Okkupanti

13.02

Andrea nel liceo okkupato

Chiudo gli occhi. Credo lentamente, e rimango per qualche istante con le palpebre sbarrate e una sensazione di vertigine non proprio piacevole, insolita. Visto da fuori devo avere la stessa espressione del 16enne che si è fatto il culo sui libri per un anno e arrivato davanti ai quadri trova un verdetto negativo: tre materie e il mondo sembra crollare tutto attorno. Certo, un’occupazione non è come buttare tre mesi di vacanza e un’estate felice, ma sentire un Emiliano raggiante che annuncia il suo trionfo non è molto da meno.

Sono ancora con gli occhi chiusi e tanta delusione dentro, ma riesco a percepire il boato che si alza attorno a me, rimbombante nel grande vuoto sopra le nostre teste. Riesco persino a distinguere nel caos delle urla qualcuno che esulta al grido di "una settimana di vacanza!". All’improvviso c’è anche un trillo di cellulari tutto attorno: dovranno pur spargere la notizia... Se mi concentro forse sento anche il rumore dell’adrenalina che mi scorre a duemila nelle vene, che faccio? Salgo sul palco e spacco la faccia a Emiliano?

Finalmente si riaprono gli occhi e lo cerco con lo sguardo: è ancora lì, in piedi sulla sedia con il megafono in mano e il sorriso del vincitore, offre tutto di sé alla piccola folla. Mi volto un attimo per vedere i miei coetanei e la loro reazione: già sono tutti in piedi, la palestra stenta a trattenere quella massa ribollente e sembra dover cedere da un momento all’altro. Sì, sorridono tutti.

Cerco conforto negli occhi del mio vicino, ma il suo sguardo è rapito da qualcos’altro, di certo non ha l’espressione sconsolata che dobbiamo avere io e Marco.

Lui è seduto su una sedia vicino ad Emiliano: mastica rabbia con lo sguardo fisso sul pavimento azzurro gommato.

Finalmente mi alzo anch’io e la spina dorsale ringrazia. Luca è scomparso alla fine dell’assemblea e il vecchio trucco dello schiena-contro-schiena è saltato. Cerco di respirare profondamente, ma me ne pento subito per l’aria pesante - consumata - che mi entra dentro. Mentre mi stiracchio con movenze incerte sento la voce della preside che cerca di affermarsi nel brusio generale. E’ impacciata e riesce a malapena a tenere in mano il megafono. Predica, ma senza stile: sicuramente non è imperiosa come l’Emiliano di pochi minuti fa. La sua voce esce stridula, ancor più di quella che ho odiato per cinque anni. E’ l’appello disperato di una povera donna; sa che non li convincerà mai, ma è parte del copione: un richiamo alla coscienza, un invito alla calma, l’augurio che tutto si risolva pacificamente...

Sconsolato, forse già rassegnato, alzo gli occhi al cielo in un gesto automatico. Lo sguardo sbatte contro il soffitto della palestra: dai vetri rotti dei finestroni in alto si intravede l’azzurro del cielo indeciso autunnale. I buchi nei vetri: quelli sono un motivo per occupare! Per non morirsi di freddo nella inutile corsetta delle ore di ginnastica invernali, abbozzata più per fare contento il vecchio prof. che per altro, mentre il sudore caldo si scontra con il vento gelido. Già, sarà dura dormire in palestra stanotte...

Marco a fatica guadagna il microfono e, con una voce da generale alla resa, si offre per dare una mano ai neonati occupanti. Invita i più attivi a farsi avanti per organizzare un "collettivo" che mandi avanti il tutto. In pochi gli si avvicinano, dare un voto anonimo è un conto, dare il proprio nome per quella lista è tutta un’altra storia:

- e se poi viene la polizia?

- e se lo viene a sapere mio padre?

- ma i professori la vedranno questa lista?

- bastano tre?

- ma....io...non so........devo vedere....

- manca Emiliano!

- dov’è????

Già, dov’è Emiliano? Voglio proprio vederlo firmare, voglio vederlo mentre parla a muso duro alla preside o alla sua prof. di Latino o di Storia. Fatemelo vedere Emiliano che scende dal palco, posa il megafono e dice due parole sensate, magari senza farsela sotto. Dov’è Emiliano?

