INEDITI POESIA

ANDREA LEPRI

 

 

GIUDHAS

PROLOGO

Non so perchè sto scrivendo una storia che nessuno leggerà mai
Di questo sono certo, perchè nell'epoca e nel luogo dai quali provengo non c'è traccia di questo manoscritto.
E non ce ne sarà mai, da ora fino ad allora.
Probabilmente andrà perso, oppure distrutto. Magari verrà bruciato come la più eretica delle opere. O forse sarà gelosamente custodito in qualche luogo inaccessibile, fino alla fine dei tempi. Uno scrigno in fondo al mare o la cima della vetta più alta, per il bene dell'intera Umanità, come è sempre stato per i più grandi segreti di tutti i tempi. Qualcuno deciderà per gli altri che debba essere così, soltanto perchè è più comodo convincersi e credere che le cose siano andate in un determinato modo, piuttosto che in un altro.
Potrebbero altrimenti cadere troppe certezze.
Per questo nessuno, parlando, mi citerà mai dicendo: "Dal Vangelo secondo Giuda...".
No, non lo so il motivo, e ormai non è neanche molto importante.
Giuda resterà sempre e soltanto un vile, il simbolo del tradimento per l'intera umanità.
Ma qualcuno si è mai domandato, se le cose fossero andate davvero così, perchè lo feci?
E che cosa ne avrei fatto di quei maledetti trenta denari?
Sono davvero pochi per tradire il proprio Dio, non credete?
Troppo spesso ci si ferma a guardare quella che sembra la nuda realtà dei fatti, troppo spesso ci fermiamo a giudicare.
A decidere, in una determinata situazione, chi ha sbagliato e chi è la vittima.
Ma nella vita quotidiana non esiste una così netta linea di separazione tra il bene e il male, tra la ragione e la pazzìa.
Esistono soltanto situazioni.
E gli esseri umani, imperfetti, che reagiscono.
Ognuno a modo proprio, senza canoni prestabiliti se non quelli dettati loro dalle sensazioni del momento. Reagiscono, talvolta nel modo dagli altri ritenuto giusto, altre volte no.
Ma allora perchè lo faccio?
Sono vecchio, ormai, vecchio e dannato.
Per l'intera eternità.
E non ho più bisogno di giustificarmi davanti a nessuno.
Ma forse ho ancora la speranza, tenue come la luce della lampada ad olio che mi sorregge la vista in questa sera di primavera, che un giorno qualcosa cambierà, che un giorno qualcuno potrà comprendere.......

 

CAPITOLO 1 parte prima

Era l'Anno 2178 D. C. ed il mondo era quasi perfetto.
La Terza Guerra Mondiale, quella del disastro atomico che avrebbe distrutto il genere umano, temuta durante l'ultima parte del Ventesimo Secolo a causa delle Profezie del veggente Nostradamus, non c'era mai stata.
Aveva preso anzi vigore, con l'avvento del Terzo Millennio, una concezione della vita molto più spiritualistica. L'Uomo aveva gradualmente cominciato a guardarsi intorno con occhi diversi, ed era stato come se avesse tratto, da questo profondo mutamento interiore, la forza per compiere l'ultimo passo del proprio cammino evolutivo in uno scatto repentino. Il mondo aveva cambiato aspetto nel giro di pochi anni, e non esistevano più lotte di classe né rivoluzioni.
Lo studio della genetica, prima che fosse definitivamente abbandonato in quanto ritenuto immorale, era riuscito a decifrare quasi completamente i meccanismi della vita stampati a chiare lettere nei filamenti del DNA.
La durata della vita media era arrivata intorno al limite dei centotrenta anni, ed era in lieve ma continua progressione. E l'eventualità che un sovrappopolamento del pianeta potesse dare fondo alle sue risorse non spaventava più come nei secoli precedenti. Diverse spedizioni spaziali erano infatti, confortate dalle immense possibilità offerte dallo sviluppo biotecnologico, partite fiduciose alla ricerca di nuovi mondi abitabili.
Anche la Terra, adesso pienamente riconosciuta e rispettata come madre della vita, era stata curata da quasi tutti i suoi mali.
Le zone invivibili o improduttive erano state ridotte ad una percentuale minima, e la popolazione ridistribuita in modo pressochè uniforme su tutto il pianeta.
I deserti, divenuti immense distese di palme, si erano trasformati in floridi centri agricoli, le foreste tropicali, infoltite e ripopolate, erano tornate ad essere il polmone del mondo.
Tutto era stato rimodellato a misura d'uomo.
La società era costituita in modo semplice: una miriade di piccoli centri, abitati da non più di sessantamila persone, organizzati ed amministrati tutti allo stesso modo.
Il potere politico era tornato in mano alla Chiesa, anch'essa profondamente rinnovata.
Aveva riorganizzato la propria struttura gerarchica e lo amministrava attraverso preti laici, in base a poche semplici regole derivate da una fusione dei Dieci Comandamenti alle più importanti Norme Bibliche, adattate poi alle situazioni della vita quotidiana.
Mi chiamavo Giudhas, avevo trentadue anni, ed ero un uomo felice.
Ero orgoglioso della mia casetta unifamiliare in legno, simile a quella di tanti altri, che si affacciava su un pratino all'inglese folto e ben curato. Dove finiva il prato cominciava un bel viale, ombreggiato da una fila di giganteschi ippocastani che davano il loro tributo all'autunno, mischiando il giallo acceso delle loro foglie all'odore del terriccio umido e facendomi sentire parte integrante dell'universo.
Su quel viale c'era posteggiata la mia auto, il cui scarico non inquinava l'aria, sempre limpida. Quando il sole splendeva sulla sua vernice color oro, facendola luccicare, la trovavo immensamente e stupidamente bella.
Era lo stesso sole che, grazie alla lega superconduttrice con cui erano stati realizzati i pannelli accumulatori, regalava energia elettrica a tutti.
E non c'era bisogno di allarmi rumorosi per proteggere la mia casetta.
Per merito delle generali condizioni di benessere raggiunte da ogni essere umano, la violenza e la delinquenza erano infatti pressochè scomparse dalla faccia della Terra.
Inoltre alla nascita veniva applicato, ad ogni individuo, un microchip nel fianco sinistro.
Era collegato alle ghiandole surrenali, ed era un ripetitore di onde elettromagnetiche a bassa frequenza. Queste avevano il compito, senza recare danno alcuno all'organismo, di abbassare fino ad un limite quanto più possibile vicino allo zero l'aggressività di ogni singola persona.
E se per caso questo limite veniva oltrepassato il chip reagiva: era infatti in grado, attraverso l'analisi degli enzimi prodotti per induzione, di selezionare il tipo di impulso che aveva originato la scarica adrenalinica.
Nel caso di attività cosiddette normali, come il sesso o lo sport, il chip non entrava in azione. Ma se a produrre la scarica era stato uno stimolo di tipo aggressivo, allora questo interagiva immediatamente con le ghiandole, al livello della zona corticale: in tempo zero inibiva la produzione della cortina, il cui scopo è demolire gli acidi lattici per evitare fenomeni di autoavvelenamento, e nel contempo attraverso una reazione a catena faceva aumentare vertiginosamente la produzione di questi ultimi. In questo modo un aggressore si sarebbe trovato a terra, a contorcersi in preda ai crampi, nel volgere di pochi istanti.
Ma non per questo eravamo ridotti, come si potrebbe pensare, a dei robot.
Eravamo semplicemente migliori.
O almeno lo credevamo, non fosse altro per il fatto che il mondo non era divenuto un sudicio ghetto o una immensa prigione come prospettatoci dai film del Duemila.
Eravamo finalmente liberi di vivere le nostre vite senza assurde complicazioni, senza i problemi banali e le cose negative del passato.
Ma non per questo era stato rinnegato tutto quanto ne aveva fatto parte.
Avevamo tenuto le cose buone, come il caffè che mi porse Nicole, mia moglie, quella mattina. Sorrideva, e sul fondo dei suoi grandi occhi, scuri e profondi, brillava come già da qualche giorno una luce particolare. La osservavo divertito e curioso al tempo stesso, seduta davanti a me, mentre un vento leggero le scompigliava i lunghi capelli lisci dal colore dell'ebano.
- Finchè non mi dici cos'hai non mi muoverò da qui, e quindi arriverò tardi al lavoro, e mi prenderò un bel rimprovero. E sarà solo colpa tua - le dissi scherzosamente puntandole contro un dito. Lei continuava a guardarmi e sorridere, silenziosa, gustandosi il momento.
Uscì Jodie e le saltò in braccio.
-Allora, glielo diciamo?- le chiese la bambina.
-Che cosa dovete dirmi?- domandai.
-Ma si, dai- rispose Nicole guardandola con complicità- è ora che anche lui lo sappia.
Jodie, frutto del nostro amore, era la copia perfetta di sua madre.
Mi afferrò la testa e la piegò verso di sè come per confidarmi un segreto importantissimo, poi avvicinò con delicatezza la propria bocca al mio orecchio.
-Avrò un fratellino- disse sottovoce.
Per un attimo il tempo si fermò, non credevo alle mie orecchie.
Posai gli occhi su Nicole, che annuì.
Era vero, un altro sogno si stava realizzando.
Cominciammo a ballare pazzi di gioia, senza badare al tavolino della colazione che si rovesciava a terra, ed al caffè che si spandeva sull'erba a sporcarla di nero come un cattivo presagio.
Mi ero riproposto che per qualche giorno avrei tenuto la notizia solo per me, ma non ci riuscii. Alle dieci di quella stessa mattina lo champagne della marca più buona scorreva a fiumi nella redazione del giornale dove lavoravo, e le strette di mano, i cori, e le battute non si contavano.
Ero un giornalista di strada, di quelli che vanno in giro a indagare per scoprire notizie sensazionali. Prima ero stato barman, e prima ancora estrattore di minerali nei vulcani spenti. Ma non ero un caso particolare, avevamo tutti quanti la possibilità, ogni tre anni, di cambiare lavoro. Una volta fatta la domanda venivamo selezionati, adeguatamente preparati, e poi inseriti senza problemi. Considerando che con l'aumento della lunghezza della vita media erano automaticamente aumentati gli anni lavorativi, questo era uno dei meccanismi che serviva a prevenire l'alienazione dell'individuo.
Là mi trovavo piuttosto bene, anche se la mia vita non era emozionante come doveva esserla stata quella dei miei colleghi di qualche decennio prima, e quell'impiego mi piaceva molto. La professione del cronista detective era rimasta più che altro una mia immagine segreta, romantica e affascinante, perchè le lunghe veglie notturne, e gli appostamenti per cercare di scoprire qualcosa di interessante, non esistevano ormai più da tempo. In un mondo del genere ogni avvenimento era vissuto in tempo reale, ed essendo quasi del tutto scomparsi la malavita e la politica, erano ben pochi gli argomenti degni di nota. Le situazioni particolarmente intriganti su cui indagare erano sempre meno, ma in fondo quella routine mi piaceva, e se uno se la cavava abbastanza bene riusciva sempre a trovare qualcosa su cui realizzare un buon articolo.
La sera stessa festeggiai di nuovo, da solo con Nicole, che fu entusiasta di quella cena a base di pesce, e soprattutto delle primizie coltivate sul fondo del Mar Mediterraneo.
Ebbri per l'euforia, esaltata dall'ottimo vino blu, frizzante e leggermente salato, facemmo tutta una serie di progetti sul bambino.
Sarebbe stato bello, forte, intelligente.
Forse un artista, o addirittura uno scienziato.
Per concludere la serata ci recammo al cinema totale a vedere un film interattivo, dove grazie ad una sofisticata apparecchiatura potevamo scegliere di essere i personaggi della storia e viverla da protagonisti, interpretandola secondo le nostre emozioni e sensazioni.
Infine, giunti a casa al colmo della felicità, trascorremmo il resto della notte facendo l'amore. Poi la quotidianità riprese il sopravvento, e le settimane trascorsero serene tra le gite in barca, lo sport, il mio lavoro e le mostre di pittura dinamica di Nicole, che era la migliore in quel genere di rappresentazioni.
La sua pancia continuava a crescere, ed io passavo ore a guardarla, accarezzarla ed ascoltarla durante le pause nella preparazione della camera del bambino.
Di tanto in tanto ci guardavamo fissi negli occhi e ci perdevamo l'uno nell'altra, senza parlare, fino a sentirci una cosa sola.

