LEGGENDE DEGLI INDIANI D'AMERICA

COME SOLE ANDO' IN CIELO

IL BENEVOLO INTERVENTO DI NUNKUI

IL RAPIMENTO DI AURORA

IL SERPENTE

LE SETTE STELLE DELL'ORSA

ATKWABEO

LA LUNA

LA FURBIZIA DELLA TARTARUGA

LA VENDETTA DEL GRANDE SERPENTE

VOLPE E ARMADILLO

CAPO NASO ROMANO PERDE L'AMULETO

 

 

COME SOLE ANDO' IN CIELO

 

Prima che nascesse Sole, tutto era buio. Perchè nascesse Sole, la Madre cominciò a crearlo. Fece prima la lucciola, ma vide che non illuminava molto. Allora si decise a fare Sole.

Egli viveva con Luna, ma aveva anche un'altra moglie.

Era un omuncolo brutto e deforme, ma un giorno gli chiesero: "Vorresti essere il padre del mondo?". Egli disse di sì e così lo vestirono d'oro: tutto era d'oro, il vestito, la borsa, il berretto. Poi Kakaraviku e Sekukue soffiarono e lo sollevarono in alto, in cielo. E appena salì, il buio si ritirò.

la moglie di Sole non era bella. Le chiesero se voleva essere la madre del mondo ed ella disse di sì. Anche lei fu vestita d'oro e sollevata in cielo, dove raggiunse Sole.

L'altra moglie di Sole, quando vide che Luna seguiva suo marito, corse, ma non riuscì a raggiungerla. Prese allora una manciata di cenere e gliela tirò, macchiandola.

E' per questo che Luna non illumina come Sole e non ha la stessa luce.

Sole mangia spirito di banana e di malanga, e tutti gli si offre in forma di spirito di pietra: si ammucchiano le pietre, vi si infonde lo spirito, ed esse diventano cibo. A Sole piace soprattutto la focaccia e l'amido di manioca. In cielo, nella Casa delle Cerimonie, c'è una pietra apposita che serve per dar da mangiare a Sole.

 

 

IL BENEVOLO INTERVENTO DI NUNKUI

 

Sulla terra non c'erano nè piante nè alimenti, e gli uomini morivano di fame, rischiando di scomparire per sempre.

Nunkui ebbe pietà e inviò loro una bambina prodigiosa: quanto ella nominava, come per incanto appariva sulla terra.

Così, con la sua parola creatrice fece le piante dell'orto e gli animali utili agli uomini per il loro sostentamento.

Ma la donna Shuar non sapeva coltivare l'orto, nè sapeva in che cosa cuocere gli alimenti. Allora Nunkui insegnò come seminare le piante e soffiò sopra le mani della donna, dandole il potere di riprodurre tutti i modelli di pentole e di masserizie di argilla che le mostrò.

Successe però che i bambini, poiché Nunkui non volle assecondare i loro capricci, le tirarono cenere negli occhi. E così Nunkui li maledì togliendo la fertilità a certe piante, che degenerarono subito in erbe cattive.

Allo stesso modo tolse la fecondità alle donne che non vollero insegnare alle altre ciò che aveva loro insegnato.

Nunkui è la protettrice della fecondità delle piante, degli animali e delle donne.

Per questo si celebra sempre "Nua Tsaanku", il rito di iniziazione dei giovani all'epoca della pubertà. Allora si cantano i canti rituali perchè le donne abbiano molti figli, perchè si moltiplichino gli animali e crescano rigogliose tutte le piante dell'orto.

 

 

IL RAPIMENTO DI AURORA

 

Molto tempo fa in questo paese era buio fitto. La gente tenne un'assemblea e decise che occorreva un veloce corridore. Scelsero Ghiandaia Azzurra.

Questi s'avviò verso levante e finalmente giunse a una capanna di terra in un villaggio che aveva molti abitanti. Nella capanna c'era un fanciullino: tutti gli altri se n'erano andati a una gran festa non molto lontano. Ghiandaia Azzurra entrò nella capanna e chiese al bambino: "Dove sono andati?". Il ragazzo rispose: "Sono andati via".

Nella capanna c'erano dei cesti di provviste contro la parete.

Ghiandaia Azzurra indicò la prima cesta e chiese: "Che c'è in quella cesta?". Il fanciullino rispose: "Prima sera". Poi Ghiandaia Azzurra indicò la cesta accanto dicendo: "Che c'è in quella cesta?". E il ragazzo rispose: "Appena buio".

