Adolescenti
da salvare?
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È
la domanda innescata da una cruda analisi dello scrittore
e insegnante Marco Lodoli su quello che egli definisce
"genocidio" delle intelligenze. Operato
da tv, pubblicità, mito del denaro e del successo
facile, che toglierebbero ai giovani addirittura la
capacità di riflettere.
[
i vostri interventi ] |
"A me sembra
che sia in corso un genocidio di cui pochi si stanno rendendo
conto. A essere massacrate sono le intelligenze degli adolescenti,
il bene più prezioso di ogni società che vuole
distendersi verso il futuro
Gli adolescenti non capiscono
più niente". Sono le parole di Marco Lodoli,
insegnante e scrittore, pubblicate sulla prima pagina di
la Repubblica sabato 4 ottobre.
Se il tentativo era quello di provocare una reazione in
chi ha la responsabilità della crescita e della formazione
di ragazzi e ragazze, ovvero gli adulti, un risultato l'ha
ottenuto. Nei giorni successivi all'uscita del suo testo,
infatti, la riflessione è continuata. Ma per comprendere
il discorso di Lodoli, è meglio tornare a quello
che ha scritto.
"I processi intellettivi più semplici, un'elementare
operazione matematica, la comprensione di una favoletta,
ma anche il semplice resoconto di un pomeriggio passato
con gli amici o della trama di un film, sono diventati compiti
sovrumani di fronte ai quali gli adolescenti rimangono a
bocca aperta, in silenzio
Semplicemente non capiscono
niente, non riescono a connettere i dati più elementari,
a stabilire dei nessi anche minimi tra i fatti che accadono
davanti a loro, che accadono a loro stessi.
"
Crescono rintronati dalla televisione, dalla
pubblicità e da miti bugiardi, da una promessa di
felicità a buon mercato, da mille sirene che cantano
a squarciagola, e accanto a loro non c'è altro che
riesca a farsi spazio. E così poco alla volta, perdono
ogni facoltà intellettiva, fino a diventare totalmente
ottusi.
"
La nostra civiltà rischia grosso, soprattutto
perché la confusione sta producendo esseri disadattati,
creature che non saranno in grado di cavarsela, milioni
di giovani infelici che strada facendo - la strada che noi
adulti abbiamo disegnato - hanno perduto il pensiero. Dopo
essersi spente nelle campagne le lucciole ora si stanno
spegnendo anche nelle teste".
Vi abbiamo dato un'ampia sintesi del pensiero di Lodoli,
perché può esservi sfuggito il suo articolo.
Che fa discutere a 360 gradi. "Non bisogna generalizzare,
perché i ragazzi si differenziano molto gli uni dagli
altri", ci dice Anna Oliverio Ferraris, docente
di Psicologia dell'età evolutiva dell'Università
La Sapienza di Roma. "Noi siamo abituati a omologarli
tutti, ma ce ne sono tanti che amano leggere, scrivere,
ascoltare la musica e andare al cinema. Naturalmente ce
ne sono anche altri che sanno poco o niente, vivono immersi
nel mondo della tv o di Internet e passano intere giornate
davanti ai videogame. Sono abulici, privi di riferimenti
culturali e spesso anche della guida dei genitori".
La tv e Internet sono strumenti di cui tutti noi ci serviamo.
Perché farli diventare la causa di ogni male?
Passare 4-5 ore al giorno davanti alla televisione o a un
videogame significa disabituarsi a qualunque altro sforzo
mentale. Intrattenuti dalle veline o gratificati dal punteggio
di un gioco elettronico, i ragazzi non sanno più
impegnare le proprie capacità intellettive e finiscono
col paralizzarsi di fronte ad altri stimoli. Studi fisiologici
dimostrano, per esempio, che lo sforzo mentale richiesto
da un videogame impegna solo una parte ridotta del cervello,
mentre un'operazione matematica o un tema lo coinvolgono
tutto. In questo modo si rischia di non essere più
capaci di prendere un'iniziativa e di pensare. Questi ragazzi
si irritano di fronte a chi li spinge a curare altri interessi,
si rifiutano di essere stimolati e diventano talvolta anche
violenti perdendo il rispetto per la propria vita e per
quella degli altri.
Questo fenomeno coinvolge tutte le fasce sociali allo stesso
modo?
È sicuramente più evidente nei ragazzi degli
strati sociali meno abbienti. Mentre prima questi giovani
lavoravano subito, ora vengono mantenuti a lungo in contesti
familiari in cui non c'è neppure un libro. Oggi tutti
hanno diritto a una lunga adolescenza e sufficiente agio
per vivere circondati da motorini, cellulari e scarpe firmate.