D'improvviso, però, la nostra vita fu totalmente sconvolta.
Mi trovai coinvolto in una serie di avvenimenti che si susseguirono con un ritmo impressionante, senza che riuscissi a capirli nè ad opporre resistenza, e che attraverso le strade intricate che percorsi mi portarono fino a qui.
Pur continuando a pormi domande per anni, ed a fare il gioco dei se e dei ma, non sono mai riuscito a capire perchè è successo tutto questo, e soprattutto perchè è accaduto proprio a me. So soltanto che è accaduto, e l'unica spiegazione che sono riuscito a darmi, accontentandomi di non spingermi oltre, è che esiste una ragione per ogni evento che accade nell'intero Universo, da una brezza leggera ad una bomba che esploda.
E' una storia incredibile, lo riconosco.
Io stesso sono arrivato più volte a dubitare di averla realmente vissuta, talvolta ho temuto di essere impazzito e di essermi perduto dentro i tortuosi meandri di una mente malata e priva di controllo.
Ma quando il mio sguardo corre alle capanne, al fiume, o al deserto, o quando alzo la veste di lana e vedo sul mio fianco la cicatrice, spessa e malcurata, allora mi rendo conto che è stato tutto quanto maledettamente vero.
Cercherò ora di narrare in modo imparziale, da giornalista, quello che accadde, cosicché possiate capire voi stessi il perchè dell'amarezza che permea le affermazioni che ho fatto all'inizio. Probabilmente, nell'esposizione dei fatti che farò, sarà presente qualche inesattezza o qualche incongruenza, in merito a qualche particolare o nella successione temporale degli eventi.
Queste sono dovute al fatto che non tutto si è svolto in modo lineare e che la mia memoria comincia ad essere stanca ed imprecisa.
Comunque, anche se non sono stato presente a molti degli avvenimenti che racconterò, alcuni mi sono stati riportati successivamente, mentre per gli altri è facile immaginare che le cose possano essere andate proprio così.

Il foglio uscì dalla stampante accompagnato da un breve ronzio, per andare a depositarsi dolcemente nel raccoglitore dopo un salto di pochi centimetri.
Il dottore spense le apparecchiature e lo raccolse, quindi osservò con attenzione i dati per qualche istante.
-Non deve preoccuparsi di niente signora, tutto sta procedendo per il meglio. I parametri sono tutti nella norma, ma c'è di più. Dall'analisi dei suoi geni risulta che suo figlio, oltre ad essere biologicamente perfetto, avrà eccellenti qualità morali ed intellettive.-
La donna gli donò uno stupendo sorriso, poi salutò ed uscì dall'ambulatorio.
Il dottore era un uomo sui quarant'anni, non troppo alto ma massiccio, e aveva il viso butterato. Gli occhi piccoli e vicini, sfuggenti come se guardasse sempre altrove, ricordavano quelli di un topo. Si alzò e digitò la combinazione sul pannello, posto al fianco del montante, per la chiusura elettronica della porta. Controllò attraverso la telecamera che non ci fosse più nessuno in sala d'aspetto, poi tornò alla scrivania e premette un pulsante nascosto sotto il fermacarte.
Uno specchio alto due metri scorse lateralmente su di una guida nascosta nel pavimento, aprendo la vista ad una piccola stanza celata. Dentro, un uomo. Con le mani giunte dietro la schiena osservò dalla finestra la donna allontanarsi per strada, finchè non l'ebbe persa di vista dietro nel sonnacchioso traffico cittadino.
Solo allora si voltò lentamente, ed i suoi occhi dal colore del ghiaccio si immersero speranzosi in quelli del dottore, esprimendo una richiesta ben precisa.
-Avete potuto vedere coi vostri stessi occhi Eccellenza- rispose questi con tono trionfante alla muta domanda - fisicamente incarna la perfezione, e conoscete i suoi dati biomorali meglio di me.-
Era vero, l'Anziano aveva studiato per settimane, nei minimi particolari, i rapporti che il dottore puntualmente gli passava ogni qualvolta portava a termine l'indagine su un gruppo di donne.
-E' sicuramente uno dei migliori esemplari, se non il migliore in assoluto, tra tutti quelli che abbiamo analizzato. Le sue qualità sono meravigliosamente elevate sia sotto il punto di vista intellettivo che sotto quelli morali, caratteriali ed estetici- concluse.
-Siete proprio sicuro che sia adatta allo scopo?- domandò l'uomo dai capelli bianchi per avere un'ulteriore quanto inutile conferma.
-Preferirei non illudermi invano, piuttosto che ritrovarmi con un pugno di mosche quando saremo giunti ad una fase del Progetto troppo avanzata per cambiare rotta.-
Il dottore annuì con sottile sorriso di soddisfazione dipinto sulle labbra, rosse e carnose come quelle di una donna, che stonavano nel forte contrasto coi capelli radi e scuri.
L'Anziano ricongiunse le mani dietro la schiena, poi calò il mento sul proprio petto e restò assorto per qualche istante in silenziosa meditazione.
Poteva finalmente cominciare a raccogliere i frutti dei lunghi anni del suo lavoro, anni trascorsi a sviluppare quell'impresa, che era l'unico scopo di tutta la sua vita.
Che era, e sarà sempre, l'aspirazione segreta insita nell'animo di ogni essere umano, anche del più abietto.
Si era immaginato quel momento molte volte, ed aveva sempre pensato che avrebbe reagito in maniera ben diversa di fronte all'emozione datagli da quella stupenda notizia.
- E' il tassello che ci mancava - disse invece molto semplicemente, come se quella piccola grande vittoria fosse stata la cosa più naturale del mondo.
Era come se avesse avuto da sempre la piena consapevolezza che prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Ma nonostante tutto erano ancora molti gli ostacoli da superare, e sapeva bene che per molto tempo ancora avrebbe dovuto impiegare tutte le energie di cui disponeva nel conseguimento del suo obiettivo, senza mai distrarsi né abbassare la guardia.
-Adesso potremo finalmente cominciare la fase conclusiva del Progetto Cielo- aggiunse.
-Credo che non sarà per niente facile convincerla- obiettò timidamente il dottore.
-Io non penso, in fondo le stiamo offrendo qualcosa di grandioso in cambio di un piccolo sacrificio.-
Il dottore rimarcò i suoi dubbi con uno sguardo perplesso, allora un lampo di determinazione attraversò gli occhi dell'Anziano rendendoli per un attimo ancora più vivi.
-Accetterà, in un modo o in un altro- tagliò corto.

