Francisco Goya - La Fucilacion
| Pablo Picasso - Guernica
| Vincent Van Gogh
| Pablo Picasso: il periodo blu ed il dramma umano
| La tecnologia avanza. L'uomo si cristallizza
| Andrea Pazienza
Paul Gauguin
| LE OPERE DI UN ARTISTA CURDO: AHMED SIMKO
F. Goya - La Fucilacion (Dicembre 2001)
"Il 3 maggio1808: fucilazione alla Montagna del Principe Pio", opera di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, lo spagnolo Francisco Goya y Lucientes, nato il 30 marzo 1746 a Fuendetodos, un piccolo villaggio aragonese nei pressi di Saragozza. Emerge in quest'opera più d'ogni altra, la forte carica emotiva, la grande partecipazione alle questioni sociali concernenti la propria nazione e come sempre Goya è lì, pronto ad esprimere sé stesso ed i propri stati d'animo turbati da quella particolare vicenda storica. Sì, perché questo intangibile artista non ebbe mai bisogno di fuggire da sé stesso poiché riuscì sempre a trovare dentro di sé la spinta per le creazioni più sorprendenti, sconcertanti e geniali. Il quadro in questione documenta la feroce repressione della rivolta popolare antifrancese del maggio 1808. L'antefatto ha come protagonista Napoleone; questi, nell'intento di non lasciare scoperto su nessun fianco il progettato blocco continentale ai danni della Gran Bretagna, sollecitò al primo ministro Godoy il permesso per le truppe francesi di attraversare la Spagna per giungere in Portogallo. Al permesso, accordato sulla base del trattato di Fontainebleau, seguì il tradimento francese, le cui truppe, di tre volte superiori al previsto, penetrarono nel territorio spagnolo decise a restarvi. E' un'opera incentrata sul particolare, dalla quale però è possibile trarre un giudizio universale dell'autore su quelli che sono i temi affrontati: la follia umana, la violenza, la guerra. Ed ecco che i soldati francesi perfettamente allineati, assumenti la stessa ed identica posizione, pronti a continuare l'operazione loro impartitagli, pronti a "riammazzare", sono ridotti dall'artista a mere e semplici macchine. E poi gli insorti, costretti a pagare l'alto prezzo della morte, solo perché decisi a rivendicare la propria libertà, alcuni vivi (non per molto ancora), altri stramazzati al suolo, avvolti in un lago di sangue, mentre alle spalle emerge, nel buio, un monastero, simbolo della cristianità offesa da quell'atto impuro. In fondo questa è la guerra: non ci saranno mai due vincitori, bensì solo due sconfitti od un solo vincitore apparente, "in compenso" però, sempre elevatissimo sarà il numero di vittime, non solo colpevoli, anche civili ed innocenti. Purtroppo però è un qualcosa d'inevitabile, ci sarà sempre chi vorrà imporre la propria ideologia, il proprio potere, non curandosi del rispetto e delle libertà altrui. "Quel che conta è affermare la propria volontà, non importa come"!
