Halabja, la cronaca, le colpe (www.kdp.pp.se)
| Lo sterminio chimico di Halabja (www.nonluoghi.it)
| L'ultimo anniversario dimenticato (16/03/02)
| Le ferite di Halabja (da Il Manifesto, 22/03/01)
Halabjah, la cronaca, le colpe
di ALEX ATROUSHI (www.pdk.pp.se)
Gioia e allegria permeavano l'aria ad Halabja. I sorrisi non appassivano mai dalle labbra della gente sempre oppressa di questo paese.
Gli aeroplani da caccia iracheni compirono il bombardamento chimico di Halabja, e alcune ore dopo giunse la notizia che anche Khormal aveva subìto lo stesso trattamento.
Il suono della gioia si spense.
I bambini cercavano la protezione delle braccia delle loro madri. Questo fu l'inizio di un grande crimine della storia.
Giovedì 17 Marzo 1988 e Venerdì 18 Marzo 1988, ebbe luogo ad Halabja uno dei più vergognosi e terribili eccidi della storia. Il paese di Halabja fu bombardato con armi chimiche a con bombe a grappolo più di venti volte dagli aeroplani militari iracheni.
In ogni strada e vicolo, donne e bambini si rovesciavano gli uni sugli altri. Pianti e lamenti si udivano da ogni casa nel paese. Molte famiglie che stavano dormendo felicemente nei loro letti, furono sottoposte prima dell'alba al bombardamento chimico di gas velenosi che non gli consentirono mai più di alzarsi dai propri letti.
Uno sguardo alla posizione di Halabja
Halabja, con una popolazione di circa 70.000 abitanti si trova nella provincia di Sulaimanya, 260 chilometri a nord-est di Baghdad. E' circondata a nord, sud ed est dalle alture di Suran, Balambu, Shireh-roudi e Shaghan. Ad ovest si trova il lago della diga di Darbandikhan. Halabja, che si trova a 11 chilometri di distanza dal più vicino punto di confine con l'Iran, occupa una zona piana e fertile protetta dalla vegetazione. Molti abitanti di Halabja sono agricoltori o allevatori. Halabja e i suoi villaggi intorno come Khormal e Dojeyleh hanno testimoniato a lungo le lotte dei curdi contro il regime iracheno.
Cosa è successo ad Halabja quel maledetto Venerdì?
Il brutale massacro della gente oppressa e innocente di Halabja iniziò prima dell'alba di Venerdì, il 17 Marzo 1988. Ma il regime iracheno commise il più tragico e orribile delitto dall'inizio della guerra imposta fino ad ora contro la popolazione civile il Venerdì 18 Marzo 1988. In questo giorno, Halabja fu bombardata con armi chimiche a con bombe a grappolo più di venti volte dagli aeroplani militari iracheni. Decine di bambini, mentre giocavano davanti alle loro case la mattina, furono uccisi all'istante dal gas cianuro. Alcuni bambini caddero al suolo sulla soglia delle porte delle loro case e non si rialzarono mai più. In un'area di appena 150 metri sulla strada principale di Halabja, almeno 50 donne e bambini furono uccisi come esito dello spiegamento di armi chimiche. Un padre era accanto ai corpi senza vita della moglie e dei suoi dieci figli, e si lamentava. I delitti furono vasti, molto vasti. In un Simorgh Van i cadaveri di venti donne e bambini, che mentre si preparavano a lasciare il paese e i bombardamenti chimici furono privati di questa opportunità, attirarono l'attenzione di qualche osservatore e fece considerare loro l'intensità della catastrofe. Le ferite mortali sui cadaveri di queste persone innocenti erano evidenti. Il crimine di Saddam ad Halabja superò di gran lunga la tragedia del bombardamento chimico di Sardasht. Ad Halabja più di cinquemila persone furono uccise e più di settemila ferite. Donne e bambini formarono il 75% delle vittime e dei feriti del maledetto Venerdì di Halabja.
