INEDITI POESIA

 

CARLA CORRADI

 

 

 

Ero  bambina, sono una donna.

"Tutto quello che vi è di disperso e di duro nella mia sensibilità proviene
dall'assenza di quel calore e dalla nostalgia inutile dei baci che non
ricordo. Chi altro sarei se mi avessero dato quella tenerezza che dal grembo sale ai baci del volto di un bambino?". (F.Pessoa. Il libro dell'inquietudine. Feltrinelli. Pag 156)

 

Trame invisibili legano il presente al passato e forse anche al futuro. Si
celano nelle nostre abitudini, nei nostri sogni, nelle nostre paure e
operano a nostra insaputa, lasciandoci nell'illusione di essere liberi.
Cause remote ci avvincono  e ci obbligano a percorrere strade e sentieri
spesso tortuosi verso una meta dove una scelta o un imperativo hanno deciso di condurci.
Scopriamo la loro esistenza quasi per caso, perché un oggetto, una parola,
un suono, un odore ne svelano l'esistenza.
Invece sono la matrice della nostra personalità dentro cui il germe è
nutrito o privato delle sue potenzialità.
Sono il codice segreto dell'anima, il progetto iniziale, che a volte per
anni abbiamo tradito, ma che non possiamo eludere per sempre, se non al
prezzo di sofferte sensazioni di non-senso: come vivere la vita di un altro
nella quale ci sentiamo stretti, inadeguati, prigionieri.

Gli orientali lo chiamano Darma, nella nostra cultura lo chiamiamo destino,
compito, missione, necessità.
Nella mitologia sono Dei preposti a dirigere il nostro operato per
realizzare un loro progetto o capriccio.
Sono fili intrecciati a tessere un disegno prestabilito con diversi nodi,
difficili da separare per individuarne l'origine.
Sono momenti di illuminazione quelli che ripercorrono il tratto percorso tra
la causa iniziale e l'effetto,  densi di significato, che ci avvicinano alla
Verità e al Senso della nostra vita.

Una notte, trascorsa insonne a vegliare mia madre, tentai di ripercorrere la
mia infanzia, alla ricerca di trame perdute che partendo da lei, mi
conducessero alla donna che ero. Lasciai che i ricordi affluissero alla
memoria in modo spontaneo: mi venne subito incontro una  bambina dai
riccioli biondi con un fiocco bianco in testa e negli occhi azzurri un
interrogativo stupore per il meraviglioso. L'accolsi e la riconobbi, veniva
dal mio lontano passato, aveva un vestitino corto e ai piedi calzini bianchi
e sandalini rossi. Mi ricordò la primavera, quando giocavo a "palla
avvelenata" con le amiche o andavo sul colle del castello a scorazzare per i
prati.
Un flusso di ricordi, avanti e indietro nel tempo, senza un ordine preciso
mi tenne impegnata quella notte, mentre non staccavo gli occhi da lei,
attenta che nel sonno non si strappasse le bende.

D'inverno slittavo con il calesse sulla strada in pendenza vicino casa, poi
mi riscaldavo i piedi, mettendoli nel forno della cucina a legna.
Mi arrabbiavo quando spalavano la neve.
A merenda mangiavo pane, burro e marmellata e quasi sempre polenta a
mezzogiorno.
Ero povera, ma non sapevo quanto.
La scuola elementare era di fronte alla casa dove vivevano i genitori e ogni
giorno, alla ricreazione, mi affacciavo alla finestra e guardavo verso la
cucina dove viveva la mia famiglia, nella speranza di salutare con la mano
la mamma. Succedeva poche volte. Un giorno non mi affacciai più.

Se ero triste mettevo il broncio, se felice cantavo e saltavo. Ora sono
depressa o serena, raramente felice, perché la felicità non dipende solo da
me.

A un anno fui avvolta in una coperta e portata a vivere dalla nonna "per un
po'" si disse, ma vi rimasi sempre. Avevo due case, quella della nonna e
quella dei genitori. Andai in collegio per due anni, tornai e ritrovai le
due case, entrambe sempre meno mie.
Anche ora ho due case, dove vivo sola.

Fui salvata da un annegamento a 13 anni. Ora ho paura dell'acqua e un'
attrazione misteriosa per il lago.
Mi piaceva l'azzurro, adoro il blu pervinca, il colore degli occhi di mia
madre.
Mi sento vergine a primavera, come mi sono sempre sentita nuova al fiorire
del lillà.
Mi piaceva disegnare, ora dipingo volti di donne pensierose o tristi.
Mi piaceva scrivere, a 40 anni mi sono messa a scrivere.

