INEDITI POESIA

EVIDDA

 

 

Ascolto senza capire.
Sorrido senza ridere.
Intristisco senza piangere.
Parlo senza dire.
Guardo senza vedere.
Ma a volte guardandomi
allo specchio mi sembra perfino
di scorgere un essere umano.

 

 

Per un attimo ti sembra
di raggiungere il nervo delle cose.
Ma un battito di ciglia non è
un colpo d'ali che ti solleva
ed è vana ricerca aspirare
al sillogismo dell'esistenza.
Così ritorni nell'orbita della vita
come una favilla, ormai incasellata
in una goccia, come in un'impronta
di luce un tremito d'ombra.

 

 

Trasparenze ed evanescenze.
Ondulazioni e vibrazioni.
Trascolorare della natura al tramonto.
Sorpresi da passaggi di nuvole,
da catene d'ombre. Scie traslucide
di lumache. Fruscio di fili d'erba.
Mormorio delle cose.
Conosciamo la sorgente. Ma verso quale foce ?

 

 

Almeno un tempo ci si poteva bagnare
almeno una volta nello stesso fiume.
Adesso quel che resta è una sponda
brulla, una moria di pesci e le acque
torbide, colorate di fanghiglia.

 

 

La natura immersa nella Primavera.
L'aria tersa e serena. La notte
ritornano le lucciole a colorare
spighe e roveti. Le stelle
dipingono angoli di campi, margini
di strade. E le trascorse stagioni
ritornano come le parole dei morti
nella memoria dei vivi distrattamente
sul far della sera.

 

 

Voglia di cacciare un urlo.
Voglia di ascoltare un sussurro.
Voglia di lacerare il drappo della sera
con le unghie.
Impossibile capire il mistero di portoni
socchiusi, l'assurdo e la malinconia di ogni
sguardo.
La luce che ognuno ha negli occhi dove finirà ?
La vita !!! La vita ?!!?
Semi. Battiti. Ossari. La vita ?
A tratti sembra un gioco d'azzardo, un
tiro di dadi. A tratti una partita
di scacchi. E dove cerchi l'ordine trovi
il disordine e viceversa.
E sei quasi nulla ed aspiri all'infinito !!!
Il nulla moltiplicato per infinito
in matematica
dà un numero qualsiasi.
L'uomo è quel numero qualsiasi.

 

 

Ho sognato città invisibili,
dove risiedevano solo artisti.
C'erano saltimbanchi, poeti, attori,
pittori, acrobati, contorsionisti, trampolieri,
mimi, ormai prossimi a firmare l'armistizio
con la realtà. E quando la loro penna
stava scrivendo ho sentito i singhiozzi
del cielo. Ho visto stelle cadere. Fermarsi
comete. Le maree ribellarsi alla luna.
Le strade senza nome battezzarsi l'un l'altra.
Ma avevano avuto fortuna. L'inchiostro era
simpatico. Si rinfrancarono gli artisti.
Si rinfrancò la luna.

 

 

Il riflesso della luna
è smosso dal flusso del fiume,
scalfito da acini di pioggia.
Pioggia, che scende sulle case,
incanalata in grondaie ossidate.
Vapore e nebbia. Qua e là indistintamente
calano grumi di lumi sul corpo della linfa,
sulle dita adunche dei rami.
E' l'ora in cui gli insetti intravedono
in un'angusta fessura e gli uomini
in una scia d'aereo la fuga. E' l'ora
in cui cresce la ferita di una ruga,
immaginando cento mondi di idee,
mille amori finiti nel dimenticatoio
o sbiaditi in un logoro matrimonio,
a onde di generazioni susseguitesi
tra loro.

 

 

E' sfuggito irreprensibile
in un angolo morto del ricordo
il rossore del suo volto,
il timbro della sua voce,
il calore delle sue mani.
Ora la cerco inutilmente nelle stanze
della mia memoria.
Un tempo si sfiorarono
i nostri respiri. Si congiunsero
le nostre ombre.
Adesso non so se i suoi anni
piangono per amori mai nati,
se in lei vincono rimorsi o rimpianti.
Adesso non so quali tremiti astrali,
quali fremiti nei prati le sue parole
chiamano quasi amore.