La ripetizione di un crimine che era stato condannato molte volte
Il regime iracheno firmò il protocollo di Ginevra del 1925 sulla proibizione dello spiegamento di armi chimiche e biologiche nelle guerre del 1931. Le regole della Convenzione di Ginevra del 1972 richiesero a tutte le nazioni di cessare la produzione, l'allestimento e la conservazione di tutti i tipi di armi chimiche e biologiche e di demolirle, e anche la risoluzione 37/98 delle Nazioni Unite, che enfatizzava la necessità di osservare gli articoli e i contenuti del protocollo e della Convenzione di Ginevra, era stata accettata dagli stati membri delle Nazioni Unite incluso l'Iraq.
Nell'Aprile 1987, ventiquattro villaggi del Kurdistan iracheno furono bersagliati con bombardamento chimico, due volte in meno di 48 ore. Saber Ahmad Khoshnam, uno degli abitanti dei villaggi bombardati, all'ospedale Loqmanodulleh di Teheran (Iran) il 28 Aprile 1987 affermò ai giornalisti che gli aerei da guerra iracheni fecero piombare 18 bombe chimiche presso i villaggi di Sheikh Dassan, Kani Bard, Pasian e Tuteman. Disse inoltre che più di cento persone di quei villaggi erano rimaste ferite e che aveva osservato un'intera famiglia del villaggio di Pasian perdere la propria vista. Nel corso del bombardamento chimico della fine di Aprile del 1987 dei villaggi iracheni, più di 130 innocenti abitanti furono uccisi e circa 500 di essi feriti.
Il regime iracheno ha utilizzato armi chimiche contro il suo stesso popolo, mentre rappresentative del segretario generale delle Nazioni Unite durante le loro visite in Iran in due diverse occasioni preparavano rapporti dettagliati sullo spiegamento di armi chimiche contro la popolazione civile sottoposti poi alle Nazioni Unite nei rapporti numero S/16433 e S/18852; e dopo la presentazione di questi rapporti dal segretario generale al Consiglio di Sicurezza, anche questo consiglio si unì a quelle organizzazioni che condannarono lo spiegamento da parte dell'Iraq di armi chimiche. Ma nonostante tutte queste condanne, il potere di Baghdad ha continuato i suoi crimini.
I gas utilizzati contro la popolazione civile di Halabja
Il regime iracheno, nei bombardamenti chimici di Halabja e dei villaggi circostanti, ha utilizzato 3 tipi di gas chimici. Secondo le ricerche di fisici iraniani, iprite, nervino e cianuro sono stati i gas utilizzati contro i civili ad Halabja e nei paraggi. Una parte delle vittime del bombardamento chimico di Halabja, dopo aver inalato il gas cianuro, furono soffocati all'istante. Le autopsie dei corpi delle vittime hanno confermato che il soffocamento della maggioranza delle vittime fu dovuto all'inalazione del gas cianuro.
I mass media e il crimine iracheno di Halabja
I crimini del regime iracheno nel bombardare chimicamente la città di Halabja furono troppo gravi per rendere possibile per qualche essere umano un'annotazione. I corrispondenti dei mass media occidentali e americani che hanno visitato Halabja hanno scoperto alcuni fatti circa gli orribili crimini commessi dal regime iracheno. Inoltre, le reti televisive e radiofoniche negli Stati Uniti, in Francia e Inghilterra, diffondendo un breve filmato del massacro tossico dei residenti di Halabja, hanno reso il loro pubblico partecipe del più orribile crimine della storia dopo il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki. Una parte del materiale redatto dalla stampa mondiale concernente il bombardamento chimico di Halabja è il seguente:
dall'articolo del corrispondente del quotidiano londinese The Independent, pubblicato il 23 Marzo 1988:
"Il riportato massacro di 5.000 curdi negli attacchi iracheni con gas tossici sottolinea una nuova pericolosa dimensione all'interno del mutevole scenario mediorientale: la crescita delle possibilità di guerra chimica di diverse importanti potenze della regione, e la paura che, nonostante gli sforzi per tenere a freno queste armi, esse possano essere utilizzate più estesamente…"
"… (producendo armi chimiche) l'Iraq è stato ovviamente aiutato dalle compagnie britanniche, tedesche occidentali, indiane, austriache, belghe e italiane, nonostante le interdizioni sullo smercio di sostanze chimiche che possano avere un uso militare…"
"E' evidente che gli iracheni hanno sganciato bombe di gas tossico su quei paesi perché i tradizionalmente ribelli curdi, che stanno combattendo per l'autonomia da Baghdad da anni, hanno accolto le truppe iraniane…"
Diverse reti televisive francesi, Mercoledì 23 Marzo e Giovedì 24 Marzo 1988, hanno diffuso le prime immagini di cadaveri di migliaia delle vittime e dei feriti del bombardamento chimico di Halabja. I commentatori della televisione francese descrissero questi crimini come intollerabili, disgustanti e orribili. Alcuni commentatori considerarono i delitti di Saddam quasi più orribili di alcuni crimini di Hitler. Il primo canale della televisione francese notò che non era la prima volta che il regime di Baghdad avesse spiegato armi chimiche, tuttavia che era la prima volta che Iraq le usasse così estesamente contro i civili.