La fastidiosa pioggerellina fine, fredda ed uggiosa, aveva continuato a cadere lentamente, per tutto il giorno, ad intristire la città e gli animi della gente.
I tre Signori dell'Ordine erano usciti sfrecciando dal parcheggio senza curarsene assolutamente, fasciati nelle loro scure uniformi aderenti ridevano e scherzavano come se stessero recandosi a fare una scampagnata.
I fari dell'auto si riflettevano sull'asfalto grigio, bagnato e lucido, in lunghi fasci luminosi che andavano a perdersi lontano.
-Un'altra giornata di caccia, eh?- disse il ragazzo al volante rivolgendosi al capopattuglia, seduto al suo fianco.
-Già- rispose distrattamente questi mentre lucidava il distintivo per poi assicurarsi, osservandolo per bene in controluce, che non vi fossero aloni - e vorrei che stavolta fosse davvero l'ultima.-
-Quand'è che la smetterai di torturare quella povera patacca- gli domandò Nick sfottendolo dal sedile posteriore, riferendosi alla sua piccola manìa.
-Quando anche la tua patacca sarà d'oro come questa- rispose Joe passandogliela sotto il naso perchè la potesse vedere bene -e ti mancheranno sei giorni alla pensione come a me, vedrai che la torturerai pure tu. Annusala, senti il profumo della libertà.-
Fabien, alla guida, aveva il corpo sottile e nervoso, le spalle strette e la testa perfettamente rotonda, sulla quale spuntava in modo abbastanza evidente il naso a patata.
Le lunghe braccia tenevano saldamente il volante, gli occhi verdi un pò sporgenti scrutavano attentamente ogni centimetro di strada.
-Peccato che anche stavolta si risolverà tutto con un nulla di fatto.-
-Sarei proprio curioso di vedere dal vivo gli effetti devastanti di questo aggeggio, anzichè nelle stupide simulazioni del corso- aggiunse portandosi una mano alla cintura.
-Ma purtroppo, o forse per fortuna, non ne avremo mai l'occasione- concluse mimando il gesto di far fuoco contro un bersaglio immaginario con il pollice e l'indice della mano destra.
-E' proprio così- rispose Joe sospirando con l'aria di chi la sa lunga -anche questa volta il cattivo di turno, dopo averci tenuti sulla corda per un paio d'ore, uscirà frignando e strisciando. Nessuno si farà un graffio, e la gente applaudirà soddisfatta per lo spettacolo e perchè anche stavolta il cattivo avrà perso. Torneranno tutti quanti a casa felici e contenti tranne noi, che continueremo ad imprecare per non aver potuto vedere la finale dei Bulls. Perdipiù stasera avrei dovuto festeggiare il quarantesimo anniversario di matrimonio, e tanto per cambiare arriverò in ritardo. Così anche quest'anno mia moglie mi griderà in faccia che amo di più il lavoro di quanto amo lei, e lo farà minacciandomi con il suo mattarello.-
-Ehy tu, rallenta o ci beccheremo una bella multa per eccesso di velocità- disse Nick a Fabien per sdrammatizzare un pò la situazione della quale, nonostante tutto, facendosi più vicini al luogo dell'intervento cominciavano a sentire la tensione.
Risero di gusto, mettendoci la giusta quantità di nervi, poi il ragazzo prese il microfono della radio e se lo portò alla bocca con gesti lenti e misurati, facendo la parodia di un personaggio di qualche vecchio film, e risero ancora.
-E' la pattuglia numero sette che parla. Ci stiamo dirigendo sul luogo, ci sono novità in corso?-
-E' la Base Operativa che parla. Nessuna novità, il tipo se ne sta comodamente barricato nell'appartamento. Non sembra pericoloso, solo che si rifiuta di uscire. L'indirizzo è confermato.-
-Bene- disse Fabien accendendo i lampeggianti e le sirene per poi schiacciare con decisione l'acceleratore -rotta per il Quarto Quadrante.
-Chissà perchè tutti quelli che rifiutano di sottoporsi al trattamento sono residenti nel Quarto Quadrante - si domandò Nick a voce alta.-
-Sarà colpa dell'aria, delle radiazioni, o di qualcosa del genere- scherzò il capopattuglia mentre passava di nuovo il fazzoletto sul piccolo disco d'oro, che continuava ad appannarsi a causa dell'umidità . Il ragazzo parcheggiò l'auto in modo plateale, saltando il marciapiedi e facendo un testacoda che alzò un'onda di schizzi e fango sul prato antistante la casa, ad una trentina di metri di distanza da essa.
Una piccola folla seguiva emozionata lo svolgersi degli avvenimenti.
Occhi avidi osservavano, quasi nutrendosene, la luce lampeggiante che piroettava su sé stessa, lanciando lampi azzurri e rossi , belli quanto potenti, a squarciare il velo nebuloso della sera. Gli spettatori erano consapevo li che la fortuna di assistere ad uno spettacolo simile poteva capitare una sola volta nella vita, ed erano ben decisi a gustarselo fino in fondo.
-Tocca a noi - disse in tono grave Joe dopo essersi sistemato i baffoni grigi da tricheco -posate le armi nel bagagliaio.-
-Ma come, senza armi può essere pericoloso- obiettò Nick.
-Ma quale pericoloso, non l'hai visto come ci osserva dalla finestra, è terrorizzato.-
-E' proprio per questo, può commettere qualche sciocchezza- intervenne Fabien.
-La visione delle armi è sempre stata un buon deterrente- stava ancora insistendo Nick.
-Ho detto di posarle - rispose seccamente Joe, che sentendosi contraddetto aveva assunto un' espressione alterata e severa. Si avviò verso la casa con passo deciso, e Fabien ammirò il suo saper smettere di essere uomo in un attimo per diventare poliziotto. Pochi passi ed erano già a metà del vialetto pavimentato di mattonelline arancioni.Le Guardie Semplici che stavano sorvegliando la casa rivolsero loro il saluto formale, quindi andarono a rafforzare il cordone destinato a tenere buona e lontana la folla.
-Cucù- esordì Joe bussando ripetutamente alla porta mentre gli altri due sorridevano - c'è qualcuno?-
La porta fece una piccola rotazione intorno ai cardini, ed uno spiraglio di luce si insinuò nell'oscurità accompagnato da un cigolìo. L'uomo dall'altra parte lo guardava senza battere ciglio. La fronte era ampia e imperlata di gocce traslucide, le vene sulle tempie gonfie a causa della tensione.
-Voglio parlare con un giornalista- esordì con voce stridula.
-Avanti bello- tagliò corto l'altro -falla finita, tra un'ora si gioca la partita dell'anno e non vogliamo perdercela. Ognuno di noi ha i propri problemi, ma non per questo possiamo coinvolgere gli altri. E poi arrenderti ora o fra tre ore che differenza ti fa? Tanto lo sai che ti arrenderai comunque.-
-Ho detto che voglio parlare con un giornalista- ripetè l'altro come non avesse sentito.
Il Signore dell'Ordine stava già cominciando a perdere la pazienza, però gli dispiaceva dover usare la forza contro quell'uomo. In fondo era soltanto un povero disgraziato, uno che per comportarsi così che aveva probabilmente perduto tutto ciò che aveva. Poi i loro sguardi si incontrarono e Joe trasalì. Non aveva letto negli occhi piccoli e vicini dell'altro, come si sarebbe aspettato, paura o disperazione, ma soltanto fredda determinazione. In una frazione di secondo intuì la vera entità del pericolo che stavano correndo, proprio mentre dall'altra parte della porta udiva il secco scatto metallico prodotto da una sicura quando viene tolta. Il sangue gli si fece di gelo nelle vene perchè si rese conto che sicuramente, dietro la porta, c'era un'arma puntata contro di lui e pronta a sparare. Ma dove poteva averla presa? Per un civile era praticamente impossibile procurarsi fucili, pistole, o qualsiasi altro strumento tecnologico di offesa.
-Stai calmo, parliamo- disse subito per guadagnare tempo e razionalizzare la nuova situazione, intanto aveva preso a fare dei gesti a Fabien con la mano dietro la schiena perchè andasse alla macchina a prendere la dotazione da combattimento. Questi, che si era spostato all'angolo della palazzina per sorvegliare l'altra uscita, capì e prese immediatamente a correre verso l'auto. L'orecchio esperto di Joe aveva riconosciuto, dopo lo scatto della sicura, il ronzìo d'innesco della microturbina, ed aveva capito che a tenerlo sotto tiro era una pistola laser tra le più potenti, in grado di trapassare senza sforzo, né pericolose rifrazioni, quasi ogni tipo di materiale. Si domandò ancora come l'altro avesse potuto impossessarsene, ma quando abbassò gli occhi fingendo un colpo di tosse, e vide che una macchia di sangue si stava rapidamente allargando sotto la porta, sulla soglia in marmo, capì.
-Il chip- mormorò tra sé. In quel preciso istante ebbe la certezza che si trovavano veramente in una situazione di grave pericolo, avevano davanti un uomo pronto a tutto. Con un balzo felino, incredibilmente agile per una persona della sua età e della sua mole si buttò addosso a Nick, ed entrambi caddero giù dal balconcino spezzando il corrimano in legno che accompagnava il pergolato attorno alla casa. Durante la caduta, senza neanche doverci pensare, il capopattuglia aveva già deciso senza esitazioni che cosa avrebbe fatto subito dopo. Sicuramente adesso l'uomo stava cercando di prendere di nuovo la mira da dietro la porta, che nel frattempo aveva accostato, ma non doveva avere molta dimestichezza, quindi con ogni probabilità ci avrebbe messo pò di tempo. Quei pochi attimi erano improvvisamente divenuti i più preziosi di tutta l'esistenza di Joe, che li avrebbe impiegati per risalire velocemente i tre scalini e dare una possente spallata alla porta. L'altro, che era certamente nascosto dietro di essa, sarebbe rimasto travolto ed avrebbe perduto l'equilibrio e l'arma, e loro lo avrebbero immobilizzato ed arrestato. Sarebbe stata davvero una bella mossa, l'ultima eroica impresa prima di andare in pensione con tutti gli onori, e forse gli sarebbe valsa un altro distintivo d'oro. Come sarebbe stato bello. Glielo avrebbero consegnato nel bel mezzo di una grande festa tutta per lui, durante la quale, indossando stupidi cappellini di carta e lanciandogli addosso coriandoli colorati, i suoi compagni gli avrebbero cantato dei cori meravigliosi che lo avrebbero fatto piangere. Si, avrebbe pianto. Perchè era un maledetto, stupido, sentimentale, e dal giorno in cui aveva prestato il giuramento alla divisa, tanti anni prima, aveva sempre cercato di rispettarlo con il massimo impegno possibile. E benchè in quel lontano giorno non avesse ancora neppure la barba c'era riuscito, ed era riuscito persino a farsi una bella famiglia, con tanto di moglie brontolona che quella stessa sera l'avrebbe rimproverato per aver voluto rischiare ancora una volta la propria vita. Perchè un rischio, seppur minimo, c'era sicuramente, ma non potevano aspettare che l'altro perdesse la ragione e si mettesse a sparare a casaccio, sarebbe stato troppo più pericoloso. Con la mente aveva già vissuto la scena decine di volte, ma soltanto quando capì che le proprie gambe si rifiutavano di obbedirgli si rese conto di essere ancora disteso al suolo. No, non ancora. Di nuovo. E stavolta aveva gli occhi sbarrati in un'espressione idiota. I baffi grigi, sporchi di sangue, incorniciavano la bocca spalancata, che era ormai incapace di sfogare il grido che gli rimbalzava da una parte all'altra del cervello cercando invano una via d'uscita. Era sorpreso di come non provasse dolore, soltanto una sensazione di disagio a causa della tuta umida che gli stava appiccicata addosso. E di fastidio nel capire che stava morendo, e che gli stava accadendo nell'unico modo in cui aveva sempre pensato che non gli sarebbe mai successo. Si sentì stupido. Morire così, a sei giorni dalla pensione, dopo una vita tutto sommato tranquilla. Avrebbe voluto lottare con tutte le sue forze per non soccombere, ma sapeva che sarebbe stato perfettamente inutile. Sarebbe stato patetico. Mentre ancora si domandava cosa poteva non aver funzionato, gli tornò a mente il distintivo. Diresse lo sguardo verso il petto ma si accorse che non vedeva piò. Allora corse a cercarlo con la mano, ma questa cadde in una voragine che gli parve immensa, gli sembrò che affondasse nei propri stessi polmoni avidi d'aria, a togliergli il respiro già troppo faticoso. Cercò di tirarla fuori senza riuscirci.
"Il mio distintivo" pensò un'ultima volta mentre la porta si serrava di nuovo.
La gente, molto lentamente, prendeva coraggio e si rialzava da terra, con gli occhi immensi per la paura ed il viso sporco di fango.

