Home

Preghiera per Chicca

Trasmettere Emozioni

Amore tra madre e figlia

L'Amicizia

L'Amore dell'Acqua

Le 7 Meraviglie del Mondo

Innamorata dei Libri

Anima e Forza

Eloisa ed Abelardo

Nascita di una Stella

Morte a 20 anni

Cio' che avrei voluto...

Il Nulla e il Tutto

L'Ultima Lettera

Saffo

Poesie x Lilla

Poesie x MammaChiara

Poesie di Chicca

Fabrizio 1

Fabrizio 2

Fabrizio 3

Smisurata Preghiera

Baudelaire prose

Baudelaire Poesie 1

Baudelaire Poesie 2

Amore e Tolleranza

Amore Semplice

 

 

 

 

 

L'ALBATRO

Spesso per passatempo, acchiappano i gabbieri
un di quei grandi albatri, uccelli d'altomare,
che, come pigre scorte, i nomadi velieri
sogliono sugli amari vortici accompagnare.

Sono appena deposti sul ponte che s'accasciano,
questi re dell'azzurro, con vergogna impotente,
e le grandi ali candide lungo i fianchi si lasciano
pendere come remi malinconicamente.

Il viator volante, com'è sgraziato e stroppio!
Lui, già sì bello, come laido e comico sembra!
v'è chi il becco gli stuzzica con la pipa, chi zoppica,
scimmiottando l'impaccio delle povere membra.

Poeta, anche tu abiti nel cuore della folgore,
e sfidi i dardi, e sopra le nuvole t'accampi:
esule sulla terra, fra i dilegi del volgo,
nell'ali di gigante ad ogni passo inciampi!








INNO ALLA BELLEZZA

Vieni dal ciel profondo o l'abisso t'esprime,
Bellezza? Dal tuo sguardo infernale e divino
piovono senza scelta il beneficio e il crimine,
e in questo ti si può apparentare al vino.

Hai dentro gli occhi l'alba e l'occaso, ed esali
profumi come a sera un nembo repentino;
sono un filtro i tuoi baci, e la tua bocca è un calice
che disanima il prode e rincuora il bambino.

Sorgi dal nero baratro o discendi dagli astri?
Segue il Destino, docile come un cane, i tuoi panni;
tu semini a casaccio le fortune e i disastri;
e governi su tutto, e di nulla t'affanni.

Bellezza, tu cammini sui morti che deridi;
leggiadro fra i tuoi vezzi spicca l'Orrore, mentre,
pendulo fra i più cari ciondoli, l'Omicidio
ti ballonzola allegro sull'orgoglioso ventre.

Torcia, vola al tuo lume la falena accecata,
crepita, arde e loda il fuoco onde soccombe!
Quando si china e spasima l'amante sull'amata,
pare un morente che carezzi la sua tomba.

Venga tu dall'inferno o dal cielo, che importa,
Bellezza, mostro immane, mostro candido e fosco,
se il tuo piede, il tuo sguardo, il tuo riso la porta
m'aprono a un Infinito che amo e non conosco?

Arcangelo o Sirena, da Satana o da Dio,
che importa, se tu, o fata dagli occhi di velluto,
luce, profumo, musica, unico bene mio,
rendi più dolce il mondo, meno triste il minuto?







IL GATTO
Bel gatto, vieni sul mio cuore ardente:
ritira l'unghie e lasciami
annegar nel tuo occhio rilucente
d'un lume d'oro e d'agata.

Quando si perdon le mie dita lente
nel tuo capo e l'elastica
groppa ti palpan voluttuosamente,
come per trarne un brivido,

rivedo la mia donna: ha nello sguardo,
come te, bestia amabile,
un taglio freddo e pungente di dardo,

e tutt'intorno al bronzeo
suo corpo un'aria fine, un infingardo
perfido effluvio naviga.








REVERSIBILITA'


Angelo di letizia, conosci tu l'angoscia,
i singhiozzi, le onte, le accidie, i pentimenti,
le notti insonne piene di confusi spaventi,
quando gualcito il cuore come un foglio s'affloscia?
Angelo di letizia, conosci tu l'angoscia?

Angelo di bontà, conosci tu il rancore,
i bui spasimi d'odio, le lacrime di fiele,
le Vendetta che, alzando un lungo urlo crudele,
vittoriosa s'accampa sugli spalti del cuore?
Angelo di bontà, conosci tu il rancore?