Tra i ricordi più teneri ho le mani del nonno, enormi e forti, che mi
sostengono. In un uomo guardo prima le mani, poi lo sguardo, poi lo ascolto. Non ricordo l'odore buono della mamma, ho invece impresso nella memoria l'
odore del tabacco da fiuto di cui era impregnato il grembiule della nonna.
Ora fumo.

Sono una donna realizzata e serena, che per crescere ha assunto diverse
identità: figlia, nipote, scolara, sposa, madre, amica. Nella professione mi
sono  costruita con serietà, cambiando lavoro e mansioni, sempre però a
contatto con gli esseri umani a cui impartire educazione e cultura  o a cui
dare aiuto. Non credo sia un caso che abbia determinato le mie scelte,
ritengo che anch'esse "in nuce"  erano presenti nella bambina che giocava
con le bambole a fare la mamma, il dottore o la maestra.

Molti fili legano l'infanzia alla vita adulta.
Quella notte vicino a mia madre mi sembrò che passato e presente non fossero
per niente distinti, l'uno continua ad influenzare l'altro e anche se non mi
riconobbi totalmente nella bambina che ero, so per certo che sono una donna
con dentro parte di quella bambina.

Sono piccola e sola quando piango fuori da una simbolica porta da cui sono stata cacciata o quando guardo da una finestra la famiglia di qualcun altro,
alla quale non appartengo; quando avverto acuto il bisogno di un abbraccio,
il calore umano di un contatto.

Sono cresciuta a livello fisico, mentale, emozionale, ma quando mi sento con le spalle al muro, mi invade  l'antica sensazione infantile di impotenza, di
nullità e di colpa, la stessa che provavo quando i bambini non valevano
granché e farli sentire in colpa faceva parte del sistema educativo
familiare, scolastico e religioso. Se la mia vita dipende da qualcuno o da
qualcosa che non riesco a modificare, è come se fossi stretta in una
coperta, in balia di qualche Dio che non mi lascia via di scampo, perché
sono sola a combattere contro di lui.

Ma sono ancora una bambina quando sento l'odore del pane caldo, il sapore del caffè d'orzo, quando rivedo la mia strada, dove ho nascosto un tesoro,
avvolto nella carta di una caramella. Quando mi incanto a guardare un albero
in fiore o  un tramonto, quando dipingo con l'acquerello un volto di donna,
tenero e assente.
Quando la mia tristezza canta l'"Ave Maria" di Shubert e la mia
soddisfazione  intona il "Te Deum.
Quando aspetto che qualcuno mi aiuti o che mi chiami per la merenda.
Quando appoggio il viso sul petto dell'uomo che amo e sento il battito del
suo cuore sotto la mia guancia.

Mi sento una bambina alle prese con le sue prime esperienze, interessata e
creativa se spinta dalla curiosità frenetica di conoscere il nuovo, le mie
energie si proiettano alla conquista del sapere.

C'è una folla di bambine in me, tutte, più che parlare, provano sensazioni,
emozioni non espresse, sentimenti non verbalizzati; creano immagini che la
mente adulta cerca di codificare per dar loro significato e forma, e che la
mano esprime filtrate con il pennello, dove i colori sono forze vitali,
dotate di un loro emotivo linguaggio. C'è una bambina che dipinge i suoi
drammi, la sua sofferenza antica, il vissuto della sua solitudine e dell'
abbandono, ma anche la sua gioia di vivere ancora.

C'è una bambina che sogna un mondo di giustizia e di pace. Ce n'è una
furiosa che urla senza voce la sua ribellione contro la fame e la guerra e
che fantastica di uccidere chi fa del male ai bambini, ai deboli, agli
animali.

La matrice della mia gioia, della mia sofferenza, della mia rabbia è stata
impressa tanti anni fa, come è stato determinato il mio modo di amare, il
significato delle mie scelte affettive e professionali.
L'esperienza, la conoscenza, l'evoluzione hanno sviluppato e potenziato il
germe di alcune possibilità, ma ne hanno anche soffocato altre che nei
momenti di bilancio esistenziale singhiozzano in fondo al cuore dove c'è un
cimitero di bambine uccise.
Spesso quelle bambine mi perseguitano: testarde e impertinenti reclamano
promesse non mantenute, speranze di felicità deluse, voglia di giochi
spensierati. Devo ucciderle quasi ogni giorno, per essere la donna
razionale, matura e indipendente, disincantata e cinica, dedita al dovere,
all'impegno.
Eppure so che se non ritornassero nelle mie fantasie, cesserebbe in me la
voglia di vivere e di sognare, di sperare, di amare, di immaginare, di
dipingere, di scrivere, di creare.

 

 

 

 

 

 


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