Era un banalissimo giovedì sera, ed in redazione eravamo tutti quanti molto indaffarati. Ognuno di noi era intento a dare gli ultimi ritocchi alle proprie bozze prima del definitivo passaggio in rotativa. In realtà le rotative non esistevano più da tempo, perchè tutto il lavoro si svolgeva a livello telematico, ma era rimasta la terminologia. Il rumore di fondo delle stampanti era sovrastato, di tanto in tanto, dalle risa provocate da qualche scherzo o dalla lettura di qualche notizia particolarmente strana. L'atmosfera all'interno del grande ufficio si fece improvvisamente tesa: i telefoni presero a squillare ininterrottamente, i fax collegati alle agenzie sputavano fogli su fogli per aggiornarci in tempo reale su un fatto di cronaca, piuttosto grave, che si stava svolgendo nella nostra città proprio in quei minuti. Dopo aver scorso velocemente il contenuto del primo foglio, Cindy gridò con tutta la voce che aveva per riportare il silenzio, in modo che tutti potessero udire.
-Un cittadino del Quarto Quadrante ha rifiutato di sottoporsi al trattamento dell'Ibernazione Transitoria e si è barricato in casa.-
Un vocìo leggero dovuto all'intreccio di commenti indifferenti si levò nella stanza. Un fatto del genere era raro ma non era nuovo nella nostra città, e mai c'erano state gravi conseguenze.
-E' armato- aggiunse subito dopo con voce tremante -ed ha ucciso il capopattuglia della Squadra Sette.-
Erano anni che non si verificava un omicidio, il brusìo cessò di colpo e tra noi calò una sensazione di gelo. Adesso la guardavamo preoccupati perchè sapevamo che la notizia non era finita lì , ed attendevamo dalle sue labbra la conclusione della frase. Forse stava per domandarci chi si offriva di andare sul posto, per essere presente ai fatti in modo da scriverci sopra un bell'articolo, e sicuramente sarebbero stati ben pochi quelli che avrebbero alzato la mano. La Legge stabiliva che ogni anno il Cervellone del Centro Ricerche doveva selezionare un gruppo tra tutte le persone che, per un motivo o per un altro, erano rimaste sole. I prescelti venivano poi ibernati per un periodo variabile da pochi anni ad un secolo. Questo meccanismo serviva a risolvere una serie di potenziali problemi: per prima cosa non c'erano in giro molte persone frustrate dalla solitudine, in grado quindi di alterare, comportandosi in modo strano, gli equilibri sociali. Col tempo, poi, si era creato un piccolo esercito di persone prive di legami affettivi, che avrebbero quindi potuto essere ottimi soldati in caso di un eventuale attacco da parte di civiltà extraterrestri, cosa molto temuta in quegli anni a causa dei ripetuti avvistamenti di oggetti volanti sconosciuti. Infine c'era un serbatoio di umanità sempre pronto per il caso in cui qualche evento particolare, magari una malattia sconosciuta, avesse abbassato i livelli demografici di guardia.
-Vuole essere intervistato da uno di noi- concluse la ragazza dopo una pausa che sembrò interminabile, e mi sembrò che dicendolo guardasse proprio me. Frederick, il mio migliore amico e vicino di scrivania, ebbe un sussulto. Notai dalla sua espressione che era contrariato e preoccupato al tempo stesso, come se ci fosse qualcosa che lo turbava aldilà del fatto puro e semplice. In un lampo aveva riflettuto e deciso. Era fatto così, era impulsivo, volitivo, e profondamente convinto dei propri mezzi.
-Vado io- aveva detto alzandosi di scatto in piedi. Le manone forti erano poggiate sulla scrivania, aveva i palmi arrossati per il peso eccessivo e le spalle un pò curve in avanti come nella preparazione ad un imminente combattimento. Ero deluso perchè mi aveva anticipato solo di un attimo. Come ho già detto le occasioni per scrivere un articolo un pò diverso, vivo ed intenso, non erano molte, ed avrei voluto che il compito fosse affidato a me.
"Be' , la prossima volta, se ce ne sarà una, sarò più veloce", pensai già rassegnato.
-Mi dispiace ma non è possibile- disse Cindy rivolgendosi a Freddy.
Lui girò la testa e la fulminò con uno sguardo rabbioso, in quel momento sembrava un toro infuriato. Odiava essere contraddetto, era una cosa che lo faceva andare su di giri nel giro di un istante, e quello era soltanto uno degli aspetti del suo carattere che rendeva difficile stargli abbastanza vicino. Adesso aveva il petto gonfio e si era fatto rosso in viso, e pur essendo distante da lui almeno tre metri la ragazza fece un istintivo passo indietro.
-Non è colpa mia- aggiunse poi con un filo di voce mettendo bene in vista il foglio
-qui c'è scritto che vuole lui- balbettò indicando proprio me.
Fred rimase per un attimo interdetto. Il suo sguardo carico d'ira indugiò a lungo su di me, squadrandomi da capo a piedi per poi tornare sulla ragazza, come se fosse lei responsabile della situazione. Io provai un misto di gioia e paura: la situazione nella quale sarei andato a cacciarmi non sarebbe stata certo delle più gradevoli, tutt'altro, ma quella era probabilmente l'unica occasione per scrivere davvero l'articolo della vita. Il mio amico aveva preso a scagliare a terra con forza tutto ciò che aveva a portata di mano, imprecando con convinzione, mentre i nostri colleghi, sapendo come diventava quando s'incolleriva, si erano allontanati il più possibile dal suo raggio d'azione. La luce rossa sul suo telefono, quella delle chiamate importanti, si accese appena un attimo prima che questo toccasse il pavimento sbriciolandosi letteralmente. Si fece passare la chiamata sull'apparecchio della scrivania accanto, la mia.
-Non è ancora detta l'ultima parola- mi disse puntandomi il dito contro mentre uscivo di soppiatto.
Rimasi fermo sulla soglia, incuriosito, con l'impermeabile in mano. Come se avesse avuto davanti il proprio interlocutore si ricompose e raddrizzò le spalle, poi si riavviò i capelli mossi che sembrava volessero scappargli dalla testa in ogni direzione.
-Sono io Eccellenza, ditemi..... ma non è possibile mandare lui, questo servizio è classificabile come "ad alta percentuale di rischio" , e Giudhas non ha abbastanza esperienza..... e poi le responsabilità.... lo so che ha chiesto espressamente lui, ma posso andare io a nome suo..... come riconoscermi, avrà semplicemente letto il suo nome in fondo a qualche articolo.... se la mettete in questo modo non posso fare altro che obbedire.....- disse a denti stretti mentre inavvertitamente abbassava il capo in segno di sconfitta.
-No Eccellenza, vi prometto che non farò di testa mia...... certo, le farò avere quei rapporti... sempre sia lodato. Carogna - aggiunse poi a voce bassa dopo che ebbe riattaccato.
-Non finisce qui- concluse infine rivolgendosi a me.
Abbozzai un sorriso di circostanza ed imboccai il corridoio diretto verso l'uscita, lungo il quale alcuni colleghi si dimostrarono prodighi di parole d'incoraggiamento.

