La
Storia
di Montevecchio
dai capi nuragici al novecento
Affari di famiglia
Il successo che Sanna aveva così tenacemente ricorso arrivò,ma gli costò
assai caro. Cominciarono subito le liti con i soci stranieri, poi con quelli
italiani, fra cui quello clamoroso cl genero, nipote di Francesco Domenico
Guerrazzi. Alla morte i suoi quattro generi, quattro rampolli dell' italia bene
di allora rilevarono la loro vera natura e si diedero alla caccia di un eredità
che, a quei tempi, doveva apparire favolosa. Spogliarono lasciti, trafugarono
opere di Raffaello, Tiziano e Tintoretto, il carteggio con Mazzini e Garibaldi e
condussero, non ostante gli utili eccellenti, una stagione miope che portò
prima al dissesto, poi alla perdita della concessione mineraria. Nel redigere
una relazione decisamente favorevole, Quintino Sella, nella 1870, dopo una vista
di diciotto giorni alle miniere sarde, scriveva "...sarebbe Montevecchio
una miniera modello da mostrarsi con orgoglio agli stranieri se gravissimi
dissensi non avessero diviso i principali proprietari della medesima, tanto che
vuole abbiamo messo a parte notevole del lucro dato da Montevecchio in
spese e lite". Durante la sua reggenza Sanna s 'impegnò a fondo per fare
dell' attività estrattiva un' attività industriale moderna: costruì strade,
riorganizzò i trasporti fra Montevecchio e Gagliari, ridusse l'orario degli
operai a otto ore giornaliere, costruì palazzi, case, una chiesa, ampliò le
gallerie. Da vero maneger volle circondarsi di collaboratori di grande valore,
reclutati spesso all' estero, dove l' attività mineraria non era agli inizi,
come in italia. Questa è la ragione per cui, visitando la miniera così come
oggi appare, molti si stupiscono di trovarvi un' architettura così raffinata,
anche nei cantieri di lavoro, per non parlare dell' eleganza delle case dei
dirigenti e del palazzo direzionali, le cui pareti erano
impreziosite da spenditi affreschi liberty. Nel 1875 G. A. Sanna morì, per
gravi problemi cardiaci. I dispiaceri causati dai suoi famigliari e la malattia
lo avevano reso, scriveva la figlia Igniazia "un fantasma più che una
persona viva. Tutto gli era ormai indifferente, non riconosceva nessuno, non
parlava più". Il suo patrimonio ammontava a 8 milioni di lire e il
testamento fu redatto in favore delle figlie. Destinò invece alla sua città,
Sassari, le grandi opere d' arte e di archeologia che possedeva, ma tutto fu
razziato prima ancora di arrivare in Comune.
Tramonto di una dinastia
Per i successivi quarant'anni la miniera
fu diretta dagli eredi della famiglia Sanna che, con alterne vicende, ne fecero
una realtà fiorente, tenendo d'occhio più al profitto che al benessere dei
minatori, che lavoravano in condizioni durissime. La loro salute era minata da
silicosi che colpiva la maggior parte di loro, dalla malaria che allora
affliggeva gran parte dell' isola e dagli infortuni, molti dei quali mortali,
finche nel 1903, scoppiò il più grande tumulto da parte degli operai.Si
rivendicava un miglioramento salariale la riduzione dell' orario di lavoro all'
interno, la distribuzione gratuita di olio per ardere e di acqua potabile nelle
officine. Lo scioperò fu promosso dalla "Lega della Resistenza" e i
minatori aderirono in massa (89%9. La vertenza si concluse a favore delle
maestranze, grazie anche al parere favorevole della" contessa
rossa", Ignazia Sanna, figlia di Giovanni, così soprannominata
perchè, come suo padre, aveva in qualche modo a cuore il benessere dei
minatori. Lo scioperò rappresento una delle tappe più significative
nella storia del movimento operaio. Le cose andarono avanti così per
qualche anno finchè scoppio la Prima Guerra Mondiale. Molti furono
chiamati alle armi; gli operai scesero al minimo storico di 470 unità. La
produzione languiva, lo spettro della miseria e del fallimento si
delineava sempre più minaccioso finchè, finita la guerra, si ritornò a
scavare e la vita riprese, in miniera e fuori. Ripresero anche le
turbolenze operaie che divennero sempre più insistenti per via dei salari
fermi da tempo e del tutto insufficenti a coprire il costo della vita
aumentato del 14%. Dopo il 1923 però qualcosa si mosse. Il prezzo dei
minerali prese a salire, ci fu qualche riconoscimento salariale, ma
soprattutto ci fu un grosso cambiamento di rotta da parte del consiglio di
amministrazione che, che colpito della euforia espansionistica proveniente
dagli stati uniti, si buttò a capofitto negli investimenti. L'atmosfera
generale in Italia era contagiata dal travolgente clima americano,
così ottimista e orientato al profitto facile, quello che proveniva dalle
operazioni finanziarie. I nuovi paradisi si chiamavano Londra e New York e
la parola d'ordine era investire in borsa. Montevecchio non volle restare
in dietro e forte dei buoni risultati di vendita dei suoi minerali,
acquistò addirittura 33 miniere minori, considerandole un bene
rifugio sicuro, senza valutare che la loro passività l'avrebbe portata ad
un indebitamento sempre più forte con le banche. Dopo qualche anno
arrivò la terribile crisi del 29 e non risparmio nessuno. Montevecchio
carica di debiti per i troppi acquisti improduttivi, aveva bisogno
di denaro fresco ma gli azionisti non poterono o non vollero provvedere.
Non ostante tutto tentò un ulteriore azione di sviluppo realizzando, a
San Gavino, una Fonderia per la fusione del piombo, azione che si rivelò
di un importanza vitale nell' immediato futuro. I bilanci in tanto erano
sempre più in rosso e, nel 1933, la Società, che fino a 4 anni prima
aveva in portafoglio titoli per 140 milioni, ora se lì trovava svalutati
dell' 88%. Era un anticamera del fallimento. Cominciò un affannosa
richiesta di prestito alle banche. I sindacati fecero mettere sotto
sequestro le laverie, la centrale elettrica e la ferrovia, a garanzia dei
crediti degli operai che da tempo non venivano pagati. si giunse alla
richiesta di Concordato al Tribunale di Roma quando, a salvare
Montevecchio, intervenne la Montecatini, una società allora fiorente in
piena espansione, che si occupa di chimica oltrechè di minerali. La
società Monteponi però, ritenne strategica, per i suoi interessi
in Sardegna, una partecipazione all'operazione e chiese di far parte della
cordata. Il commissario giudiziale espresse parere favorevole alla
proposta di offerta congiunta, pari a 43 milioni di allora propose il
tribunale che siglò l'accordo definitivo. L'otto Settembre del 1933
il nuovo management si installo a Montevecchio. Dopo 85 anni la famiglia
Sanna uscì definitivamente di scena; e cominciava per Montevecchio una
nuova era una nuova gestione, pubblica e manageriale, che la porterà a
diventare, nel suo decennio d' oro 1950/1960, la miniera di piombo e zinco
più e bella e importante d' Europa.
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