PERSONAGGIO STORICO



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Albert Einstein (di M. Serio)

M. T. Cicerone (di S. Savella)

Edith Stein (di R. Gorgoglione)

Yitzchak Rabin (di S. Savella)

Nelson Mandela (di G. Scatigno)

Nelson Mandela (di M. Amodio)

Nelson Mandela (di S. Savella)

Ernesto Guevara e William Wallace (di G. Scatigno)

Ernesto Guevara (di C. Alboreo)

 

 

 

 



Albert Einstein (Ottobre 2000)

Einstein con le sua teoria ha sicuramente cambiato il mondo della scienza;
giovanissimo cominciò a studiare fisica e matematica. La sua
unica ragione di vita fu quella di scoprire se esistesse un principio di
relatività valido non solo per i fenomeni meccanici ma anche
per quelli elettromagnetici. Dopo molti anni di studio, nel 1905 riuscì nel
suo intento ed espose una teoria a riguardo denominata della
"relatività ristretta" che mise da parte tutte le convinzioni e le contraddizioni
della fisica classica. Questa teoria, frutto di un elaborato studio
sulle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in modo
relativo e rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, fu seguito da due
postulati fondamentali: 1)Le leggi della fisica sono tutte uguali in tutti i
sistemi inerziali; 2)La velocità della luce è costante, indipendentemente
dal moto della sorgente o dell'osservatore. Dopo essere riuscito nel
suo intento, e cioè nella scoperta dell'equivalenza massa-energia
(E=mc²), non "sazio" ricominciò a lavorare per elaborare una teoria più
generale che potesse essere estesa non solo ai sistemi inerziali
ma anche a quelli in moto accelerato l'uno rispetto all'altro. Infatti
nel 1916 pubblicò la teoria della relatività generale; grazie a questa teoria
le interazioni dei corpi furono spiegati come azioni esercitate dai
corpi sullo spazio-tempo, su uno spazio non più tridimensionale ma
quadridimensionale. Tuttavia questi studi non portarono subito
allo sviluppo nucleare come si sperava; ancora oggi molti considerano
Einstein il padre putativo della scoperta e costruzione della bomba
atomica. Nonostante ciò Einstein era un convinto pacifista e alla
fine della seconda guerra mondiale combattè assiduamente per il suo
disarmo internazionale e tentò con tutte le sue energie di far capire
che le scoperte scientifiche dovevano essere utilizzate per scopi
pacifici e non bellici. Ciò è attestato in un suo scritto, che
potremmo definire il suo testamento: "Rivolgo un appello a tutti gli umani
a essere umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto.
Se sarete capaci di farlo è aperta la via di un nuovo paradiso altrimenti
davanti a voi c'è il rischio della morte e della distruzione". Un monito,
che dovrebbe essere un giuramento per gli scienziati contemporanei.

Massimo Serio


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Marco Tullio Cicerone (Febbraio 2001)

Marco Tullio Cicerone, ovvero una vita giudirica per la giustizia.
Un'eredità sterminata di orazioni, animate arringhe difensive (Pro Archia)
o vere e proprie invettive. Tra queste ultime spicca per vigore, per
estro, per popolarità acquisita e per importanza sociale l'Actio prima
in Verrem, seguita più in là da altre tre. Una vittoria schiacciante quella
ottenuta nel foro dall'arpinate, costringendo l'imputato all'esilio
volontario. Da anni Verre aveva portato nella provincia sicula la corruzione,
il maltrattamento, l'abuso di potere e altri misfatti ai danni della
popolazione. E solo con l'arrivo di Cicerone quale nuovo
questore sarebbero emerse le condizioni di vita in cui versava la gente
di Sicilia. Una situazione che solo in pochi anni, fu smascherata
e risolta. Un'opera senza difetti di sorta, e una giustizia che molti
di noi invocherebbero ad occhi chiusi : rapida, esaustiva ed esatta.
La Sicilia è un teatro che si presterebbe troppo facilmente a
paragoni banali, offensivi e, peraltro, non reali. Verre è un personaggio
tutto sommato comune. Cicerone, al contrario, così assente. Uomo
di grande spessore giuridico e sani principi ideologici, che ha
saputo imporsi pur ostacolato da un origine non certo ben accetta
dalla classe senatoriale. Eppure ha distrutto, al principio della
carriera da avvocato, un imponente sistema corruttivo ideato da un
governatore statale. Pochi altri possono affermare di aver seguito le sue
orme. Eppure quelle stesse terre, così assolate e aride, hanno
osservato magistrati combattere e morire per vincere "Verre". Un'immagine,
la loro, associata non a purpuree toghe del foro romano, ma
ad anonimi corridoi della Procura Antimafia. Un Nemico comune, la
corruzione, pone Cicerone così straordinariamente vicino a uomini storici
del Novecento, che hanno squarciato con il coraggio un ambiente
perduto. Il generale Dalla Chiesa e i magistrati Falcone e
Borsellino sono nomi, i loro corpi straziati sono fatti. Facciamoli parlare.