Angelo di salute, conosci tu le Febbri
che lungo i muri scialbi dell'ospizio, com'esuli,
van strascicando i piedi, e biascicando tremuli
un po' di sole chiedono, che le scaldi e le inebri?
Angelo di salute, conosci tu le Febbri?

Angelo di bellezza, conosci tu le grinze,
l'orgasmo d'invecchiare, e la disperazione
di leggere un'occulta, orrida devozione
negli occhi ove i nostri occhi avidi un tempo attinsero?
Angelo di bellezza, conosci tu le grinze?

O angelo felice, angelo luminoso,
in fin di vita Davide avrebbe domandato
la salute agli effluvi del tuo corpo incantato,
ma io le tue preghiere solo chiedere oso,
o angelo felice, angelo luminoso!







LA BOCCETTA
(questa è la poesia che mi unisce, me misera niente, 
al mio grande amato vate, Baudelaire)


So pungenti profumi che non trovano stallo
che li rinserri: pare che buchino il cristallo.
Quando una teca s'apre, ch'è dall'Oriente giunta,
la cui toppa con stridulo lungo lagno s'impunta,

o in una casa vuota, polveroso e tarlato,
uno stipo che esala un tanfo di passato,
vi si trova una memore vecchia fiala, talvolta,
da cui vivida erompe un'anima sepolta.

Mortuarie crisalidi, mille sogni e pensieri
dormivan nella tenebra con palpiti leggeri,
e ora aprono l'ali, balzano verso l'alto,
tramati d'oro, tinti di rosa e di cobalto.

Ecco nell'aria inquieta volteggia il lenti giri
ebbro il ricordo; gli occhi si chiudono; il Delirio
coglie l'anima vinta, e la spinge a due mani
verso un abisso scuro di tutti i miasmi umani;

sul ciglio di un abisso secolare la stende,
dove, putido Lazzaro che si strappa le bende,
il cadavere s'agita e si desta, spettrale,
d'un vecchio amore rancido, leggiadro e sepolcrale.

Così, quando si spenga di me ogni compianto
fra gli uomini, e buttato io rimanga in un canto
d'un qualche tetro stipo, vecchia fiala vischiosa,
lercia. squallida, sporca, polverosa, corrosa,

io sarò la tua bara, vezzosa pestilenza,
prova della tua forza e della tua violenza,
caro veleno offertomi dagli angeli, liquore
che m'uccide, tu vita, tu morte del mio cuore.







LO SPETTRO

Simile a un cherubino dal vermiglio
occhio ritornerò nel tuo giaciglio;
scivolerò col favore dell'ombra
tacitamente verso le tue membra;

e poserò sulle tue labbra, o bruna, 
labbra diacce com'è diaccia la luna:
carezze ti darò, quasi di liscio
serpe che attorno a una fossa strisci.

Quando verrà il livido mattino,
troverai vuoto il posto a te vicino,
che fino a sera sarà freddo e spento.

Altri ti vinca con tenere armi:
io la tua vita voglio conquistarmi,
e la tua gioventù, con lo spavento.







A UNA MENDICANTE DAI CAPELLI ROSSI

Fanciulla esangue dal crine rosso,
di sotto i cenci che porti addosso
come trapela, misero e bello,
il corpo snello!

Nelle tue giovini membra malate,
tutte d'efelidi disseminate,
il derelitto poeta apprezza
qualche dolcezza.

Sui grossi zoccoli tu sopravvanzi
ogni regina che nei romanzi
con vellutate scarpe di gala
varchi la sala.

Oh, fa' che al posto di queste corte
frappe un magnifico manto di corte
lungo e frusciante ti s'accompagni
fino ai calcagni;

che dei viziosi all'occhio audace
sulla tua gamba non questa lacera
calza riluca, ma d'oro schietto
un pugnaletto;

che fra i malfermi nastri, per farci
dannare l'anima, s'aprano squarci
e il seno, bello come due occhi,
fuor ne trabocchi;

che le tue braccia non così leste
per noi si lascino cader la veste,
bensì discaccino con muta lite
le dita ardite...

Oh, gli smaniosi tuoi spasimanti
di quali fulgide perle e diamanti
ti coprirebbero! Quanti rondò
di ser Belleau!

