Il Clero
Nel medioevo il sentimento religioso costituiva il fondamento sul
quale si basavano la società e la cultura. La religione non era
intesa come inclinazione isolata di ciascun individuo alla preghiera
e alla devozione, ma come consacrazione collettiva a Dio di tutta
la comunità. Dopo le donazioni di terre da parte dei Carolingi,
la Chiesa si trovò ad avere vaste estensioni di terreni con immunità
e concessioni; con la diffusione del feudalesimo trasformò questi
possedimenti, detti benefici ecclesiastici, in feudi. In caso di
guerre o invasioni, il popolo poteva rifugiarsi nei monasteri e
quindi gli abati e i vescovi assumevano pieni poteri. Con il dissolvimento
dell'Impero carolingio questo potere dei vescovi e degli abati,
da temporaneo che era divenne definitivo per mancanza assoluta e
permanente dell'autorità del sovrano. Si ha così la comparsa della
Chiesa nel mondo del feudalesimo; il che, inizialmente, non fu un
male. Il clero feudale infatti ebbe le sue innegabili benemerenze
in tutta Europa; in Italia esso rappresentò un mondo di lavoro e
di libertà cittadine. L'imperatore spesso si servì del clero: Carlo
Magno per primo affidò ai vescovi addirittura l'ufficio di "Defensor",
cioè di difensore degli interessi dei cittadini dinanzi agli eventuali
abusi del governatore; altri esempi di questo "sfruttamento" ci
vengono da vari documenti che testimoniano come l'imperatore cercasse
sempre l'appoggio del Papa per far si che nessuno dei suoi vassalli
potesse ribellarsi. Già una volta la feudalità ereditaria laica,
si era resa sovrana ed autonoma con il Capitolare di Kiersy. Fu
Ottone I di Sassonia a dare ai vescovi l'investitura religioso-politica
creando il cosi detto vescovo-conte, con lo scopo di fiaccare l'anarchia
feudale laica e di ridare autorità allo Stato. La feudalità ecclesiastica
fu quindi un mezzo per bilanciare l'onnipotente feudalità laica.
L'idea di questi vescovi-conti nacque dal fatto che in Germania
esistevano già delle autorità ecclesiastiche che ufficialmente esercitavano
il potere civile in nome del re. Erano i vescovi palatini, cioè
i vescovi regi. Questo precedente, unito al fatto che le autorità
ecclesiastiche (vescovi e abati) godevano in tutto l'Impero di grande
prestigio anche dal punto di vista politico, provocò l'istituzione
di questa nuova categoria di feudatari. Essi riunivano nella loro
persona il potere religioso, in qualità di vescovi, e quello politico,
in qualità di governatori. Così il re creò un vassallo alla cui
morte egli tornava a disporre del feudo assegnatogli.
I principali meriti dei vescovi conti furono:
- migliorarono le condizioni di vita del popolo facendolo collaborare
alla difesa del feudo;
- inquadrarono le forze ribelli della cavalleria facendone uno
strumento di civiltà;
- predicarono la bontà e la fratellanza;
- imposero la "tregua di Dio" ad una società di violenti, e fulminò
con la scomunica i ladri e gli assassini;
- impressero alle città nelle quali risiedevano un impulso civilizzatore
sempre più crescente, intensificando e promuovendo lo studio delle
scienze e delle lettere.
I loro difetti invece furono:
- si circondarono, col passare del tempo, d'eccessivo fasto;
- assunsero atteggiamenti di disobbedienza verso il Papato;
- tentarono di influenzare l'elezione dei Pontefici;
- combatterono la feudalità laica;
- misero la Chiesa nella crisi.