F. Goya, "La fucilacion", olio su tela.
Valerio Mascolo
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P. Picasso - Guernica (Dicembre 2001)Guernica, 1937, tempera su tela, 349 x 776,5 cm, Madrid, museo del Prado. Opera di uno dei peculiari, se non il più rilevante artista del XX secolo: Pablo Picasso (Malaga, 1881- Mougins, Alpi Marittime, 1973). L'arte nasce dal desiderio impellente ed irrefrenabile di esternare pensieri, stati d'animo, angosce proprie dell'autore, che premono, urtano contro le pareti del suo Io sino a trovare una necessaria via d'uscita. E' un accumulo d'energia che si concentra nella mano del pittore e guida il pennello da lui impugnato. Ma cosa ha spinto Picasso ad "ammazzare" i propri pensieri? L'evento storico che ha permesso la realizzazione di questo capolavoro è purtroppo un qualcosa di drammatico e sconvolgente. Bisogna rifarsi alla guerra civile spagnola degli anni trenta che vede il contrapporsi delle forze della Sinistra ad una Destra conservatrice, che pur sconfitta nelle elezioni del 1936, restava molto forte poiché sostenuta dai fascismi europei e dalla chiesa cattolica. L'episodio è specifico ed interessa Guernica, cittadina basca, che il 26 aprile 1937 fu rasa al suolo: duemila i morti. Guernica, che dal punto di vista militare rappresentava un obiettivo insignificante, fu teatro di questa carneficina. L'intento era solo quello di seminare terrore e di sperimentare una nuova tattica d'attacco aereo: il bombardamento a tappeto (utilizzato anche nella II guerra mondiale). Il tutto su duemila esseri umani. L'attacco si sviluppò a più riprese, tre per l'esattezza, ed in sole tre ore e mezzo il massacro fu compiuto. La sera di quel maledetto giorno, della cittadina, non restava altro che piccoli fuocherelli somiglianti a candele ardenti, simboleggianti, forse, le povere anime di quello scempio, tutto ciò in un'atmosfera a dir poco surreale. Dinanzi a tutto questo, come poteva Picasso rimanere inerme, lui, gran sostenitore del governo repubblicano, poteva ora esprimere, in un quadro, la propria ira. Nessuno, fuorché Picasso stesso, potrebbe sapere con esattezza cosa il quadro simboleggi, il significato d'ogni suo singolo elemento. In fondo l'arte è bella per questo: chiunque può esprimere una sua personale opinione e nessuno mai potrà censurarla, nessuno! La critica che seguirà, quindi, non ha l'utopistica pretesa di ergersi a critica oggettiva. Guernica, come "la fucilaçion" di Goya, nasce dal particolare (la vicenda storica), ma non lo rappresenta, nulla rimanda al fatto in sé. Quello dell'autore, è un giudizio universale incentrato su una questione d'estrema delicatezza: la guerra. Evidente, è innanzi tutto, la sintassi cromatica, che ammette solo due colori: il bianco ed il nero, forse suggeriti dalle numerose immagini apparse sui giornali dell'epoca. Non v'è un'unica fonte di luce. Tutte le figure ritratte, sicuramente ognuna esprimente un messaggio ben preciso, sono legate da uno stesso comune denominatore: hanno la bocca spalancata in un grido d'agonizzante e straziante dolore. Ed ecco un guerriero (in basso) steso al suolo impugnante una spada spezzata, simbolo della sua sconfitta, così come della sconfitta di chi si crede vincitore, una donna (a destra) avvolta dalle fiamme, senza scampo, un cavallo (al centro) che emette uno spaventoso nitrito, il Minotauro (a sinistra) ovvero la bestialità umana, il tutto sotto "l'occhio di Dio" (in alto, al centro). Ma l'immagine più raccapricciante è quella che ritrae una donna (a sinistra) avente tra le braccia il figlio morto ed urla in preda alla disperazione per quella povera, piccola, indifesa e pura anima innocente, che ha dovuto pagare con la vita il prezzo di una guerra infame. Sono loro le vittime inconsapevoli di qualsiasi conflitto bellico, ignare dei limiti cui possa giungere la follia umana, ignare del fatto che l'uomo col passare degli anni sviluppi ed incrementi sempre più un sentimento chiamato odio, ignare, loro, che sanno solo giocare, sorridere ed………. amare.
P.Picasso, "Guernica", tempera su tela, 349 x 776,5 cm, Madrid, museo del Prado.