Stefano Savella


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Edith Stein (Agosto 2001)

"Ogni coscienza è coscienza di qualcosa è l'affermazione capitale
della fenomenologia. Corrente filosofica fondata sul pensiero di
Edmund Husserl, che vede in Edith Stein un originale interprete del
suo pensiero in chiave cristiana. In particolare ritrova numerosi
punti di contatto tra fenomenologia e filosofia tomista. Non a caso il
titolo della più nota opera di Edith è "La fenomenologia di Husserl e la
filosofia di Tommaso, tentativo di confronto". La fenomenologia
husserliana si fonda sulla parola chiave "Ritornare alle cose", cioè una
ricerca rigorosa sui modi di percepire la coscienza in modo da
percepire le essenze. Proprio su questa definizione di filosofia quale
scienza rigorosa che si ritrova un notevole punto di contatto con
Tommaso d'Aquino. Infatti, in virtù del suo atteggiamento fenomenologico,
la Stein è colpita dalla capacità di ordinare, vagliare e paragonare
propria del pensatore medioevale. Per atteggiamento fenomenologico,
è bene precisarlo, viene inteso un completo abbandono del giudizio
sulla realtà, fino al punto di negare l'esistenza di una realtà al di
fuori della coscienza. Tornando al confronto fra i due pensatori, Edith
vedi in entrambi una necessità interna che li spinge a rintracciare
il logos o la ratio di questo mondo. Sia Husserl che Tommaso sono
convinti che un logos agisca in tutto ciò che esiste, e che la coscienza
è in grado di conoscere progressivamente. Qui però le strade dei due
pensatori divergono; infatti se per Husserl non esiste che la ragione
naturale, la quale si avvicina alla Verità senza mai conoscerla appieno;
per Tommaso la Verità nella sua totalità esiste: essa è la
conoscenza divina. Perciò il medioevale distingue ragione naturale
da ragione sopranaturale, la quale costituirebbe un ampliamento della
conoscenza, in quanto rende accessibili verità non
conoscibili per altra via. D'altra parte la differenza più acuta tra fenomenologia
e filosofia cattolica consiste appunto nell'egocentrismo dell'una
e nel geocentrismo dell'altra. In altre parole se per Tommaso il primo
assioma filosofico è Dio stesso, Husserl pone il soggetto
come punto di partenza e punto centrale dell'indagine filosofica. In sostanza
la fenomenologia husserliana trova il punto nevralgico
nell'immanenza del soggetto, il tomismo nella fede. Quanto alla questione
dell'intuizione, il saggio della Stein diventa alquanto
problematico; infatti la fenomenologa cristiana vede un certo contatto
tra il processo di intuizione delle essenze tipico dei fenomenologici
e l'intelletto passivo di stampo aristotelico-tomista. Se non che
quello dell'intelletto passivo è un punto addirittura oscuro in Aristotele
e sicuramente poco chiaro in Tommaso; da ciò deriva una
certa difficoltà nell'interpretazione. Al di là delle singole questioni,
la vita e l'opera filosofica di Edith Stein, dimostrano come cultura,
fede e tradizione siano coniugabili a patto di un apertura intellettiva
ed etica fa di Lei oltre che una grande santa, un grandioso esempio
di onestà intellettuale.