Mille poeti al tuo servizio
ti portrebbero fior di primizie,
la tua caviglia spiando sotto
il pianerottolo!

Per sollazzarsene, matricolati
paggi, Ronsardi e titolati
occhieggerebbero gli eremi ombrosi
dove riposi!

Allora in fondo ai tuoi giacigli
più conteresti baci che gigli;
s'arrenderebbero a tua mercè
delfini e re!

A malapena frattanto vivi
di ciò che qualche Vèfour da trivio
ti butta in grembo, sparuto avanzo
per il tuo pranzo;

o di soppiatto, come un tesoro,
adocchi un ciondolo di similoro,
che regalarti, te lo confesso,
non m'è concesso.

Vattene dunque, e non portare
altro, né essenze né pietre rare,
se non la gracile tua nudità,
o mia beltà!






LA FINE DEL GIORNO

Sotto una luce bigia, senza posa,
senza ragione, si contorce e incalza
danzando, spudorata e rumorosa,
la Vita: così, poi, quando s'innalza

voluttuosa la notte all'orizzonte,
e tutto, anche le fami, in sé racqueta,
tutto annuvola e spegne, anche le onte,
"Eccoti, alfine!" mormora il poeta.

"Pace ti chiede il mio spirito ed ogni
mia fibra, pace, e null'altro elisire;
ricolmo il cuore di funebri sogni,

vo' stendere le mie membra supine
nella frescura delle tue cortine
e quivi sempre, o tenebra, dormire!"








DONNE DANNATE
Delfina e Ippolita


A un pallido chiarore di lampade languenti,
affondando la nuca nel muschiato origliere,
Ippolita riandava le carezze possenti
che acerba la iniziavano, e candida, al piacere.

E cercava con occhi ciechi di vento il cielo
della sua innocenza sempre meno vicino,
come si volge indietro il viaggiatore anelo
alle azzurre montagne valicate il mattino.

Tutto, lacrime pigre dei suoi occhi sbattuti,
oscura voluttà, aria estatica a sazia,
braccia vinte, deposte come armi disutili,
tutto serviva a crescerne la delicata grazia.

Calma e piena di gioia, accosciata ai suoi piedi,
Delfina la covava con pupille roventi,
come un fiero animale che la vicina preda
sorveglia, dopo averla già segnata coi denti.

Bellezza forte ai piedi della bellezza fragile,
superba assaporava con voluttuosa scienza
il vino del trionfo, e a lei tendeva l'agile
fianco, come aspettandone dolce riconoscenza.

Sperava nello sguardo della pallida vittima
il muto inno che s'alza nei tripudi del senso,
e quel ringraziamento che dagli occhi sconfitti
sgorga eterno e sublime, come un sospiro immenso.

"Che pensi dunque, Ippolita, dimmi, di queste cose?
Capisci ora, amor mio, che non ti giova offrire
il puro sacrificio delle tue prima rose
al turbine che subito le farebbe sfiorire?

I miei baci son simili ad effimere lievi
che carezzan a sera grandi diafani laghi...
Quelli dell'uomo, quasi vomeri o carri grevi,
ti scaveran nel corpo mille lacere piaghe.

Quasi di bovi o brenne lenti pesanti zoccoli
ti passeranno sopra senza posa o pietà:
Ippolita, sorella, volgi a me dunque gli occhi,
tu, mio cuore e mia anima, mio tutto e mia metà;

volgimi il viso e gli occhi, colmi d'astri celesti;
d'un tuo sguardo, ineffabile medicina, ho bisogno
per sollevare il velo dei gaudi più funesti,
e farti sprofondare in un eterno sogno!"

Ma Ippolita, levando la giovine cervice:
"Né astio né rimorso m'è nel cuore rimasto,
Delfina mia, ma inquieta mi sento ed infelice,
come dopo un notturno e terribile pasto.

Sento immani paure piombarmi addosso, e cupi
battaglioni di larve alle spalle e di fronte
assalirmi, e sospingermi per valanghe e dirupi,
che d'ogni lato sbarra un sanguinoso orizzonte.

Abbiam dunque commesso atti bizzarri e infami?
Che è, dimmi, il terrore che dentro mi trabocca?
Io tremo tutta quando "Angelo mio" mi chiami,
eppure le mie labbra cercano la tua bocca.

