INEDITI POESIA

 

GIANCARLO FERRIGNO

 

Lettere ( lettres )

 

La raccolta è una breve avventura in versi, destinata alla lettura privata in pubblico, i temi sono dei più semplici per la cultura complessiva.

 

Acrostico

Accarezzo, ovunque, il tuo sguardo, nel silenzio. Ogni sera,
niente mi rallenta, il colore bianco dell\rquote innocente pensiero,
non c'è stagione, che non è: breve, brillante, ribelle e Alfiera,
ancora c'è neve, nel mio cuore, oh! Immutabile albero.

Muore lontano, da te il ragazzo, negli anni farfalla e ramo,
anche il fuoco, della mia umiliante passione,
ruvido nell'anima, con me muore. Il silenzio è azione,
ira e prova, di un filo di catena fine,
annosa, come una malattia, che non amo.

Tiene spesso, dissonanti suoni, come il nostro profumo,
radici mobili, l'immagine di noi insieme, che è un fantasma.
Allineata, era, alla mia penna, la sua pura fama,
viene descritta, destinataria di un treno che fuma,
ancora! La relazione, in un futuro, non ha consumo.
Giurando, alla svedese perdono, il suo ritorno,
Livido crebbe! Come questo, rimaiolo, che per averti in sposa,
inventò di tutto. Mi restano solo letture tristi, in ogni cosa,
non volle, che farsi rapire, dalla poesia, dalla velenosa,
orfana memoria, di un verso acrostico e porno.

 

Il corvo calabrese

Giova solo a pochi, il saluto, alla breve giovinezza,
tanti, sono i messaggeri della pace, ma tutto è noia, tutto!
Mai più un canto, guasterò, il mondo inferiore della razza,
il mercante disse : Eppure! In un giorno, fu fatto,
corvo, così si è addormentato.

Un fratello calabrese, popola, la mia calma,
il gesto che farò, con figure visive, forma,
l'uomo, che giocando a dadi, per caso, ha perso tutto,
dopo un riflettere strambo, il corvo, mi volle in frutto.

Nessuna scienza, potrà mai impedire, il delirio,
poichè, la natura sceglie, chi dotare d'equilibrio,
altri poi, fortunatamente pochi, quelli che conosco, un augurio,
alla vita breve, si danno! La tempesta col diluvio,
può essere misurata, controllata, ma leggere non basta, muoio,
al freddo per una nobile causa. Troppa sofferenza, mi uccido, oh! Dio .

 

I fratelli

Il mio caro amico, veste nero,
descritto, ora, ancora in fasce,
lamenta uno strano gusto. Di vero,
trascura la festa, di chiunque nasce.

I fratelli, assaporando, il pane,
notarono, che non c'era la lista,
della ristorazione. Il tale cane,
controllato senza parole, a vista,

rubò il cartello alla parete,
stupido! Il pesce nero, cadde a rete.

Perdeva facilmente il controllo,
forse, fu quella la causa, del suo crollo.

Si faceva chiamare, l'uomo ferro,
così perse, anche nel dopo, il carro.
Ricordo, quando : il mio lui suonava,
a volte, mi stupiva, perchè cantava.

Abbandona! L'ultima tua ferita,
vieni a piedi, in una terra scritta.

 

L'Anagramma dell'aria

Silvia!
In età verde, il suo autismo,
sorge. Il suo corpo, volò all'aria,
si è liberato, così, dello spasmo.

L'auto del sole è in avaria.

Salivi!
La collina, uomo, passivo,
ricordo, la tua prima azione,
quando libero, da uomo vivo,
raccoglievi, il male delle viole.

La tua bara brilla!

Oh! Tesoro, tra i segni, si annida la sorte,
a nulla può, la volontà delle scorte,
la volontà della famiglia. Tutti voi, seguite,
la non speranza, la morte.

 

La canzone del lupo

Nasce, così la nuova canzone, grazie al gioco e all'incanto,
di un lupo solitario. Sempre fermo, nel giardino,
della villa comunale, rammenta a tutti, come un posto,
senza dinamica, può diventare, a volte, divino.

Lo declino: lupo - lupis , in fiabesco, latino,
beve sempre acqua, poco vino, anche poco caffè,
mangia gelati, tanti! Ascolta la radio, non ha il codino,
poichè è calvo. E' saggio, infatti, quasi mai, perde le staffe.

Provo tristezza! E tanta pena. Vagabondo e martire,
non ha nessuno, a questo mondo, che i suoi discorsi, comprende,
ci somigliamo molto, noi due, tranne per l'età e il trasparire,
del suo accento nordico. Quando! Lo insultano: lupo - lupis, non si offende.