Valerio Mascolo
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Vincent Van Gogh (Febbraio 2002)" […] Come chiunque altro, io sento il bisogno di una famiglia, di amicizie, di affetto, di rapporti cordiali col prossimo: non sono fatto di sasso o di ferro, come un idrante o un lampione, e quindi non posso vivere privo di tutto questo senza sentire un profondo senso di colpa!". Così, nell'Ottobre del 1879, Vincent Van Gogh scrive da Quesmas al fratello minore Theo, dopo un ennesimo tentativo fallito da parte di Vincent di studiare da missionario. Ma chi è stato Van Gogh? Cosa ha fomentato quel suo disperato stato di follia visionaria che poi si è rivelata nella sua arte senza tempo e senza pari? A questa domanda, Vincent stesso, in questo stralcio di lettera ci ha dato una risposta, esplicitando ciò che è implicito in ogni violento gioco policromatico delle sue tele: "Una coatta sensazione di solitudine esistenziale". La solitudine attanaglierà la sua vita. Vincent è solo nella sua tempesta di sentimenti, come soli sono i neri corvi nel campo di grano che a stento riescono ad emergere in questa tempesta di colori. Triste ed inquieta fu la sua vita, come tristi gli occhi del "ritratto senza orecchio"; occhi che avevano il dono di frugare nell'essenza oggettiva delle cose, di cogliere la "Verità" dal reale, ma che non riuscivano a capire perché l'amore fa tanto male. Voleva soltanto essere amato, come un uomo normale; desiderava vivere l'amore, ma lo esigeva con una goffaggine di un bambino ormai adulto. Lo cercò per tutta la vita, lo cercò anche da emarginati come lui, ma la vita e la società non gli diedero altro che illusioni. Vincent aveva solo l'Arte e l'Arte aveva solo Vincent come suo "espressionista"; morboso e violento fu il loro rapporto. Vincent attaccava le sue tele, violentava i colori che penetrava con la spatola, scolpiva i suoi soggetti, in un rigurgito di dolore nei riguardi di una "umana normalità" verso cui lui non provava odio, ma invidia e speranza. Vincent non è mai piacevole nelle sue tele, ma non è nemmeno triste; ti acceca con la sua verità e non ti lascia il tempo di raziocinare: ti accende l'animo. L'arte fu il suo ostetrico e il suo carnefice: l'arte servì Vincent, ma nel contempo si servì di lui; e questo circolo vizioso non poteva che concludersi con l'autodistruzione.
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P. Picasso: il periodo blu (Febbraio 2002)Pablo Picasso (Malaga, 1881 - Mougins, Alpi Marittime, 1973). Pablo Picasso = cubismo? Non solo. Spesso, sì, è questo l'accostamento che si è soliti fare e come potrebbe non essere così! Ma adesso, il periodo sul quale voler focalizzare l'attenzione è un altro. Si prenda in considerazione il lasso di tempo compreso tra il 1901 ed il 1903, quando il pittore è appena ventenne. Rappresenta, questo, il vero esordio artistico di un uomo, considerato tra più rappresentativi del XX secolo. E' il così denominato "Periodo blu", in cui Picasso comincia a sviluppare uno stile proprio, del tutto individuale, dominato da una caratteristica peculiare consistente nella monocromia, ovverosia l'uso quasi esclusivo di un unico colore, il blu, scalato in varie tonalità. La scelta di questo colore è più che ponderata, non è il blu del cielo, degli spazi aperti, dell'infinito, del sovrasensibile, bensì un blu freddo, malinconico, che si confà perfettamente alla tristezza, alla malinconia, alla desolazione dei personaggi-protagonisti ritratti; personaggi senza una positiva visione del futuro, senza speranza alcuna. Sono i mendicanti, i girovaghi, i ciechi, i poveri, insomma, tutti gli emarginati… della società. E' da sottolineare lo spasmodico coinvolgimento emotivo di Picasso al dramma che investe queste "comparse malriuscite" del mondo cui noi siam parte integrante e che ora il pittore dà loro l'opportunità di ergersi a protagonisti e levare