INEDITI POESIA

 

ANONIMO

 

DA "STORIE RIBALDE" di Anonimo

serie iniziata Venerdi 17 Agosto 2001

 

 

Di che ti mando io

 

Il fatto è che Ervis (nome infelice, che somiglia a qualcosa fra un medicinale e uno sfottò e condanna lo sciagurato che lo porta ad una perpetua lotta per giustificare il proprio ingombro nel mondo) non si accorgeva di certe cose finchè non le vedeva scritte nero su bianco, e magari con un bel disegnino esplicativo, con tutte le didascalie e le note a pié di pagina. O finchè qualcuno non gliele spiegava per filo e per segno.
Certo che quella tipa gli appariva a dir poco irraggiungibile. Lui aveva diciotto anni, lei trenta. Lui faceva il cameriere a Villa Verde, la piccola pensione della famiglia, lei ci passava le ferie assieme agli zii. Lui era bruttino, imbranato, insicuro, pieno di brufoli e di forfora. Lei come viso non era granchè, anzi quando sorrideva somigliava vagamente ad un bulldog. Ma aveva un corpo da favola. Con un'aggravante: era francese.
Era proprio questo che la collocava fuori della portata di Ervis, almeno quanto Versailles da Viserbella. Col suo aspetto esteriore, e dopo un'adolescenza passata a difendersi in mezzo a ragazzi tutti più fighi di lui, il giovane era sicuro di sè come una pecora al mattatoio di Baghdad.
Non aveva pensato a corteggiare Brigitte (così si chiamava la ragazza) neppure a livello inconscio.
-No, zio, io dico che Ervis non la beve. Non può essere davvero così pirla, -borbottò il Canappia.
-Mio fratello ha ragione, -rincarò il Condor. -Ci becca subito, te lo dico io.
Romildo spense la Gauloise, ridotta ad un microscopico mozzicone, con gesto deciso. -E io invece vi dico che ci casca. Chi ci sta a buttarci su un deca?
Diecimila lire, nel 1970, era una cifra di un certo rispetto, soprattutto per le tasche di un ragazzo. Ci si potevano pagare tre giorni di pensione completa, bevande comprese. La tentazione era forte, ma nè il Canappia nè il Condor suo fratello ebbero il coraggio di scommettere contro lo zio.
Romildo era sicuro del fatto suo. Quarant'anni suonati, scapolo, ghigno da canaglia simpatica, fisico duro ed asciutto, era in ferie coi nipoti a Villa Verde e aveva un'arma infallibile con le femmine: il gommone, un quattro metri col fuoribordo da venticinque cavalli. La strategia era semplice: adocchiava una ragazza a spiaggia, e mandava i nipoti (vent'anni il Canappia, diciotto il Condor, entrambi dall'aria innocua) a rompere il ghiaccio con un pretesto qualsiasi. Poi arrivava lui:"Ci state che facciamo una corsetta tutti assieme?" La fanciulla, rassicurata dal fatto di non esser sola con quell'uomo, accettava. Si correva rimbalzando sulle onde, si rideva, si scherzava fra gli schizzi d'acqua che sferzavano il viso, magari si beveva un'aranciata.
Romildo faceva brillare la sua indiscutibile personalità, mentre i due pian piano gli cedevano la scena. A quel punto era tutta discesa: "Se ci stai, stanotte andiamo a vedere le stelle." Naturalmente senza più i due nipoti fra i piedi. E a Villa Verde si sussurrava che ogni notte una ragazza diversa gettava a mare l'onore e gli slip. E bagnava il plaid disteso sul fondo del gommone, ma non esattamente d'acqua.
-Allora siamo d'accordo. Tu, Canappia, va' a comprare il bigliettino. Prendilo grazioso, magari rosa. Tu, Condor, va' a spiaggia: quando arriva la Giusi, chiamami. Quella me la lavoro io.

Giusi, una ticinese che aveva lasciato gli slip sul gommone un paio di sere prima, scrisse diligentemente il bigliettino. Lo guardò, aggiunse un cuoricino stilizzato, lo guardò di nuovo e lo trovò soddisfacente. Lo chiuse nella busta, vi scrisse sopra "Ervis" e lo consegnò a Romildo con un sorrisetto malizioso.
-Fammi sapere....
-Contaci.
Romildo guardò negli occhi i due nipoti. -Attenzione, adesso. Domattina facciamo colazione sul tardi: quando Ervis comincerà a sparecchiare io lo distraggo un attimo, e voi al mio segnale mettete il bigliettino dove sapete.

