Apache, vuol dire nemico.

 

L’origine del nome Apache designa un gruppo del Sudovest di lingua athapaskan ed è piuttosto controversa. Potrebbe derivare dalla lingua degli indiani Zuni (apachu = nemico) o da apatich, termine con il quale gli Yavapai chiamavano se stessi e che i Bianchi potrebbero aver confuso. Oppure potrebbe derivare da un termine di origine spagnola, apachurrar, che significa "annientare". Essi chiamavano invece se stessi Tin-ne-ah o, secondo diverse trascrizioni, Tinneh o Diné o Indé ("il popolo"). Gli Apache, detti anche Athapaskan meridionali, furono dei nuovi venuti nel Sudovest, essendovi giunti, dal Canada nordoccidentale e dall’Alaska, poco prima del contatto con gli europei, agli inizi del XV secolo. Si stanziarono nei territori dell’attuale New Mexico e dell’Arizona, conducendo una vita seminomade, con dimore temporanee e stagionali. I gruppi locali, composti da varie famiglie matrilineari estese, formavano bande, il massimo livello di organizzazione politica: non esistevano tribù, ma ogni gruppo si considerava una nazione. Da un punto di vista geografico, gli Apache, che vivevano in una regione di montagne e canyon, coperta di vegetazione e fornita d’acqua o nei deserti, solitamente si dividono in due gruppi: occidentale e orientale, per quanto vi sia chi distingue un ulteriore gruppo di Apache del Sud e permanga qualche difficoltà nell’operare una suddivisione troppo rigida poiché molto spesso sono stati affibbiati vari nomi alle stesse bande o sottotribù. Nel gruppo occidentale sono compresi i White Mountain, i San Carlos, i Pinal, i Fort Apache, i Carrizo, gli Arapaiva, i Tonto, i Chibecua ed altri gruppi. Nel gruppo orientale si trovano i Jicarilla, i Mescalero, i Lipan e i Chiricahua, per quanto una parte di questo gruppo fosse stanziata a sud del Nuovo Messico, a cavallo della frontiera messicana.

Tali popolazioni vivevano tradizionalmente di caccia e raccolta. Quando raggiunsero il Sudovest, a tale base economica (caccia al cervo e all’antilope, raccolta di piante selvatiche, tuberi, frutti e noci pinion) assommarono le razzie e l’agricoltura (soprattutto mais, fagioli e meloni), per quanto alcuni gruppi (Mescalero, Jicarilla) che vivevano in un modo che ricorda abbastanza quello degli indiani delle Pianure, continuassero a riservare ben poco interesse alle attività agricole e, come gli indiani delle Pianure, vivessero in tepee e non nei tipici wickiup.

 

villaggio Jicarilla

 

Tutti gli Apache inoltre appresero assai rapidamente a usare il cavallo e si fecero una reputazione che assegnava loro una notevole spietatezza. Gli abiti tradizionali erano prevalentemente in pelle di daino; i capelli lunghi e sciolti erano tenuti fermi da una benda allacciata intorno alla testa. Gli uomini indossavano anche un gonnellino aperto sui fianchi; i loro alti mocassini di pelle di daino, allacciati sotto le ginocchia, erano una parte fondamentale dell’abbigliamento in un terreno coperto di rovi, boscaglia e cactus. Le donne, soprattutto in alcuni gruppi, sapevano intrecciare canestri di eccezionale fattura; portavano i bimbi in culle ad asse, avevano un ruolo importante negli affari di famiglia, possedevano una loro personale proprietà e potevano divenire sciamane

 

Le razzie venivano condotte dai gruppi locali e non avevano comunque lo scopo di uccidere. Gli uomini infatti non crescevano d’importanza per le uccisioni, ma se compivano razzie che portassero cibi e cavalli alle famiglie. Anzi, la vera bravura non era nel dimostrare il proprio valore in battaglia, come accadeva presso altre tribù, particolarmente nell’area delle Pianure, ma nell’evitare gli incontri con il nemico. Netta era dunque la distinzione tra razzia e guerra: un gruppo di guerra poteva formarsi per vendicare la morte di qualcuno ed era semplicemente guidato da un parente dell’ucciso. Non esistevano infatti società di guerrieri. Alcune delle figure più leggendarie del popolo Tin-ne-ah, come Geronimo, Naiche, Cochise, divennero famose soprattutto grazie all’abilità che dimostrarono nello sfuggire alla Cavalleria statunitense.

Le tribù apache non avevano capi riconosciuti, contrariamente a quanto accadeva nelle bande e nei gruppi locali; i capi di tali bande o gruppi erano uomini o donne importanti per ricchezza, abilità e influenza personale. La supremazia dei capi tribali si manifestò solamente dopo l’introduzione delle istituzioni politiche anglo-americane che seguirono all’istituzione delle riserve e all’assimilazione forzata.

Le popolazioni di lingua athapaskan furono l’ultimo gruppo importante a essere piegato al controllo politico dei conquistatori europei. Si opposero dapprima agli Spagnoli, che vennero fermati nella loro avanzata, e poi agli Stati Uniti; Geronimo, in particolare. si arrese solo dopo quarant’anni di guerriglia, nel 1885, mentre altri grandi condottieri, come Victorio, Nana, Shi-Ka-She (chiamato Cochise dai Bianchi), Mangus Colorado, in varie riprese diedero parecchio filo da torcere ai conquistatori. Dopo il 1920, in seguito al tramonto della loro economia tradizionale, l’allevamento del bestiame (mucche e pecore) divenne un’attività essenziale per gli Apache, che oggi vivono in alcune riserve in Arizona e New Mexico.

 

Vita dura del popolo apache

Il termine "apache " quindi molto probabilmente appartiene al dialetto Zuni e significa " il nemico comune ". Esso era usato da tutti i Pueblos, quando il governatore Ofiate andò a fondare la provincia del Nuovo Messico, nel 1595. Ma già nel 1538 il conquistador Francisco Vazquez de Coronado, cercando le sette mitiche città di Cibola, nelle pianure occidentali del Texas, s'era imbattuto nei Querechos, che costituiscono una divisione importante del popolo Apache. Nel XVIl secolo erano considerati Apaches anche i Navajos, che i Pueblos chiamavano " Apachu de Cibicu ".

L'antropologo Frederick W. Hodge, nel suo monumentale " Hand Book of the American Indians North of Mexico " registra la seguente suddivisione delle tribù, o bande, Apache, oggi generalmente accettata. Secondo essa sono Apaches:

 

" I Querechos, o Vaqueros (Jicarilla, Faraones, Llaneros e, probabilmente, i Lipans); i Chiricahuas; i Pinalenos; i Coyoteros. che comprendono le divisioni dei Monti Bianchi e i Pinal; gli Ariveipa; gli Apaches del Gila, inclusi in essi i Gilenos, i Mimbrenos e i Mogollones; i Tontos.

" Tribù e bande conosciute come Apache o supposte tali, ma non meglio identificabili, sono le seguenti: gli Alacranes, gli Animas, i Nissarhar, i Chafalote, i Cocoyes, i Colina, i Doestol, i Soolkizzen, i Janos (o Janeros), i Jocomes, i Tejua, i Tremblers e gli Zilgow " (tutti residenti negli attuali stati messicani di Chihuahua e Sonora).

 

Gli Apaches non sarebbero probabilmente d'accordo con questa suddivisione, o la troverebbero lacunosa. Geronimo, infatti, nella sua autobiografia, dichiara di appartenere alla banda dei Bedonkoe, comandata da Mah-ko, della quale Hodge non tiene conto. V'era poi, certamente, una banda di ribelli, i Netdahe, formata da fuorilegge di diversi gruppi, che aveva la sua base nel cuore della Sierra Madre. La comandava Juh (Collo Lungo) al quale Geronimo si unì con i suoi pochi seguaci, quando dichiarò guerra agli americani

 

Ma è forse più interessante conoscere dallo stesso Geronimo la Genesi del popolo Apache. Eccola in riassunto.

 

"Al principio di tutto la terra era avvolta nelle tenebre e le creature viventi, cioè l’uomo, gli animali tra i quali v'erano orribili mostri senza nome, i rettili e gli uccelli dell'aria che costituivano una tribù a sè, erano dotate di ragione e avevano il dono della parola {Notiamo di passaggio che Geronimo non nomina i pesci, i quali sono tabù per gli Apaches e vengono chiamati. "cibo fantasmi"). Essi, perciò, tenevano frequenti concili e discutevano sul modo di far andar avanti il mondo. Gli uccelli avrebbero voluto che fosse stata creata la luce, ma le bestie terrestri, più potenti, non lo permettevano. L'uomo era il più debole di tutti perché le fiere e i mostri divoravano la sua prole, impedendogli di prosperare.

Un giorno gli uccelli fecero guerra alle bestie. L'aquila, che aveva insegnato al popolo pennuto a usare l'arco e le frecce, li guidò così saggiamente e valorosamente che la vittoria fu loro, ma solo dopo una lotta lunga e difficile. I serpenti erano talmente avveduti che non poterono essere sterminati tutti. Uno di essi si nascose in un dirupo perpendicolare e il suo occhio, mutato in una pietra scintillante, può essere visto ancora oggi nel costone d'una montagna dell'Arizona. Gli orsi uccisi si moltiplicavano, così più gli uccelli ne uccidevano più ce n'era (notiamo che anche l'orso è cibo tabù per gli Apaches). Un mostro di meravigliosa astuzia era invulnerabile alle frecce, perciò l'aquila volò sopra di lui con una pietra bianca e rotonda negli artigli e gliela lasciò cadere sulla testa, uccidendolo di colpo. Quella pietra fu da allora considerata sacra e un simbolo di essa viene usato oggi nel gioco tribale del Kah.

Quando la guerra fu finita, benché restasse ancora un certo numero di bestie malvage, gli uccelli chiesero la luce al Creatore e l'ottennero. Fu una fortuna per gli uomini che a quel tempo eran ridotti a pochi superstiti. Fra questi, c'era una donna che aveva avuto la benedizione di molti figli, ma le fiere glieli avevano divorati a uno a uno, e quando era riuscita a eludere la loro caccia era stato il dragone a rapirglieli.

Un giorno essa ebbe un figlio da un uragano e decise di salvarlo ad ogni costo. Così, scavò un profondo cunicolo nel suolo, vi depose il bambino, poi ne coprì l'entrata con una pietra e sulla pietra accese un fuoco di bivacco che serviva tanto a mascherare meglio l'entrata, quanto a scaldare il piccolo nascosto. ogni giorno essa scendeva nel cunicolo a nutrirlo, poi risaliva, rimetteva la pietra a posto e sulla pietra riaccendeva il fuoco.

Il dragone seppe che aveva avuto un figlio e venne a reclamarlo; ma la madre gli disse: "Non ho più figli; quelli che avevo me li hai divorati tutti tu ".

Quando il bambino fu cresciuto ebbe voglia di giocare e correre all'aperto e la madre lo fece uscire un po' ogni giorno. Presto il dragone ne scoprì le tracce e, infuriato, si presentò alla madre, minacciando d'ucciderla se non gli avesse rivelato dov'era nascosto il piccolo. Ma essa non parlò e il dragone se ne andò, dopo aver promesso che sarebbe tornato, lasciando la povera donna in preda a mille paure.

Poco tempo dopo il bambino disse che voleva andare a caccia e la madre tentò di dissuaderlo, ammonendolo che i lupi, o i serpenti, o il dragone l'avrebbero divorato; ma egli non si impaurì. " Domani andrò " decise.

Suo zio, che a quel tempo era l'unico uomo vivente, gli costruì un piccolo arco, un certo numero di frecce, e insieme andarono a cacciare daini sulla montagna. Il ragazzo uccise un maschio e lo zio gli insegnò a scuoiarlo e a farne bollire la carne. Avevano appena finito di cuocere i quarti posteriori dell'animale quando comparve il dragone che si prese il cibo del ragazzo e disse: " Tu, piccolo, sei bello grasso; cercavo proprio te. Quando avrò finito di mangiare questa selvaggina ti divorerò ".