alto il loro grido, sicuramente soffocato, ma intenso e… puro. Prendiamo in considerazione un'opera realizzata nel 1903 che possa sintetizzare il messaggio contenuto nelle altre, un'opera dall'alto valore simbolico: "La vita", olio su tela, m 1,97x1,27, Cleveland, Museum of Art. Un unico comune denominatore rende simili le figure ritratte nel quadro: i loro occhi, i loro sguardi persi nel vuoto, fissanti il nulla, desolati e senza speranza. Ecco quindi la coppia umana (a sinistra), l'uomo e la donna, fonte di vita, il cui frutto è il bambino, quell'anima innocente tenuta in braccio da una donna (posta sul lato destro), una vita che però è dolore com'è facilmente intuibile dai due quadri posti sul fondo, un dolore che forse può essere attenuato dalla presenza, dall'abbraccio di un amico, di una persona cara (il quadro dietro, al centro), ma destinato a "schiacciarci" là dove questa presenza venga a mancare (il quadro dietro, in basso); come c'insegnava Leopardi quando parlava di solidarietà umana. Se notate, l'unico personaggio che ha gli occhi chiusi è il bambino, vi chiederete perché? Be', il perché è semplice: quell'anima ancora innocente dorme, ignaro del futuro che lo attende, ignaro della vita e della sua sofferenza. Vi chiederete come sarà il suo sguardo? E' scontato: non può che essere radioso, accecante, colmo di gioia e desiderio di andare avanti, di vivere… Peccato che questo tenderà ad affievolirsi col tempo sino quasi a spegnersi del tutto, peccato!
P.Picasso, "La vita", olio su tela, m 1,97x1,27, Cleveland, Museum of Art
Valerio Mascolo
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La tecnologia avanza. L'uomo si cristallizza (Aprile 2002)
E' lapalissiana la direzione in cui la tecnologia, col suo incessante martellare, sta spingendo noi poveri e limitati umani: uno stato di "larvità" destinato a crescere in maniera esponenziale. Le semplici emozioni, le uniche a non lasciare un sorriso artificiale, sono state quasi totalmente soppiantate. Il contatto umano è limitatamente circoscritto, quello con la natura inesistente! Si preferisce "parlare" in chat, o tramite e-mail, stupidi sms o dal cellulare stesso di cui non si può più far a meno. Ci si crede iperindaffarati e senza un minuto di respiro, quando in realtà è solo una cattiva gestione di tempo che sancisce il predominio della futilità. Ore ed ore passate dinanzi ad una "scatola" in una stasi perenne in cui l'unica cosa che abbiamo la forza di muovere è il pollice, sol perché deve pigiare sul tasto, prescelto, del telecomando. La televisione continua e certamente continuerà a modellarci, ad indirizzare il nostro modo di pensare, a riempirci il cranio d'immondizia, sparandoci contro programmi che calpestano e frantumano la nostra intelligenza. Ma come sempre accade in questo letamaio chiamato mondo, le eccezioni vi sono e riescono fortunatamente a strapparci un sorriso ed a regalarci un po' di serenità e di tregua. La tv, a parte tutto ciò, ci offre anche telegiornali (indispensabili per capire che i nostri sono solo sciocchi ed insensati problemi, indispensabili per capire che la nostra sofferenza è il più delle volte aleatoria), programmi comici e cartoni animati, gli unici in grado di farci tornare un po' bambini, di farci sognare, avere una serena nostalgia di un passato che si è avuto la fretta di lasciare e che adesso irrimediabilmente si vuol recuperare. Alcuni di essi (vedi i Simpson, South Park, la famiglia Griffin) arrivano persino a ridicolizzare comportamenti umani, insensate ossessioni, assurdi modi di agire, di relazionarsi, di vivere. Anche i cartoni, però, hanno subito le pressioni della società. Oggi il ragazzetto ha ben altre cose a cui pensare, ha fretta di diventare grande e perciò rincorre le sue mete: il telefonino, la sigaretta e afferma di non guardare i cartoni animati perché una loro visione lo screditerebbe