Andrew Gowers, redattore mediorientale, e Richard Johns del quotidiano londinese Financial Times, scrissero il 23 Marzo 1988:
"Ciò che è successo l'ultimo anno, e soprattutto l'ultima settimana, in un remoto angolo del nord est iracheno rivela l'inesplorata intensità della crudeltà…"
Alistair Hay, docente di patologia all'Università di Leeds, in Inghilterra, parlando al BBC Television News e al BBC Radio World Service il 22 e il 23 Marzo 1988:
"I curdi hanno rivendicato da molti mesi, forse oltre un anno, che l'Iraq stava usando agenti chimici contro di loro. Ma quest'ultima occasione sembra essere il primo caso realmente documentato che abbiamo dove vengono utilizzati agenti chimici".
"L'Iraq ha utilizzato agenti chimici contro l'Iran per tre anni su larga scala. E sebbene l'occidente e altri paesi sono stati rigidi nella condanna di questo uso, l'Iraq si sentiva ancora abbastanza sicuro nell'usare agenti chimici. Essi li hanno utilizzati perché questi agenti sono molto efficaci contro chi non ha protezione, e fin quando non c'è una fine alla guerra, o sanzioni sufficienti contro Iraq per convincerli a non usare agenti chimici, io ho paura che essi continueranno ad usarli o così sembra".
"Le Nazioni Unite hanno compiuto tre investigazioni sull'uso di agenti chimici nella guerra tra Iraq e Iran e hanno affermato inequivocabilmente in tutte le tre occasioni che l'Iraq ha usato agenti chimici in guerra. Essi hanno inoltre affermato che l'iprite fu certamente usata in tutte le tre occasioni, cioè nel 1984, 1985 e 1987, evidenziando anche l'uso di un gas nervino, il tabun. L'investigazione fu condotta da una squadra ben qualificata, per cui non ho dubbi nella mia mente che questi agenti siano stati realmente utilizzati".
Articolo da Halabja di David Hirt, corrispondente mediorientale del quotidiano londinese The Guardian, pubblicato il 23 Marzo 1988:
"Né ferite, né sangue, né tracce di esplosione si possono trovare sui corpi - comprendenti uomini, donne, bambini, bestiame e animali domestici - che occupano le case al coperto e le nude strade di terra in questa remota e trascurata città curda…"
"La pelle dei corpi è pallida in maniera strana, con i loro occhi aperti e fissi quando non sono scomparsi dentro le loro orbite, una bava grigiastra cola dalle loro bocche e le loro dita sono contorte in maniera assurda."
"La morte apparentemente li ha colti quasi inconsciamente nel mezzo dei loro lavori domestici. Essi avevano appena la forza, alcuni di loro, di morire all'entrata delle loro case, solo per crollare qualche passo più in là. Qui c'è una madre che sembra stringere le sue bambine in un ultimo abbraccio, lì un uomo anziano ripara un bambino da qualcosa che egli non ha ancora compreso…"
"E' difficile capire qualche giustificazione per il bombardamento chimico di Halabja che sia diversa dall'unica che hanno proposto gli Iraniani e i curdi, cioè la vendetta…"
"Mentre l'artiglieria continua a rimbombare intorno alle colline, Halabja resta silenziosa e deserta, eccetto per ciò che possono ancora cercare ed eccetto un anziano sbalordito, assente durante il bombardamento, che è tornato indietro in cerca della sua famiglia…"
trad. di Stefano Savella
Lo sterminio di Halabjah, Marzo 1988
di CHRISTINE GOSDEN (www.nonluoghi.it)
La genetista inglese C. Gosden è l'unica ad aver studiato gli effetti delle bombe irachene
Il 16 Marzo del 1988, Halabja, una città curda del nord Iraq di 45.000 abitanti, fu sottoposta, nel corso di un'azione militare irachena, al più massiccio bombardamento con armi chimiche che sia mai stato usato nei confronti di civili.
