78-79.

[40] ivi, pp. 79-80.

[41] ivi, p. 80.

[42] ivi, p. 49.

[43] ivi, p. X.

[44] ivi, pp. 55-56.

[45] ivi, p. 144.

[46] ivi, p. 56; p. 150.

[47] ivi, pp. 150-151.

[48] ivi, p. 118.

[49] ivi, p. 152.

[50] ivi, p. 157.

[51] ivi, p. 166.

[52] ivi, p. 165.

[53] ivi, pp. 171-188.

[54] Secondo Le Goff, nonostante mutamenti profondi nei loro rapporti, nel Medioevo e nel Rinascimento "il Regnum e lo Studium si sono reciprocamente portati aiuto e rispetto".ivi,  p. 188.

[55] ivi, p. XII.

[56] ibidem

[57] ivi, p. 199.

[58] ivi, pp. 200-201.

[59] ivi, pp. 233-253.

[60] ivi, p. 268.

[61] ivi, pp. 267-268.

[62] ivi, p. 304.

[63] ivi, p. 306.

[64] ivi, p. 307.

[65]Cfr. L. FEBVRE, Problemi di metodo storico (tr. it. di C. VIVANTI), Torino, Einaudi 1966, pp.141

[66] Cfr. J. LE GOFF, "Storia" (tr. it. di G. ROVIDA), in R. ROMANO (a cura di), Enciclopedia, Torino, Einaudi 1981, vol. XIII, pp. 566-656 (p. 585)

[67] Cfr. ID., Tempo della chiesacit., p. XI.

[68] Cfr. G. DUMÉZIL, Jupiter Mars, Quirinus (tr. it. di F. LUCENTINI), Torino, Einaudi 1955.

[69] Cfr. J. LE GOFF, Tempo della Chiesa… cit., pp. 55-56.

[70] ivi, p. XII.

[71] Cfr. ID., Prefazione (tr. it. di U. GHERNER), in: M. BLOCH, I re taumaturghi (tr. it. di S. LEGA), Torino, Einaudi 1989, p. XLIII.

[72] Cfr. L. LÉVY-BRUHL, La mentalità primitiva (tr. it. di C. CIGNETTI), Torino, Einaudi 1966.

[73] Cfr. L. FEBVRE, Il problema dell'incredulità del secolo XVI (tr. it. di L. CURTI), Torino, Einaudi 1978, p.341.

[74] Cfr. J. LE GOFF, Tempo della Chiesa… cit., p.134; p. 193; pp. 195-196; p. 202; p. 283.

[75] ivi, p. 134.

[76] ivi, p. XIII.

[77] ivi, p. VIII.

[78] ivi, p. XIII.

[79] Cfr. L. FEBVRE, Problemi di metodo storico (tr. it. di C. VIVANTI), Torino, Einaudi 1966, pp. 70-71.

[80] Cfr. J. LE GOFF, "Storia", ed. cit., p. 575.

[81] ivi, p. 627