Ervis non credeva ai propri occhi

 

Brigitte, oltretutto, dormiva in camera singola.
Gli girò la testa. Credette di sognare.
Ma no, quella era la sala di Villa Verde, quelle erano le tazze sporche, quello era il tavolo di Brigitte, quello era il tovagliolo spiegazzato da Brigitte, e quel bigliettino indirizzato a lui era firmato Brigitte.
Lo guardò di nuovo, lo lesse. Lo rilesse. Fissò lo sguardo sul cuoricino, col terrore di vederlo svanire. Il cuoricino non svanì.
Si pizzicò il braccio.
Come tutti i caratteri tendenti alla depressione, Ervis aveva di tanto in tanto degli autentici deliri di onnipotenza. All'improvviso, ciò che fino a due secondi prima aveva ritenuto improbabile quanto l'entrata di Breznev nel convento dei Cappuccini di Gambettola, gli sembrò la cosa più naturale del mondo. Quel biglietto era ben vero, accidenti, e parlava chiaro. Non c'era possibilità di equivoco.
Prese una bottiglia di Moscato di San Marino, uno dei liquidi più inattendibili mai prodotti dall'enologia turistica romagnola, ma per il quale gli zii di Brigitte....
Giusto, a proposito: "parents", in francese, vuol dire genitori. Ervis di questo era sicuro.
O no?
Dopotutto venivano dall'Alsazia, una regione di confine, e si sa, la lingua delle regioni di confine non è mai quella pura della capitale....Avevano un cognome che suonava tedesco.... Fra di loro parlavano un dialetto incomprensibile.... Chi dice che nella regione di Strasburgo, per i non francofoni, il termine "parents" non possa assumere il significato di "familiari" in genere? Ervis, per quanto a scuola fosse stato il migliore in francese, non aveva abbastanza esperienza di lingua parlata da poterlo escludere con certezza.
In ogni caso, i "parents" di Brigitte amavano il Moscato di San Marino: tutte le sere se ne facevano portare una bottiglia in terrazza, e la bevevano assieme alla nipote. Ervis ne mise una bottiglia in frigo, in un angolo fuori vista, assieme a due coppe.
Sentì mille miliardi di bollicine corrergli su e giù per la spina dorsale, poi scendere in basso e sconvolgergli la verga, improvvisamente dura come un manico di piccone.
Ebbe voglia di urlare dall'entusiasmo, ma si controllò. Si guardò intorno con aria di nulla.
Nessuno doveva accorgersi di niente: era il suo dovere di gentiluomo.

Romildo era appostato dietro alla fessura di una persiana.
-E allora? -mormorò il Canappia.
Lo zio fece con la mano un cenno d'attesa, allargò un pochino la fessura, poi senza distogliere lo sguardo strinse il pugno ed alzò il pollice.
"Tombola," pensarono i nipoti.

Lo tenevano d'occhio fin da prima del pranzo, ma rimasero delusi.
-Secondo me ha mangiato la foglia, -bofonchiò il Condor fra i denti.
-Guardatelo lì. Sembra che non la veda neppure, -aggiunse il Canappia.
-Siete proprio una coppia di pirla, -ribattè Romildo riempiendosi il bicchiere. -Ma non vedete come sta duro quando le passa vicino? Sembra una guardia di Buckingham Palace.
Bevve un sorso. -Cosa dovrebbe fare, secondo voi, saltarle addosso davanti a tutti? Quello ha ingoiato esca, amo, lenza, canna, mulinello e anche un pezzo di braccio, ve lo dico io.
E ingoiò una forchettata di spaghetti.

