LA GRANDE CRITICA LETTERARIA

UGO FOSCOLO

E' da osservare che lo schema del carme si attiene con assoluto rigore al tema della tomba e della sua rivendicazione come valore umano, nei confronti delle leggi napoleoniche che lo misconoscevano. La tomba viene assunta per quello che è nel costume, una realtà, che ha un suo rilievo di ordine affettivo, sociale e storico, nella vita di tutte le comunità civili: il suo posto è all'ombra dei cipressi; è adorna di fiori ed è confortata dalle visite e dal pianto dei vivi. Questa realtà, sul piano della verità assoluta, che coincide nel pensiero di Foscolo con la verità della natura-materia, quale ci appare dall'osservazione e dalla indagine, non ha valore, perché non può dare stabilità e durata al caduco (la speranza cristiana nella risurrezione non soccorre), ed essa stessa, come ogni altra cosa, è travolta dal moto incessante e irresistibile che spezza e confonde perennemente le forme di tutto ciò che esiste. Il vero assoluto è per il Foscolo la natura, più propriamente, questa forza cosmica che trascina l'universo in un incessante divenire, in cui le forme della materia appaiono come realtà transeunti e caduche. Sullo sfondo di questa negazione, che è un vero e proprio presupposto, per quanto generico, di credo filosofico, la tomba si pone come cosa assai importante nei confronti dell'uomo e del suo destino. Infatti, il valore che ognuno vi annette è in ragione del desiderio, presente in lui come in tutti, di ritardare il proprio perdersi, come consistenza di persona, nella notte dell'oblio. Tale sentimento di ciascuno si integra nella prerogativa pure generale, ma propria ed esclusiva dell'uomo, di potersi intrattenere sul piano della memoria anche con chi non appartiene più alla realtà fisica ed esiste solo come immagine riflessa nella coscienza di chi lo ha conosciuto vivente. Questa facoltà è celeste, quasi soprannaturale, perché consente di stabilire un campo di rapporti, al di sopra della legge della materia ed eludendo il suo rigore: la tomba è la condizione, l'istituto per dire così, di un tale corrispondere. Il concretarsi all'esterno, in istituto, di questa facoltà dell'uomo va di pari passo con il suo togliersi dallo stato ferino e l'affermarsi di quelle forme civili del vivere, che impongono affetti, fuori e oltre le forme concrete dell'esistere materiale. Perciò la tomba è un dato della storia, una facoltà umana che si atteggia in concreto con una sua libertà e intorno alle cui modalità diverse si può dare un giudizio di valore sulla base della conformità al suo fine (oppure giudizio di simpatia, diremo noi). Rispetto ai valori, di cui si costituisce la storia, ha funzione preminente, giacché contribuisce a mantenere la tradizione e ad elevarla con il ricordo di coloro che più hanno contribuito a sottrarre l'umanità al predominio della materia, e farla vivere nel mondo che più le è proprio. La tomba fornisce un punto di riferimento per l'esaltazione dei grandi e di quegli eroi che, come Ettore rispetto a Troia, forniscono con il loro valore e il loro sacrificio una espressione eroica della devozione a quella continuità ideale, che costituisce la patria. Tutto ciò, di fronte a quella forza cosmica che tutto annienta e trasforma, di fronte alla assolutezza della sua disperata verità, si qualifica come illusione; ma questo illudersi è condizione ed essenza dell'essere uomini.
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I Sepolcri sono un documento del pensiero del Foscolo; pensiero che è potuto diventare poesia, perché affonda le proprie radici nell'intimo della coscienza, come essa sente, ama "l'armonia del giorno". Sullo sfondo dell'amarezza del morire fisico che si sistema a nozione del trasformarsi incessante di tutte le cose, si erge una visione virile della vita, additata come l'unico rimedio, poiché in qualche modo appaga l'ansia di esistere oltre di sé. Non c'è dubbio che tale visione, in cui domina il valore della tradizione e della patria, come forme essenziali del sopravvivere terreno, muove non da secchi presupposti razionali, bensì da un sentire che si immedesima con tutta la personalità del poeta. Di essa egli non dà, né ha bisogno di dare, una giustificazione razionale; anzi è disposto a considerarla come illusione, quando si guardi alla sua relatività rispetto all'assoluto dell'eterno finire. Ma nell'ambito dell'uomo, e delle facoltà che a lui solo la stessa natura ha conferito, tale relatività diventa per lui assolutezza nelle forme eroiche dell'agire, così come la raggiunge nell'arte, che dà realtà duratura a momenti di superiore creatività.

da A. Pagliaro, Nuovi Saggi di critica semantica, D'Anna, Firenze-Messina 1963