Ghiandaia Azzurra continuò per un pezzo a fare domande e alla fine, indicando un'altra cesta, chiese: "Che c'è in quella cesta?". Il fanciullo rispose: "Aurora". Allora Ghiandaia Azzurra afferrò lesto la cesta e via di corsa!

Il bambino cominciò a gridare: "Ci hanno rubato l'Aurora!". Ma la gente badava a danzare e non vi fece attenzione.

Finalmente qualcuno disse: "Il ragazzo grida che hanno rubato l'Aurora".

Tutti accorsero allora alla capanna e si misero presto ad inseguire Ghiandaia Azzurra verso ponente.

Egli andava verso ponente, sempre verso ponente.

Vicino alla Grande Valle lo raggiunsero.

Stavano per prenderlo; eran proprio sul punto di acchiapparlo, quando egli aprì la cesta e la luce volò fuori.

 

 

IL SERPENTE

 

Molto tempo fa viveva un famoso cacciatore. Un giorno, mentre stava tornando a casa portando degli uccelli che aveva cacciato, vide un piccolo serpente dai colori splendenti e vivaci, che aveva un aspetto amichevole. Il cacciatore si fermò e lo osservò per qualche momento.

Pensò che poteva essere affamato e così gli gettò uno dei suoi uccelli.

Poche settimane dopo, passando per lo stesso luovo con alcuni conigli, vide nuovamente il serpente. Era sempre meraviglioso e aveva un atteggiamento amichevole, ma era cresciuto appena di poco. Gli gettò un coniglio e disse: "Salve", mentre riprendeva il cammino verso casa.

Qualche tempo dopo vide ancora il serpente.

Era diventato molto grosso, ma aveva ancora il suo atteggiamento amichevole e sembrava che avesse fame.

Il cacciatore stava portando a casa dei tacchini, così si fermò e ne diede un boccone al serpente.

In seguito il cacciatore stava andando a casa portando due daini sulla schiena.

Questa volta il serpente dai bei colori, che era diventato molto grosso, sembrava così affamato che il cacciatore provò pena per lui e gli diede un intero daino da mangiare.

Quella notte molte persone intorno al fuoco danzavano e cantavano, quando arrivò il serpente che cominciò anche lui a girare attorno, all'esterno di quelli che danzavano. Quel serpente era così grosso e lungo che circondava i danzatori e quelli ne erano come imprigionati. Il serpente era tutto ricoperto di squame graziosamente colorate e aveva sempre il suo atteggiamento amichevole, ma sembrava anche affamato e la gente cominciava ad aver paura.

Cercarono di uccidere il serpente, ma questi ferito cominciò a battere la coda all'impazzata e uccise molte persone.

Dicono che quel serpente era proprio come l'uomo bianco.

 

 

LE SETTE STELLE DELL'ORSA

Una volta sei uomini andarono a caccia allontanandosi da casa per molti giorni di cammino, senza mai trovare selvaggina. A un certo punto uno di loro disse che si sentiva male - in realtà era solo un pigrone - e gli altri fecero una barella con due pali e una pelle.

In quattro si misero a trasportarlo, avendo ciascuno anche il proprio carico. Il senso veniva dietro portando la pentola.

Cominciavano proprio ad avere una gran fame, quando finalmente s'imbatterono nella pista di un orso. Allora, messo giù il compagno malato e i bagagli, si diedero ad inseguire l'orso correndo a più non posso.

Da principio le orme erano così poco marcate che non poterono che rassegnarsi, pensando: "Un giorno o l'altro finiremo pure per raggiungerlo". Più avanti cominciarono a dire: "Ora la pista non può risalire a più di tre giorni fa". E quando poi essa apparve ancor più recente: "Domani, a quanto pare, raggiungeremo l'orso".

Intanto, l'uomo che avevano trasportato per tanto tempo, ma che non era affatto ammalato, una volta messo a terra, sapendo che sarebbe rimasto indietro, si era messo a correre dietro loro. E poichè era più riposato di loro, presto li sorpassò, raggiunse l'orso e lo uccise. I suoi compagni nella fretta non si erano accorti di salire sempre più in alto, ma molte persone li videro sollevarsi correndo sempre più.

Quando raggiunsero l'orso erano arrivati in cielo e là sono rimasti sino ad oggi. Nelle notti stellate sono visibili accanto alla Stella Polare.

L'uomo che portava la pentola è visibile nella curva dell'Orsa Maggiore come stella centrale del timone, mentre la piccola stella isolata, vicino alle altre dell'Orsa, è la pentola. L'Orsa è la stella dell'angolo inferiore esterno.