Dalla fine del servizio di mezzogiorno fino alle cinque del pomeriggio, Ervis era di riposo.
Finì di sparecchiare con voluta calma: nulla doveva trapelare della tempesta che gli sconvolgeva il basso ventre. Mangiò un boccone leggero, e verso le due e un quarto se ne andò in camera sua e si fece una bella doccia. Si lavò i denti, si rasò, si passò diligentemente sul viso la pietra emostatica, si asciugò a dovere i capelli e si inondò di "Tabacco d'Harar".
Indossò pantaloni bianchi a zampa d'elefante, mocassini neri, camicia a fiori di finta seta (indugiò parecchi secondi, poi decise di allacciare due bottoni sopra l'ombelico), cinturone di cuoio nero con fibbia cromata e tornò in sala da pranzo. Sbirciò in terrazza, e vide una cosa che non gli piacque.
Brigitte era lì, al suo solito posto all'angolo est della terrazza. Il brutto era che anche i suoi zii sonnecchiavano al loro posto consueto, all'angolo nord.
Niente San Marino, dunque.
"Avranno cambiato idea, e lei non ha trovato il modo di dirmelo," pensò Ervis.
Il morso della delusione fu dolorosissimo, ma durò solo un attimo. Il giovane si chiese cosa gli convenisse fare a quel punto. Pensò per un istante, e gli venne l'idea.

I tre, con la complicità del cameriere, si erano nascosti dietro la porta del bureau.
Quando Ervis fece la sua apparizione tirato a lucido e in uniforme da parata, per poco il Condor non si fece sentire.
-Ehilà, che luss.....
Romildo gli tappò la bocca. -Zitto, cribbio!- ringhiò. -Vuoi rovinare tutto?
Il Canappia fiutò l'aria. -Senti lì.... ha fatto la doccia nella colonia.
Romildo ghignò. -Adesso si ride.

Dopotutto era semplice. Bastava affacciarsi alla porta: da lì Ervis poteva vedere Brigitte, ma non i suoi zii che erano oltre l'angolo, e quindi (se le leggi dell'ottica geometrica sono davvero imparziali) neppure loro potevano vederlo.
Tirò un profondo respiro. Pensò al bigliettino che gli bruciava in tasca, deglutì, poi si affacciò e guardò verso il mare.
Brigitte stava leggendo un giornale illustrato. E nessun altro era in vista.

Il trio dei burloni, diventato quartetto, era sgattaiolato dal bureau alla cucina. Da dietro la tendina a canne non perdevano una sola mossa di Ervis.
Il Condor era il più eccitato. -Io dico che quella gli cava gli occhi.
Romildo lo scansò senza complimenti. -Zitto, e fammi vedere.

Era meglio un "Pssst...." o un colpetto di tosse?
Il "Psssst" arriva più lontano, pensò Ervis, ma è volgare. Il colpo di tosse udibile a quella distanza, più che un richiamo erotico avrebbe fatto venire in mente una tubercolosi all'ultimo stadio.
Avvicinarsi, allora?
E se fosse arrivato in vista degli zii?
Ervis guardò Brigitte perplesso. Urgeva una soluzione prima che l'arrivo di qualcuno potesse rovinare tutto, forse irreparabilmente.
Ma siccome esiste un dio anche per i galletti dell'Adriatico, Brigitte si sentì addosso lo sguardo di Ervis ed alzò gli occhi.
Il giovane trattenne il fiato, ed accennò col capo verso la porta alle proprie spalle.
Brigitte ebbe un lieve moto di sorpresa, lanciò una rapida occhiata verso gli zii, poi guardò nuovamente Ervis e gli fece un cenno come a dire: "dici a me?"
"Sì, dico a te," annuì Ervis.
Brigitte dapprima si diede un contegno, poi assunse un'aria normale e piegò la rivista. Diede un'altra occhiata furtiva verso gli zii che continuavano a sonnecchiare, si alzò e con aria di nulla si avviò verso il giovane.
Ervis si sentì svenire.

-L'ha chiamata davvero?
-L'ha chiamata, vi dico.
Il Canappia era scettico. -Figurati se quella viene.
-Eccola! Via tutti!- Il quartetto si rifugiò con un balzo dietro la stufa.
Romildo pregustò malignamente il seguito. Stava andando ancora meglio di quanto avrebbe creduto.