Eccolo finalmente Emiliano che rientra nella palestra fra sorrisi e pacche sulle spalle. Per un attimo i nostri occhi si incrociano e il suo sguardo è radioso; forse cerca anche nel mio una conferma del suo successo, ma sorprendo anche la mia timidezza e riesco a mantenere un’espressione abbastanza sprezzante da farlo ripiegare sul viso della quattordicenne esaltata qui affianco. In quell’istante nei suoi occhi ho letto qualcosa di molto più materiale della bella vittoria idealistica che lui cerca in quelli attorno. In quegli occhi io ci ho visto delle belle pupille dilatate e così la mini sparizione si chiarisce almeno un po’. Emiliano, vai, vai......vediamo ora cosa le dici...vai...

Pensavo peggio. Se l’è cavata con poco, ma se l’è cavata. Buttandola sull’idealistico-ribelle-per-una-giusta-causa la preside non ha potuto fare moltissimo. Certo, non era l’Emiliano "spacco il mondo, occupo tutto" di pochi minuti fa: "Professoressa, ma se noi abbiamo degli ideali non possiamo rimanere in silenzio, non crede?" con un tono da servo dei servi dei servi che sa di presa per il culo lontano chilometri. Anche Marco, visto che oramai il danno è fatto, gli dà una mano. Già, adesso salviamo la faccia - e i voti - con i prof. e i genitori. Che schifo.

Mentre cerco Luca nel gran luna park che si sta delineando all’interno dell’edificio mi accorgo che la scuola si sta praticamente svuotando. Sorrido amaro. Nei corridoi girano solitari occupanti alla ricerca di qualcosa di stimolante; tutti fumano in modo ostentato, quasi a vendicarsi delle tante sigarette rapide, lasciate a metà nel bagno durante l’anno. Tutte le porte sono spalancate, si intravede qualcuno seduto fiero alla cattedra, altri orgogliosi ci giocano a carte proprio seduti sopra. Non posso fare a meno di notare le scritte sulle vecchie lavagne: al biennio colorate, enormi, allegre, inneggiano alla neonata occupazione; nei terzi e nei quarti ogni tanto se ne trova qualcuna enorme, con caratteri duri - politici e polemici - accompagnati da slogan contro lo Stato, la polizia(????? Ma che hanno contro la polizia?), in ogni caso ancora entusiasmo. Nei quinti sono piene di formule di fisica e matematica. In un’aula c’è il messaggio di un professore: "Domani compito in classe, non me ne frega nulla dell’occupazione: avete l’esame!". Sorrido ancora più amaramente. Luca non c’è, anzi non c’è nessuna faccia conosciuta in giro. D’altronde sono quasi le due e in pochi hanno saputo resistere al richiamo dello stomaco.

Emiliano lo ritrovo all’entrata mentre urla qualcosa dietro agli ultimi affamati che abbandonano la lotta "almeno un’ora per pranzo!". Alle sue urla arriva in risposta solo il fumo azzurrino dei motorini modificati e l’odore dolciastro che danno alla scena il vero sapore della beffa. Emiliano, Emiliano, sei tu che hai voluto occupare con i voti dei primini.

Stavolta nel rincontrare i suoi occhi, i ruoli sono stravolti: io cerco inutilmente di trattenere un sorriso beffardo - veramente da stronzo - mentre lui inizialmente esulta nel vedere un coetaneo ancora dentro l’edificio; per poi guardarmi con odio mentre attraverso con passo deciso l’atrio del liceo, per guadagnare il mio motorino parcheggiato proprio lì davanti.

Sono un po’ imbarazzato nel sentire su di me lo sguardo di Emiliano e altri tre-quattro occupanti che sicuramente mi giudicano un traditore. Ho la coscienza pulita, ma in fondo mi dispiace per loro. Alla fine nel superare il portone tiro un gran sospiro di sollievo, ma sicuramente non ho la serenità tale per affrontare Giulia che mi aspetta sorridente in sella al motorino.

E’ carina. Nell’attesa passa il dito sul cruscotto e disegna qualcosa sullo strato indelebile di polvere. Evidentemente ha preso bene l’occupazione: muove le labbra ritmicamente e mentre mi avvicino mi aspetto da un momento all’altro di riconoscere qualche motivo famoso canticchiato a mezza voce. I colori consumati della sua giacca nepalese risaltano sul nero della carrozzeria ammaccata, i ciuffi viola le danno quell’aspetto appena appena ribelle. Dolcissima, ma ribelle. Man mano che si riduce la distanza fra noi penso che forse l’emozione forte che ho dentro non mi fa molto onore davanti ad una conoscente pazza per il mio migliore amico.