Mentre guidavo in direzione del Quarto Quadrante mi venne fatto di pensare che niente accade mai per caso. Presi allora a domandarmi, come normale conseguenza, il motivo di quell'improvviso colpo di fortuna. Effettivamente le cose, ultimamente, mi stavano andando bene su tutti i fronti. Così mi dissi che forse, anche se probabilmente non avevo fatto niente di particolare per meritarmela, quella era una specie di ciliegina sulla torta, la più grossa soddisfazione professionale che avrei mai potuto avere. Avevo appena finito di leggere la scheda dell'individuo da intervistare, che mi era arrivata attraverso il modem dell'auto. Era un tale di nome Lorentz che sembrava fosse improvvisamente impazzito. Avevo ripreso a lambiccarmi il cervello cercando una spiegazione. Il telefono sul cruscotto trillò facendomi riemergere dai miei pensieri improvvisamente, con un sussulto che mi dimostrò quanto fossi teso. Era mia moglie.
-Ciao tesoro- le dissi subito con entusiasmo non proprio sincero-non immaginerai mai quello che mi sta accadendo.-
-Non andarci, ti prego- fu la sua risposta.
-Questa è l'occasione della mia vita e non dovrei andarci? E poi come fai a sapere già tutto? Già, la televisione.... ma che hai?-
La sua voce, di solito così dolce, mi pareva roca, come rotta dal pianto, e mi mise addosso una profonda angoscia. Un brivido mi corse lungo la schiena.
-Devo andarci, mi è stato ordinato....- le dissi ancora dopo aver indugiato un attimo per ritrovare un tono normale.
-Che ci vadano loro, se ci tengono tanto a quel maledetto articolo, non puoi rischiare la vita per una stupida pagina di giornale- rispose con rabbia.
-Che ti prende Nicole, non ti ho mai sentita così.....ti ho detto che devo andarci.... ...ma come è proprio per questo? Spiegati, per favore. Solo un brutto presentimento? Ma dai, cosa vuoi che possa mai accadere, andrà tutto bene. Cerca di stare tranquilla, tra un paio d'ore sarò a casa sventolando il mio bell'articolo- le dissi mentre già cominciavo a crederci di meno -anch'io ti amo.- Riattaccai e mi accorsi che stavo sudando freddo.