Il giovane sentì che la testa gli si riempiva come di ovatta, e le orecchie gli si misero a fischiare come due locomotive. Ma durò solo un istante.
Sbirciò l'orologio, che segnava le tre. Si guardò intorno, precedette la ragazza al frigo, prese in mano le due coppe, si cacciò la bottiglia sottobraccio (dovette resistere stoicamente al morso crudele del vetro ghiacciato contro la pelle, per nulla difesa dalla finta seta della camicia, ma aveva assolutamente bisogno di una mano libera), si mise in tasca la chiave della ragazza con la serafica spudoratezza di un James Bond, poi la prese per mano e si avviò su per le scale.
Brigitte lo seguì, tranquilla.

Romildo si affacciò per primo allo spigolo, e vide Ervis e Brigitte che salivano le scale.
Non credeva ai propri occhi. Meglio di così non poteva andare.
Fece un cenno agli altri tre, e si avviarono quatti quatti al primo piano, dov'era la camera di Brigitte. Romildo ed il cameriere si nascosero nello sgabuzzino delle scope, mentre i due fratelli dovettero ripiegare sul bagno del corridoio. Da entrambi i posti, comunque, la visuale sulla porta di Brigitte era ottima.
Tutti e quattro aspettavano impazienti l'urlo della ragazza e il volo di Ervis, con la bottiglia e le coppe, fuori dalla stanza.

Brigitte sorrideva tranquilla, forse stupita da tanta sicurezza.
Ervis richiuse la porta dietro di sé. La gratitudine che provava per Brigitte (per averlo preso in considerazione, per averlo accettato per ciò che era, per averlo incoraggiato in maniera così inequivocabile, e allo stesso tempo così dolce) era talmente grande, da non poter essere espressa con parole. Decise d'istinto di dirne solamente una.
-Merci.
E in quel "Grazie" mise tutto se stesso.
Poi poggiò la bottiglia e le coppe sul tavolino, cinse delicatamente i fianchi di Brigitte..... ma piano, con studiata lentezza, perchè non trapelasse l'uragano che gli sconvolgeva il ventre....
Incollò le labbra su quelle di lei, e lentamente le socchiuse. Spinse prudentemente la lingua in avanti.... c'era ancora una possibilità che lei ci ripensasse, e serrasse i denti.....
Brigitte aprì la bocca.

Il giovane stappò delicatamente la bottiglia, riempì le due coppe, ne porse una alla ragazza e brindò.
-A nous deux.
La ragazza rispose: A nous deux.
Ervis parlava un buon francese, ma il momento non richiedeva parole. Finirono la prima coppa guardandosi negli occhi. Poi lui le slacciò il reggiseno. Brigitte lo trattenne con le mani, con un moto di delicatissimo pudore.
Ervis rispettò questo suo momento di incertezza, poi le diede un lievissimo bacio a fior di labbra, la guardò nel profondo degli occhi (in quel momento il viso di lei gli apparve bellissimo) e con lenta, dolce, ferma decisione le scostò le mani dal corpo.
L'indumento cadde, ed apparve il più bel seno dell'emisfero nord.

Il Canappia era in osservazione dietro alla fessura della porta. Il Condor, per la terza volta in cinque minuti, guardò l'orologio. Segnava le tre e ventisei.
-Ma quanto è che sono chiusi lì? -domandò il Canappia.
-Boh... Non ho guardato l'orologio.
-Io dico che ormai è mezz'ora.
-Può essere.
I due giovani si guardarono in viso perplessi. Il Condor sbirciò brevemente fuori, poi guardò di nuovo il fratello.
-Boh...

Col passare dei minuti, il cameriere diventava sempre più insofferente. L'odore di chiuso e di detersivi industriali che stagnava nello sgabuzzino cominciava a dargli seriamente fastidio.
Romildo, dal canto suo, cominciava ad innervosirsi. Lo scherzo lungamente architettato stava andando a gonfie vele, ma...
"Ma un cavolo, figuriamoci" pensò, cacciando via quel pensiero fastidioso.
-Scusi, signore, io dovrei...
-Zitto. Mi è parso di sentire qualcosa.
Non era vero.