Ruggiero Gorgoglione


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Yitzchak Rabin (Novembre 2001)

Yitzchak Rabin è la figura politica e diplomatica della quale più si
avverte senza indugi la mancanza, in questo frangente di pietre intifadiche
e tensioni internazionali. Il suo impegno per la pace in Medio Oriente,
dalla sua ascesa politica a quel tragico 4 Novembre di sei anni fa,
passando per gli accordi di Oslo del 1993 e il premio Nobel, avrebbe
dovuto (mai un condizionale fu più infelice) plasmare la classe politica
israeliana e tutti coloro che oggi remano prepotentemente contro un accordo
di pace. Le sue aperture nei confronti dei palestinesi, il rapporto di
cordialità nei confronti di Yasser Arafat, l'imponente impegno diplomatico,
evidentemente non convincevano tutti coloro che dietro
questa guerra lunga decenni continuano a speculare. Difficile immaginare
l'economia israeliana priva dei corposi finanziamenti provenienti
dagli ebrei sparsi per il mondo, altrettanto lo è pensare al futuro stato
palestinese, senza alcuna risorsa propria e dinanzi ad un territorio
frammentato e arido, senza i numerosi appoggi economici dei
confinanti e spesso oltranzisti paesi arabi. Yitzchak Rabin,
evidentemente, ne era distante quanto bastasse per poter
ragionare sulle possibilità di pace. Un vero soldato della pace, un
"generale senza sconfitte" come è stato definito da Igor Man, editorialista
de "La Stampa". Un nome, il suo, che tutti sembrano aver dimenticato
in fretta, proprio ora che le vicende del conflitto appaiono
soffocare i flebili segnali di pace, portati da un altro uomo che Rabin
conosceva bene, il Ministro degli Esteri Shimon Peres. Un personaggio
di indubbia rilevanza storica, Yitzchak Rabin, la cui vita è giorno
dopo giorno sacrificata dalle pietre, dal piombo, dalle esplosioni e
dalle ipocrisie della Terra Santa. Ancora debole, e contraddittoriamente
lontano, è il ricordo delle imprese di quel generale, tra
Washington, Oslo e Gerusalemme. Forse l'ultima vera testimonianza del Dio della pace.

Stefano Savella


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Nelson Mandela (Febbraio 2002)

La straordinaria storia di Nelson Mandela può essere paragonata
a quella di un nomade costantemente in viaggio, costretto a spostarsi
fisicamente, a causa di persecuzioni da parte di avversari
politici, o idealmente, per il raggiungimento di nuovi obiettivi a favore
della propria terra. Proprio come un nomade, egli ha saputo
"pensare, aspettare e digiunare" vivendo, spesso, emarginato da
chi non sperava più in quell'ideale tanto desiderato quanto lontano:
"la libertà di essere liberi nella propria terra". Rolihlahla ("porta guai",
questo è il nome autentico di Mandela) nasce il 18 Luglio 1918 a Mvezo,
in Sudafrica. Suo padre, capo del villaggio, perde la carica in
un periodo di dominazione inglese. Costretta a trasferirsi a Qunu, la
famiglia viene colpita dalla perdita del capofamiglia. Venuto meno il suo
principale modello, il piccolo Nelson cresce con due punti di riferimento:
il capo tribù, che rappresenta il suo popolo, e la Chiesa, che assiste
come può il popolo africano nella quotidiana lotta contro la morte.
Più fortunato dei suoi coetanei, ha la possibilità di studiare nelle
università di Healdtown e Alice, dove prende contatto con i giovani
bianchi. A Healdtown, un episodio lo turba: un giorno, il noto poeta
Mqhay, parla ai giovani studenti: "Predico che un giorno, le forze della
società africana vinceranno l'intruso. Per troppo tempo abbiamo
ceduto di fronte ai falsi beni dell'uomo bianco". Queste parole
infuocate scuotono Mandela che, da quel momento, lotta a viso
aperto contro tutto ciò che ritiene ingiusto, comprese alcune tradizioni
della propria tribù. Dopo esser giunto clandestinamente a Johannesburg,
dove centinaia di neri muoiono nelle miniere d'oro, fonda con altri
giovani la lega giovanile dell'A.N.C. (African National Congress). Nel
1946 partecipa allo sciopero delle miniere per l'aumento del salario.
Con l'avvento al potere del partito nazionalista, l'apartheid diviene
legale. Con questa legge, ogni razza deve vivere nell'area che le
è assegnata e non può opporsi in alcun modo. La reazione dell'A.N.C. è
l'organizzazione della campagna di disobbedienza, punita
con nove mesi di carcere per Mandela e altri leader. Nel 1955 l'A.N.C.
viene messa al bando e comincia per Mandela una vita di continui
controlli e spostamenti. Il 5 Dicembre 1956 viene arrestato con l'accusa
di alto tradimento assieme a 156 compagni. Dopo quasi quattro anni
vengono processati e giudicati non colpevoli. Dopo altri
spostamenti torna in Sudafrica, dove viene arrestato e si difende con un
discorso memorabile. Condannato all'ergastolo, passa 28 anni da
incubo! Costretto al più totale isolamento, viene coinvolto, negli
ultimi anni di carcere, nel dialogo internazionale dal suo grande nemico
Botha. Una volta fuori dal carcere, ha continuato a raggiungere nuovi
obiettivi e la sua voce oggi porta le grida del popolo africano nei dibattiti
internazionali. I migliori commenti alle sue conquiste sono
dei pensieri tratti dalla sua autobiografia: "Quando sono uscito di prigione,
questa era la mia missione, liberare sia gli oppressi che l'oppressore.
Qualcuno dice che lo scopo è stato raggiunto. Ma io so che
questo non è il caso. La verità è che noi non siamo ancora liberi;
abbiamo solo conquistato la libertà di essere liberi, il diritto a non
essere oppressi… Ho percorso questo lungo cammino verso la
libertà. Ho cercato di non vacillare; ho compiuto passi falsi. Ma ho
scoperto il segreto: che dopo aver scalato una collina, si capisce che
ce ne sono ancora molte altre da scalare".