Il ragazzo stava correndo più veloce che poteva verso l'auto. Il segnale di Joe ed il modo in cui l'aveva guardato erano stati fin troppo chiari. Correva mettendo nei propri muscoli tutta l'energia che aveva, scoprendo in sé risorse inaspettate, mentre eccitazione e paura si confondevano in lunghe ondate che dal petto gli salivano fino alle tempie, che mischiate alla fatica contribuivano a stordirlo. La percezione improvvisa del rischio, senza la possibilità di una scelta alternativa, gli aveva provocato un dubbio. Finora era stato tutto un pò come un gioco, come tirare sassolini alla tigre nella gabbia di uno zoo, e adesso che qualcuno aveva liberato la belva si domandò perchè essere lì era l'ultima cosa che avrebbe voluto al mondo. Si chiese se fosse solo un vigliacco, o se la prima volta fosse così densa di tormento per tutti. Aveva cominciato il corso appena un anno prima, e da sole cinque settimane era diventato operativo. La sua mente saltava da un pensiero all'altro, tra mille immagini e parole che gli rimbombavano nella testa, e più di tutto cercava di ricordare le cose che gli avevano insegnato durante l'addestramento. Improvvisamente si rese conto che il corso gli aveva fruttato ben poco, le nozioni che avevano cercato di inculcargli in testa, quasi fino a farle diventare riflessi condizionati, gli erano scivolate addosso come acqua su di un impermeabile, senza lasciar e la minima traccia. In più mancava dell'istinto e della determinazione che ogni buon poliziotto deve avere per natura. No, non sarebbe mai stato come Joe. Semplicemente perchè nonostante tutto non avrebbe mai voluto esserlo. Lui amava la natura e le arti, la pittura e la musica, e non la vita dura. Se adesso si trovava lì era solo perchè si era arruolato senza un vero motivo se non un desiderio di rivincita verso i suoi coetanei. Già, aveva sperato che così avrebbero finalmente smesso di prenderlo in giro, di trattarlo come un tipo strano o una femminuccia, e che la divisa gli avrebbe donato quel rispetto che non era riuscito a guadagnarsi da sé nella vita quotidiana.
"Devo far presto" si diceva, ed ogni traccia di spavalderia era ormai scomparsa dal suo volto. Adesso era quella strana sensazione a minare la sua espressione, rendendo contratto e ogni singolo muscolo della sua faccia. Si malediva per aver desiderato anche solo per un attimo, anche solo per scherzo, di poter usare gli strumenti di morte che ad esso lo attentevano, freddi ed efficienti, nel bagagliaio. Gli venne anche fatto di pensare che forse era tutta una messinscena, una esercitazione per metterlo alla prova, perchè non era possibile che tutto questo capitasse proprio a lui.
"Devo far presto" continuava a ripetersi , ma le proprie gambe, ostinate, non gli rispondevano come avrebbe voluto. Era come se stesse correndo lungo una spiaggia e queste, immerse nell'acqua fino alle ginocchia, procedessero a rilento rispetto alle braccia che mulinavano nell'aria come impazzite.
"A terra" sentì gridare, e si tuffò meccanicamente. Era ormai giunto in prossimità dell'auto, e lo slancio lo fece scivolare sul fango finchè non andò a sbattere contro il paraurti. La clavicola della sua spalla destra si spezzò e lui urlò per il dolore. Poi si voltò per vedere cosa stava accadendo e gli sembrò di assistere ad un film al rallentatore, la plafoniera fissata all'architrave della porta era l'involontario, assurdo, occhio di bue.
-Coprimi- aveva ordinato Joe a Nick nel momento in cui avevano toccato terra, scordando che Nick, come lui era disarmato. Poi, mentre l'altro cercava ancora di rialzarsi, in un soffio era di nuovo in corsa con la spalla protesa verso la porta. Un attimo durò un'eternità. Aveva gli occhi socchiusi per lo sforzo e la paura, e non appena ebbe l'impatto con la bianca lastra laccata fu come se questa, offesa, avesse immediatamente reagito. Un lampo di colore verde fluorescente lo aveva attraversato come fosse stato un ologramma, poi aveva proseguito la sua corsa fino ad un auto parcheggiata a trenta metri di distanza, facendola esplodere in un istante. Una mano invisibile aveva sollevato il capopattuglia e l'aveva scaraventato violentemente indietro, mentre dalla sua tuta bruciacchiata saliva al cielo una colonnina di fumo acre. Il suo distintivo era rotolato nellaria, scintillando come un piccolo disco di luce. Adesso era di nuovo a terra, immobile a pancia in su, la testa lievemente reclinata sulla destra. Le gambe poggiate in modo scomposto sui gradini in legno si muovevano a scatti, la pipì fuoriusciva copiosa, dal corpo ormai senza controllo, ad insozzargli le cosce. Con un ultimo impercettibile movimento si era portato un braccio al petto. Fabien aveva le guance rigate dalle lacrime, vedeva abbagliato ed era scosso da violenti conati di vomito a causa del dolore alla spalla e di quello che aveva visto. Gridava forte il nome del suo compagno, ma non si rendeva conto di tutto questo, non si rendeva neanche conto di avere una spalla spezzata. Tutto ciò che riusciva a vedere era Joe disteso a terra. In quel momento Fabien era soltanto i propri occhi verdi. Poi, repentinamente, qualcosa cambiò in lui. Nel volgere di pochi istanti aveva smesso di essere un ragazzo per ritrovarsi suo malgrado definitivamente uomo. Non sarebbe mai stato come Joe, ma ci avrebbe almeno provato. Sentiva di doverglielo. Smise di piangere e si passò l'avambraccio sul viso per pulirlo. Gli occhi erano divenuti due strette fessure, le labbra increspate svelavano i denti, larghi e spessi, digrignati a causa della rabbia cieca.
-Figlio di puttana- disse sottovoce -la pagherai cara.- Subito dopo aprì il portello della macchina e si avviò verso la casa con passo fiero, le pistole laser strette in pugno. Quando fu abbastanza vicino a Nick, che lo guardava impietrito, gliene lanciò una, e con un gesto che non ammetteva repliche gli indicò la porta sul retro. Raccolse il distintivo e lo strinse fino a farsi sanguinare il palmo della mano, come se questo avesse potuto trasmettergli la forza e l'esperienza del suo compagno. Dopo averlo ripulito con cura lo riappuntò al petto di Joe, infine gli abbassò le palpebre. Si stupì di non aver vomitato di fronte allo spettacolo del corpo martoriato del compagno, e dalla puzza che ne veniva.
-Esci fuori con le mani in alto, bastardo- disse in modo risoluto.
-Non è colpa mia- piagnucolava l'altro da dietro la porta -il colpo è partito quando mi ha urtato..... è stato un incidente, non volevo fare del male a nessuno..... vi prego, non cercate di entrare o qualcun altro si farà male, io voglio solo rivedere mio figlio..... e voglio parlare con un giornalista. Le serrature si squagliarono sotto il calore del laser. Nick avanzava nel buio col cuore in gola, lentamente. Aveva visto morire Joe a pochi metri da lui ed era terrorizzato, pensò che se fosse stato più veloce a rialzarsi adesso sarebbe stato anche lui disteso nel pratino, ormai privo di vita. Cercava di trattenere il respiro per non fare rumore, ma il rimbombare dei battiti del proprio stesso cuore nel petto gli dava i brividi. Fino ad allora era stato da sempre destinato a semplici incarichi di sorveglianza proprio per la sua codardia, gli avevano sempre assegnato i servizi meno rischiosi. E adesso, per una assurda serie di coincidenze si trovava lì a due passi dalla morte, gli sembrava di percepirne l'odore. Gli occhi si erano ormai abituati alle tenebre e continuava ad avanzare senza neanche un'ombra di convinzione, si sentiva soffocare ed era certo che da qualche parte, prima o poi sarebbe improvvi samente sbucato il suo carneficie, dal quale era sicuro che non avrebbe saputo difendersi. Se lo immaginava dritto e cattivo davanti a sè , con il laser in mano, che gli sparava alle gambe per farlo soffrire, ridendo. Poi si sarebbe stufato e lo avrebbe finito. Avrebbe voluto essere mille miglia distante da quel posto, ed invece era costretto a stare lì, esposto alla furia di quel pazzo. Il sudore freddo gli colava negli occhi, e bruciava e gli confondeva la vista. Aveva appena messo il piede in una camera quando qualcosa di gelido gli toccò il collo. Si irrigidì di colpo, aveva paura persino di non riuscire ad implorare pietà perchè aveva la gola serrata dallo spavento.
-Non farmi del male, ti prego- sussurrò con voce flebile lasciando cadere l'arma, poi riprese a camminare spinto alle spalle da qualcosa di terrificante.
"Non devo avere paura -si diceva Fabien - Joe l'ha sconfitta e si è sacrificato per noi, per salvarci. Lo devo vendicare, devo riuscire ad arrestare quel bastardo"
Ma il sangue continuava a martellargli nelle tempie, e gran parte dell'impeto iniziale era già svanito. Probabilmente avrebbe dovuto usare il laser contro un uomo, uccidendolo, e non era neanche tanto sicuro della propria mira. Se se lo fosse trovato davanti appena cinque minuti prima, non avrebbe esitato a far fuoco per vendicare Joe, ma adesso...... Doveva usare il braccio sinistro e temeva di sbagliare, inoltre il dolore alla spalla destra, adesso diffuso, gli dava delle fitte che lo facevano, di tanto in tanto, barcollare. E quando si voltava e vedeva, accanto al proprio collo, la sporgenza dell'osso e la macchia scura di sangue, si sentiva mancare. L'altro gli si avventò addosso d'improvviso, nel buio, sbucando come un fantasma dal sottoscala. Senza pensarci due volte alzò il braccio e sparò. Dopo aver gridato il suo nome l'altro era andato giù con tonfo sordo e non si era più mosso. La luce si accese e vide che il cadavere disteso sul pavimento era quello di Nick. Il senso del proprio fallimento lo avvolse totalmente, togliendogli ogni possibile alternativa rispetto al gesto che come un automa stava apprestandosi a compiere. Con gli occhi gonfi osservò ancora il corpo disteso a terra e balbettò qualcosa, delle parole di scusa, poi si portò la pistola alla tempia. Rivolse uno sguardo al cielo per chiedere perdono, il suo indice si appoggiò dolcemente a coprire la superficie grigia del pulsante di sparo. Non fece in tempo a premerlo, un colpo alla nuca gli fece perdere i sensi.