Lo zio era paralizzato dalla paura, ma il ragazzo no. Spavaldamente, egli tolse la carne al dragone, dichiarando che non gli avrebbe lasciato mangiare né quella nè lui. I1 dragone gliela ritolse, e il ragazzo se la riprese ancora; così per quattro volte. Dopo la quarta volta, il ragazzo sfidò il dragone a un duello con l'arco. Si sarebbero tirati, a turno, quattro frecce per ciascuno, prima il dragone poi lui, da cento passi.

Collocatisi alla distanza convenuta, il dragone tese il suo arco, che era fatto da un lungo tronco di pino, e gli scagliò la prima freccia, lunga venti piedi. Ma mentre essa lasciava l'arco il ragazzo emise un suono strano e balzò nell'aria. La freccia, allora, ando in mille schegge e il ragazzo apparve seduto al sommo d'un vivido arcobaleno, di dove saltò giù perchè il dragone gli scagliasse la seconda freccia. Per quattro volte il giochetto si ripetè e infine toccò al ragazzo tirare. I1 dragone non se ne preoccupò: a poco potrai fare—disse—il mio corpo è coperto di quattro corazze di scaglie cornee e le tue freccioline non potranno trapassarne nemmeno una ". Ma la prima freccia mandò a pezzi la prima corazza e dopo la terza il cuore del dragone era allo scoperto; allora il ragazzo, con mira sicura, vi confisse la sua ultima freccia. Con un ruggito spaventoso il dragone rotolò lungo il fianco della montagna, poi precipitò successivamente in quattro abissi e finì, a pezzi, nel fondo d'un canjon. In quel momento nubi tempestose spazzarono i fianchi della montagna, i lampi sprizzarono, rombarono i tuoni e venne giù un vero diluvio. Quando fu passato, il ragazzo e suo zio poterono vedere dall'alto, sul fondo del canjon, le membra sparse del mostro. E le sue ossa biancheggiano ancora oggi nello stesso luogo.

" I1 nome di questo ragazzo era Apache. Usen (il Creatore degli Apaches detto talvolta User) gli insegnò come preparare le erbe medicinali, come cacciare e come combattere. Egli fu il primo capo degli indiani a portare le penne d'aquila come simboli di giustizia, di saggezza e di potere. A lui e al suo popolo, quando fu numeroso, Usen dette dimora nelle terre dell'ovest ".

In questa Genesi del popolo Apache secondo Geronimo, quel che emerge è il senso della lotta per l'esistenza. Dalle battaglie cosmiche tra gli animali fino al duello finale di Apache contro il dragone, non c'è un attimo di tregua, e dopo la distruzione del mostro, dopo che Usen ha assegnato a lui e al suo popolo le terre dell'ovest, su quel che sarà l'avvenire del popolo, non una parola. Usen non ha promesso nulla, non ha annunciato a questi suoi figli un riposo ultraterreno. Questo riposo finale, così importante in altre culture indiane, da poter essere identificato, in termini moderni, come istinto di morte non meno forte dell'istinto di conservazione, è totalmente taciuto. Per gli Apaches sembra non esservi altro che la lotta per l'esistenza; poi, più nulla. Quest'assenza di un futuro di pace, così intrinseco alla mentalità di tutti i popoli primitivi, potrebbe far dubitare che la Genesi di Apache secondo Geronimo sia un'elaborazione posteriore alla conquista spagnola.

Forse l'invasione spagnola produsse un trauma molto più profondo di quanto possiamo immaginare nell'animo delle popolazioni indigene esposte al brutale ultimatum dei conquistatori cristiani: "convertirsi o perire". La dottrina politico-religiosa messa in pratica dai castigliani era quella divulgata nel XIV secolo da Enrico di Susa, vescovo di ostia e perciò conosciuto ai dottori in diritto canonico come " l'ostiense ".

Essa diceva, in breve: anche i popoli pagani, sotto il Diritto delle Genti, possono governarsi autonomamente; ma solo fino a quando non sia recato loro il verbo cristiano. Da quel momento, essi dovranno riconoscere e adorare l'unico vero Dio, accettare l'autorità del Papa e ubbidire ai principi che questi avrà scelto per governarli, sotto pena, in caso di rifiuto, d'essere distrutti o fatti schiavi in giuste guerre ".

Si tenga presente che questa dottrina (non l'unica, comunque, che fosse propagandata in Europa nel tardo medio evo) fu elaborata specificamente per i rapporti tra cristiani e mori, in guerra tua loro ormai da sei secoli, quindi in un clima storico speciale. Di America e di indiani, allora, non c'era la più pallida idea; ma dopo la scoperta del Nuovo Mondo essa si dimostrava la più adatta per mettere d'accordo il legalismo e la religiosità dei Re Cattolici, da una parte, con la cupidigia dei Conquistadores dall'altra. Questi ultimi usarono e abusarono di giuste guerre, come sappiamo, per quasi un secolo, e i re spagnoli vi ricorsero con altrettanta prontezza ogni volta che un popolò indiano dava segni di indipendenza. La sola opposizione a questa dottrina che legalizzava il genocidio fu quella appassionata di padre Bartolomè de las Casas e dei Domenicani, nel periodo della Reggenza e di Carlo V, il quale promulgò un corpo di buone leggi per la tutela degli indiani sottomessi. Ma per gli indiani che rifiutavano il cristianesimo e la sovranità spagnola non c'era altra risorsa che la lotta; e la lotta, anche se intermittente, fu sempre feroce. L'odio degli Apaches, che non vollero mai sottomettersi, ha radici in questa vicenda secolare.

Disgraziatamente per loro, gli americani che pure non dovevano obbedire a fanatici imperativi religiosi, si dimostrarono anche peggiori degli ispano-messicani, dopo che ebbero conquistato il Nuovo Messico e l'Arizona.

Gli spagnoli, tutto sommato, avevano tentato una gigantesca opera di acculturamento, senza pregiudizi razziali, e in cambio dell'obbedienza offrivano gli stessi privilegi di cui godevano i cittadini spagnoli in patria. Ma i democratici americani, in cambio di quello che si prendevano, e si prendevano tutto, non offrivano nemmeno un certificato di cittadinanza. Ciò spiega la ferocia della reazione degli Apaches e come, in poco più di vent'anni, nelle regioni del sud-ovest, risuonassero più grida strazianti di quante non se ne fossero udite prima in due secoli e mezzo.

E ciò, forse, spiega anche perché la Genesi del popolo Apache, secondo Geronimo, ostaggio a vita della civiltà bianca, non lasci intravedere il minimo raggio di speranza.

 

Le guerriglie apache.

 

Dopo la visita di Nuvola Rossa nell’estate del 1871, il commissario Ely Parker e altri funzionari governativi discussero l’opportunità di invitare a Washington il grande capo apache Cochise. Sebbene non vi fossero state più campagne militari nel territorio apache dalla partenza di Capo Stella Carleton dopo la Guerra Civile, vi erano frequenti scontri fra le bande nomadi di questi indiani e i coloni bianchi, i minatori, e i trasportatori che continuavano a usurpare la loro patria. Il governo destinò quattro zone di riserva nel Nuovo Messico e nell’Arizona alle varie bande, ma pochi Apache erano disposti ad andare a vivere in una qualunque di esse. La speranza del commissario Parker era che Cochise desse il suo contributo all’instaurazione di una pace permanente nel territorio apache, e chiese ai rappresentanti del suo ufficio in quella zona di invitare il capo a recarsi a Washington.

 

Fino alla primavera del 1871 nessun uomo bianco riuscì a trovare Cochise, e quando infine fu stabilito il contatto, il capo declinò l’invito del governo. Disse semplicemente che non poteva fidarsi dei rappresentanti militari degli Stati Uniti, né di quelli civili.

Cochise era un Apache Chiricahua. Era più alto della maggior parte dei membri della sua stirpe, aveva spalle larghe, ampio torace, un viso intelligente con occhi neri, lungo naso dritto, fronte spaziosa e folti capelli neri. Gli uomini bianchi che lo conobbero dissero che era di modi gentili, e di aspetto ordinato e pulito.

Quando gli americani giunsero per la prima volta nell’Arizona, Cochise diede loro il benvenuto. Nel 1865, durante un incontro con il maggiore Enoch Steen del I Dragoni, Cochise promise di lasciar attraversare agli americani il territorio chiricahua sulla strada meridionale che conduceva in California.

Non fece obiezioni quando la Butterfield Overland Mail costruì una stazione di diligenza sul Passo Apache; infatti, i Chiricahua che vivevano nei dintorni tagliarono il legname per la stazione, barattandolo in cambio di provviste.

Poi, un giorno di febbraio nel 1871, Cochise ricevette un messaggio dal Passo Apache in cui gli si chiedeva di recarsi alla stazione per un colloquio con un ufficiale. Pensando che si trattasse di una cosa di ordinaria amministrazione, Cochise portò con sé cinque membri della sua famiglia: suo fratello, due nipoti, una donna e un bambino. L’ufficiale che voleva vederlo era G.N. Bascom del 7° fanteria, che era stato inviato con una compagnia di soldati per recuperare dei capi di bestiame e un bambino meticcio rubati dal ranch di John Ward, che aveva accusato i Chiricahua di Cochise di aver sottratto il bestiame e il bambino.

Appena Cochise e i suoi parenti entrarono nella tenda di Bascom, dodici soldati la circondarono e il tenente chiese loro con voce perentoria che i Chiricahua restituissero il bestiame e il bambino.

Cochise aveva sentito parlare del ragazzo rubato. Una banda di Coyotero della Gila avevano assalito il ranch di Ward, egli disse, e probabilmente si trovava a Black Mountain. Cochise pensava di riuscire a combinare un riscatto. Bascom rispose accusando i Chiricabua di avere il bambino e il bestiame. Inizialmente Cochise pensava che il giovane ufficiale stesse scherzando. Bascom era però un impulsivo, e quando Cochise dimostrò di non prendere sul serio l’accusa, il tenente ordinò l’arresto di Cochise e dei suoi parenti, dichiarando che li avrebbe tenuti come ostaggi in attesa della restituzione del bestiame e del ragazzo.

Nel momento in cui i soldati entrarono per arrestarli, Cochise fece un taglio nella tenda e fuggì inseguito da una scarica di fucileria. Sebbene ferito, egli riuscì a sfuggire all’inseguimento di Bascom, ma i suoi parenti rimasero prigionieri. Per liberarli, Cochise e i suoi guerrieri catturarono tre bianchi sulla Pista di Butterfield, e cercarono di fare uno scambio con il tenente. Bascom rifiutò di effettuare lo scambio se questo non comprendeva anche il bestiame rubato e il ragazzo.

Furioso perché Bascom non voleva credere che la sua gente fosse innocente, Cochise bloccò il Passo Apache e assediò la compagnia di fanteria che si trovava alla stazione delle diligenze. Dopo aver proposto ancora una volta a Bascom di fare uno scambio, Cochise giustiziò i suoi prigionieri, mutilandoli con le lance, una crudele pratica che gli Apache avevano imparata dagli spagnoli. Pochi giorni dopo il tenente Bascom si vendicò impiccando tre parenti maschi di Cochise.

Fu a questo punto della storia che i Chiricabua trasferirono il loro odio dagli spagnoli sugli americani. Per un quarto di secolo essi e altri Apache avrebbero combattuto un’estenuante guerriglia che sarebbe costata in vite umane e in denaro più di qualsiasi altra guerra indiana.

Mangas Colorado

A quel tempo (1861) il grande capo di guerra degli Apache era Mangas Colorado, o Maniche Rosse, un Mimbreno di settant’anni che era ancora più alto di Cochise. Aveva seguaci in molte bande dell’Arizona sud-orientale e del Nuovo Messico sud-occidentale. Cochise aveva sposato la figlia di Mangas, e dopo la faccenda di Bascom i due uomini unirono le forze per scacciare gli americani dalla loro patria. Attaccarono convogli di carri, interruppero il traffico delle diligenze e dei carri postali, e scacciarono diverse centinaia di minatori bianchi dal loro territorio, dai monti Chiricahua ai Mogollons. Quando le Giacche Blu e le Giacche Grigie combatterono la loro Guerra Civile, Mangas e Cochise ingaggiarono scaramucce con le Giacche Grigie finché queste si ritirarono verso l’Est.

