INEDITI

GIUSEPPE INGARDIA



Mi chiamo Giuseppe Ingardia , sono un 55enne trapanese , che di tanto in tanto , attratto dalla narrativa pavesiana

E di tanti autori siciliani tenta di scrivere qualcosa senza pretese .







Le campagne dell'adolescenza



Le campagne brulle e assolate del feudo le avevo cominciate a conoscere da bambino, quando mio padre mi portava con sé in bicicletta lungo impervie trazzere di zabbare , per la raccolta delle spighe e dei graspi dimenticati dopo le vendemmie.

Campagne di spine e di sterpi, canali torrentizi arsi dalla calura estiva, che dovevano rivivere alle prime piogge torrenziali settembrine, per allagarsi e riempirsi di raganelle e bacherozzi, e io che assetato cercavo il fresco bùmmulo chiuso col tappo di ferla, e la testa sempre impegnata con le sensazioni dolci e lontane dei giorni di scuola.

Rivivevo ancora le notti stellate passate davanti ai pagliericci degli orti dei miei zii, al feudo della Favarotta, divisi alle famiglie senza terra in quote a ventennale dopo il fallimento delle lotte per la riforma, con il pozzo dell'acqua amara vicino al baglio padronale, usato per lavare attrezzi e scrollare la polvere della campagna, a fine giornata.

Colline arse rase dopo la mietitura, fra macchie di vigneti giovani che coloravano paesaggi stemperati di restucce e terre cretose spaccate nell'arsura di giornate che non finivano mai.

E come stormi di passeri affamati i senza terra in bicicletta alle primeluci lasciavano il paese per sparpagliarsi nelle plaghe assolate delle più impervie contrade alla volta della ricioppa.

Il frutto della ricioppa è tutto a tràsere…cantavano attraversando i filari dei vigneti abbandonati dai proprietari dopo la vendemmia, dove si nascondevano sotto le larghe foglie radi graspi dimenticati, per fare il vino di casa .-

Mi capita di tanto in tanto ripassare per quelle campagne, e non ci ritrovo più fazzoletti aridi e pietrosi brulicanti di gente dagli abiti rattoppati, le colline sono come inondate da un mare di rigogliosi vigneti a spalliera, spezzato da isole di spinesante e casali diroccati. Non ci trovo più il sudore sacrale di quegli anni, il lento scorrere del tempo che univa affetti e risentimenti, come il pane greve che si mangiava arso e condito di pomodoro e sarde salate a colazione, con tanta acqua tenuta negli umidi orci, e poi al calare del sole al tramonto guadagnare finalmente la frescura della casa.

Vivevo in silenzio l'ingenuo desiderio di stupire dei miei anni avvenire, fantasticavo suoi primi amori immaginari, assecondavo il cuore che mi batteva sempre e non ne parlavo a nessuno perché conservavo tutto dentro per timore di essere deriso, riattraversando le emozioni delle giornate di scuola.

Casali e pagliericci erano come cattedrali galleggianti su un mare assolato di sarmenti e brulicante di un cicaleccio assordante, invaso di serpi, raganelle, lepri, corvi e volpi, dove gli orti asciutti d'estate guadagnati dai senza terra su occasionali fazzoletti in affitto si difendevano per l'estratto di pomodoro e i meloni dell'inverno.

Ora in campagna non ci va più nessuno, tuttalpiù si sta qualche ora giusto il tempo per raccogliere i prodotti con veloci attrezzi meccanici. La gente di quelle terre ha scoperto le frescure del mare un tempo disprezzato e temuto, nel tempo passionale dello scirocco non si nasconde più dentro le stanze fresche rivolte a maestrale e affronta il carnaio delle spiagge più vicine a qualche metro dall'acqua, affastella in fazzoletti di terra abusiva costosi chalet da cartolina da abitare qualche settimana all'anno ed erose dalla salsedine e dalle mareggiate invernali, come nuove slums della idiozia di questo tempo.



ANNI SESSANTA



…Scrivere è solo divertimento , una specie di passatempo innocuo per ammazzare la noia di un vivere sonnacchioso , dicevano al circolo di cultura , quando si parlava di libri .

E lo dicevano quelli che non erano soliti giocare a bilotta e a tresette , e amavano di tanto in tanto ritirare qualche vecchio romanzo polveroso dalla bibliotechina sgualcita del sodalizio .

Per lo più ci andavano per sfogliare i giornali a sbafo , e si intrattenevano a fare conversazione stravaccati su quei divani sporchi e consulti della prima sala d'ingresso , a scambiare battute sagaci nell'odore acre di toscano e trinciato .

I conversari insistevano sul solito chiacchiericcio , le corna del paese , i debiti personali del sindaco avvocato scapolone sempre odoroso di brillantina , le sue ultime conquiste .

Insomma il circolo era una specie di veliero in mare aperto che navigava in tutte le direzioni, spinto dal venticello più forte del momento .

Ero un ragazzo quando i miei amici più grandi mi ci portarono per le riunioni settimanali in preparazione del giornaletto ciclostilato del paese.

Come una casa comune di agricoltori possidenti, professionisti, geometri, gente di malaffare, maestri e studenti, era il luogo dello scambio e del pettegolezzo, del cinismo e dello sfottò .

Gaspare, scapolone insegnante di lettere, perduto inesorabilmente dietro le regine di cuori e i re di picche lavorava in silenzio per riparare i debiti di gioco, e dipingeva nella sua casa di campagna tele di sacco e acquerelli di ulivi saraceni.

Don Mario visitava come un vecchio padre affettuoso le famiglie più disastrate e somministrava consigli e assistenza, con l'ossessione negli occhi di una guerra appena conclusa .

Fra il circolo e la parrocchia lo scenario della piazza centrale era come un teatro greco che conteneva relazioni e comizi, insomma la vita del paese, in quegli anni sessanta che mi vedevano dodicenne smagrito con lo sguardo curioso e affamato di vita.

La mia combriccola dopo pasti frugali viveva il suo tempo nelle sezioni di partito a vedere la televisione; a dieci anni al circolo Combattenti scoprivo tigisette e carosello, infreddolito fra file di vecchie sedie e odori forti di tabacco, e tornavo tardi a casa ancora con gli occhi sognanti, e mia madre ancora affacciata alla finestra ad aspettarmi.

E ancora i comizi e i consigli comunali nella aula magna della scuola elementare, come le animate comparse nell'opera dei pupi, e l'intercalare focoso degli oratori che sollecitava l'applauso, i battibecchi combattuti come duelli di fioretto.

Ma non tutto era scontato e teatrale, c'erano assembramenti di manovali che ascoltavano di mondi nuovi e alimentavano speranze di cambiamento.

Mi trovai una sera nella affollata assemblea della sezione comunista, dove Giovanni Venturini e Alberto Spagnolo parlavano della Cina e della Russia fra tanti braccianti giornalieri informati su quello che accadeva nel mondo.

Fu così che capii che un pezzo di mondo mi sfuggiva e che dovevo inseguirlo per starci dentro.

Mio padre , deluso di quel mondo che aveva lasciato anni prima con la sconfitta della lotta per la riforma agraria, mi diceva di studiare e lasciare perdere, ma compresi che ora toccava a me andare oltre e proseguire il cammino.












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