Da questo momento, ti battezzo, uomo forte,
infatti, non ti arrendi mai, alla sorte,
anche in questo, siamo differenti. Olé! Mio solitario,
che come me, giri la città a vuoto, senza una meta e senza un orario.

 

La caccia del falco

Scoppia un incendio, i due demoni, nella peste funerea,
seguono come conigli, a piedi, il defunto. Con il loro passo corto,
come quello dei cavalli bianchi, durante una caccia, sulla bassa marea,
e su secche pianure, i sensi distorti, galoppano. Pesco! Anche da morto.

Noi siamo come il diavolo greco, che in dissonanti giostre e balli,
con il suo prostituire piacere, alla voce parlante dei galli,
artiglia il destino. Siamo come i cavalieri e ultimi signori dell'inferno,
non accettiamo offese, ci ribelliamo alle feste con il freno.

Eppure! Qualche violento falco, ci troverà. Ad occhio,
comprenderà il nostro lavoro. Poeta e fratello,
mio complice, nella nostra avventura, il mai vecchio,
con le sue memorie, all'acqua e all'aria brucerò. Ti dono lo stagnolo, oh! Anello.

 

 

L'Alba e lo sposo

Un ampio strumento, a me avo, invidioso della notte,
invoca, le prime ore di luce. Quando il mondo non lavora,
il nostro rapporto, dunque, nel cuore per le ore corte,
si dissocia. La marina tromba, con il suo canto, ci sfiora.

I due amanti, mi rubano: istanti e attimi, loro, comunicano,
a distanza. Per come si toccano, dovrebbero, per la mia invidia, morire.
Sono fragile, sfido il peccato e la gelosia, che non mi abbandonano mai. Sono,
sincero e mi fido solo all'Alba, quando, gli amanti, ritornano a soffrire.

Non è un caso, che, quando mi sono separato,
ho folleggiato. Ogni volta, durante le loro notti, ho sempre perso l'equilibrio,
ma è attenta, oggi, la mia anima, con il suo sottile udito,
ascolta il dolore, e combatte la paranoia. Il mio cuore pulsa, d'amore serio.

 

 

La ballata del divorzio

Giovane cacciatore, il tuo istinto da lupo,
ha ferito il mio essere: pecorella smarrita. Vergine!
Non accetto, il tuo saluto freddo. Dopo anni di pigne,
al fuoco, l'orologio della sentenza, mi ricorda il patto cupo.

Infatti, sono stata iscritta, nella stanza d'attesa,
della tua attenzione, ed ho divorziato, dalla tua anima.

Di contro, però, non mi sono ritirata in un convento, ho dall'offesa,
ripulito, la mia paura d'amare ancora. Con la tua indifferenza, sprono il destino, porco firma!

Giovane cacciatore, il tuo istinto da lupo,
ha ferito il mio essere: pecorella smarrita. Vergine!
Non accetto, il tuo saluto freddo. Dopo anni di pigne,
al fuoco, l'orologio della sentenza, mi ricorda il patto cupo.

Ho viaggiato, con le ali ai piedi, ho consumato,
infinite scarpe. Non sono riuscita a sostituirti, tu, così giovane e malato.

Ogni notte, godo, assaporando, le carezze, della tua aggressiva immagine,
sogno! Che mi vendi nuovamente, le rose gialle, mia luce vergine.

 

La canzonetta di psiche

Tra te e me, ci sono io, che sono anche altro. Le miei parole,
saranno chiuse in una tomba. Strade, d'intorno, mi circondano, di solo, spoglie,
radianti, al vento d'odori di fruscii e bombe. Qui! Niente e nessuno è molle,
privo di volontà. Immagino il Paradiso, come un'unica casa, per il mondo, dove condividano le veglie,
senza il regalo della malinconia, i profumi cristallini, che non dimenticano.

Ho percorso a tratti, una solitudine estrema, spesso violenta,
impostami, da chi è il disumano sulla terra, la bestia. Il fato, ignora la mia richiesta d'aiuto, nell'infermità,
non importa, se implori, chi neanche ti ascolta, c'è sempre l'ultima speranza. Sono debole e la lenta,
prepotenza della mia preghiera, non ha convinto Cristo, ma è un inganno a Satana la mia vita.

Eppure, se tutti sono gloriosi, perchè, non vestirsi dalla nascita di gioia, poichè,
come il goloso, che nell'oceano della noia, si nutre sempre più, anche,
la forza conservativa e vittoriana del glorioso, per noia, suona l'arpa, oh! Psiche.

Così! Si tesse l'anima del mondo, le trame di ogni bella o brutta storia, all'amore,
sono unite. Un amore, che splende al chiarore di un lume,
ahimè! Che strano, vivere schiavo di un fiume,
ma Dio, mi ha reso un liberato, la musica delle mie parole,
i fratelli non dimenticano.

 

 


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