Gli agenti chimici usati erano un "cocktail" di iprite (dannosa per la pelle, gli occhi e le membrane dell'apparato respiratorio) e di gas asfissianti nervini denominati "sarin", "tabun" e "VX". I veleni chimici impregnarono la pelle e gli abiti della gente, ne attaccarono le vie respiratorie e gli occhi, e contaminarono acqua e cibo. Molte persone caddero uccise all'istante, lì dove si trovavano in quel momento, prime vittime dell'attacco. Si stima che morirono così circa 5000 persone. Alcuni vennero trasportati immediatamente negli Stati Uniti, in Europa o in Iran per essere curati. La maggior parte fece presto poi ritorno ad Halabja.
Da allora nessuna équipe medica, irachena, europea o americana, nessuna agenzia internazionale, ha valutato gli effetti a breve termine o le conseguenze a lungo termine che hanno avuto i bombardamenti chimici. Gwynne Roberts, un regista, girò nel 1988 un film sull'attacco chimico che fu premiato. Il film si intitolava "Venti di Morte" ("The Winds of Death"). Vidi questo film, che mi colpì profondamente.
Gwynne è ritornato ad Halabja lo scorso anno (1997), ed è rimasto impressionato dalla quantità di sopravvissuti che, già a prima vista, apparivano in pessime condizioni di salute. Non riusciva a capire come mai nessuno avesse mai cercato di verificare cosa stesse accadendo a quelle persone. Mi ha convinto che avrei dovuto fare qualcosa. Perché mai una donna, docente di genetica, ha voluto intraprendere un viaggio come questo? Sono andata per imparare ed aiutare.
Era la prima volta che una terribile mistura di armi chimiche veniva impiegata contro una così vasta popolazione civile. Volevo vedere la natura e l'entità dei problemi che aveva la gente, ed ero sconcertata che in dieci anni dall'attacco nessuno, incluse le principali organizzazioni umanitarie, avessero visitato Halabja per determinare esattamente gli effetti che avevano avuto quei bombardamenti.
Ero preoccupata di possibili effetti, quali malformazioni congenite, sterilità e cancri, indotti non solo in donne e bambini, ma nell'intera popolazione. Temevo anche che potessero esservi altri effetti gravi a lungo termine, come cecità e danni neurologici, per i quali non esiste nessuna terapia conosciuta.
Quello che ho trovato è stato di gran lunga peggiore di quanto avessi mai potuto immaginare. Le sostanze chimiche avevano seriamente danneggiato il sistema nervoso e respiratorio e gli occhi della gente. Molti erano diventati ciechi. Frequenti le malattie della pelle, con gravi piaghe che spesso degenerano in cancri della pelle.
Lavorando insieme ai medici del posto, ho confrontato l'incidenza di sterilità, malformazioni congenite e cancri (includendo cancri alla pelle, al cranio, collo, sistema respiratorio, tratto gastrointestinale, seno e tumori infantili) tra coloro che allora si trovavano ad Halabja con quella di una popolazione di una città situata nella stessa regione e non interessata dai bombardamenti chimici.
Ho trovato che la frequenza di queste patologie risultava ad Halabja tre o quattro volte maggiore, anche a distanza di dieci anni dall'attacco.
Un numero sempre crescente di bambini muore ogni anno di leucemie e linfomi. I tumori tendono a manifestarsi ad Halabja in popolazioni molto più giovani che altrove, e molte persone hanno tumori aggressivi, per cui i tassi di mortalità sono molto alti. Nella regione non è disponibile né chemioterapia né radioterapia. Ho verificato anche che la chirurgia pediatrica è del tutto carente, e sarebbe fondamentale per poter intervenire sui principali difetti cardiaci congeniti, labbro leporino, gola lupina e sulle altre gravi malformazioni dei bambini. Questo significa che ad Halabja stanno morendo di malattie cardiache bambini che potrebbero essere operati e con buona probabilità sopravvivere se vivessero in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. E' stato per me molto penoso vedere volti di bei bambini sfigurati da labbra leporine o palato lupino, sapendo che esperti chirurghi in Europa e nel nord America correggono ogni giorno questi difetti.