Non guardarmi così, mio pensiero adorato,
amore sempiterno, sorella d'elezione,
quand'anche tu non fossi che un tranello approntato,
e lo stesso principio della mia perdizione!"

Ma con voce imperiosa e fatale pupilla
Delfina, scapigliando la tragica criniera,
rispose, qual sul tripode scalpicciante Sibilla:
"Chi mai parla d'inferno quando l'amore impera?

Maledetto in eterno il sognatore insano
che ha voluto per primo, d'un question fittizia
e insolubile ossesso nell'animo suo vano,
alle storie d'amore mischiar la pudicizia.

Chi cerca di affiliare in un mistico accordo
la notte con il giorno, l'ombra con il calore,
mai si potrà scaldare il corpo inerte e sordo
a quel vermiglio sole che chiamano l'amore.

Va', scegliti se vuoi, un di quei fatui ganzi,
e il tuo vergine cuore offri al suo bacio immite,
poi, colma di rimorsi e d'orrore, dinanzi
mi tornerai col seno livido di ferite.

Niuno al mondo a due re può viver soggetto!"
Ma la fanciulla, in preda a un'infinita angoscia,
gridò repente: "Io sento un baratro nel petto,
ed è il mio cuore, un baratro che si spalanca e croscia!

Profondo come il vuoto, arso come la lava!
Nulla potrà saziare questo mostro che langue,
né spegnere la sete dell'Eumenide prava,
che, impugnando una torcia, lo abbrucia fino al sangue.

Le nostre tende chiuse ci rapiscano al mondo,
e stanche in un letargo alfine si soccomba!
Io distruggermi voglio sul tuo petto profondo,
e trovarci la pace ombrosa della tomba!"

- Oh scendete, scendete, esseri derelitti,
nella nuda voragine ch'è il vostro porto eterno!
Sparite nella tenebra ove tutti i delitti
che flagella e mulina la bufera d'inferno,

ribollono confusi, con rombo d'aquilone.
Pazze ombre, inseguite i vostri desideri;
mai potrete placare la vostra esaltazione,
e il castigo verrà dagli stessi piaceri.

Mai scese un fresco raggio fino alle vostre grotte;
miasmi febbricosi per le crepe dei muri
strisciano e come lumi avvampan nella notte,
nelle membra instillandovi sentori orridi e impuri.

L'aspra sterilità del vostro godimento
v'acuisce le sete e v'asciuga la pelle,
e, come un vecchio labaro sotto i colpi del vento,
nello spasimo schiocca la carne e si convelle.

Dunque, raminghe, reprobe, fuor d'ogni umano seno,
correte come lupi per greppi e per vallate;
compite il vostro fato, anime senza freno;
fuggite l'infinito che dentro voi portate!







IL TRAMONTO DEL SOLE ROMANTICO

Oh, quanto è bello il sole che sorge allegro e forte
e il suo buondì ci lancia come uno scoppio rosso!
felice che ne può con animo commosso
salutare, gloriosa più d'un sogno, la morte!

Ricordo!... Ho visto tutto, la fonte, il solco, il fiore,
anelar come vivido cuore sotto i suoi sguardi.
- Corriamo all'orizzonte, presto, corriamo, è tardi,
che non ci sfugga almeno l'ultimo obliquo ardore!

Ma io rincorro invano il Dio che s'allontana;
stende l'ineluttabile Notte su noi, sovrana,
le abbrividenti ali, funeste, umide, opache.

Un lezzo di sepolcro nelle tenebre vagola,
e il mio timido piede ai margini del brago
schiaccia rospi imprevisti e lubriche lumache.







LA LUNA OFFESA

Luna che i nostri padri veneravan discreti,
dall'alte azzurre lande dove, radiosa corte
di sultana, le stelle ti son lucide scorte,
mia vecchia Cinzia, lampada dei nostri antri segreti,

vedi con denti giovani gl'innamorati ridere,
tra il sonno, sopra il prospero giaciglio che li affianca?
il poeta accanirsi sulla pagina bianca?
e sotto l'erba secca accoppiarsi le vipere?

Nel tuo dominio giallo, con piede clandestino,
ritorni come un tempo, dalle sera al mattino,
a baciar le decrepite grazie d'Endimione?

"Tua madre io scorgo, o figlio d'un secolo avvilito,
che allo specchio un pesante fardello d'anni espone,
e bistra ad arte il seno stesso che t'ha nutrito!"