Poi, nel 1862. giunse dalla California Capo Stella Carleton con le sue migliaia di Giacche Blu, percorrendo la vecchia pista che attraversava il cuore del territorio chiricahua. Inizialmente entrarono a piccoli gruppi, fermandosi sempre ad approvvigionarsi di acqua alla sorgente vicino alla stazione abbandonata sul Passo Apache. Nella Luna del Cavallo, il 15 luglio, Mangas e Cochise spiegarono i loro cinquecento guerrieri lungo le alture rocciose che dominano il passo e la sorgente. Si stavano avvicinando da ovest tre compagnie di fanteria di Giacche Blu, scortate da truppe a cavallo e da due veicoli su ruote. Quando la colonna di trecento soldati attraversò il passo. gli Apache attaccarono improvvisamente sparando e lanciando frecce. Dopo aver risposto al fuoco per pochi minuti, i soldati si ritirarono precipitosamente dal passo.

Gli Apache non si lanciarono all’inseguimento. Sapevano che le Giacche Blu sarebbero ritornate. Dopo aver ricostituito le file, i soldati di fanteria si spinsero di nuovo nel passo, questa volta seguiti da vicino dai due carri. I soldati arrivarono fino a poche centinaia di metri dalla sorgente, ma lì non vi era alcun riparo dietro cui proteggersi, e gli Apache avevano circondato dall’alto le sorgenti. Per diversi minuti le Giacche Blu tennero la loro posizione. Poi sferragliando giunsero i carri. Improvvisamente, dai carri esplosero lampi di fuoco. Si alzarono nuvole di fumo nero, e un grande tuono echeggiò fra le alte rocce, e pezzi di metallo volante fischiarono nell’aria. Gli Apache avevano udito il rombo dei piccoli cannoni degli spagnoli, ma questi grandi cannoni tuonanti montati su carri spargevano il terrore e la morte. Allora i guerrieri si ritirarono, e le Giacche Blu avanzarono per prendere possesso delle acque che sgorgavano dalle sorgenti.

Mangas e Cochise non erano disposti a darsi per vinti. Se fossero riusciti ad allontanare piccole bande di soldati dai cannoni sui carri, avrebbero ancora potuto sconfiggerli. Il mattino seguente videro un plotone di soldati a cavallo che tornava verso ovest, probabilmente per avvertire altri soldati che venivano da quella direzione. Mangas prese cinquanta guerrieri a cavallo e si precipitò a valle per tagliarli fuori. Nella battaglia che segui, Mangas fu ferito al petto e cadde da cavallo privo di sensi. Sgomenti per la perdita del loro capo, i guerrieri interruppero il combattimento e trasportarono il corpo sanguinante di Mangas sulle alture.

Cochise era deciso a salvare la vita di Mangas. Anziché fidarsi degli stregoni e dei loro canti e dei loro sonagli, mise suo suocero in un telo e con una scorta di guerrieri cavalcò ininterrottamente verso sud per un centinaio di chilometri in Messico fino al villaggio di Janos. Lì viveva un chirurgo messicano di grande fama, e quando gli venne mostrato il corpo inerte di Mangas Colorado, gli fu dato un preciso ultimatum:

" Guariscilo. Se muore, anche questa città morirà".

Alcuni mesi dopo Mangas faceva ritorno sui suoi monti Mimbres, con un cappello di paglia a larghe falde, un sarape, gambali di cuoio e sandali cinesi che aveva acquistato in Messico. Era più magro e il suo volto era più rugoso di prima, ma riusciva ancora a superare a cavallo e nel lancio guerrieri più giovani di lui di mezzo secolo. Mentre si stava riposando sulle sue montagne, udì che Capo Stella Carleton aveva radunato i Mescalero e li aveva imprigionati al Bosque Redondo. Venne a sapere che le Giacche Blu davano la caccia agli Apache ovunque si trovassero e li uccidevano con i loro cannoni sui carri così come avevano ucciso sessantatre guerrieri suoi e di Cochise a Passo Apache.

All’Epoca delle Formiche Alate (gennaio 1863) Mangas era accampato sul fiume Mimbres. Da qualche tempo stava pensando come fare per ottenere la pace per tutti gli Apache prima di morire. Ricordava il trattato che aveva firmato a Santa Fé nel 1852. In quell’anno gli Apache e il popolo degli Stati Uniti avevano stipulato un trattato di pace e di amicizia permanenti. Per alcuni anni vi era stata pace e amicizia, ma ora vi era ostilità e morte. Voleva veder vivere il suo popolo di nuovo in pace. Sapeva che neanche i suoi più coraggiosi e astuti giovani guerrieri come Victorio e Geronimo potevano sconfiggere la grande potenza degli Stati Uniti. Forse era giunto il momento di stipulare un altro trattato con gli americani e le loro Giacche Blu, che erano diventati numerosi come le formiche alate.

Un giorno un messicano si avvicinò al campo di Mangas con una bandiera bianca. Disse che alcuni soldati si trovavano nelle vicinanze e volevano parlare di pace. A Mangas il loro arrivo sembrò provvidenziale. Avrebbe preferito conferire con un Capo Stella, ma acconsentì di andare a incontrare il piccolo capitan, Edmond Shirland, dei volontari della California. I guerrieri mimbreno lo consigliarono di non andarci. Non si ricordava cosa era successo a Cochise quando andò a incontrare i soldati a Passo Apache? Mangas non tenne conto dei loro timori. Dopo tutto, egli era soltanto un vecchio. Che male potevano fare i soldati a un vecchio che voleva soltanto parlare di pace? I guerrieri insistettero perché si facesse accompagnare da una scorta; egli scelse quindici uomini e si avviarono sulla pista che portava all’accampamento militare.

Quando giunsero in vista dell’accampamento, Mangas e i suoi uomini attesero che si mostrasse il capitan. Si fece avanti un minatore che parlava spagnolo offrendosi di accompagnare Mangas nell’accampamento, ma i guerrieri apache che lo scortavano non erano disposti a lasciar entrare il loro capo finché il capitano Shirland non issava una bandiera bianca. Appena fu alzata, Mangas ordinò alla sua scorta di tornare indietro; sarebbe entrato da solo. Era protetto da una bandiera bianca, e non correva alcun pericolo. Mangas cavalcò verso l’accampamento militare, ma i suoi guerrieri erano appena scomparsi dalla vista quando una dozzina di soldati sbucò fuori dalla boscaglia dietro di lui, pronti a far fuoco con le carabine. Era prigioniero.

"Conducemmo in gran fretta Mangas al nostro accampamento al vecchio Fort MeLean" disse Daniel Conner, uno dei minatori che si era aggregato ai volontari della California "e facemmo in tempo a vedere il generale West che raggiungeva le sue truppe". Il generale avanzò fino al punto in cui Mangas si trovava prigioniero con l’intenzione di parlargli e sembrava un pigmeo accanto al vecchio capo, che sovrastava quelli che gli stavano intorno. Sembrava angosciato si rifiutò di parlare ed evidentemente sentiva di aver fatto un grande errore a fidarsi dei visi pallidi in quell’occasione.

Furono assegnati due soldati a guardia di Mangas e quando scese la notte e il freddo divenne pungente, accesero un grande fuoco per scaldare se stessi e il loro prigioniero. Uno dei volontari della California, il soldato semplice Clark Stockìng, riferì in seguito di aver udito gli ordini impartiti dal generale Joseph West alle guardie: "Lo voglio domani mattina vivo o morto, capito, lo voglio morto".

A causa della presenza nella zona degli Apache di Mangas, quando scese l’oscurità furono poste altre sentinelle di guardia all’accampamento Daniel Conner fu messo di guardia, e mentre camminava avanti e indietro prima di mezzanotte, si accorse che i soldati che sorvegliavano Mangas stavano molestando il vecchio capo, tanto che questi continuava a sollevare i piedi sotto la coperta. Curioso di sapere cosa stavano facendo i soldati, Conner si mise appena fuori dal raggio di luce del falò, e stette lì ad osservarli. Vide che stavano arroventando le baionette nel fuoco e con queste toccavano i piedi e le gambe di Mangas. Dopo che il capo ebbe sopportato questa tortura diverse volte, si alzò e cominciò ad apostrofarli violentemente dicendo in spagnolo alle sentinelle che egli non era un ragazzino con cui si potesse giocare. Ma le sue proteste furono subito interrotte, perché aveva appena cominciato a lamentarsi quando entrambe le sentinelle abbassarono i loro moschetti su di lui e gli spararono addosso, quasi contemporaneamente.

Quando Mangas cadde all’indietro, le guardie scaricarono le pistole nel suo corpo. Un soldato prese il suo scalpo, un altro gli tagliò la testa e la bolli per poi staccare la carne e vendere il teschio a un frenologo nell’Est. Gettarono il corpo decapitato in un fossato. Nel rapporto militare ufficiale fu dichiarato che Mangas era stato ucciso mentre tentava di fuggire.

Dopo di che, secondo Daniel Conner, gli indiani si misero a fare la guerra sul serio "sembravano decisi a vendicare la sua morte con tutte le loro forze ".

Dal territorio chiricahua dell’Arizona fino ai monti Mimbres del Nuovo Messico, Cochise e i suoi trecento guerrieri iniziarono una campagna per scacciare i perfidi uomini bianchi, oppure morire nel tentativo. Victorio mise insieme un’altra banda, comprendente i Mescalero che erano scappati dal Bosque Redondo, e compirono incursioni contro gli insediamenti e lungo le piste del Rio Grande, dal Jornado del Muerto a El Paso. Per due anni, questi minuscoli eserciti di Apache tennero in agitazione il Sud-ovest. Quasi tutti erano armati soltanto di frecce e archi, e le loro frecce erano fatte di fragili canne lunghe 91 centimetri, con tre penne, e una aguzza punta triangolare di quarzo lunga 30 centimetri. Fissati alle aste per mezzo di una dentellatura invece che con corregge o legacci, questi proiettili dovevano essere maneggiati con grande cura, ma quando le punte raggiungevano il bersaglio, si conficcavano con la forza di penetrazione delle pallottole. Tenuto conto del loro armamento, gli Apache combattevano bene, ma erano in una proporzione di uno a cento, e le loro uniche prospettive erano la morte o la prigione.

Dopo la fine della Guerra Civile e la partenza del generale Carleton, il governo degli Stati Uniti avanzò proposte di pace agli Apache. Nella Luna delle Grandi Foglie (2l aprile 1865) Victorio e Nana si incontrarono a Santa Rita con i rappresentanti degli Stati Uniti. " Io e il mio popolo vogliamo la pace " disse Victorio. " Siamo stanchi della guerra. Siamo poveri e abbiamo pochi cibi e indumenti per noi e per le nostre famiglie. Vogliamo fare una pace, una pace duratura, una pace che venga mantenuta.., Io mi sono lavato le mani e la bocca con acqua fresca, e pura, e ciò che dico è vero. "

"Potete fidarvi di noi " aggiunse Nana.

La risposta dell’agente fu breve: " Non sono venuto a chiedervi di fare la pace, ma a dirvi che potete avere la pace andando nella riserva di Bosque Redondo ".

Avevano sentito parlare molto, e sempre male. di Bosque Redondo. " Non ho tasche per mettere dentro ciò che hai detto, " commentò seccamente Nana "ma le parole sono entrate nel mio cuore. Non le dimenticherò. "

Victorio chiese due giorni di tempo prima di partire per la riserva; voleva raccogliere tutta la sua gente e tutti i cavalli. Promise di incontrare di nuovo l’agente il 23 aprile, a Pinos Altos.

L’agente attese quattro giorni a Pinos Altos, ma non si fece vedere un solo Apache. Piuttosto che andare nell’odiato Bosque preferivano affrontare la fame, gli stenti e la morte.