I sovrani della casa di Sassonia conferirono il titolo e il potere
di vescovo-conte a uomini non sempre degni di quell'incarico; anzi
, Ottone I e i suoi successori, col designare personalmente fra
i loro amici tedeschi i nuovi vescovi-conti, offesero il sentimento
del popolo, il quale era abituato ad aver parte nell'elezione del
vescovo. Si verificò poi un fenomeno ancora più grave: l'imperatore
iniziò ad influenzare anche la nomina del Papa. Anzi Ottone I si
fece promettere da Giovanni XII che nessun Pontefice sarebbe stato
consacrato senza l'autorizzazione imperiale. Questo patto fu sancito
col "Privilegium Othonis" che capovolse il rapporto tra Impero e
Papato stabilitosi nella notte di Natale dell'800 quando Carlo Magno
fu incoronato imperatore: col "Privilegium Othonis" il Papato divenne,
in parole povere, un feudo dell'imperatore.Alla casa di Sassonia
succedette nel 1024 quella di Franconia, con l'imperatore Corrado
II il Salico. Questi continuò a servirsi dell'appoggio dei vescovi-conti
come già avevano fatto gli imperatori della dinastia di Sassonia,
ma venne in contrasto con uno dei più potenti tra questi ecclesiastici,
Ariberto d'Intimiano, arcivescovo di Milano. Corrado mosse col suo
esercito contro l'arcivescovo, il quale , assediato a Milano , fu
salvato, non dai suoi vassalli, ma dalle milizie formate dai cittadini
milanesi: fatto nuovo e molto importante, perché segna l'apparire
sulla scena storica di una nuova forza , il popolo delle città,
destinato ad acquistare col tempo un peso politico sempre maggiore.
Il continuo crescere d'importanza e di potere del clero ebbe gravi
conseguenze di carattere morale che portarono alla mondanizzazione
della Chiesa. I grandi prelati, infatti, orientarono le loro attività
più verso la politica che verso la cura delle anime, mentre i vescovi
si videro assegnare specifici compiti amministrativi che li allontanarono
dalla loro funzione spirituale. Inoltre, le cospicue rendite delle
sedi vescovili e delle abbazie finirono per essere assai ambite
dalle famiglie più nobili, che avviarono alla carriera ecclesiastica
i figli minori, i cadetti, i quali restavano esclusi dalla successione
ereditaria. Un valido esempio di ciò ci viene dal romanzo di A.Manzoni
:"I Promessi Sposi", che sebbene sia ambientato nel'600 ci descrive
la storia di una monaca, la monaca di Monza, che già prima di nascere
era stata destinata alla vita in convento, in modo da non far diminuire
l'eredità del figlio maggiore. Un secondo esempio viene dal libro
"Canterbury Tales" di G.Chaucer dove viene descritta una Priore
che era circondata da suore che la riverivano in tutti i modi ed
aveva oltre ai numerosi gioielli, modi da signora e non da suora.
Avvenne anche che molti, dimenticando la loro missione spirituale,
facessero commercio delle cariche ecclesiastiche minori, vendendole
al maggiore offerente. Il popolo li definì simoniaci, in ricordo
di Simon Mago, che, secondo la leggenda, aveva chiesto a Pietro
di vendergli i doni dello Spirito Santo. Ma già nel secolo X, nel
seno stesso della Chiesa, ebbe inizio un vigoroso moto di rinnovamento:
centro principale fu il monastero benedettino di Cluny, in Francia.
Da qui si diffuse l'idea di riportare la Chiesa alla sua purezza
e all'osservanza delle norme tracciate dai Vangeli e dai Santi Padri
delle origini. Con gli scritti, con la predicazione e con l'esempio,
i monaci cluniacensi combatterono il clero corrotto e tutti coloro,
anche i laici, che favorivano tale corruzione. Ai cluniacensi si
affiancarono nuovi ordini monastici, come i certosini e i cistercensi.