Giovanni Scatigno


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Nelson Mandela (Febbraio 2002)

Lo sport, da sempre criticato e amato, accomuna tutti i grandi e piccoli,
uomini e donne, "bianchi e neri". Tutti, uniti dall'amore per uno stemma
o per un atleta, assistono gli eventi sportivi incitando i propri idoli.
E come gli italiani hanno tifato gli azzurri agli Europei di calcio del 2000,
così i sudafricani ed il loro presidente Nelson Mandela hanno incitato
i "Bafana Bafana" alla Coppa d'Africa del 1996. I cori dei
sudafricani non inneggiavano però solo alla vittoria della squadra,
ma anche alla vittoria del paese, che da soli cinque anni era libero
dall'apartheid. La vittoria definitiva del paese è stata intravista con la possibilità
di ospitare i Mondiali di calcio del 2006, che avrebbero
consentito l'entrata nelle casse del Sudafrica di due miliardi e mezzo
di dollari e la creazione di 130.000 posti di lavoro. Tale possibilità è
sfumata però per l'assegnazione all'ultimo momento del Mondiale alla
Germania. La consacrazione del paese è però nell'aria. Nel '95 infatti gli
Springbocks, squadra nazionale di rugby, hanno battuto
i forti neozelandesi divenendo campioni mondiali. Ma la reale
vittoria è stata il vedere bianchi e neri seduti gli uni accanto agli altri,
uniti dalla maglia giallo verde degli Springbocks, indossata per l'occasione
dallo stesso Mandela, che qualche anno dopo in Parlamento si schiererà
contro chi vorrebbe abolirla. Oggi dunque tutti si identificano negli
Springbocks, ma non è stato sempre così. Durante l'apartheid erano
infatti il simbolo del regime bianco e proprio a causa della loro politica
segregazionista molte squadre si rifiutarono di affrontarli, e se accettavano
erano altre le cause che impedivano il normale svolgimento della
partita: i manifestanti che organizzavano ora cortei di protesta
negli stadi, ora incendiavano i pullman, ora facevano planare a ripetizione
aerei sulle loro teste. Ciò sembra oggi un brutto ricordo; anche se
nel '98 la federazione rugby sudafricana è stata accusata di
atteggiamenti razzisti e di gestione scorretta del governo di Mandela.
Le scelte continuano cioè ad essere dei bianchi, ma le misure
adottate dal governo contro la federazione sono severe: il
Sudafrica non può più sopportare tale situazione, poiché lo sport è semplicemente di tutti.

Mariella Amodio


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Nelson Mandela (Febbraio 2002)