Non so descrivere con precisione la sensazione che provai quando giunsi all'indirizzo che mi era stato dato in redazione, fu un pò come essere catapultato sul set di un film. C'era un che di irreale, di artificioso, eppure era tutto drammaticamente vero. Con un susseguirsi di piccole esplosioni un'auto si stava trasformando in un ammasso di rottami puzzolenti d'olio, mentre il fumo saliva dritto contro il cielo sgombrato dalle nubi da un vento leggero. Ovunque c'erano appostati Signori dell'Ordine armati fino ai denti, Guardie Semplici e tiratori scelti. Una piccola folla era radunata a debita distanza, e la gente si contendeva a spintoni il posto in ultima fila, da dove si poteva comunque vedere bene e si rischiava meno. Come ipnotizzato attraversai il prato sotto il chiaro di luna tenendo gli occhi fissi alla porta, il posto dal quale presumibilmente sarebbe arrivato il pericolo, e quando arrivai alle scalette dell'ingresso per poco non inciampai in qualcosa. Abbassai lo sguardo per vedere di cosa si trattava ed un prepotente conato di vomito mi salì fino alla gola. Lembi di carne semicarbonizzata tenevano insieme le metà inferiore e superiore di un uomo, strisce di tessuto sanguinolento si protendevano dal perimetro verso l'interno di un foro grande quanto un grosso pugno chiuso. Un braccio vi era poggiato sopra, la mano era adagiata sul selciato nel punto in cui avrebbe dovuto esserci la schiena del povero corpo. Un terrore improvviso seguito dalla voglia di scappare subito a casa, da Nicole, si impadronì di me in un attimo. Ma ero lì e dovevo entrare, l'uomo teneva in ostaggio altri due poliziotti e se non avessi acconsentito alle sue richieste avrebbe sicuramente ucciso anche loro. Mi costò tantissima fatica non voltare le spalle per andarmene. Non so dove presi il coraggio, so solo che tirai un respiro profondo, come se avessi dovuto lanciarmi da un aereo col paracadute, ed entrai, con le immagini di Nicole e Jodie ben fisse avanti a me. Era troppo tardi per domandarsi che sarebbe stato di loro se mi fosse accaduto qualcosa, così cercai di ritrovare la calma. Notai che all'interno della casa regnava un ordine assoluto, come se fosse stata disabitata da tempo, la quiete era turbata soltanto dal robot domestico, danneggiato, che girava su sé stesso.
"Qualcosa da bere..... qualcosa da bere ......" ripeteva in modo ossessivo con la sua fredda voce metallica. Lo spensi. Vicino alla scala che portava alle camere giaceva disteso sul pavimento un Signore dell'Ordine con la visiera del casco schizzata di sangue. Lo oltrepassai sforzandomi di non guardarlo. Mi affacciai cautamente in soggiorno e lo scorsi in un angolo, affacciato alla finestra. Si faceva scudo col corpo di ragazzo in uniforme puntandogli la pistola alla tempia. Sul fianco sinistro aveva una macchia scura, mi guardò con un'espressione furiosa e spaventata al tempo stesso. Il ragazzo poteva avere al massimo venticinque anni, aveva i capelli corti e scuri, il viso sporco di fango e gli occhi verdi gonfi di pianto. Si teneva la spalla destra ed osservava perplesso la sporgenza dell'osso sulla sua spalla. Provai di nuovo l'impulso di voltarmi e fuggire, ma l'altro si sarebbe imbestialito ancora di più, chissà che cosa sarebbe stato capace di fare.
"Devo sostenere il suo sguardo - pensai - devo dimostrargli di non avere paura".
-Lascialo andare, lui non ha colpa della tua situazione- dissi senza alzare la voce. Stava solo facendo il proprio lavoro.
-Neanche io ho colpe, io volevo soltanto vivere la mia vita. Ma voi volete impedirmelo.-
-Non credo che sia proprio così, ma questo non conta. Volevi parlare con me e sono qui. Adesso lascia andare il ragazzo.-
-Tu vuoi imbrogliarmi.-
-Anche se volessi come potrei, sono soltanto un giornalista e sono disarmato.-
-Vieni qui tenendo le mani distanti dal corpo- disse seccamente dopo avermi studiato per un pò . Mi perquisì attentamente e controllò per bene il mio tesserino di giornalista, per essere sicuro che non fosse contraffatto. Quando si sentì sicuro spinse via l'ostaggio con disprezzo, che uscì trascinandosi lentamente. Era scosso dal tremito, ed il modo in cui mi guardò mi suonò come un brutto avvertimento.
-Lui è uno di quelli che dovrebbe garantire la sicurezza dei cittadini- disse disgustato Lorentz -e non è stato in grado neanche di badare a sè stesso.-
-Perchè mi hai chiamato?-
-Non voglio essere ibernato, voglio stare con mio figlio- esordì con voce lamentosa.
Sentii una morsa stringermi lo stomaco.
-Sai bene che non è possibile. Tuo figlio è stato affidato ad una famiglia regolare, nella quale potrà crescere con tutti i punti di riferimento di cui ha bisogno. Lo so che è una cosa che fa star male, ma è per il suo bene.-
-Ma non è giusto, e tu lo sai, e voglio che tu scriva sul tuo maledetto giornale che sto subendo l'ingiustizia più grande del mondo.-
Avrei dovuto assecondarlo, ma non me la sentivo. Temevo che se lo avessi preso in giro si sarebbe arrabbiato ancora di più.
-Non posso scrivere una cosa del genere, così facendo emetterei un giudizio, e tu sai che non mi è permesso. Posso solo raccontare i fatti come sono andati - risposi per cercare di arrivare ad un compromesso.
-Non posso mettermi a discutere La Legge- aggiunsi poi -nessuno di noi può farlo, dobbiamo solo rispettarla. Come tutte le leggi non sarà perfetta, ma almeno garantisce l'ordine. Se così non fosse, se ognuno di noi cercasse di aggiustarsela come meglio crede, le cose tornerebbero in poco tempo come due secoli fa, e sarebbe di nuovo il caos.
-Capisco la tua situazione- dissi dopo una pausa -ho una bambina, e quando mi sfiora il pensiero che un giorno potrei perderla, credo che potrei impazzire.- Posso dirti che mi dispiace molto, ma non posso fare niente per te. E poi tuo figlio non lo perderai per sempre, sai che il ciclo iniziale di ibernazione dura sette anni, poi se tutto andrà bene tornerà a vivere con te.- Per tutto il tempo durante il quale avevo parlato, aveva continuato a studiarmi attentamente con quei suoi occhi spiritati, la pistola stretta in pugno, e sembrava che si fosse un pò calmato. Ci fu un attimo di silenzio.
-No- disse piano -non è vero che capisci la mia situazione. E non è vero semplicemente perchè non puoi capirla. Parli così perchè ti conviene, perchè hai paura, ma non puoi capire. Guarda- disse alzando improvvisamente il tono della voce mentre mi metteva sotto il naso una fotografia.
-Questo è mio figlio. Non vedrò spuntare il suo primo dente, non lo vedrò muovere il primo passo. Un giorno dirà per la prima volta "papà", e quel giorno non ci sarò io davanti a lui ma degli estranei. Ed invece devo esserci io, io capisci? Perchè quando crescerà comincerà a domandare dove sono i suoi genitori, e gli verranno date risposte vaghe, allora si chiederà perchè l'ho abbandonato e mi odierà. E tra sette anni non vorrà neanche più ricordare il mio nome. Tu tutte queste cose non le hai vissute, per questo non puoi capire. Io non voglio essere ibernato, del dopo non me ne frega niente.- Cominciò a singhiozzare nervosamente mentre ancora mi teneva sotto tiro, e mi sembrò sincero.
-E poi- riprese, e adesso sembrava spaventato -conosci anche tu le strane storie che si raccontano sugli ibernati, si dice che non verranno più svegliati perchè vengono usati per gli esperimenti, e che vengono tolti loro gli organi per sostituirli a quelli malandati degli Anziani del Consiglio. -Perchè nessuno conosce un ex ibernato, perchè vengono scelti tutti quanti sani, giovani e forti?
-Perchè potrebbero, un giorno, divenire soldati.-
-E tu lo credi davvero?- rispose dopo un istante di silenzio. Bastò quella semplice domanda, e per un attimo tutte le mie certezze vacillarono. Buttai lo sguardo fuori dalla finestra in cerca di qualcosa di rassicurante. Le auto della polizia disposte a raggiera nascondevano i tiratori scelti, i lampeggianti continuavano a giocare col nero della notte, una gran quantità di gente era assiepata col fiato sospeso dietro il cordone di Guardie Semplici. L'incoscienza con la quale avevo dapprima affrontato la situazione lasciò d'improvviso il posto alla percezione della realtà. Le storie simili che avevo vissuto al cinema totale, impersonando qualche eroe, non rendevano minimamente giustizia al turbine di sensazioni che mi stava aggredendo l'anima e la mente. Mi trovavo in un vicolo cieco, in una situazione dalla quale sarebbe stato molto difficile riuscire ad uscire senza riportare danni. Ero rinchiuso in una stanza con un uomo spettinato e sporco di sangue, sconvolto, che mi agitava una pistola laser davanti alla faccia. Aveva ucciso due uomini, e adesso mi erano tornati a mente Nicole ed i bambini ed avevo ricominciato a sudare freddo. Dovevo scuoterlo, dovevo fargli rendere conto che non aveva una sola possibilità di ottenere quello che voleva, o avrebbe certamente commesso qualche altra sciocchezza.
