L'ambiente
In
superficie si possono notare i resti dello
sfruttamento degli affioramenti, il cosiddetto «cappellaccio»,
coltivato per frana che appare come una grande ferita aperta lungo le
pendici N-O della piccola catena di monti che divide il
versante di Arbus, da quello di Casargius-Montevecchio. Il resto dei
monti è in parte coperto da macchia mediterranea associata a lecci e
sughere, oltre a qualche pineta di rimboschimento, che si sono salvati
dalla ricorrente selvaggia distribuzione boschiva estiva perpetrata dal
fuoco appiccato spesso dolosamente.
Il
gruppo di filoni coltivato dalla miniera di Montevecchio è disposto
tangenzialmente all'ammasso granitico dell’Arburese e sembra essere il
riempimento da parte di fluidi mineralizzanti, di una lunga frattura
apertasi negli scisti quarzosi a causa di una contrazione, per
raffreddamento da parte del vicino granitico.
Negli
uffici della miniera, e precisamente al primo piano dell'ufficio
geologico esiste un interessante piccolo museo che raccoglie alcuni tra
gli esemplari caratteristici provenienti dagli scavi della miniera
stessa. Tra essi si può ammirare qualche campione di anglesite verde,
alcune cerussiti, delle bariti coperte da piccoli chicchi di smithsonite
ferrifera altrimenti chiamata monheimite. Campioni rari ben
rappresentati sono le blende colloformi con sopra i piccoli cristalli
tubici tramoggiati di galena bismutifera e le bariti quasi aciculari.
I
minerali che la miniera di Montevecchio nel corso del tempo ci ha
offerto sono numerosissimi. Moli essi sono introvabili con il metodo
della ricerca personale perché provengono dagli scavi nel
sottosuolo che si sviluppano fino a toccare i 288 m sotto il livello del
mare (pozzo Sartori, fiore all’occhiello della miniera.
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