Magicamente pacifico, politicamente carismatico, umanamente
volto al sacrificio: Nelson Mandela ha scolpito come pochi altri
personaggi al mondo una personalità di imperituro rilievo morale.
Un uomo che nel suo unico obiettivo, la libertà della propria patria,
ha evitato le pericolose armi del nazionalismo estremo e il
triste abbandono alla resa, optando per la soluzione del sacrificio e
del dialogo, finché possibile. La patria sudafricana, infatti, dopo
la seconda guerra mondiale, diventava sempre più sinonimo di
subordinazione razziale, ovvero di usurpazione; Mandela
dopo 28 anni di carcere duro, ha rivisto la luce del dialogo offertogli dal
"nemico". Un epilogo che oggi appare decisamente distante per
le popolazioni del Kurdistan, o del Tibet, alle prese con problemi di
autodeterminazione non senza gli stessi caratteri di persecuzione
razziale. "Long walk to freedom", appunto, un lungo cammino verso
la libertà, come recita il titolo dell'autobiografia di Nelson
Mandela. Una carriera politica vissuta ad ogni livello: da figlio di un
capo tribù a Presidente della Repubblica fino al 1998, passando per
il vertice dell'ANC (African National Congress) prima in vesti
ufficiali e poi clandestinamente, e ancora per il già citato lungo periodo
trascorso dietro le sbarre, fino alla mano tesa dal governo De Klerk;
la sconfitta dell'apartheid ha risuonato nell'ultimo decennio come
campana a festa; l'unica, probabilmente. Ma la vittoria più recente,
ottenuta da Mandela per il suo paese e non solo, è importante perché
rivolta al futuro: stavolta da dietro i banchi di un tribunale sudafricano,
e non di un carcere, Mandela ha sconfitto "Big Pharma", ovvero le
grandi case farmaceutiche mondiali produttrici di medicinali
per la cura dell'Aids, una vera ecatombe che continua ad espandersi
vertiginosamente. Non ci saranno costi di brevetto, in Sudafrica,
grazie ad una legge fortemente voluta negli ultimi mesi del suo governo.
Nelson Mandela, a 83 anni, ha il volto sorridente di un bambino.
E questo è, con ogni probabilità, il ritratto della libertà.

Stefano Savella


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Ernesto Guevara e William Wallace (Aprile 2002)

Molte volte accade che, pur se nell'animo delle persone si annidi
qualche sentimento di odio nei confronti di una realtà esterna che
mina la libertà comune, non ci sia quella forza d'animo necessaria
a combatterla ed a esprimerla. Perciò emergono delle figure,
i leader, che più degli altri hanno carisma, onestà intellettuale e
soprattutto il coraggio di scelte difficili e lotte dispendiose. Un leader
è un capo, molte volte scelto dal consenso popolare, che rappresenta
la personificazione delle idee della sua classe e che è disposto
a mettersi in discussione pur di non tradire la fiducia riposta
nella sua persona. È in grado di influenzare in maniera favorevole o
nefasta persone ed eventi. La Storia è composta da grandi nomi,
dietro i quali si celano le volontà di uomini e donne comuni. Sicuramente
la leadership maggiormente sentita dal punto di vista emotivo
è quella che porta a combattere per l'autodeterminazione di un popolo.
È in questo contesto che il leader mostra attaccamento agli ideali
e spirito di abnegazione. In questo senso William Wallace e Ernesto
Guevara, più conosciuti come Braveheart e Che Guevara hanno fatto
della LIBERTA' la loro bandiera, anche se la loro lotta è stata presa
a modello da correnti politiche differenti, rispettivamente i
movimenti nazionalisti e socialisti. Libertà dallo strapotere esercitato
dalle multinazionali degli U.S.A. in America Latina, è stato l'obiettivo
di Guevara che, pur essendo argentino, ha combattuto al fianco
di Fidel Castro (ancor oggi a capo del governo cubano) contro la
dittatura di Batista. Guevara è stato il leader ideologico della "Rivoluzione"
che ha portato Castro al potere, giacché è stato l'unico ad aver
conosciuto ed insegnato le basi del marxismo sia a Cuba che nei Paesi
limitrofi (la sua morte in Bolivia, infatti, è avvenuta durante uno di questi
tentativi). Il suo grande merito è stato il non aver ereditato la corruzione
e l'incoerenza dalle grandi potenze socialiste (l'ex U.R.S.S. e la
Cina) e il non aver nascosto sia i propri errori che le difficoltà presenti
prima di un'impresa. Libertà dal dominio inglese, è stata la ragione di
vita di William Wallace, l'eroe scozzese protagonista di numerose
vittorie sui tanto odiati inglesi. È stato fino alla sua morte il Guardiano
della Scozia, avvalendosi del sostegno dell'alta borghesia. Ha
sacrificato la sua vita nella lotta contro Edoardo I d'Inghilterra e le pretese
di quella nazione sulla Scozia. Il punto di raccordo tra questi due
condottieri, lontani cronologicamente, ma simili nella coerenza tra pensiero
ed azione, nel disprezzo per ogni forma di privilegio o falsificazione,
è nell'aver messo in discussione se stessi prima degli altri, sebbene
abbiano vissuto in contesti differenti e abbiano commesso
anch'essi gravi errori. Mettendo da parte le interpretazioni politiche (molto
spesso forzate), la lezione scritta nei caratteri del tempo da queste
due figure è: lottare con tutte le proprie forze per ciò in cui si crede.
La dimostrazione è data dalle loro cruenti morti, causate da
tradimenti più che dalla sopravvalutazione delle proprie forze. Chissà
quanti uomini altrettanto valorosi sono vissuti o vivono tutt'oggi sepolti
dall'oscurità e dall'omertà di interessi economici di pochi, che continuano
la loro eterna e proibitiva battaglia pur non avendo alcun sostegno
e, forse, alcuna possibilità di vittoria.