Alcuni si spostarono a sud, nel Messico, altri raggiunsero Cochise sui monti Dragoon. Dopo la sua esperienza a Passo Apache e dopo l’assassinio di Mangas, Cochise non aveva mai risposto alle offerte di pace. Nei successivi cinque anni, i guerrieri apache generalmente si tenevano lontani dai forti e dagli insediamenti americani. Ogni qualvolta però un allevatore di bestiame o un minatore si mostrava disattento, una banda di predoni piombava sulla preda per catturare i cavalli o il bestiame, e così proseguivano la loro guerriglia. Verso il 1870 le incursioni divennero sempre più frequenti, e poiché Cochise era il capo più noto fra gli uomini bianchi, veniva solitamente ritenuto responsabile delle azioni ostili ovunque si verificassero.

Questo fu il motivo per cui nella primavera del 1871 il commissario agli Affari Indiani invitò così calorosamente Cochise a visitare Washington. Cochise tuttavia non credeva che fosse cambiato qualcosa; non riusciva ancora a fidarsi di nessun rappresentante del governo degli Stati Uniti. Poche settimane dopo, venuto a conoscenza di ciò che era accaduto a Eskiminzin e agli Aravaipa a Camp Grant, Cochise era convinto più che mai che nessun Apache avrebbe mai più dovuto affidare la sua vita nelle mani dei perfidi americani.

Eskiminzin e la sua piccola banda composta da 150 elementi viveva lungo il torrente Aravaipa dal quale prendevano il nome. Questo si trovava a nord della roccaforte di Cochise, fra il fiume San Pedro e i monti Galiuro. Eskiminzin era un Apache tarchiato, con le gambe leggermente arcuate e con una simpatica faccia da bulldog. Poteva essere accomodante in certe occasioni, e crudele in altre. Un giorno di febbraio nel 1871, Eskiminzin andò a Camp Grant, un piccolo posto militare alla confluenza del torrente Aravaipa e del San Pedro. Aveva sentito dire che il capitan, tenente Royal E. Whitman, aveva un atteggiamento amichevole, e chiese di vederlo.

Eskiminzin disse a Whitman che i componenti della sua banda non avevano più una casa e non potevano nemmeno costruirla perché le Giacche Blu continuavano a inseguirli e sparavano loro addosso senza nessun motivo se non quello che erano Apache. Egli voleva fare la pace, così avrebbero potuto stabilirsi da qualche parte e piantare il mais lungo l’Aravaipa.

Whitman chiese a Eskiminzin perché non andava sui monti White dove il governo aveva creato una riserva. "Quello non è il nostro paese " rispose il capo. "Né quella è la nostra gente. Noi siamo in pace con loro [i Coyotero], ma non ci siamo mai confusi con loro. I nostri padri e i loro padri prima di loro hanno vissuto su queste montagne e hanno coltivato il mais in questa valle. Noi sappiamo fare il mescal, il nostro alimento principale, e sia d’estate che d’inverno noi abbiamo qui un cibo che non ci viene mai a mancare. Sui monti White non ce ne, e senza di esso ora ci stiamo ammalando. Alcuni dei nostri sono stati per breve tempo sui monti White, ma non sono soddisfatti e dicono tutti: "Torniamo sull’Aravaipa e facciamo la pace una volta per tutte e non violiamola più". "

Il tenente Whitman disse a Eskiminzin che non aveva alcuna autorità per fare la pace con la sua banda, ma che se essi avessero consegnato le loro armi da fuoco, egli avrebbe permesso loro di rimanere vicino al forte come prigionieri di guerra provvisori fino a quando non avesse ricevuto istruzioni dai suoi superiori. Eskiminzin si dichiarò d’accordo, e gli Aravaipa vennero a piccoli gruppi a deporre i loro fucili, e alcuni consegnarono perfino archi e frecce. Impiantarono un villaggio a monte del torrente, a poche miglia dal forte, seminarono il mais e cominciarono a cuocere il mescal. Impressionato dalla loro operosità, Whitman li impiegò per tagliare l’erba per i cavalli militari del presidio, permettendo loro così di guadagnare del denaro per comperarsi le provviste. Anche alcuni ranchers dei dintorni impiegarono alcuni di loro come braccianti. L’esperimento funzionò così bene che a metà marzo più di un centinaio di altri Apache, compresi alcuni Pinal, si erano uniti alla gente di Eskiminzin, e altri giungevano quasi giornalmente.

Whitman nel frattempo aveva scritto ai suoi superiori tracciando un quadro della situazione, e chiedendo istruzioni, ma verso la fine di aprile il suo rapporto gli fu restituito perché venisse riscritto sugli appositi moduli governativi. Sentendosi a disagio perché sapeva che la responsabilità delle azioni degli Apache di Eskiminzin gravava su di lui, il tenente teneva sotto stretto controllo i loro movimenti.

Il 10 aprile gli Apache assalirono San Xavier, a sud di Tucson, rubando bestiame e cavalli. Il 13 aprile quattro americani furono uccisi durante una scorreria vicino a San a est di Tucson.

Tucson nel 1871 era un’oasi di tremila giocatori, proprietari di saloon, commercianti, trasportatori, minatori e di pochi fornitori che si erano arricchiti durante la Guerra Civile e speravano di continuare ad accumulare profitti con una guerra indiana. Tutta questa feccia aveva organizzato un Comitato di Salute Pubblica per proteggere la cittadinanza dagli Apache, ma poiché nessun Apache si avvicinava alla città, il Comitato spesso montava a cavallo e andava all’inseguimento di predoni nelle comunità vicine. Dopo le due scorrerie di aprile, alcuni membri del Comitato annunciarono che i predoni venivano dal villaggio aravaipa vicino a Camp Grant. Sebbene Camp Grant fosse distante 88 chilometri e fosse improbabile che gli Aravaipa avessero fatto un viaggio così lungo per compiere una scorreria, la dichiarazione fu prontamente accettata dalla maggior parte dei cittadini di Tucson. In generale, erano contrari alle agenzie dove gli Apache lavoravano per vivere ed erano pacifici; simili condizioni portavano a riduzioni delle forze militari e a una diminuzione dei profitti di guerra.

Nelle ultime settimane di aprile, un veterano delle guerre contro gli indiani di nome William S. Oury cominciò a organizzare una spedizione per attaccare gli Aravaipa disarmati vicino a Camp Grant. Sei americani e quarantadue messicani si dichiararono disposti a partecipare, ma Oury decise che non erano sufficienti per garantire la vittoria. Fra gli indiani Papago, che anni prima erano stati sottomessi dai soldati spagnoli e convertiti al cristianesimo dai preti spagnoli, reclutò novantadue mercenari. Il 28 aprile questa imponente banda di 140 uomini bene armati era pronta a partire.

La prima avvisaglia che il tenente Whitman, a Camp Grant, ebbe della spedizione fu un messaggio dalla piccola guarnigione militare di Tucson che lo informava che un grosso gruppo era partito da lì il giorno 28, con il dichiarato proposito di uccidere tutti gli indiani vicino a Camp Grant. Whitman ricevette il dispaccio da un messaggero a cavallo alle 7.30 del mattino del 30 aprile.

 

" Inviai immediatamente i due interpreti, a cavallo, al campo indiano - riferì in seguito Whitman " con l’ordine di riferire ai capi come stavano esattamente le cose, e di condurre tutta la loro gente dentro il fortino...I miei messaggeri ritornarono dopo circa un’ora, con la notizia che non erano riusciti a trovare nessun indiano vivo. "

Meno di tre ore prima che Whitman ricevesse il messaggio di avvertimento, la spedizione di Tucson era spiegata lungo le alture che fiancheggiavano il torrente e sul greto sabbioso che conduceva al villaggio degli Aravaipa. Gli uomini che si trovavano in basso sul terreno pianeggiante aprirono il fuoco sui wickiups, e quando gli Apache corsero fuori, furono falciati dalle raffiche di fucileria esplose dalle alture. Nel giro di mezz’ora tutti gli Apache che vivevano nel campo erano fuggiti, erano stati catturati o erano morti. I prigionieri erano tutti bambini, ventisette dei quali furono presi dai Papago convertiti al cristianesimo, per essere venduti come schiavi nel Messico.

Quando Whitman arrivò sul posto, il villaggio stava ancora bruciando e il terreno era disseminato di morti e di donne e bambini mutilati. " Trovai numerose donne trucidate mentre dormivano accanto ai mucchi di fieno che avevano raccolto per portarli al forte quel mattino. I feriti, che non erano in grado di muoversi, avevano i crani spaccati a colpi di mazza e di pietra, mentre altri erano coperti di frecce dopo essere stati mortalmente feriti da colpi di arma da fuoco. I corpi erano tutti svestiti. "

Il chirurgo CB. Briesly, che accompagnava il tenente Whitman, riferì che due delle donne " si trovavano in una posizione tale che, a giudicare da come si presentavano i loro organi genitali e le ferite, non vi era dubbio che dovevano essere state prima violentate e poi fucilate... A un bambino di circa dieci mesi avevano sparato due fucilate e gli era stata mozzata quasi una gamba ".

Whitman era preoccupato che i sopravvissuti che erano fuggiti sulle montagne lo avrebbero accusato di non averli protetti. " Pensai che il fatto di prendermi cura dei loro morti sarebbe stato per loro una prova almeno della nostra simpatia, e la supposizione si rivelò esatta, perché mentre eravamo al lavoro molti di loro giunsero sul posto e si abbandonarono a manifestazioni di dolore troppo violente e terribili per poterle descrivere... di tutti quelli che seppellimmo (circa un centinaio) uno era un vecchio e uno era un adolescente - tutti gli altri erano donne e bambini. " 1 decessi avvenuti in seguito alle ferite, e il ritrovamento dei corpi degli indiani ritenuti dispersi portarono infine il totale dei morti a 144. Eskiminzin non tornò, e alcuni Apache credevano che fosse sceso sul sentiero di guerra per vendicare il massacro.

"Le mie donne e i miei bambini mi sono stati uccisi davanti agli occhi " disse un vecchio a Whitman " e non mi è stato possibile difenderli. La maggior parte degli indiani al mio posto avrebbe preso un coltello e si sarebbe tagliato la gola. " Ma dopo che il tenente ebbe dato la sua parola che non si sarebbe dato pace finché non avessero avuto giustizia, gli Aravaipa così duramente colpiti acconsentirono a dare una mano a ricostruire il villaggio e a ricominciare da capo.

I tenaci sforzi di Whitman riuscirono infine a portare gli assassini di Tucson davanti a un tribunale. La difesa sostenne che i cittadini di Tucson avevano seguito la pista degli Apache assassini che conduceva diritto al villaggio aravaipa. Oscar Hutton, la guida del presidio di Camp Grant, testimoniò a favore dell’accusa: " Secondo il mio ponderato giudizio, gli indiani di questo posto non hanno mai fatto scorrerie ". F.L. Austin, il commerciante del presidio, Miles L. Wood, il fornitore di carne, e William Kness che trasportava la posta fra Camp Grant e Tucson, fecero tutti analoghe dichiarazioni. Il processo durò cinque giorni; i giurati si riunirono a deliberare per diciannove minuti; dopo di che emisero una sentenza che assolveva gli assassini di Tucson.

Per quanto riguarda il tenente Whitman, la sua impopolare difesa degli Apache rovinò la sua carriera militare. Comparì tre volte di fronte alla Corte Marziale per imputazioni ridicole, e dopo diversi anni di servizio senza promozioni, rassegnò le dimissioni.

Il massacro di Camp Grant tuttavia, attirò l’attenzione di Washington sugli Apache. Il presidente Grant definì l’attacco un "puro e semplice assassinio", e ordinò all’esercito e all’Indian Bureau di prendere immediati provvedimenti per riportare la pace nel Sud-ovest.

Nel giugno 1871 giunse a Tucson il generale George Crook a prendere il comando del dipartimento dell’Arizona. Poche settimane dopo arrivò a Camp Grant Vincent Colyer, inviato speciale dell’Indian Bureau. Entrambi gli uomini erano vivamente interessati a organizzare un incontro con i principali capi apache, soprattutto con Cochise.