Come temevo chiede subito di Luca. Sono un cretino nel risponderle con tanta premura e tanta precisione, ma non riesco a trattenermi. Le parlo del suo amato per sentirla più vicina, per sentirla almeno un po’ complice, mentre dentro di me il mio istinto urla che mi sto facendo solo del male. Ma il suo sorriso copre tutto, poi vederla sul mio motorino è un quadro niente male. Stimola la fantasia. Sì, mi immagino io e Giulia che attraversiamo Roma veloci nel traffico, con il suo seno adolescente che ad ogni buca sembra più vicino alla mia schiena. Giulia che ride vicinissima al mio collo, mentre io azzardo sorpassi sulla Colombo, con il motore al massimo pur di fare almeno un po’ colpo.

-Andrea, ma mi senti???

Certo, pendo dalle tue labbra. -Ah, sì, dimmi.

-Allora ci vediamo oggi pomeriggio qui? Alle tre c’è la prima riunione del collettivo.

Non mancherei per tutto l’oro del mondo. -Mhhhh.....non so.....penso di sì......

-Allora ci vediamo fra un’ora! Se senti Luca digli di venire!

Se sento Luca gli regalo due biglietti del cinema per andarci con Sarah. -Certo! Lo chiamo appena arrivo a casa, ok?

Cretino... ma guarda che sorriso che ha fatto.

Scende dal motorino con un piccolo slancio in avanti, i capelli le finiscono a ciocche sul viso; con un piccolo sbuffo aumenta il disordine, ma riporta alla luce la vivacità dei suoi occhi. Non muovo nulla, neanche un dito per aiutarla. Vorrei allungare la mano, quei pochi centimetri che basterebbero per portarle i capelli dietro l’orecchio con le mie dita, ma niente: riesco solo a rispondere con un cenno della testa al suo ultimo saluto. Rimango qualche minuto a guardarla con un sorriso giocondo mentre si allontana con una volontaria andatura irregolare e alla fine mi decido ad accendere il motorino. Prima di partire lancio un ultimo sguardo alla scuola e noto Emiliano vicino al gabbiotto dei bidelli, poggiato al muro con una spalla, lo sguardo che indaga. Mi viene spontaneo sorridergli, un sorriso complice, un sorriso spontaneo per le quattro chiacchiere con Giulia, un sorriso che vorrebbe dirgli "dai che alla fine qualcuno torna, non te la fanno occupare da solo questa scuola!". Non sembra rispondere, mi sento in imbarazzo e rilasso i muscoli assumendo chissà quale espressione... si gira dell’altra parte di scatto lasciandomi con il dubbio di aver assunto una faccia tanto ebete da disgustarlo. Ma chissenefrega! Ridacchio un po’ e mi lancio sulla rotta scuola-casa con il cervello ancora preso dall’immagine di Giulia sulla mia sella e di Emiliano affranto sul portone. Posso distrarmi, tanto la strada la conosco bene: è stampata dall’abitudine dritta sul cervello. Stampata anche nelle braccia, che muovono il manubrio senza indugi nello schivare nelle buche e nelle mani, che frenano con fermezza davanti alla curva tanto amata. Dopo cinque anni di liceo e di motorino finalmente riesco a farla in accelerazione, uscendo a 50-55 km/h, buttandomi sul ginocchio convinto di assomigliare tantissimo a Biaggi o Capirossi con il mio 65cc, carburatore 14/12. Ma l’amata è già andata via sotto le ruote consumate e gli ultimi metri sono tutti in pianura, invitanti nell’aprire il gas al massimo, quasi eccitanti nel vedere l’asfalto a pochi cm dal mio piedi scivolare veloce. Vibrante come un pazzo sul motorino lanciato al limite penso che in fondo non sto buttando benzina, dato che saranno passate le due e il pranzo chissà da quanto è in tavola...

 

sono veramente benvenuti commenti, critiche e suggerimenti, grazie! ------> incercadi@tiscalinet.it

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