Giovanni Scatigno


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Ernesto Guevara (Aprile 2002)

Chi era veramente Ernesto Guevara? Difficile rispondere a questa
domanda perché ci sono tantissime interpretazioni sulla figura di questo
argentino. Una cosa è certa: Guevara è un mito. Aldilà del
pensiero politico non è proprio comune trovare gente come lui. Un
uomo che ha lasciato i privilegi della sua classe sociale per combattere
per una causa che non era sua. Combattere contro quel capitalismo
perverso che portava la classe operaia e contadina in una povertà paurosa.
Rinunciare a fare il medico in uno studio ben arredato e curare
le ferite di guerra con quattro stracci addosso. Guevara si rivolse a quei
poveri ormai rassegnati alla propria condizione di diseredati e li donò
qualcosa di indispensabile che avevano perso: La Speranza.
Insegnò loro a credere o forse a illudersi che qualcosa poteva cambiare.
Quella gente vide in lui la ragione per lottare e morire per la libertà. Ma
davvero c'è morte peggiore della rassegnazione? Quei contadini
che vivevano di stenti hanno preferito morire sognando. Molto spesso
anzi sempre la figura di Guevara viene associata ad una parola:
Comunismo. E' giusto che sia così ma bisogna capire cos'era il
comunismo per Guevara. Il Che voleva un annientamento della
proprietà privata concentrata nelle mani di pochi eletti. Una
ridistribuzione delle ricchezze grazie ad un commercio equo
e solidale che avrebbe permesso di togliere dalle mani delle grandi industrie
delle grandi somme di capitali per trasferirli in mani più bisognose.
Un'opposizione alla concorrenza sfrenata che vedeva
inevitabilmente le piccole attività schiacciate dalle grandi holding. Un aumento
di doveri e quindi diritti per i contadini e gli operai. Insomma una
diminuzione dello spaventoso baratro che c'era tra ricchi e poveri.
Purtroppo il Comunismo non è stato sempre questo, anzi. Basti
pensare a Stalin e Pol Pot: queste persone non hanno niente a
che fare col Che. Il pensiero di Guevara oggi viene visto come passato
e c'è qualcuno che lo considera démodé. Beh il baratro non è certo
diminuito ma aumentato. Basti pensare all'abisso che c'è tra Nord
e Sud del mondo ma non solo. Possiamo guardare molto più vicino.
Alla dignità operaia calpestata dalle ultime riforme nel nostro paese.
Alla scuola vista come "fabbrica di tecnici". Il pensiero di Guevara non
è superato anzi . La speranza trasmessa tempo fa ai poveri boliviani
diventa nostra. Il Che ha costruito un sogno per le generazioni future.
Una ragione per non arrendersi e chinar la testa. Non è affatto un
caso se in qualsiasi parte del mondo, durante manifestazioni in difesa
dei diritti di vario tipo, ci sono migliaia di bandiere con il suo volto.
Su quelle bandiere non c'è il nome di nessun partito politico. Solo il
suo volto. Quel volto triste e malinconico che guarda verso l'orizzonte
e ci sembra quasi di intravedere quello che sta immaginando: un mondo
diverso. Dopo la sua morte la foto del suo corpo trafitto dai proiettili
volevano che diventasse il simbolo della repressione alle ribellioni.
Invece quel volto pieno di speranza ha schiacciato quella foto che al
contrario è diventata simbolo di voglia di giustizia. Già…. giustizia.
Una parola che oggi è diventata soggettiva. Che in gran parte del
mondo è solo un sostantivo. Un suono senza significato. Allora
credo sia giusto ricordare una frase memorabile del Che. Frase che
sintetizza il valore della voglia di giusto. Il valore della solidarietà
e fratellanza. "Siate capaci di sentire nel profondo qualsiasi ingiustizia,
commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo: è la qualità
più bella di un rivoluzionario." GRAZIE ERNESTO

Carlo Alboreo


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