dinanzi ad i suoi coetanei "già maturi" e s'immagini cosa possa succedere se a dirlo sia un ventenne. Non si capisce che bisogna inchinarsi dinanzi a questa "semplice" forma d'arte, non si capisce che sono prodotti della fantasia, dell'ingegno che vuol esprimersi ed immortalare sue visioni, non si capisce che è indispensabile sognare, credere che qualcosa di speciale sia possibile, non dimenticandosi mai, però, di ritornare con i piedi per terra ed i cartoni animati c'insegnano questo, proprio perché non sono, di per sé, reali; al contrario di maschere in carne ed ossa che appaiono in tv mostrandoci una realtà, sicuramente fittizia, riuscendo però, meschinamente, a proporla e a farla recepire come vera portando i ciechi telespettatori a venerare e cercare di emulare falsi e vuoti miti. E' ora di svegliarsi dal torpore di questo sonno, di amare le cose semplici e rincorrere vere emozioni, di immedesimarsi nella natura in una sorta di sentimento panico, d'essere solo noi stessi ed agire come il cuore ci comanda senza che il cervello guidato dal volere della società, prenda il sopravvento. E' ora di vivere…
Valerio Mascolo
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Andrea Pazienza (Aprile 2002)
Forse perché lontani dai surreali eroi dei fumetti di tutto il mondo, dall'Uomo Ragno a Dylan Dog o Sailor Moon, i personaggi di Andrea Pazienza (1956-1988) hanno segnato un'intera generazione. Di origini pugliesi, naturalizzato bolognese, "Paz" è un fumettista ancora ampliamente acclamato da pubblico e critica, forse più famoso per la sua morte prematura, da "poeta maledetto", che per la sua opera, filtro di tutta un'epoca. Il giovane autore ha sempre attinto alla propria esperienza o a spunti autobiografici per narrare le sue storie, affidando la loro interpretazione a personaggi che, pur nella loro eccezionalità, possono essere assimilati a qualsiasi ragazzo degli anni 70-80, figli della contestazione studentesca. Il primo, rilevante tentativo di dar voce alle idee della generazione si ha ne Le straordinarie avventure di Pentothal, il cui controverso protagonista sembra aver mutuato molti aspetti del suo creatore - uno su tutti, la carriera di fumettista. Ma la consacrazione artistica viene raggiunta con Zanardi, una serie che vede come protagonisti tre ragazzi , Zanna, Colas e Pietra, che, a detta dello stesso Pazienza, sono l'incarnazione di altrettanti aspetti della sua personalità. Calati in contesti classici, per lo più romagnoli, ma in circostanze ai limiti della verosimiglianza, i personaggi devono affrontare la scuola o l'università, i flirt o la naja, rifugiandosi nelle droghe, nel sesso e nella violenza. Zanardi diventa un personaggio controverso, qualcuno che ad un primo impatto genera disprezzo, ma che in fondo affascina e viene assunto come modello: ribelle contro le regole del sistema, in balia dell'euforia (ma anche della noia, visto l'attaccamento alle droghe) di quegli anni. E' proprio questo il punto di forza di Andrea Pazienza: l'imprimere sulle tavole la sua esperienza di giovane, rendendola universale per tutti i suoi coetanei. Conscio della poetica dell'autore, il regista Renato De Maria ha sapientemente trasposto sul grande schermo (in una recentissima pellicola, appunto "Paz!") episodi significativi delle avventure dei succitati Pentothal e Zanardi, oltre che Fiabeschi, protagonista di una storia autoconclusiva, ma non per questo meno significativo. Il film, e di conseguenza l'opera omnia disegnata, ci trasmette questo: per quanto ambientate in luoghi e tempi diversi dai nostri, le problematiche dei protagonisti del corpus pazienziano sono quelle dei giovani d'oggi, e la lettura delle sue tavole porta facilmente all'identificazione la maggior parte dei ragazzi. Se questo sia positivo o meno, spetta deciderlo ad altri.
Michele Miglionico
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