-Hai ammazzato due uomini, e forse farai lo stesso con me, ma questo non cambierà le cose- gli dissi in tono deciso cercando di sembrare sicuro di me -non potrai fuggire da nessuna parte e perderai per sempre la possibilità di rivedere tuo figlio. La Legge non verrà mai cambiata, il mondo continuerà a girare sempre nello stesso verso, e tu finirai comunque ibernato, o peggio ancora verrai ucciso dai tiratori scelti. Sono tutti lì fuori per te- dissi tendendo un braccio verso la finestra -aspettano solo che tu faccia un passo falso.- Feci un attimo di pausa. -Se ti arrendi adesso forse te la puoi ancora cavare, forse riuscirai a dimostrare che la morte dei due Signori dell'Ordine è stata solo un incidente, una cosa non voluta.
-Fai silenzio- gridò irritato. Lo stavo mettendo di fronte alla realtà, e con una spinta mi mise spalle al muro. La sua faccia era a pochi centimetri dalla mia, sentivo le folate calde del suo alito affannato e puzzolente venirmi addosso.
-Stai zitto- insistè -tanto dici solo stronzate.- Fece un passo indietro ed alzò lentamente il braccio armato, puntandomi la pistola addosso.
"E' finita" pensai, e chiusi gli occhi. Ma per un momento, per quanto possa sembrare assurdo, si bloccò e rimase impassibile, come distratto. Era come se cercasse di guadagnare tempo, di riflettere. In quello stesso istante, che mi parve eterno, la mia attenzione fu attratta da qualcosa che stava accadendo fuori. Sotto la luce nebulosa di un lampione un uomo dai capelli bianchi stava parlando in modo molto animato con Nicole. Lei stava ferma a testa bassa e fissava le proprie braccia conserte al petto, mi sembrò che scuotesse ritmicamente le spalle, come se stesse piangendo. Con mia grande sorpresa d'improvviso comparve Freddy, che la spostò da parte e si interpose tra i due nel colloquio.
-La conosci?- domandò subito Lorentz vedendo che stavo osservando la scena con attenzione.
-No- risposi con aria indifferente. -E' mia moglie- aggiunsi subito dopo abbassando la testa e maledicendo la mia incapacità a mentire.
-Mi arrendo- disse lasciando cadere l'arma sul pavimento dopo aver riflettuto un attimo.
Lo guardai stupìto, non gli credevo e non mi fidavo. Si chinò sulle ginocchia tenendosi il fianco, sembrava davvero distrutto.
-Sei felice?- mi domandò.
-Si, penso di esserlo- risposi dopo un attimo di silenzio, ed un pò me ne vergognai.
-Vorrei conoscere tua moglie.-
Avevo paura che se lo avessi contraddetto si sarebbe di nuovo infuriato, ma non potevo esporre Nicole ad un rischio simile. Maledizione, perchè era venuta lì? E chi era quel tipo col quale stava parlando? Avrebbe dovuto restarsene a casa, Lorentz aveva deciso di arrendersi e mi avrebbe lasciato andare. Invece adesso quella assurda storia si stava prolungando troppo. Lo guardai dritto negli occhi.
-Avanti- disse piano con il tono di chi sta chiedendo un favore -non ho più voglia di combattere.-
Pensai che senza il chip poteva essere capace di qualsiasi cosa, ma raccolse l'arma e me la porse.
-Avanti, di che hai paura, ora la pistola è in mano tua.
Dopo averci pensato su per un pò mi affacciai alla finestra.
-State calmi, è tutto a posto.-
Qualcuno ordinò ai soldati di abbassare le armi, io chiamai Nicole.
-Non aver paura, avvicinati- le si rivolse lui gentilmente quando entrò. -Non voglio farvi del male- aggiunse tendendole la mano.
Lei si avvicinò e sul suo viso si dipinse un'espressione stupìta, come se conoscesse già quell'uomo, trattenne a stento un'esclamazione. Lui le carezzò i capelli per tranquillizzarla, ma lei si ritrasse e mi venne vicino.
-Siete proprio una bella coppia- disse lui dopo aver fatto un passo indietro come per vedere meglio il quadro d'insieme, poi ricominciò a muoversi nervosamente. Fui colto da un brutto presentimento, ebbi la sensazione che stesse bluffando, ma cosa poteva mai fare? In fondo era disarmato, ma i miei occhi presero ugualmente a correre su di lui, su Nicole, sulle finestre, cercando disperatamente una via di fuga. Anche se avevo in mano la pistola non ero affatto certo che sarei riuscito, in caso di bisogno, ad usarla.
-E devi essere orgogliosa di tuo marito perchè è un uomo coraggioso ed intelligente, sono pochi quelli che avrebbero accettato di entrare in questa casa stasera, e lui è uno di quelli, forse addirittura l'unico. Ed è saggio, perchè dice che La Legge va rispettata. E tra poco vedremo se anche lui lo farà. Tirò fuori una mazza da baseball da sotto i cuscini di un divanetto per mostrarcela.
-Vedete questa? E' il gioco preferito di mio figlio, dovreste vedere come guarda le partite. Gli avevo promesso che un giorno gli avrei insegnato, ma purtroppo non potrò farlo. Giudhas mi ha detto che anche voi avete una bambina, e che mi capisce. Ma secondo me non è vero, secondo me non può capire. Perchè non è mai stato costretto a scegliere. Anche la vostra bambina dovrà sottostare alla Legge, ed anche voi. Adesso aveva ripreso ad andare avanti e indietro per la stanza, e si stava pian piano eccitando di nuovo.
-Ma La Legge a volte è crudele, troppo. A volte non possiamo limitarci a chiedere quello che ci spetta, dobbiamo lottare con tutte le nostre forze e prendercelo. Forse tra un pò capirete quello che voglio dire, perchè certe cose vanno provate di persona. Un tremito dettato dalla paura scosse Nicole, che si era portata le mani al viso aspettandosi qualcosa di brutto. Io continuavo a cercare di intuire cosa di lì a poco avrebbe fatto Lorentz, ma non ci riuscivo, e intanto mi maledivo per averla chiamata dentro l'appartamento. Con uno scatto si mise in posizione, la mazza orizzontale all'altezza della spalla, poi come un vero giocatore effettuò una mezza torsione del busto. Avevo finalmente capito, anche se non volevo credere che avrebbe davvero fatto una cosa del genere. Non ebbi i riflessi abbastanza pronti per intervenire in tempo.
-Adesso capirete- ripetè mentre la mazza fendeva l'aria per andare a colpire in pieno ventre Nicole, che cadde a terra senza fiato. Cercai di prendere la mira per sparargli mentre alzava la mazza per colpirla di nuovo, ma sapevo che non sarei mai riuscito a fare fuoco, anche per la paura di colpire mia moglie. Dopo un lungo istante durante il quale avevo cercato di premere il pulsante di sparo, come ipnotizzato, lasciai andare la pistola e gli saltai addosso caricandolo come un toro. Rotolammo sul pavimento e riuscì a colpirlo solo una volta, nel punto in cui doveva avere la ferita al fianco. Ero sicuro di avergli fatto male e pensavo che si sarebbe bloccato per il dolore, così mi alzai per andare da Nicole, ma lui mi dette un pugno alla tempia, colpendomi alle spalle. Mi fece malissimo, per un attimo la vista mi si sdoppiò . Mi voltai per affrontarlo, cercai di portare un nuovo colpo al suo fianco, ma le mie braccia erano improvvisamente divenute fiacche. Dapprima una sensazione di torpore si impadronì dei miei muscoli, poi fu la volta del dolore. Andai giù disteso senza poter più muovere un solo dito, con la sensazione che tarli famelici dai denti affilati stessero nutrendosi della mia carne, partendo intorno alle ossa e cercando di arrivare alla pelle. Lorentz aveva intanto preso un coltello elettrico, di quelli da cucina, e rideva come un ossesso mentre mi si avvicinava lentamente.
-E' solo l'inizio- disse quando fu chino sopra di me, io ero terrorizzato da lui e dalla sensazione di immobilità, dal fatto di non avere più il controllo del mio corpo, non riuscivo neanche a gridare. Mi fece un taglio sul torace ed il mio sangue, che vedevo per la prima volta in vita mia in quantità così copiosa, mi schizzò sulle labbra. Sapeva di ferro.
-A volte non si può scegliere, lo capirete anche voi.- Poi andò verso Nicole, aveva alzato il braccio armato e lo puntava dritto contro la sua pancia. Aveva appena cominciato a calarlo su di lei quando il vetro di una finestra, attraversato da un proiettile subito dopo una piccola detonazione, andò in frantumi . Schegge scintillanti di riflessi azzurri volarono per la stanza, ed una macchia rossa si allargò rapidamente sulla sua schiena togliendogli le forze. Andò giù come un pupazzo al quale abbiano improvvisamente tagliato i fili, senza dire una parola. Il mio sguardo corse a Nicole, raggomitolata a terra con gli sporchi di orrore, poi più niente.

 

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