Quasi in ogni strada, in ogni casa, in ogni reparto ospedaliero si assiste ogni giorno alla tragedia umana delle conseguenze neuropsichiatriche dei bombardamenti chimici. La gente piange ed ha gravi disturbi depressivi. Le tendenze suicide sono palesemente evidenti. Spesso i chirurghi si trovano a dover asportare proiettili dal corpo di persone che hanno tentato il suicidio.
Molti hanno danni neurologici o effetti neuromuscolari a lungo termine. Molte persone non possono permettersi nemmeno i più economici trattamenti terapeutici o farmaci, e perciò sono riluttanti a recarsi all'ospedale. Al momento ad Halabja non esistono terapie efficaci per nessuna di queste patologie, anche nel caso di trattamenti "salva-vita".
Il fatto che si riscontrino gravi malformazioni congenite di origine genetica in bambini nati anni dopo l'attacco chimico indica che gli effetti di queste sostanze chimiche vengono trasmessi alle generazioni successive.
La presenza di alto tasso di aborti, di morti infantili e di sterilità significa che in questa comunità la vita non può più riprodursi. Gli abitanti speravano che dopo l'attacco avrebbero potuto ricostruire le famiglie e le comunità distrutte. L'impossibilità della ricostruzione ha portato la gente alla disperazione. Ne ha frantumato la vita e le speranze.
Un sopravvissuto racconta di essersi rifugiato in uno scantinato con circa un centinaio di altre persone, tutte morte durante i bombardamenti. I sopravvissuti non solo devono confrontarsi con il ricordo dei loro cari morti all'improvviso tra le loro braccia, ma devono anche sopportare malattie dolorose che colpiscono loro stessi, amici e parenti. Molti hanno più d'un problema grave, come malattie respiratorie, nervose, dermatologiche, degli occhi, tumori e figli disabili con malformazioni congenite, deficit mentali, paralisi cerebrale e sindrome di Down.
Dieci anni dopo l'attacco chimico, la gente sta soffrendo di molteplici effetti, tutti attribuibili a danni a lungo termine del DNA.
Il giorno prima del nostro arrivo era stato lanciato un appello radiofonico in cui si chiedeva alle persone con problemi di salute di recarsi in ospedale per una ricognizione. Il primo giorno si sono presentate 700 persone, di cui 495 avevano due o più gravi problemi di salute. Ci siamo imbattuti in casi estremamente tristi.
La popolazione di Halabja necessita di aiuti immediati. Sono necessari specialisti (come chirurghi pediatrici), apparecchiature e farmaci. Ancor più essenziale provvedere a bisogni primari, come riscaldamento, acqua pulita e sforzarsi di salvaguardare la popolazione da ulteriori attacchi futuri.
Dobbiamo renderci conto che le conoscenze mediche e scientifiche di cui disponiamo su quali siano i metodi più adeguati di trattamento delle vittime di un attacco chimico di tale portata sono davvero esigue. E' necessario ascoltare, pensare e valutare con grande attenzione, poiché molte di queste persone sono state esposte a strane combinazioni di gas tossici. Molti presentano quadri clinici mai visti o documentati prima d'ora.
Di fatto non abbiamo alcuna conoscenza su come trattare i problemi derivanti da armi così devastanti, con conseguenze di tale atrocità mai riscontrate in passato.
Le immagini che girarono il mondo dopo l'attacco del 1988, diffuse dai giornali e dalle televisioni, erano raccapriccianti. Una foto riproduceva un padre che moriva stringendo a sé due gemelli neonati, nel tentativo di far loro da scudo con il corpo. Una statua che riproduce quell'immagine è all'ingresso di Halabja. Non è la tradizionale statua di un eroe che si erge fiero, scolpito in pietra o bronzo a rappresentare il successo ed il trionfo dell'uomo, ma è l'immagine di un uomo prostrato ed agonizzante, che muore nell'atto di proteggere i suoi bambini.