Colyer si incontrò prima con Eskiminzin, nella speranza di persuaderlo a riprendere il suo modo di vivere pacifico. Eskiminzin scese dalle montagne e disse che sarebbe stato lieto di parlare di pace con il commissario Colyer. " Il commissario probabilmente pensava di vedere un grande capitan " osservò con calma Eskiminzin " ma egli si trova di fronte solo a un uomo povero e che non ha molto del capitan. Se il commissario mi avesse incontrato circa tre lune fa, avrebbe visto in me un capitan. Allora avevo molti seguaci con me, ma la maggior parte di essi è stata massacrata. Ora mi è rimasta poca gente. Da quando ho lasciato questo posto, sono sempre rimasto nei dintorni. Sapevo di avere amici qui, ma avevo paura di tornare indietro. Non ho mai avuto molto da dire, ma posso dire che questo posto mi piace. Ho detto tutto quello che dovevo dire, dato che parlo a nome di pochi. Se non fosse stato per il massacro, ora vi sarebbe qui molta più gente; ma dopo quel massacro chi avrebbe potuto resistere? Quando feci la pace con il tenente Whitman, il mio cuore traboccava di gioia. La gente di Tucson e di San Xavier deve essere pazza. Tutti si sono comportati come se non avessero né testa né cuore... devono essere assetati del nostro sangue... Quelli di Tucson scrivono sui giornali e raccontano la loro storia. Gli Apache non hanno nessuno che racconti la loro storia. "

Colyer promise di narrare le gesta degli Apache al Grande Padre e al popolo bianco che non ne aveva mai sentito parlare.

 

" Penso che debba essere stato Dio a darvi un buon cuore per venire a visitarci, o devono essere stati un buon padre e una buona madre a farvi così gentile. "

" E’ stato Dio " dichiarò Colyer.

 

Ooh è stato Lui" disse Eskiminzin, ma gli uomini bianchi presenti non furono in grado di dire, nella traduzione, se egli assentiva o faceva una domanda."

Il capo successivo che Colyer aveva in programma di visitare era Delshay degli Apache Tonto. Delshay era un uomo tarchiato, con le spalle larghe, di circa trentacinque anni. Aveva un orecchino d’argento, una espressione fiera e di solito si muoveva a passo di carica, come se avesse sempre una gran fretta. Già nel 1868 Delshay aveva acconsentito a tenere in pace i Tonto e a servirsi dell’agenzia di Camp McDowelI sulla riva occidentale del Rio Verde. Delshay, tuttavia, trovò le Giacche Blu estremamente infide. Una volta un ufficiale aveva sparato con un fucile da caccia caricato a pallettoni nella schiena di Delshay senza alcun motivo plausibile ed era quasi certo che il chirurgo del presidio avesse cercato di avvelenarlo. Dopo questi fatti, Delshay stette alla larga da Camp McDowell.

Il commissario Colyer arrivò a Camp McDowell verso la fine di settembre con l’autorizzazione di servirsi dei soldati per mettersi in contatto con Delshay. Malgrado il largo impiego di bandiere bianche, segnali col fumo, e fuochi notturni da parte di pattuglie di cavalleria e di fanteria, Delshay non rispose. Voleva prima sondare attentamente le intenzioni delle Giacche Blu. Quando si decise a incontrare il capitano W.N. Netterville nella valle Sunflower (31 ottobre 1871), il commissario Colyer era già tornato a Washington a presentare il suo rapporto. A Colyer fu inviata una copia delle osservazioni di Delshay.

 

" Non voglio più correre sulle montagne disse Delshay. " Voglio fare un grande trattato.., un trattato che duri; manterrò la mia parola fino a quando le pietre si scioglieranno.

Tuttavia, non voleva riportare i Tonto a Camp McDowell. Non era un buon posto (era lì che gli avevano sparato e avevano tentato di avvelenarlo). I Tonto preferivano vivere nella valle Sunflower vicino alle montagne, così potevano raccogliere la frutta e prendere la selvaggina. " Se il grande capitan di Camp McDowell non mette un presidio dove dico io,> egli insistette " non posso farci niente, perché Dio fece l’uomo bianco e Dio fece l’Apache, e l’Apache ha lo stesso diritto dell’uomo bianco di stare in questo paese. Voglio fare un trattato che duri, cosicché entrambi si possa viaggiare nel paese senza avere guai; appena il trattato è stipulato voglio un pezzo di carta che mi permetta di viaggiare nel paese come un uomo bianco. Depositerò una roccia, e quando essa si scioglierà, il trattato dovrà cessare... Se io faccio un trattato, pretendo che il grande capitan venga a vedere me ogni qual volta che lo mando a chiamare, e io, a mia volta, andrò da lui se manda a chiamare me. Se viene stipulato un trattato e il grande capitan non manterrà le sue promesse con me, metterò la sua parola in un buco, e la coprirò di sterco. Prometto che quando verrà fatto un trattato l’uomo bianco o i soldati potranno far pascolare tutti i loro cavalli e i loro muli senza bisogno che nessuno stia lì a sorvegliarli, e se una sola bestia sarà rubata dagli Apache, io mi taglierò la gola. Io voglio fare un grande trattato, e se gli americani rompono il trattato, non voglio più passare guai; l’uomo bianco può prendere una strada e io posso prenderne un’altra... Dite al grande capitan a Camp McDowell che andrò a trovarlo entro dodici giorni. "

Il punto più vicino a Cochise in cui arrivò Colyer fu Caliada Alamosa. un’agenzia che era stata fondata dall’indian Bureau 67 chilometri a sud-ovest di Fort Craig. nel Nuovo Messico. Lì, parlò con due membri della banda di Cochise. Essi gli dissero che i Chiricahua erano stati in Messico, ma che il governo messicano aveva offerto trecento dollari per ogni scalpo di Apache, e questo aveva portato alla formazione di gruppi di cacciatori di scalpi che li avevano attaccati sulle montagne di Sonora. Essi si erano sparpagliati e stavano tornando alle loro vecchie roccaforti nell’Arizona. Cochise si trovava da qualche parte, sui monti Dragoon.

Fu mandato un corriere a cercare Cochise, ma quando l’uomo entrò nel territorio dell’Arizona, incontrò inaspettatamente il generale Crook che si rifiutò di credere che fosse autorizzato ad andare nel campo di Cochise. Crook ordinò al corriere di ritornare immediatamente nel Nuovo Messico.

Crook voleva Cochise tutto per sé, e per trovarlo vivo o morto, mandò cinque compagnie di cavalleria a perlustrare i monti Chiricahua. Lupo Grigio fu il nome che gli Apache diedero al generale Crook. Cochise evitò Lupo Grigio passando nel Nuovo Messico. Inviò un messaggero al Capo Stella a Santa Fé, generale Gordon Granger, informandolo che era disposto a incontrarlo a Caliada Alamosa per parlare di pace.

Granger arrivò in un’ambulanza tirata da sei muli con una piccola scorta, e Cochise lo stava aspettando. I preliminari furono brevi. Entrambi erano ansiosi di sistemare la questione. Per Granger questa era l’occasione di diventare famoso come colui che era riuscito a far arrendere il grande Cochise. Per Cochise era la fine del cammino; aveva quasi sessant’anni ed era molto stanco, i suoi lunghi capelli, che gli arrivavano fino alle spalle, erano diventati grigi.

Granger spiegò che la pace era possibile solo se i Chiricabua acconsentivano a stabilirsi in una riserva. "Nessun Apache sarà autorizzato a lasciare la riserva senza un permesso scritto rilasciato dall’agente" disse il generale "e il permesso non sarà mai rilasciato per qualsiasi tipo di spostamento oltre la linea del Vecchio Messico."

Cochise rispose con voce calma, accompagnando le sue parole con pochi gesti: " Il sole splendeva cocente sul mio capo, e mi ha avvolto come in un fuoco; il sangue ardeva, ma ora sono venuto in questa valle e ho bevuto queste acque e mi sono lavato in esse ed esse mi hanno raffreddato. Ora che sono freddo vengo da te con le mani aperte per vivere in pace con te. Parlo chiaro e non desidero ingannare o essere ingannato. Voglio una pace buona, salda e durevole. Quando Dio fece il mondo, diede una parte all’uomo bianco e un’altra all’Apache. Perché questo? Perché li ha fatti incontrare? Ora che devo parlare, il sole, la luna, la terra, l’aria, le acque, gli uccelli e gli animali, persino i bambini non ancora nati gioiranno alle mie parole. Il popolo bianco mi ha cercato per tanto tempo. Eccomi qui! Che cosa vogliono? Mi hanno cercato a lungo; perché valgo così tanto? Se io valgo così tanto, perché non mettono un segno dove poso i piedi e guardano dove sputo? I coyote vanno in giro di notte a rubare e a uccidere; non posso vederli: non sono Dio. Non sono più il capo di tutti gli Apache. Non sono più ricco; sono solo un uomo povero. Il mondo non è sempre stato così. Dio non ci ha fatti come voi; noi siamo nati come gli animali, nell’erba secca, non sui letti come voi. Questo è il motivo per cui facciamo come gli animali, andiamo in giro di notte a rubare e a predare. Se avessi tutte le cose che avete voi, non lo farei, perché allora non ne avrei bisogno. Vi sono indiani che vanno in giro a uccidere e a rubare. Non sono comandati da me. Se lo facessi, non l’eseguirebbero. I miei guerrieri sono stati uccisi a Sonora. Io sono venuto qui perché Dio mi ha detto di fare così. Egli disse che era bene essere in pace - così venni! Stavo girando per il mondo con le nuvole e il vento, quando Dio parlò ai miei pensieri e mi disse di venire qui e di essere in pace con tutti. Egli disse che il mondo era grande abbastanza per tutti.

"Quando ero giovane attraversai tutto questo territorio, da est a ovest, e non vidi nessun altro popolo oltre a quello degli Apache. Dopo molte estati lo attraversai di nuovo e trovai un’altra razza che era giunta per impadronirsene. Come mai? Come mai gli Apache aspettano di morire e vivono sul filo del rasoio?

Essi si aggirano sulle colline e sulle pianure, e desiderano che il cielo cada su di loro. Gli Apache erano un tempo una grande nazione; ora sono pochi, ed è per questo che vogliono morire e vivono sul filo del rasoio. Molti sono stati uccisi in battaglia. Devi parlare in modo chiaro cosicché le tue parole possano arrivare ai nostri cuori come la luce del sole. Dimmi, se la Vergine Maria ha camminato per tutta la terra, perché non è mai entrata nei wickiups degli Apache? Perché non l’abbiamo mai vista o udita? Io non ho né padre né madre; io sono solo al mondo. Nessuno ha cura di Cochise; per questo non sono attaccato alla vita, e desidero che le rocce cadano su di me e mi coprano. Se avessi un padre e una madre come te, starei con loro ed essi starebbero con me. Quando giravo per il mondo, tutti chiedevano di Cochise. Ora egli è qui — tu lo vedi e lo odi —sei contento? Se sei contento, dillo. Parlate, americani e messicani, non voglio nascondervi nulla, e non voglio che voi mi nascondiate nulla. Non vi mentirò; e voi non mentitemì. "

Quando la discussione cadde sul luogo della riserva chiricahua, Granger disse che il governo voleva spostare l’agenzia da Caliada Alamosa a Fort Tularosa, sui Mogollons. (A Caliada Alamosa si erano stabiliti trecento messicani e rivendicavano la proprietà della terra.)

"Voglio vivere su queste montagne - protestò Cochise. Non voglio andare a Tularosa. E’ un posto molto lontano. Le mosche su quelle montagne mangiano gli occhi dei cavalli. Gli spiriti maligni vivono lì. Ho bevuto queste acque e mi hanno raffreddato; non voglio andare via da qui. "

Il generale Granger rispose che avrebbe fatto tutto il possibile per persuadere il governo a lasciar vivere i Chiricahua in Caliada Alamosa con i suoi fiumi dalle acque fresche e limpide. Cochise promise che avrebbe tenuto in pace il suo popolo con i suoi vicini messicani, e mantenne la promessa. Pochi mesi dopo, tuttavia, il governo ordinò lo spostamento di tutti gli Apache da Caliada Alamosa a Fort Tularosa. Appena venne a conoscenza dell’ordine, Cochise fuggì con i suoi guerrieri. Si divisero in piccoli gruppi, rifugiandosi ancora una volta sulle aride e rocciose montagne nell’Arizona sud-orientale. Questa volta, Cochise decise di stabilirsi lì. Che Crook venisse pure a cercarlo se voleva; Cochise lo avrebbe combattuto con i massi, se necessario, e poi, se Dio lo voleva, i massi avrebbero potuto cadere su Cochise e seppellirlo.