Da questa formidabile azione la Chiesa uscì notevolmente rinsaldata
e rafforzata. Sicura dei principi morali che rappresentava e totalmente
risanata, essa poté opporre al potere imperiale una ben più decisa
resistenza: inizio così la lotta per le investiture. Il movimento
cluniacense suggerì al Papato una precisa linea di condotta: era
chiaro infatti che per il successo dell'azione moralizzatrice avviata
all'interno della Chiesa, indispensabile alla sua sopravvivenza,
occorreva eliminare ogni interferenza dell'imperatore e delle altre
autorità laiche negli affari ecclesiastici. I riformatori di Cluny
sostenevano anche che dovesse competere all'autorità ecclesiastica
e al popolo cristiano l'elezione del Pontefice. Per il passato costui,
in quanto vescovo di Roma, era stato eletto dal clero e dal popolo
della sua diocesi; ma gli abusi e le continue violenze operate dagli
aristocratici romani per assicurarsi l'ambita carica, avevano offerto
agli imperatori della casa di Franconia, Corrado II il Salico ed
Enrico III, il pretesto per provvedere direttamente alla designazione
del Papa. Per restituire all'autorità religiosa del Papato la sua
indipendenza, le correnti riformatrici della Chiesa, che facevano
capo a Ildebrando di Soana, un monaco cluniacense che aveva grande
prestigio morale, affermarono nel Concilio Lateranense del 1059
che l'elezione del Papa dovesse essere un atto interno della Chiesa
ed esclusero ogni intervento imperiale. Quando, nel 1073, Ildebrando
di Soana diventò Pontefice, assumendo il nome di Gregorio VII (1073-1085),
il conflitto tra Papato ed imperatore si inasprì. Gregorio rivendicò
con estrema decisione l'autorità del Papato dal potere imperiale
e affermò la piena supremazia del pontefice sia all'interno che
all'esterno della Chiesa. Al Pontefice, che per Gregorio VII era
la massima autorità sulla terra, perché riceve il suo potere direttamente
da Dio, dovevano essere sottomessi tanto i vescovi quanto i re e
anche l'imperatore, il quale doveva essere nominato dal Papa e da
lui poteva, se necessario essere deposto. Gregorio VII emanò un
decreto che proibiva a tutti i laici, quindi anche all'imperatore
di nominare i vescovi. A questo decreto del Papa, Enrico IV rispose
facendolo deporre da un'assemblea di vescovi a lui fedeli. Gregorio
VII allora lo scomunicò, ordinando ai sudditi di rifiutargli l'obbedienza;
i vari feudatari, quindi, iniziarono a ribellarsi all'imperatore
indebolendo così il suo potere. Di fronte alla ribellione dei feudatari,
Enrico IV dovette piegarsi ad una grave umiliazione: nell'inverno
del 1077 raggiunse Gregorio VII a Canossa, un castello sull'Appennino
emiliano dove il Papa era ospite della sua potente alleata, la marchesa
Matilde di Toscana, vestì l'abito del penitente e restò tre giorni
e tre notti scalzo sulla neve invocando il perdono del Pontefice.
Tuttavia una volta liberato dalla scomunica, Enrico IV riprese la
lotta che sfociò in un vero e proprio conflitto armato. Il Papa,
assediato in Roma da Enrico IV, sarebbe caduto suo prigioniero,
se non fossero accorsi in suo aiuto i Normanni dell'Italia meridionale.
I quali già da alcuni anni erano legati da un patto di alleanza
col Papato, che in cambio aveva riconosciuto i loro domini. Solo
nel 1122 Enrico V insieme a Callisto II stipularono il concordato
di Worms, in base al quale si stabiliva che l'investitura dei poteri
religiosi dei vescovi spettava al Papa e quella dei poteri temporali
all'imperatore: il vescovo-conte, dunque, in quanto vescovo, era
nominato dal Papa, e in quanto conte doveva venire riconosciuto
dall'imperatore. Si attuava in tal modo una separazione tra l'autorità
della Chiesa e quella dello Stato. Ma il conflitto tra le due grandi
potenze non poteva considerarsi risolto; nei secoli successivi esso
si riaccese di nuovo con drammatici sviluppi. Sempre in seguito
alla sua corruzione la Chiesa dovette combattere anche le eresie;
i numerosi movimenti eretici che sorsero in Italia e in Europa,
specialmente nei sec.XII e XIII (Valdesi, Patarini, Gioachimiti,
Catari), ebbero origine non solo da divergenze teologiche con la
Chiesa, ma dal diffuso malcontento per la corruzione del clero e
per le ingiustizie sociali ed economiche, alle quali questi eretici
contrapponevano l'esempio della povertà di Cristo e l'idea evangelica
dell'uguaglianza di tutti gli uomini. Ai primi del XIII secolo,
tuttavia, l'ansia di rinnovamento religioso si manifestò con la
fondazione di due nuovi ordini: quello dei domenicani di san Domenico
di Guzman e quello dei francescani di san Francesco d'Assisi. Questi
due ordini, seppure in modo diverso, predicavano entrambi il ritorno
alla purezza di fede che era stata propria dei primi tempi del cristianesimo
e raccolsero in parte, sotto tale aspetto, anche esigenze che si
erano manifestate nei movimenti eretici. Seppero però restare saldamente
fedeli alla Chiesa, la quale, grazie soprattutto al loro valido
aiuto, poté superare la crisi in cui si trovava.
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