 

 

ATKWABEO

Atkwabeo, l'uomo- caribù, era il più giovane di quattro fratelli.

Una notte, durante una spedizione di caccia, si accamparono in vicinanza di una mandria di caribù. Quella notte egli sognò che una femmina caribù usciva dalla mandria e veniva a parlargli, invitandolo a diventare suo marito e ad andare a vivere con i caribù.

Al mattino Aktwabeo lasciò da solo l'accampamento e si recò nel luogo indicatogli dal sogno. Vi trovò una femmina caribù che pareva lo aspettasse.

Deposto l'arco e le frecce, si avvicinò e l'animale lo condusse là dove altri tre caribù stavano di vedetta.

Con loro raggiunse la mandria e, da allora, visse con i caribù e ci vive tuttora, mangiando il muschio come loro.

Con loro emigra da un luogo all'altro, cavalcando sul dorso di un robusto maschio. Il suo vestito è di pelle di caribù e, quando gli occorre un indumento, essi gli consentono di uccidere qualcuno di loro per questo scopo.

I suoi figli sono dei caribù come gli altri. Di notte, quando si corica, alcuni caribù giacciono vicino a lui per tenerlo al caldo.

Così egli trascorre la vita contento, un anno dopo l'altro, in mezzo ai caribù, come uno di loro, anzi come loro capo e protettore.

Quando sono a caccia di caribù e incontrano la mandria di Atkwabeo, gli indiani si astengono dall'uccidere gli animali e, talora, si sono anche intrattenuti a parlare con lui.

 

LA LUNA

Un vecchio non era più in grado di andare a caccia. Da giovane aveva trovato sempre di che cibarsi, fossero cervi o renne.

Ora era inverno e la selvaggina se n'era andata, e accanto alla porta e attorno alla sua casa c'era ormai molta neve. "Che faremo ora?", diceva il vecchio. Chiese alla sua vecchia di guardare se c'era Luna fuori.

"Sì", disse la donna, "Luna è là".

Il vecchio uscì e, volgendosi a Luna, parlò: "Amico, come stai questa sera? Noi qui non stiamo molto bene. Siamo a corto di cibo. Vuoi aiutarmi? Da giovane ero cacciatore; potevo colpire cervi e renne e anche inseguirli. Vuoi aiutarmi? Fammi trovare un cervo accanto alla porta".

La vecchia di dentro gridò: "Che stai dicendo là fuori?". "Sto parlando al mio amico Luna", rispose il vecchio.

All'alba la vecchia si alzò e aprì la porta: un grande cervo era disteso presso un banco di neve. Il vecchio dormiva e la donna lo svegliò. Egli prese l'arco e con una freccia colpì il cervo all'orecchio, mentre con l'altra gli trafisse il cuore. Così Luna gli fece questa grazia.

Tutti dicono che, se si chiede qualcosa a Luna nel giusto modo, si ottiene.

Nel domandare uno non deve pensare "Voglio provare ad ottenere la tal cosa"; non deve "provare"; deve sentire che dovrà ottenerla.

 

 

 

 

LA FURBIZIA DELLA TARTARUGA

La tartaruga se ne andava per il bosco, suonava il flauto e cantava: "Ho ucciso un tapiro, mi son fatto un flauto con la tibia di un giaguaro: son proprio coraggiosa".

Il cervo udì la canzone e pensò: "Sfiderò costui a correre, così potrò ridere di lui". Si avvicinò alla tartaruga e le chiese: "Di dove vieni?". Ed essa rispose: "Ho appena ucciso due giaguari". "Possibile?", disse il cervo, "in tal caso ti sfido a una gara di corsa". "Bene! Io passo dall'altra parte del fiume per scegliermi il percorso", disse la tartaruga. Il cervo fu d'accordo e disse: "Tu correrai dall'altra parte e ogni volta che griderò, tu mi risponderai".

Arrivata all'altra riva, la tartaruga chiamò i suoi parenti e li fece disporre lungo il fiume, in modo che rispondessero in posizioni più avanzate ai richiami del cervo. Poi annunciò: "Sono pronta". E il cervo disse ridendo: "Vai pure avanti, povera tartaruga".

Ma la tartaruga non si mise a correre; rimase ferma, finchè un parente della tartaruga non lo chiamò più avanti e allora rispose: "Arrivo, tartaruga d'acqua persa nel bosco". E cominciò finalmente a correre. Poi gridò: "Tartaruga!" e un altro parente della tartaruga rispose più avanti. Finché il cervo non ne potè più e si fermò per bere dell'acqua. Poi non disse più nulla. "Che sia morto?", disse la tartaruga. E aggiunse: "E non sono nemmeno sudata!" Chiamò il cervo ma non ebbe risposta, finchè un compagno della tartaruga non ne trovò il cadavere e disse: "E' proprio morto".