Nell’Epoca In Cui Si Raccoglie il Mais (settembre 1872) Cochise cominciò a ricevere rapporti dalle sue sentinelle che un piccolo gruppo di uomini bianchi si stava avvicinando alla sua roccaforte. Stavano viaggiando su un piccolo carro dell’esercito, uno di quelli che servivano per trasportare i feriti. Le sentinelle riferirono che Taglito, il Barba Rossa, era con loro: cioè Tom Jeffords. Cochise non vedeva Taglito da molto tempo.

Ai vecchi tempi, dopo che Cochise e Mangas erano scesi in guerra con le Giacche Blu, Tom Jeffords aveva assunto l’incarico di trasportare la posta fra Fort Bowie e Tucson. I guerrieri apache avevano teso così tante imboscate a Jeffords e ai suoi corrieri che egli aveva quasi rinunciato al contratto. E poi, un giorno, l’uomo bianco con la barba rossa venne tutto solo al campo di Cochise. Scese da cavallo, si tolse la cartuccera e la consegnò insieme alle armi a una donna chiricahua. Senza dimostrare la minima paura, Taglito si diresse verso il punto dove stava seduto Cochise, e si sedette accanto a lui. Dopo una adeguata pausa di silenzio, Taglito Jeffords disse a Cochise che voleva stipulare un trattato personale con lui che gli permettesse di guadagnarsi da vivere trasportando la posta. Cochise era sbalordito. Non aveva mai conosciuto un simile uomo bianco. Per rendere onore al coraggio di Taglito, non gli rimaneva altro da fare che promettergli di lasciargli percorrere la via della posta senza molestarlo. Jeffords e i suoi corrieri non furono mai più vittime di imboscate, e in seguito, l’uomo alto, dalla barba rossa tornò molte volte al campo di Cochise e parlarono e bevvero tiswin insieme.

Cochise sapeva che se Taglito faceva parte del gruppo che risaliva le montagne, voleva dire che lo stavano cercando. Mandò incontro agli uomini bianchi suo fratello Juan, e poi attese nascosto con la sua famiglia finché fu certo che tutto andava bene. Poi salì a cavallo e scese a valle con suo figlio Naiche. Appena smontato di sella, abbracciò Jeffords, che disse in inglese a un uomo con la barba bianca e con gli abiti coperti di polvere: " Questo è Cochise ". La manica destra della giacca dell’uomo barbuto pendeva vuota; assomigliava a un vecchio guerriero, e Cochise non fu sorpreso quando Taglito lo chiamò generale. Era Oliver Otis Howard. " Buenos dìas, senor " disse Cochise, ed essi si strinsero la mano.

A uno a uno arrivarono i guerrieri della guardia di Cochise, e formarono un semicerchio, sedendosi sulle coperte, per un consiglio con l’uomo dalla barba grigia e con un braccio solo.

 

" Il generale vuole spiegare lo scopo della sua visita? " chiese Cochise in apache. Taglito tradusse le parole.

 

" Il Grande Padre, il presidente Grant, mi ha mandato a fare la pace fra voi e il popolo bianco " disse il generale Howard.

 

" Nessuno vuole la pace più di me " gli assicurò Cochise.

 

" Allora, " disse Howard " possiamo fare la pace.

Cochise rispose che i Chiricabua non avevano attaccato nessun uomo bianco da quando erano fuggiti da Caliada Alamosa. " I miei cavalli sono pochi e malandati " egli aggiunse. "Avrei potuto averne di più se avessi fatto delle scorrerie stilla Pista di Tucson, ma non l’ho fatto."

Howard disse che i Chiricahua avrebbero potuto vivere meglio se avessero acconsentito a spostarsi in una grande riserva sul Rio Grande.

" Ci sono stato " disse Cochise " e mi piace quel paese. Piuttosto che non avere la pace vi andrò e vi condurrò tutta la gente che potrò, ma quello spostamento disgregherà la mia tribù. Perché non mi date Passo Apache? Datemi quello, e io proteggerò tutte le strade. Farò in modo che gli indiani non tocchino la proprietà di nessuno. "

Howard restò sorpreso. " Forse potremmo farlo " egli disse e continuò a descrivere i vantaggi della vita sul Rio Grande.

Cochise non mostrava più alcun interesse per il Rio Grande. " Perché chiudermi in una riserva? " egli chiese. " Faremo la pace. La osserveremo fedelmente. Ma lasciateci andare in giro liberi come fanno gli americani. Lasciateci andare dove ci pare. "

Howard cercò di spiegare che il territorio chiricahua non apparteneva agli indiani, che tutti gli americani erano interessati a esso. " Per mantenere la pace, " egli disse " dobbiamo fissare limiti e confini. "

Cochise non riusciva a capire perché i confini non potessero essere stabiliti intorno ai monti Dragoon invece che sul Rio Grande. " Generale, quanto tempo vi fermate qui? " chiese. " Volete aspettare che vengano i miei capitanes e avere un colloquio? "

" Sono venuto da Washington per incontrare la tua gente e per fare la pace " rispose Howard " e starò qua il tempo necessario. "

Il generale Oliver Otis Howard, un uomo scrupoloso, nativo della Nuova Inghilterra, uscito dall’accademia di West Point, eroe di Gettysburg, un braccio perduto nella battaglia di Fair Oaks, Virginia, restò nel campo apache per undici giorni e fu completamente conquistato dalla cortesia e dalla spontanea semplicità di Cochise. Rimase affascinato dalle donne e dai bambini chiricahua.

 

" Fui costretto ad abbandonare il progetto Alamosa " scrisse in seguito " e a dar loro, come aveva suggerito Cochise, una riserva comprendente una parte dei monti Chiricahua e della valle attigua a occidente, che includeva la Big Sulphur Spring e il ranch di Rodgers. "

Vi era un’ultima cosa da sistemare. Per legge doveva essere nominato agente di una nuova riserva un uomo bianco. Per Cochise questo non era un problema; vi era un solo uomo bianco di cui si fidavano tutti i Chiricahua — Taglito, Barba Rossa Tom Jeffords. Inizialmente Jeffords si dichiarò contrario. Non aveva alcuna esperienza in quel campo, e inoltre la paga era bassa. Cochise insistette, finché alla fine Jeffords cedette. Dopo tutto, doveva ai Chiricahua la vita e la prosperità.

Meno fortunati furono gli Apache Tonto di Delshay e gli Aravaipa di Eskjminzin.

Dopo l’offerta di Delshay al grande capitan di Camp McDowell di fare un trattato se fosse stata creata un’agenzia tonto nella valle Sunflower, il capo non ricevette alcuna risposta. Delshay considerò questo fatto come un rifiuto. <Dio fece l’uomo bianco e Dio fece l’Apache " egli aveva detto <e l’Apache ha lo stesso diritto dell’uomo bianco di stare in questo paese. " Non aveva fatto alcun trattato e non aveva ricevuto alcun pezzo di carta per poter viaggiare nel paese come un uomo bianco; di conseguenza, egli e i suoi guerrieri viaggiarono nel paese come Apache. Agli uomini bianchi questo non piaceva, e alla fine del 1872, Lupo Grigio mandò dei soldati a dar la caccia a Delshay e alla sua banda di guerrieri attraverso il bacino del Tonto. Solo all’Epoca delle Grandi Foglie (aprile 1873) i soldati arrivarono in numero sufficiente per intrappolare Delshay e i Tonto. Furono accerchiati, con le pallottole che volavano fra le donne e i bambini, e non vi era altro da fare che alzare una bandiera bianca.

Il capo dei soldati con la barba nera, il maggiore George M. Randall, condusse i Tonto a Fort Apache nella riserva dei monti White. In quel periodo, Lupo Grigio preferì usare come agenti delle riserve i suoi capi soldati invece che i civili. Essi fecero portare agli Apache medagliette di metallo, come si fa con i cani, e su ciascuna di queste medagliette era inciso un numero, così era impossibile per chiunque scappare, anche per pochi giorni, nel bacino del Tonto. Delshay e gli altri cominciarono a provare una crescente nostalgia dei loro monti, coperti di boschi e dalle cime imbiancate di neve. Nella riserva non vi era mai nulla a sufficienza — cibo o strumenti di lavoro — e non andavano molto d’accordo con i Coyotero, che li consideravano come intrusi nella loro riserva. Ma era la mancanza di libertà di spostarsi nel territorio che rendeva infelici i Tonto.

Infine, all’Epoca della Maturazione (luglio 1873), Delshay arrivò alla conclusione che non poteva sopportare più a lungo il confino sui monti White, e una notte fuggì con la sua gente. Per evitare che le Giacche Blu dessero loro di nuovo la caccia, decise di andare nella riserva sul Rio Verde. L’agente di quel posto era un civile, ed egli promise a Delshay che i Tonto potevano vivere a Rio Verde se non gli procuravano grattacapi. Se fossero di nuovo scappati, sarebbero stati inseguiti e uccisi. E così Delshay e la sua gente andarono a lavorare alla costruzione di una rancheria sul fiume vicino a Camp Verde.

Quell’estate ci furono dei disordini all’agenzia San Carlos in cui trovò la morte un piccolo capo soldato (tenente Jacob Almy). I capi apache fuggirono, alcuni di essi verso il Rio Verde, e si accamparono vicino alla rancheria di Delshay. Quando Lupo Grigio lo seppe, accusò Delshay di aiutare i fuggitivi, e inviò un ordine a Camp Verde di arrestare il capo tonto. Avvertito della cosa, Delshay comprese che avrebbe dovuto fuggire ancora una volta. Egli non voleva perdere quel poco di libertà che gli era rimasto, non voleva essere incatenato e gettato nell’antro profondo 5 metri che i soldati avevano scavato nella parete del Canyon per i prigionieri indiani. Con pochi fedeli compagni scappò nel bacino del Tonto.

Sapeva che sarebbe presto incominciata la caccia. Lupo Grigio non si sarebbe dato pace finché non avesse catturato Delshay. Per mesi Delshay e i suoi uomini sfuggirono ai loro inseguitori. Alla fine il generale Crook decise che non poteva tenere in eterno le truppe in perlustrazione nel bacino del Tonto; solo un altro Apache avrebbe potuto trovare Delshay.

E così, il generale annunciò che avrebbe pagato un premio per la testa di Delshay. Nel luglio 1874 due mercenari apache si recarono separatamente al quartier generale di Crook. Tutti e due portarono una testa mozzata, dicendo che era quella di Delshay. "Poiché ero certo che entrambi erano convinti di quel che dicevano " disse Crook " e poiché una testa in più, non era un male, li pagai entrambi. Le teste, insieme a quelle di altri Apache assassinati. furono esposte nei campi di manovra a Rio Verde e a San Carlos.

Anche Eskiminzin e gli Aravaipa incontrarono difficoltà a vivere in pace. Dopo la visita del commissario Colyer nel 1871, Eskiminzin e la sua gente iniziarono la loro nuova esistenza a Camp Grant. Ricostruirono il loro villaggio dì wìckiups e seminarono i campi di grano. Proprio quando tutto sembrava andare bene, il governo decise di spostare Camp Grant 96 chilometri a sud-est. Servendosi di questo spostamento come pretesto per far sgomberare gli indiani che si trovavano nella valle San Pedro, l’esercito trasferì gli Aravaipa a San Carlos, una nuova agenzia sul fiume Gila.

Lo spostamento avvenne nel febbraio 1873, e gli Aravaipa stavano cominciando a costruire una nuova rancheria e a seminare nuovi campi a San Carlos quando scoppiarono i disordini nei quali restò ucciso il tenente Almy. Né Eskiminzin né nessun altro Aravaipa avevano nulla a che fare con l’uccisione, ma poiché Eskiminzin era un capo, Lupo Grigio ordinò che fosse arrestato e confinato come " precauzione militare ".

Rimase prigioniero fino alla notte del 4 gennaio 1874, quando scappò dalla riserva alla testa della sua gente. Per quattro lunghi, freddi mesi, vagarono su montagne sconosciute, in cerca di cibo e di riparo. In aprile, quasi tutti gli Aravaipa erano ammalati e affamati. Per evitare che morissero, Eskiminzin ritornò a San Carlos e andò dall’agente.