Un profondo brivido mi ha attraversato quando sono entrata nella città ed ho visto quella statua..E' stato come una nube tossica psicologica che si è calata su di me, difficile da scacciare. Si è fatta più intensa quando ho incontrato la gente, ho ascoltato le loro storie ed ho visto l'entità degli effetti patologici a lungo termine.
Le immagini terribili della gente di Halabja e la loro situazione ritornano di notte nei miei incubi e riappaiono di giorno nei miei pensieri. Forse il persistere di questi vividi ricordi mi è di monito che ora l'impegno più importante deve essere quello di tentare di portare aiuto a questa gente, con tutte le nostre forze.
trad. di Iole Pinto
L'ultimo anniversario, 16 Marzo 2002
Sono passati quattordici anni dal massacro di Halabja, lo sterminio di massa con armi chimiche più vasto che sia mai stato compiuto nella storia dell'umanità.
Eccidio ignorato dal villaggio globale, allora come ora. Qui in Italia il nome Halabja, ai più sconosciuto, non evoca nulla. Di solito l'anniversario di quella strage non viene commemorato o ricordato dalle colonne di alcun giornale. Anche quest'anno è andata così.
Il 16 Marzo del 1988 Halabja, una città kurda del nord Iraq di settantacinquemila abitanti, fu bombardata con armi chimiche dalle forze aeree irachene. Ufficialmente si trattava di un'operazione militare nell'ambito della guerra Iran-Iraq. In realtà a partire dal 1987 più di sessanta villaggi kurdi erano già stati gasati nell'ambito della campagna di pulizia etnica perseguita da Saddam Hussein contro i Kurdi, la campagna denominata 'Al Anfal' (dal Corano: prede di guerra). Numerose multinazionali occidentali, note fabbriche tedesche, italiane, svedesi, intrecciavano a quel tempo fiorenti commerci con l'Iraq, rifornendolo di armi, mine e tecnologie per la fabbricazione di pesticidi e per la loro facile conversione in armi chimiche. L'attacco ad Halabja cominciò alle sei e venti del pomeriggio del 16 marzo e si protrasse per tre giorni. Gli agenti chimici usati erano un cocktail di iprite e di gas nervini denominati "sarin", "tabun" e "VX", il più letale di tutti. Nuvole di gas fluttuavano sulla città e sulle vicine colline, contaminando la fertile pianura. Gli abitanti non avevano alcuna protezione e i gas impregnarono i loro abiti, penetrando poi nella pelle, negli occhi e nei polmoni. Almeno cinquemila persone (ma probabilmente molte di più) morirono nel giro di poche ore. Molti morirono avvelenati nelle cantine in cui avevano cercato scampo, intrappolati dai gas più pesanti dell'aria. Si stima che altre quattromila persone siano state uccise sulla strada che esce dalla città, vicino al villaggio di Anab, mentre tentavano di scappare verso l'Iran. Molti si buttarono in uno stagno per lavare via gli agenti chimici ma morirono dopo pochi minuti. I loro cadaveri rimasero lì per mesi mentre le tossine letali emesse dai loro corpi filtravano nel terreno e contaminavano le falde acquifere. I veleni chimici contaminarono acqua e cibo. I sopravvissuti si rifugiarono in Iran per essere curati. Un mese dopo i bombardamenti chimici la città venne sistematicamente demolita con esplosivi dalle truppe irachene, edificio per edifico.