 

 

Coppie furtive, appartate,
distese su nuvoli di foglie secche,
sulle sponde assopite celebrano
con giochi d'erba i saturnali dell'eros.
Oppure in abitacoli oscuri appannano
i vetri le loro labbra tremule. I polpastrelli
delle dita ora si cercano, carezzano il palmo
altrui, ricercando in un contatto una nuova
creazione d'Adamo. E l'ultimo respiro di Adone
ineffabile, ormai spettro del non detto, si aggira
attorno ai loro corpi madidi, causa un brivido di
smarrimento, sfiorandoli ignari. Poi riprendono
le loro effusioni, cullati dai loro sospiri giovanili.

 

 

Non sospirare mai sullo sguardo
di una passante, sul gioco di sponda
di sguardi incrociati dal finestrino
con la ragazza seduta sul treno
del binario parallelo. Non sospirare,
soffermandosi ad ogni bivio del passato,
pensando a ciò che poteva essere e non è stato.
Non chiedersi mai quale sarebbe stata la trama
del nostro destino in un luogo appena accennato,
dove il treno non ha sostato, o nelle città dai bei
gerani, che mai ci hanno visto, che mai ci vedranno.
Non chiedersi mai se lasceremo una traccia alla nostra
partenza. Non chiedersi mai quale mano d'angelo,
quale frammento del nostro sogno scacci l'ombra
della morte dal nostro sonno.

 

 

Nel silenzio di una città straniera.
Nel cuore di una notte quieta.
Noi, gravidi di gelo. I vestiti
modellate dal vento.
E fu il tepore di una luce trasversale,
il nitido chiarore emanato da lampare.
Celammo ognuno nel proprio animo
le parole amare ed avvelenate. Sostammo
appoggiati al parapetto del lungomare
senza parlare. I nostri occhi, senza rotta
né stella polare, erravano nel colore del mare.
Poi dicesti: " Ho letto i poeti per cercare
un verso che potesse racchiudere la mia vita
e tutte le vite. Ma ho solo trovato conforto
dalle loro voci."
Dopo in silenzio di nuovo a ricercare
in uno sfolgorio di luce, in un tono
vivo, uno slancio, che si accordasse
col chiaroscuro del nostro profondo.

 

 

I portuali,
avvolti in un sudario di nebbia
strascicano passi stanchi. Guardano
luci soffuse di lampare ed insegne di locali.
Cadetti dell'accademia navale nelle vie storiche
del centro approcciano bellezze locali, che
cercano di non pronunciare espressioni veraci
per timore di apparire scurrili, provinciali.
Il corso di Livorno è da sempre un pantagruelico
trespolo, su cui si accovacciano ingenue civette
per far da specchio alle allodole dei cadetti.
Sciami iridescenti di navi, allineate all'orizzonte,
si susseguono negli occhi dei passanti. L'impeto
maestoso del maroso modula sfrigolii, schiocchi
di rami nelle fronde mediterranee del lungomare,
lambisce ogive di volti trasognanti, appoggiati ai
parapetti gelidi della passeggiata, oppure riparati
sotto le pensiline dei bar.
E' già calato il sipario del giorno.
Oltre l'orizzonte si sono già involati quei toni di
luce,
quelle tinte uniche di colori,
che nella memoria sono pagine di stagioni.

 

 

Luna,
unica luce vera,
che tocca terra nella notte.
Luna,
solo tu rassicuri i bambini
e scacci la paura del buio.
Luna,
unica luce vera,
verità rivelata.
Luna,
con le tue falci, la tua faccia nascosta,
i tuoi quarti, illudi gli amanti e gli fai credere
che gli amori più grandi sono quelli non ricambiati.
Luna, da millenni i sospiri degli amanti muoiono su di
te.
Luna, verità rivelata,
bugia smascherata.
Luna, luce che non dà calore al cuore.

 

 

Stormi traversano l'azzurro.
Filari di cipressi fiancheggiano sentieri sterrati.
Sul dorso dei colli casolari ristrutturati.
E poi all'improvviso una lepre ci taglia la strada
infilza un nuvolo di ciuffi, un groviglio di cespugli
e continua la sua corsa chissà dove.

 

 

Una tempesta di rabbia mi scompiglia,
tutto questa fila, questo parapiglia
per uno stupido gelato alla vaniglia.
Se ognuno è una goccia di mare vorrei evaporare.
Siamo in ritardo anche per l'ultimo spettacolo..che
diavolo !!!
Dove vuoi andare ? Quale destinazione? Nessuna
illuminazione ? A corto di ispirazione.
Così è... se è vero che l'uomo ha inventato la noia
per dimenticarsi della morte.

 

 

 


HOME NARRATIVA POESIA