Ervis non aveva mai visto delle tette così neppure su Caballero.
Le areole, color terra di Siena, erano grandi come piattini da caffè e i capezzoli sembravano ciliegie di Vignola. Vi posò le labbra, e cominciò a stringerle ritmicamente, con delicatezza. Pensò che una cosa così non gli sarebbe mai più capitata, e cercò di farsi durare quel piacere il più a lungo possibile.
Le mani, intanto, sfioravano ed impastavano quell'Eldorado di corpo che non finiva più . Brigitte rispondeva al tocco ora con l'abbandono languido, ora con dei rapidi fremiti. Era bella, era brunita dal sole, era soda e morbida insieme, ma soprattutto era tanta. Se Ervis avesse potuto stenderla sulla Via Emilia, con le caviglie al primo semaforo di Rimini e il corpo rivolto a nord, non avrebbe trovato la passera prima di Savignano.
Come presa da un automatismo, la mano del giovane cominciò a sfiorarle lo slip. Prima sull'anca, poi rapidamente sul gluteo, poi pian piano verso l'inguine. Lei si irrigidì un po'.
Lui fermò la mano, ma senza abbandonare la posizione conquistata. Restò immobile, continuando a baciarle i capezzoli, finchè non la sentì rilassarsi di nuovo. Spinse la mano un po' più avanti.
Dopo un altro paio di avanzate e fermate, il dito riuscì ad insinuarsi in mezzo alla peluria ed affondò nel lago.
Ervis credette di volare.
Giocò un po', assaporando coi polpastrelli ogni stilla di quell'umidore fantastico, poi passò decisamente all'attacco, ma appena tentò di abbassarle lo slip la ragazza si irrigidì.
-Non, mon choux, ca suffit maintenant.
"Sapevo che non poteva durare," bestemmiò Ervis fra sè. Ma non volle arrendersi subito. Riempì nuovamente le due coppe, e ne porse una a Brigitte.
-Au plaisir d'attendre.
La ragazza abbassò gli occhi, però bevve. Due minuti dopo era lei stessa che, pur continuando debolmente a negarsi, lo aiutava a sbarazzarla dello slip.
Ervis contemplò a lungo quell'immensità nuda, poi la guardò negli occhi e le rivolse una muta domanda.
La ragazza rispose: -Je prends la pilule.
Le allargò delicatamente le cosce, ed affondò il viso nel lago.
Non avrebbe mai più dimenticato quel profumo di femmina.

Cauti come malfattori in pericolo di esser presi in flagrante, i quattro cominciavano a far capolino dalle due porte dietro le quali erano appostati da quasi un'ora.
Si guardarono in faccia, non sapendo cosa dire.
Si avvicinarono alla porta di Brigitte, e Romildo posò cautamente l'orecchio contro il battente.
Pochi secondi dopo, tossicchiò e tentò di darsi un contegno. - Ehm... è meglio che andiamo, gente.
In quel momento Ervis piantava il membro vittorioso nella gnocca allagata di Brigitte.

L'anno dopo, più o meno nello stesso periodo, Romildo coi nipoti e il gommone tornava in ferie a Villa Verde.
"Ciao, state tutti bene, che tempo fa", il bicchiere del benvenuto e gli altri convenevoli di prammatica furono sbrigati in breve tempo. L'altra tappa più o meno obbligata, "chi c'è fra quelli dell'anno scorso", rivelò un Romildo insolitamente impacciato.
-Più o meno gli stessi, -rispose Ervis, stupito da quello strano tono.
-Ehm... C'è anche quella francese...?
Il Condor tossicchiò con intenzione. Il Canappia lo guardò storto, e Romildo, suo malgrado, dovette continuare. -... ehm... Brigitte?
Ervis represse un sospiro. - No, loro non ci sono. Perchè?
Romildo dovette raccontargli tutto.

Al pensiero di ciò che avrebbe potuto capitargli, Ervis si sentì girare la testa. Ma poi gli tornò in mente il ricordo di quell'incredibile pomeriggio, e dei giorni che erano seguiti.
-Che devo dire?... Grazie, Romildo. Se non era per te...
-Non mi ci far pensare. E'un anno che quei due mi prendono per il culo. -Si ricompose, ed assunse un tono allegro. - Bene, bene, acqua passata. E quest'anno che c'è di bello?
-Una tedeschina niente male, se ti piace il tipo magrolino.
Tossicchiò brevemente, e si lustrò le unghie con sussiego.
-Dille pure che ti mando io.

 

 

 

 

 


HOME NARRATIVA POESIA