 

" Non abbiamo fatto nulla di male" egli disse. " Ma abbiamo paura. Per questo motivo siamo scappati. Ora torniamo. Se restiamo sulle montagne, moriremo di fame e di freddo. Se i soldati americani ci uccidono qui, sarà proprio lo stesso. Noi non vogliamo scappare più. " Appena l’agente riferì che gli Aravaipa erano ritornati, giunse un ordine dall’esercito di arrestare Eskiminzin e i suoi sottocapi, di incatenarli perché non potessero scappare, e di condurli come prigionieri di guerra nel luogo dove era stato spostato Camp Grant.

 

" Che cosa ho fatto? " chiese Eskiminzin al capo soldato che venne ad arrestarlo.

Il capo soldato non lo sapeva. L’arresto era una " precauzione militare ". Nel nuovo Camp Grant, Eskiminzin e i suoi sottocapi furono tenuti incatenati uno all’altro mentre fabbricavano mattoni per i nuovi edifici del presidio. Di notte dormivano per terra, sempre incatenati, e mangiavano il cibo avanzato dai soldati.

Un giorno di quell’estate un giovane uomo bianco venne a trovare Eskiminzin, e gli disse che era il nuovo agente a San Carlos. Era John Clum. Egli disse che gli Aravaipa a San Carlos avevano bisogno della guida del loro capo. "Perché sei prigioniero’? " chiese Clum.

 

" Io non ho fatto niente " rispose Eskiminzin. " Gli uomini bianchi dicono bugie sul mio conto. lo ho sempre cercato di comportarmi bene. "

Clum disse che avrebbe cercato di ottenere il suo rilascio se Eskiminzin gli avesse promesso di aiutarlo a migliorare le condizioni a San Carlos.

Due mesi dopo Eskiminzin tornava fra la sua gente. Ancora una volta il futuro si presentava roseo, ma il capo aravaipa era abbastanza saggio da non sperare troppo. Da quando erano arrivati gli uomini bianchi, egli non era più sicuro nemmeno di avere un posto dove poter stendere la sua coperta; il futuro di tutti gli Apache era molto incerto.

Nella primavera del 1874 Cochise si ammalò gravemente di una forma di astenia. Tom Jeffords, l’agente chiricahua, portò il medico dell’esercito da Fort Bowie per visitare il suo vecchio amico, ma il medico non riuscì a stabilire esattamente quale fosse il disturbo. Le sue prescrizioni non produssero alcun miglioramento, e il corpo muscoloso del grande capo apache cominciò a deperire.

In quel periodo il governo decise che si poteva risparmiare del denaro unendo l’agenzia chiricahua alla nuova agenzia di Hot Springs nel Nuovo Messico. Quando i funzionari vennero a discutere la faccenda con Cochise, egli disse che la questione del trasferimento gli era indifferente, che egli sarebbe morto prima che avvenisse. Tuttavia, i suoi sottocapi e i suoi figli si opposero energicamente, dichiarando che se fosse stata spostata l’agenzia, essi non ci sarebbero andati. Nemmeno gli Stati Uniti avevano abbastanza truppe per spostarli, essi dissero, perché avrebbero preferito morire sulle loro montagne piuttosto che vivere a Hot Springs.

Dopo la partenza dei funzionari governativi, Cochise divenne così debole e accusò tali intensi dolori che Jeffords decise di andare a Fort Bowie a chiamare il medico. Mentre si stava preparando a partire, Cochise chiese: "Credi di trovarmi ancora vivo? "

Jeffords rispose con la franchezza di un fratello: "No, non credo ".

" Penso che morirò domani mattina verso le 10. Credi che ci rivedremo ancora? "

Jeffords restò silenzioso per un momento. " Non lo so. Tu cosa ne pensi? "

"Non lo so " rispose Cochise. " Non è chiaro nella mia mente, ma penso che ci rivedremo, da qualche parte lassù. "

Cochise morì prima del ritorno di Jeffords da Fort Bowie. Dopo pochi giorni l’agente annunciò ai Chiricahua che sentiva che era giunto il momento di lasciarli. Essi non volevano sentir parlare di ciò. Soprattutto i figli di Cochise, Taza e Naiche, insistettero perché rimanesse. Se Taglito li abbandonava, essi dicevano, il trattato e le promesse fatte fra Cochise e il governo avrebbero perso ogni valore. Jeffords promise di restare.

Nella primavera del 1875 quasi tutte le bande apache o erano confinate nelle riserve o erano fuggite nel Messico. In marzo l’esercito trasferì il generale Crook dall’Arizona al dipartimento del Platte. I Sioux e i Cheyenne che avevano sopportato la vita nelle riserve più a lungo degli Apache, stavano cominciando a ribellarsi.

Una pace forzata si estendeva sui deserti, sui picchi e sugli altipiani rocciosi del territorio apache. Ironicamente, la sua continuazione dipendeva largamente dai pazienti sforzi di due uomini bianchi che avevano ottenuto il rispetto degli Apache semplicemente accettandoli come esseri umani invece che come selvaggi assetati di sangue. Tom Jeffords l’agnostico e John Clum della Chiesa Riformata Olandese erano ottimisti, ma erano abbastanza saggi da non attendersi troppo. Il futuro di qualsiasi uomo bianco, che nel Sud-ovest difendesse i diritti degli Apache, era molto incerto.

 

Pacificati i Chiricahua, il generale Crook non ebbe difficoltà a circondare gli altri Apache ribelli e a costringerli nelle riserve. Ma quando Crook venne trasferito sulla frontiera del Nordovest a combattere i Sioux, la situazione tornò a precipitare: alcune bande di Apache lasciarono la riserva e tornarono alla loro antica vita di predoni: erano guidate da un giovane che avrebbe fatto ancora parlare di se, un certo Geronimo. Qualche mese dopo, però, i Chiricahua di Geronimo vennero accerchiati e ricondotti nella Riserva di San Carlos; Geronimo finì in prigione, dove ebbe modo di accrescere il suo odio per i bianchi.

Nel frattempo, la guida dei ribelli venne assunta da un Apache Mimbreno, chiamato Victorio dai Messicani e dagli Americani. Victorio e la sua banda lasciarono la Riserva di Ojo Caliente e, nell'aprile del 1879, per sfuggire alle truppe americane, entrarono nel Messico.

Victorio sapeva che là la sua gente non avrebbe ma sofferto la fame: i pastori messicani lo rifornivano di carne, di armi e munizioni, di coperte. Se si rifiutavano o avvertivano i soldati del passaggio degli Apache, erano certi che prima o poi ci avrebbero rimesso la pelle: Victorio non perdonava.

Rifornendosi in questo modo e conoscendo palme a palmo il territorio, Victorio eluse a lungo e spesso sconfisse le migliori truppe degli Stati Uniti e del Messico.

In settembre, Victorio attraversò nuovamente il confine, penetrò nel Texas e compì una scorreria nel Nuovo Messico; durante il percorso, si scontrò con tre distaccamenti di soldati, li sconfisse, uccise ventisei persone e rubò centinaia di cavalli, senza perdere un solo guerriero.

Tornato al sicuro nel Messico, tese un'imboscata a un gruppo di soldati messicani e li uccise tutti; poi, certo che altri soldati sarebbero venuti a cercare i compagni, nascose i suoi guerrieri attorno al luogo della strage, attese due giorni e prese in trappola anche il secondo distaccamento, annientandolo.

Cominciò allora la più grande caccia all'uomo del Sudovest: Victorio attraversava e riattraversava il confine, sfuggendo ad ogni ricerca, affrontando il nemico tutte le volte che l'occasione era favorevole e battendolo sempre. Centinaia di Messicani e di Americani caddero in questa esasperante guerriglia, mentre altri scomparvero e nessuno ne conobbe il destino. Finalmente, per un puro caso, un grosso distaccamento di truppe messicane sorprese Victorio nelle Montagne Tres Castillos: il capo dei Chiricahua morì sotto il fuoco messicano assieme a molti dei suoi guerrieri.

Con la morte di Victorio e la resa di altri capibanda, il Sudovest sembrava avviarsi ad un'epoca di pace quando ricomparve sulla scena Geronimo, il cui vero nome era Go-ya-thle, cioè "Colui-che-sbadiglia". In breve tempo, Geronimo ricondusse quasi tutti gli Apache sul sentiero di guerra, e ne divenne il condottiero più famoso e capace. Il suo odio verso i bianchi era pari a quello provato da Cavallo Pazzo, ma faceva difetto al capo dei Chiricahua la nobiltà d'animo del grande guerriero Sioux, mentre la pensosa malinconia di quest'ultimo era in Geronimo solo selvaggia ferocia. Il generale Crook lo chiamava " la tigre umana ", mentre il generale Miles lo defini " il peggiore indiano che sia mai vissuto ". Geronimo era astuto, assetato di sangue e crudele oltre l'immaginazione.

 

 

 

 

Go-ya-thle (Geronimo)

 

 

L'odio di Geronimo per i bianchi risaliva alla sua prima maturità. Era nato nel giugno 1829 presso la sorgente del fiume Gila e, sebbene scrittori e giornalisti abbiano sempre affermato che era un Chiricatua, egli stesso diceva di appartenere alla banda di Mangus Colorado, cioè ai Mimbreno.

Un giorno, Geronimo era assente con altri giovani guerrieri della banda, quando le truppe messicane del generale Carasco piombarono sul villaggio dei Mimbreno. Donne e bambini vennero massacrati senza pietà: al suo ritorno, Geronimo trovò tra i morti la madre, la moglie e i suoi tre figli.

Il tragico episodio e le reazioni che suscitò in lui sono state descritte dallo stesso Geronimo nella sua "Autobiografia" dettata quando era prigioniero a Fort Sill: " Un pomeriggio sul tardi, mentre tornavamo dalla città, vedemmo venirci incontro alcune donne e bambini, i quali ci dissero che le truppe messicane avevano assalito il nostro campo, uccidendo tutti i guerrieri di guardia, catturando i nostri cavalli, impadronendosi delle nostre armi, distruggendo le nostre riserve di viveri, e massacrando un gran numero di donne e bambini. Subito ci disperdemmo nascondendoci qua e là fino al cadere della notte, e solo allora ci trovammo nel luogo dove ci eravamo dati appuntamento, un bosco sulla riva del fiume. Vi entrammo ad uno ad uno in silenzio; furono poste le sentinelle e, fatto il conto, risultò che anche la mia vecchia madre, la mia giovane moglie, e i miei tre bambini erano stati trucidati assieme agli altri. Non c'era una luce nel nostro nuovo campo e, pertanto, senza che nessuno mi vedesse, uscii dal bosco e andai a mettermi accanto al fiume. Non saprei dire quanto vi restassi, ma quando poi vidi che i guerrieri stavano sedendosi a consiglio, presi il mio posto accanto agli altri.

Quella notte non votai né pro né contro alcuna azione da parte nostra; e del resto risultò evidente che, siccome erano rimasti in vita solo ottanta dei nostri guerrieri ed eravamo senza armi e senza viveri, non ci restava alcuna speranza di vittoria, se avessimo ingaggiato combattimento. Il nostro capo, Mangus Colorado, ci ordinò pertanto di metterci subito in cammino verso i nostri villaggi dell'Arizona, lasciando i morti sul terreno...

...Qualche tempo dopo tornammo però al nostro vecchio accampamento. C'erano gli ornamenti che mia moglie Alope aveva fatto con le sue mani, e c'erano i giocattoli dei nostri bambini. Bruciai tutti quegli oggetti, bruciai anche la nostra capanna, e bruciai la capanna di mia madre e distrussi tutte le cose di sua proprietà.

Non me la sentivo più di stare nella tranquillità del nostro villaggio. Avevo giurato di vendicarmi dei soldati messicani che mi avevano così duramente colpito nei miei affetti e ogni volta che mi capitava sotto gli occhi qualcosa che potesse ricordarmi i giorni felici, mi sentivo ardere il cuore dal desiderio di vendicarmi del Messico.