Alcuni corrispondenti occidentali e iraniani che si trovavano sul posto ripresero le immagini di quella moderna Pompei, intatti gli edifici, le strade senza voci e senza suoni, corpi di bambini con gli occhi sbarrati e le labbra viola, riversi a grappoli sui marciapiedi, intere famiglie colte dalla morte sulla soglia di casa, nel carretto o sulla strada, una bimba con in braccio il suo gattino, mentre tenta l'inutile fuga. Altri ancora disseminati in pose grottesche su tutte le strade, o caduti ridendo istericamente negli spasmi mortali provocati dal sarin. Quelle immagini fecero il giro del mondo, per essere presto dimenticate. L'Occidente continuò a fingere di ignorare l'atroce genocidio del popolo kurdo che si stava consumando in Iraq nel silenzio colpevole di media e governi. A quel tempo Saddam Hussein era alleato sia dell'Unione Sovietica che dei paesi europei, che gli vendevano armi e lo consideravano un baluardo contro la Repubblica islamica dell'Iran e l'integralismo islamico. Così a Ginevra, nell'agosto del 1988, la Commissione per la difesa dei Diritti umani non considerò urgente condannare l'Iraq per crimini contro l'umanità, nonostante le ripetute denunce dei Kurdi sopravvissuti ad Halabja ed ai successivi massacri chimici. Da allora il silenzio è calato su Halabja. Silenzio comprato con contratti miliardari di armi e la complicità delle nostre multinazionali della chimica. I nomi delle aziende che fornirono mezzi e tecnologie a Saddam Hussein per tentare la 'soluzione finale' della questione kurda, non sono mai stati rivelati dagli ispettori dell'ONU. Sembrerebbe atto dovuto da parte dei governi europei riconoscere le proprie responsabilità e risarcire il popolo Kurdo per quei massacri dimenticati. Il ricordo di quattordici anni fa, oggi, ad Halabja, è ancora nel volto accecato dei sopravvissuti, nei corpi segnati dalla malattia, nelle cicatrici profonde della pelle, nelle ferite che non si rimarginano e bruciano ancora, come il silenzio di questi giorni, che non aiuta a guarire.
Iole Pinto
Le ferite di Halabja (22/03/01)
di SHORSH SURME
Venerdì 16 marzo di tredici anni fa veniva bombardata con le armi chimiche la cittadina kurda di Halabja provincia di Sulaimanya 260 km Nord Est di Baghdad; nel giro di mezz'ora morirono più di 10.000 persone. L'Occidente allora si limitò a una timida manifestazione nei confronti di Saddam, nonostante questi avesse palesemente agito contro i diritti umani usando un'arma bandita dalla convenzione di Ginevra nel 1925. Alla fine di marzo del 1988 l'opinione pubblica internazionale è venuta a conoscenza, grazie a videocassette clandestine e fortunosamente giunte in occidente, del massacro perpetrato attraverso le armi chimiche nella cittadina di Halabja: uomini, donne, bambini, vecchi morirono tra spasmi atroci a causa dei gas tossici. La città si svuotò, numerosi tra i suoi abitanti trovarono rifugio in Iran: Halabja è ancora oggi una città ferita, come numerosi altri villaggi. Il problema delle armi chimiche rimane ancora una questione da risolvere, dato che molti paesi del terzo mondo possiedono questa arma micidiale anche grazie alle tecnologie dell'Occidente. I kurdi preoccupati per il loro futuro, ricordano questa data e quei morti innocenti massacrati dal regime dittatoriale di Saddam Hussein, ancora saldo al potere, che continua a sottoporre tutta la popolazione irachena alla fame e alla miseria a causa della sua arroganza e mania di potere. Dopo la guerra del Golfo una parte del Kurdistan è stata liberata a prezzo altissimo del suo popolo, quel popolo che da millenni vive su quella terra, ma che soltanto per un brevissimo periodo, ha potuto godere di libertà e autodeterminazione. Il resto della sua storia è fatto di guerra, sangue, oppressione, ingiustizia e dolore. Chi è a conoscenza in Occidente del fatto che i kurdi, pur stremati da anni di guerre contro Saddam, hanno avuto la forza di organizzare in pochi mesi libere elezioni, che hanno portato alla formazione di un parlamento democratico, e poi di un governo che legifera e amministra il diritto, e si sforza di gestire le poche risorse del paese? Chi sa che al suo interno si lotta per mantenere in efficienza un sistema sanitario dignitoso, una pubblica istruzione accessibile a tutti, una libertà e pluralità di opinioni che si confrontano all'interno di un contesto di stampa e mass-media aperto ad ogni contributo? Ma soprattutto, chi conosce le disperate condizioni economiche che questa nuova realtà politica deve affrontare, privata di ogni risorsa, come petrolio, vie di comunicazione e di commercio, ostacolata da una parte dal tiranno di Baghdad, dall'altra dagli assurdi provvedimenti di embargo decretati nell'ignoranza della reale situazione irachena? Per questo occorre andare al di là della semplice cronaca e della doverosa e necessaria informazione, per effettuare un'analisi storico-politica più approfondita del fenomeno Kurdistan.
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