Sono scolarizzati ma non culturalizzati, per loro la scuola
è un "non luogo".
Dall'intervento di Lodoli s'intuisce che le possibilità
di invertire la tendenza sono poche. Lei che cosa ne pensa?
L'adolescenza è uno dei periodi più delicati
nella vita di un individuo, è una fase di passaggio
in cui si può ristrutturare la propria personalità,
anche attraverso progetti e desideri. Il problema è
che non tutti riescono a sviluppare le proprie potenzialità,
perché privi degli strumenti adatti o della capacità
di impegnarsi. Le responsabilità maggiori, allora,
sono quelle dei genitori e degli insegnanti. Bisogna comunicare
con i nostri figli fin da quando sono piccoli, mettendoci
in gioco e imparando anche a parlare di noi stessi. E la
relazione con i ragazzi dovrebbe essere al centro anche
del rapporto insegnante-alunno. Gli adolescenti hanno bisogno
di vivere un'appartenenza con la scuola, di essere valorizzati
e riconosciuti, di sentire che i professori sono interessati
a loro come persone.
"Perché
a volte succede
che restiamo in silenzio"
Si accalcano davanti ai cancelli della scuola in attesa
di entrare, da soli o in gruppetti, qualcuno si tiene per
mano e si scambia tenerezze appena accennate. Sono gli studenti
dell'Istituto tecnico Giovanni Falcone di Roma, dove
lo scrittore Marco Lodoli insegna italiano e storia. Del
dibattito sul genocidio che si sta perpetrando ai danni
delle loro menti, aperto dal professore con un articolo
piuttosto amaro, sanno poco o niente. E sembrano più
preoccupati per la prossima interrogazione, che per le autorevoli
provocazioni sulla loro intelligenza.
La scuola è in periferia e chi la frequenta studia
moda, tecniche per il turismo, o chimica e biologia, ma
generalmente al diploma ci arriva solo la metà degli
studenti che si sono iscritti al primo anno. Le ragioni
dell'abbandono sono spesso legate a difficili situazioni
familiari o alla necessità di andare a lavorare.
"Noi l'articolo di Lodoli l'abbiamo letto in classe",
raccontano due ragazzi del quinto. Il più loquace
aggiunge: "La professoressa di italiano dice che quello
che c'è scritto è vero, ma noi non siamo d'accordo.
Io Lodoli lo conosco, è stato il mio insegnante qualche
anno fa, era bravo e amichevole. Ho anche la sua e-mail
e gli voglio scrivere, soprattutto per chiedergli perché
pensa questo di noi". Poi, alla domanda se nella sua
classe ci sono compagni che scelgono il silenzio per nascondere
il proprio disagio, risponde: "Non mi sembra, però
è anche vero che quelli che avevano più difficoltà
sono stati bocciati, su 25 siamo rimasti in 11".
Una ragazza del quarto anno, coinvolta nella discussione
risponde: "Beh, sì, è vero, molte volte
siamo così in difficoltà che non riusciamo
a spiegarci, a trovare le parole. Il problema è che
tutte le preoccupazioni che abbiamo ce le portiamo con noi,
non possiamo lasciarle fuori dalla scuola, e spesso ci impediscono
di ragionare serenamente". Un amico aggiunge: "A
volte i pensieri ti bombardano così tanto che non
sai da dove cominciare. E poi il silenzio dipende anche
dall'atteggiamento della persona con cui parli, se ti mette
a tuo agio o no. A me il professor Lodoli piace, una volta
è venuto a fare supplenza da noi e abbiamo parlato
di musica. A un certo punto però non ci siamo trovati
d'accordo e io non ho più parlato. Come si dice,
gli opposti si attraggono e i simili si respingono".
Anche le ragazze del terzo, che studiano moda, della polemica
sulle scarse capacità intellettive degli adolescenti
hanno sentito parlare: "Io non mi sento offesa da quello
che ha scritto il professor Lodoli. Queste cose scherzando
ce le dice sempre anche quando ci incontra per i corridoi.
È un tipo strano, molto colto, ma usa tante parole
incomprensibili, sembra che parli in una lingua straniera".
Tra questi studenti qualcuno il pomeriggio va a lavorare,
qualcun altro suona coltivando il sogno di diventare un
chitarrista famoso, molti passano la maggior parte del tempo
davanti alla tv, pochi studiano tanto quanto vorrebbero
i professori. "Pretendono troppo", spiega un ragazzo
del primo. Lui della polemica scatenata da Lodoli non sa
nulla, ma ha le idee chiare su che tipo di insegnante preferisce:
"Meglio le donne, ti spiegano le cose con calma, sono
meno aggressive e più carine".
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