Non appena avemmo raccolto un po' di armi e di viveri, Mangus Colorado, il nostro capo, convocò il consiglio e risultò che tutti i nostri guerrieri desideravano ardentemente scendere sul sentiero di guerra contro il Messico. Io ricevetti l'incarico di cercare l'aiuto di altre bande. Fu così che partii per il campo di Cochise, capo degli Apache Chiricahua, e poi verso quello degli Apache Nedni, comandati da Whoa". Da quel giorno Geronimo non lasciò più il sentiero della guerra. Dal 1858 al 1873 non trascorse un anno in cui Geronimo non guidasse almeno due o tre spedizioni in territorio messicano. Nel corso di una di queste, conquistò una cittadina messicana e la saccheggiò, facendone uccidere tutti gli abitanti. Nella primavera del 1865 guidò i suoi guerrieri in una fortunata razzia sino al lontano Golfo di California. Nel 1876 venne finalmente arrestato dall'agente indiano John Clum e imprigionato a Fort Apache.

Poi John Clum si dimise, e il capo dei Chiricahua venne rilasciato; dopo qualche fuga sulle montagne e qualche cauto e breve ritorno nella Riserva di San Carlos, finalmente, il 30 settembre 1881, Geronimo riattraversò il confine messicano, non senza aver prima ucciso l'agente indiano Albert Sterling ed essersi vittoriosamente scontrato con il Sesto Reggimento di Cavalleria americana.

Geronimo era un miscuglio dei talenti e delle doti più necessarie ad un capo guerrigliero. La sua astuzia animalesca superava sempre la fredda intelligenza e la competenza militare degli ufficiali inviati a combatterlo; il suo coraggio era spesso vera temerarietà, anche se a volte la sua tattica elusiva di guerra poteva dar l'impressione di esser dettata dalla viltà.

Un giornalista che lo conobbe personalmente, Charles F. Lummis, ci ha lasciato questa descrizione del suo aspetto fisico:

" Era un uomo di struttura massiccia, di un'ottantina di chili di peso e di un'altezza di circa un metro e sessantotto. Il volto era bruno, e chi l'aveva visto una volta non poteva dimenticarlo mai più. Tratti più crudeli non vennero infatti mai impressi ad un uomo. Il naso era largo e grosso, la fronte bassa e rugosa, il mento forte; gli occhi sembravano due frammenti di ossidiana nera illuminati da una luce violenta. La bocca era veramente singolare: larga, con labbra sottilissime e senza una curva che ne ammorbidisse il taglio ".

Con Geronimo, nell'imprendibile fortezza delle montagne del Sudovest, c'erano a quell'epoca un gran numero di bande Apache, e tutte guidate da splendidi ed indomabili guerrieri: il Vecchio Nana, Juh, Chato, Nachite e Loco.

 

Fu Chato a vibrare il primo colpo: il 24 marzo, con ventisei uomini, lasciò il Messico ed entrò nell'Arizona, interessato soprattutto a rifornirsi di munizioni. Ma appena due giorni dopo, nel Canyon di Thompson, gli Apache si imbatterono in un calessino sul quale viaggiavano il giudice McComas, sua moglie e il loro bambino. Il giudice era persona conosciuta in tutti gli Stati Uniti, e la signora era la sorella del noto poeta Eugen F. Ware.

 

CHATOà

 

I cadaveri del giudice e della moglie vennero ritrovati da un conducente di diligenza qualche giorno dopo; il bambino era scomparso e corse voce in seguito che fosse stato adottato dagli Apache.

Distaccamenti di soldati e squadre di civili batterono senza posa le montagne per giorni e giorni cercando gli assassini, ma Chato e i suoi erano già al sicuro oltre il confine messicano.

La seconda mossa toccò però al generale Crook: avvantaggiandosi degli articoli di un trattato firmato recentemente con il Messico che autorizzava i soldati americani ad entrare nel Messico per inseguire gli Apache, il generale raggiunse rapidamente la Sierra Madre e circondò la zona dove presumibilmente si nascondevano gli Indiani.

Il 15 maggio il capitano Emmett Crawford, con una compagnia di esploratori indiani, localizzò una villaggio nascosto nelle montagne e l'assalì di sorpresa, uccidendo molti guerrieri e catturando le donne e i bambini. Poco dopo, la maggior parte degli Apache, comprese le bande di Geronimo, di Nana, di Chato e di Loco si arresero e rientrarono nelle riserve. Ma la tregua non durò molto: un giorno, quando il direttore della Riserva di Fort Apache proibi agli Apache di bere il tiswin - una specie di birra locale - trentadue guerrieri e cento donne e bambini fuggirono nuovamente nelle montagne. Erano guidati dall'indomabile Geronimo, ma con lui andarono anche Nana, Nachite - figlio del grande Cochise -, Mangus - figlio di Mangus Colorado - e Ulzana.

Fu quest'ultimo capo a tenere occupato l'esercito fino al 1886, quando finalmente venne ucciso dagli esploratori di Crawford. Toccava adesso a Geronimo: Crawford insegui la sua banda per mesi e mesi risalendo i canyon, scalando le montagne, attraversando i deserti. Ma Geronimo era ormai stanco, e il 10 gennaio 1886 inviò una delle sue donne al campo di Crawford facendo offerte di pace.

Crawford accettò di incontrarsi con lui e all'alba del mattino seguente si mise in marcia. Ma non raggiunse mai il luogo fissato per l'appuntamento: infatti i suoi esploratori indiani si imbatterono per via in un distaccamento di soldati messicani, e vennero scambiati per Apache ostili. Partirono alcuni colpi di fucile e Crawford fu colpito a morte.

Portando a spalla il loro valoroso capitano, gli esploratori Apache riattraversarono il confine americano. Tuttavia, qualche giorno più tardi, la banda di Nana si consegnò alle truppe del tenente Marion Maus, che riuscì a parlare anche con Geronimo fissandogli un incontro con lo stesso generale Crook.

Fedele alla parola data, Geronimo si presentò al generale nel Canyon dos Embudos, gli strinse la mano e gli disse: " È inutile chiacchierare, mi arrendo a voi e questo è tutto ".

I soldati di Crook accompagnarono Geronimo fino alla Riserva di San Carlos. Qui un trafficante di alcool, un certo Tribolet, rovinò in poche ore ciò che era costato tanta fatica e tanto sangue: entrato nella Riserva di nascosto ai soldati, vendette una certa quantità di whisky agli Apache e poi scivolò via con il favore della notte. Geronimo, ubriaco, si pentì subito della promessa fatta a Crook e prima dell'alba fuggì nuovamente dalla riserva con Nachite, venti guerrieri, tredici donne e sei bambini.

L'attacco alla diligenza di Fort Davis fu il primo segno di vita di Geronimo dopo la fuga dalla Riserva. Le conseguenze furono immediate: il generale Crook, accusato di incapacità, venne sostituito e messo a riposo; il suo posto fu preso dal generale Nelson Miles, che aveva combattuto con successo i Comanche, i Sioux, i Nez-Percés e altre tribù della prateria.

Miles si accinse al difficile compito di domare anche Geronimo: divise le sue truppe in venticinque distaccamenti, il generale si mise a rastrellare l'intera zona montagnosa dove si celavano gli Apache. ogni passo montano, ogni sorgente, ogni fattoria ricevettero l'onore di una piccola guarnigione di soldati; alcune colonne mobili penetrarono invece nel Messico per tagliare ogni possibile via di fuga a Geronimo.

Ma non per questo gli Apache rinunziarono alla loro vita di predoni: eludendo l'esercito, Geronimo rientrò per una rapida scorreria nell'Arizona. Il 27 aprile 1886 gli Apache assalirono la fattoria Peck nella valle di Santa Cruz, uccisero diversi cow-boy e torturarono la moglie del proprietario sotto gli occhi del marito. Il signor Peck impazzi e gli Apache lo liberarono, portandosi dietro invece la sua figlioletta tredicenne.

All'inseguimento della banda si mosse il capitano H. W. Lawton, che riuscì a liberare la bambina, ma non poté fermare la fuga degli Apache fino al Messico. Non era del resto difficile seguire la pista del vecchio capo: soldati, cow-boy, pastori, allevatori, boscaioli torturati ed uccisi, la segnavano quasi ad ogni miglio.

Geronimo venne finalmente raggiunto nelle montagne Pinito e poi nuovamente sul fiume San Pedro, ma in entrambe le occasioni i suoi Apache, sparando nascosti fra le rocce, costrinsero Lawton a ritirarsi con gravi perdite.

La caccia continuò per tre mesi: Geronimo fuggiva da un canyon all'altro, da una valle all'altra, lasciando ovunque le sanguinose tracce del suo passaggio, e Lawton lo inseguiva senza dargli tregua, come un segugio infaticabile. In questi tre mesi, secondo una stima ufficiale del Governo messicano la banda di Geronimo uccise seicento persone, tra soldati e civili.

Quando l'estate del 1886 volgeva ormai al termine, il generale Miles ebbe finalmente delle buone notizie: due donne Apache si erano recate nella cittadina messicana di Fronteras e avevano incaricato un certo José Maria di avvertire il generale che Geronimo intendeva arrendersi.

Il generale scelse un piccolo gruppo di persone che avrebbero dovuto recarsi nel luogo fissato da Geronimo per un primo colloquio di pace. Queste persone erano: un Apache Chiricahua chiamato Kaeta, un sottocapo, pure dei Chiricahua, di nome Martino, il tenente Charles B. Gatewood - molto stimato dagli Indiani per la lealtà e la comprensione che aveva sempre mostrato verso di loro -, un certo Tom Horn, capo degli esploratori di Crawford, e l'interprete José Maria di Fronteras.

Era una missione molto pericolosa, ma Gatewood non perse tempo e si addentrò nel territorio degli Apache. Voleva verificare il racconto delle due donne e, eventualmente, vedere Geronimo al più presto e ricondurlo nella Riserva.

Gatewood e Geronimo si incontrarono il 23 agosto nella valle del fiume Bavispe. Il tenente strinse la mano al capo e gli disse senza esitare: " Siete ormai circondati e non avete alcuna speranza. Arrendetevi e sarete mandati con le vostre famiglie in Florida, per attendere la decisione finale del presidente. Accettate queste condizioni o preparatevi a combattere ".

Gli Apache lo ascoltarono in silenzio. Finalmente Geronimo si passò una mano sugli occhi e fu scosso da un tremito d'ira; Gatewood si preparò ad aprirsi la strada a colpi di pistola attraverso lo schieramento dei guerrieri della banda.

Ma il vecchio capo sapeva di aver ormai perduto. Con voce commossa disse lentamente: "Dite a Miles che siamo pronti ad arrenderci".

Il mattino dopo gli Apache, accompagnati da Gatewood e dagli interpreti, partirono in direzione del confine americano.

La fine venne il 3 settembre, nel Canyon dello Scheletro: là si incontrarono e si strinsero la mano l'ultimo capo indiano arresosi ai bianchi e il rappresentante di una grande nazione di sessanta milioni di abitanti, che finalmente era riuscita a domarlo. Quando seppe che Geronimo si era arreso, il generale Crook commentò: "Questa è la fine del Vecchio West! ", e un ufficiale che si trovava con lui disse: "Peccato! Era bello! "

Geronimo e i suoi sottocapi vennero immediatamente trasferiti nella Florida; in seguito però furono portati prima nell'Alabama e poi a Fort Sill, nelI'Oklahoma, dove Geronimo morì nel 1909, avendo fatto in tempo a farsi fotografare su una delle prime automobili e a vedere i miracoli dell'era delle macchine trasformare il volto del Vecchio West.

 

 

Chato morì invece all'età di novant'anni nella Riserva Mescalero non molto tempo fa: il 16 agosto 1934. Ma, come per tener fede alla loro fama di indomabili, alcuni Apache, usciti dalle Montagne della Sierra Madre, assalirono un gruppo di messicani appena una sessantina di anni or sono, nel 1933, e li uccisero tutti. Il loro capo si chiamava Geronimo, ed era nipote della "tigre umana". Dopo l'assalto, la banda scomparve nuovamente nelle montagne, e da allora nessuno ne ha mai saputo più nulla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

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