E allora la tartaruga annunciò: "Con la sua tibia mi farò un flauto con cui potrò suonare tutto il giorno".

 

 

LA VENDETTA DEL GRANDE SERPENTE

Poiché i tre figli del primo uomo-dio, Pacha, non avevano nessuno con cui battersi, presero a lottare con un grande serpente. Questi, colpito da moltissime frecce che gli vennero scagliate dai tre, si vendicò e sputò tanta acqua così da coprire l'intera superficie della terra. Solo costruendo una capanna sulla cima del monte Pichincha, Pacha potè salvarsi con i figli e le loro mogli. Nella capanna ammassò molti viveri e fece entrare anche molti animali.

Solo dopo vari giorni fece uscire l'uccello Ullaguanga per controllare la situazione, ma esso non ritornò alla capanna perchè trovò sufficiente nutrimento nelle carogne di animali morti. Allora decise di far uscire un altro uccello che di lì a poco tornò con delle foglie verdi. Così Pacha si decise a uscire anche lui dalla capanna e scese sull'altopiano dove sorge ora Quito. Con la famiglia decise di costruire anche lì una capanna per vivere tutti insieme, ma mentre lavoravano accadde improvvisamente che uno non poteva capire ciò che l'altro voleva dire. Per tale ragione i tre fratelli si separarono, e anche il padre, stabilendosi in regioni diverse, dove i loro discendenti vivono ancor oggi.

 

 

VOLPE E ARMADILLO

In occasione della Grande Festa del suo popolo, Armadillo si stava preparando per presentarsi abbigliato in modo adeguato, dato che era Consigliere Maggiore. Cosicché una fresca mattina entrò nel fiume a tessere il manto che avrebbe indossato il giorno della festa.

Proprio quando era alquanto pensieroso e la sua immaginazione ordiva stupende trame per il tessuto, Volpe passò di lì con qualcosa che aveva appena rubato. Si salutarono, ma Armadillo fece capire di non poter perdere tempo. Incuriosita, Volpe volle saperne di più e chiese: "Che stai facendo? Forse posso darti un consiglio, dato che ti sono amica". Ma Armadillo, che ben conosceva Volpe, rispose: "Tu, il più imbroglione di tutti gli esseri... Non farmi perdere tempo, va via, ho fretta di tessere il manto per la Grande festa. Nessuno avrà una trama elegante e minuta come questa, sarà inimitabile". "E' forse per la Grande festa del tuo popolo?", chiese Volpe interessata. "Sì", le rispose brusco Armadillo, "ma va' via, e lasciami in pace". Al che Volpe fece con noncuranza: "Beh, voglio proprio vedere come farai, sciocco. La Festa è domani, non avrai tempo per finire il mantello".

Al sentire questa notizia, Armadillo fece un salto nel fiume e fu lì lì per svenire: "Domani? Oh, dimmi che non è vero! Cara sorella, dimmi, è davvero domani? Io non ho calendario... Come farò, con il mantello tessuto solo a metà?".

Ma Volpe era già lontana e se la rideva a più non posso, per aver turbato il povero, solitario Armadillo, sempre così schivo e diffidente.

Armadillo intanto, disperato, cercava di fare il più presto possibile. Altro che minutissima trama! Il tempo correva ed il povero, con la testa in fiamme, si ingegnò a usare filo più grosso e trama più larga, con spazi profondi nel mezzo. La Festa era l'indomani ed egli, quale Consigliere Maggiore, doveva presentarsi con un abito da cerimonia. E fece così in fretta che la trama venne disuguale, minuta e ben disegnata al principio, grossa nel resto.

Ed è per questo che il manto dell'Armadillo è disuguale: stretto al collo, sulle spalle largo. Tutto per colpa dello scherzo della Volpe.

 

 

CAPO NASO ROMANO PERDE L'AMULETO (Sioux White River)

I Lakota ed i Shahiyela (i Sioux ed i Cheyenne) sono stati buoni amici per un lungo tempo. Sovente hanno combattuto spalla a spalla. Combatterono i soldati bianchi sulla strada di Bozeman, che gli Indiani chiamano la strada dei Furti perché fu costruita per rubare la nostra terra. Combatterono insieme al fiume Rosebud e le due tribù unite sbaragliarono Custer nella grande battaglia di Little Bighorn. Anche ora in una rissa da osteria, un Sioux verrà sempre in aiuto ad un Cheyenne e viceversa. Noi Sioux non dimenticheremo mai che coraggiosi combattenti solevano essere i Cheyenne.

Oltre un centinaio d'anni fa i Cheyenne ebbero un condottiero famoso che i bianchi chiamavano Naso Romano. Egli aveva la fiera ed orgogliosa faccia di uno sparviero e le sue gesta furono leggendarie. Cavalcava sempre in battaglia con un copricapo da guerra che si trascinava dietro di lui. Era fitto di piume d'aquila e ciascuna stava a significare un atto di coraggio, un colpo contato sul nemico.

Naso Romano aveva un potente amuleto di guerra, una magica pietra che portava legata ai suoi capelli dietro la testa. Prima di un combattimento spargeva la sacra polvere gialla sulla sua camicia di guerra e dipingeva il suo cavallo con disegni di chicchi di grandine. Tutte queste cose, specialmente la pietra magica, lo rendevano invulnerabile alle pallottole. Naturalmente poteva essere ammazzato da una lancia, da un coltello, o da un'ascia, ma non da un fucile. E nessuno ebbe mai la meglio su Naso Romano in un combattimento a corpo a corpo.

C'era un aspetto che riguardava l'amuleto di Naso Romano: mentre mangiava non gli era permesso di toccare niente che fosse di metallo. Doveva usare cucchiai di corno o di legno e mangiare in ciotole di legno o di terraglia. La sua carne doveva essere cotta in una sacca di buffalo o in una pentola di argilla, non in un bricco di ferro dell'uomo bianco.

Un giorno Naso Romano ricevette la notizia di una battaglia in corso tra soldati bianchi e guerrieri Cheyenne. Per un giorno intero il combattimento aveva oscillato tra alterne vicende. " Vieni ad aiutarci; abbiamo bisogno di te ", diceva il messaggio. Naso Romano radunò i suoi guerrieri. Consumarono un pasto in fretta e Naso Romano dimenticò le leggi del suo amuleto. Usando un cucchiaio di metallo ed un coltello di acciaio dell'uomo bianco, mangiò carne di buffalo cotta in un bricco di ferro.

I soldati bianchi avevano costruito un forte su una lingua di terra sabbiosa che formava un'isola in mezzo al fiume. Sparavano al coperto ed avevano un nuovo tipo di fucile che era migliore e che poteva sparare più in fretta e colpire più lontano delle frecce e dei fucili ad avancarica degli Indiani.

I Cheyenne si lanciavano contro i soldati in un attacco dopo l'altro, ma l'acqua in alcuni punti arrivava alla sella dei loro cavalli ed il fondo del fiume era scivoloso. Essi non potevano arrivare velocemente sul nemico ed erano esposti ad un fuoco micidiale. I loro attacchi erano respinti, le loro perdite pesanti.

Naso Romano si preparò per il combattimento indossando gli abiti più belli, la casacca da guerra ed i gambali. Dipinse il suo miglior cavallo con disegni di chicchi di grandine e legò nei suoi capelli dietro alla testa il ciottolo che lo rendeva invulnerabile alle pallottole. Ma un vecchio guerriero gli si avvicinò e disse: " Hai mangiato da un bricco di ferro con un cucchiaio di metallo ed un coltello d'acciaio. Il tuo amuleto non ha potere; non devi combattere oggi. Purificati per quattro giorni in modo che il tuo amuleto sia di nuovo valido.

" Ma il combattimento è oggi, non tra quattro giorni ", disse Naso Romano. " Devo condurre i miei guerrieri. Morirò, solo le montagne e le rocce sono eterne ". Indossò il suo grande copricapo da battaglia, cantò il suo canto di morte e poi caricò. Mentre cavalcava verso i parapetti di legno dei bianchi, una pallottola lo colpì al torace. Egli cadde dal cavallo; il suo corpo fu immediatamente sollevato dai suoi guerrieri, ed i Cheyenne si ritirarono con il loro capo morto. Onorare la sua morte, dargli una confacente sepoltura, era più importante che continuare la battaglia.

Per tutta la notte i soldati nel forte poterono udire i canti di dolore dei Cheyenne, i lamenti funebri delle donne. Anche loro seppero che il grande capo Naso Romano era morto. Era morto come era vissuto. Aveva mostrato che talvolta è più importante agire come capo che vivere sino ad una età molto avanzata.

Raccontata da Jenni Nuvola Alta White River Riserva Indiana di Rosebud, Sud Dakota, 1967. Registrata da Richard Erdoés.