NARRATIVA

INEDITI
POESIA

 

GIULIANO VANNUCCI    

Alcuni pensieri su ....

L' INVIDIA

 

    L'invidia è la più ostinata e la più bassa e degradante di tutte le passioni, la malattia incurabile, detta da Socrate Sentimento da pazzi , fu figurata in una donna gialla, macilenta, deforme, storto lo sguardo, lividi per la ruggine i denti, la lingua piena di veleno e il petto di fiele. Si pasce di vipere, non dorme, e sempre triste, non ride che ai gemiti altrui; è continuamente malata della prosperità e buona salute del prossimo. Sta sempre in faccenda, ne ha mai un giorno di riposo e di festa...
   Esce fuori la notte a seminar zizzania nel buon grano. Da travaglio alle case degli opulenti, usa molto ai palazzi dei più snob, medita accuse e calunnie, tende insidie a chi con la sua virtù le fa ombra, è assidua compagna dell'eminente fortuna, muove guerra a tutte le altezze, e con ogni perfida arte di intrigo, si affanna a seminare sospetti, scandali e scismi, a distruggere l'altrui fama e l'ingegno, a togliere pregio a ogni nobile affetto, a ogni buona opera.
  

CONTINUA...GIULIANO VANNUCCI
 


XXX
 

LA STRADA

 

Cammini in una strada mai fatta, sconosciuta, eppure ti ricorda qualcosa, ma è impossibile, sei sicuro. Poi vedi qualcosa in fondo, forse è lui. Intanto cammini, il tempo passa, la strada è in salita, e si fa sempre più ripida e tu cammini guardi in fondo e ti sembra di non vedere niente, ma è impossibile, deve esserci. Forse ti aspetta. Certo che ti aspetta, come può non aspettarti? sorridi e ti fermi un attimo, guardi indietro e vedi la strada che hai fatto, è tanta, provi a tornare indietro: impossibile! Allora continui ad andare avanti. La strada è sempre più ripida, ma è l'unica, e tu cammini ancora, la fine della strada ti aspetta e ti sembra sempre più lontana, poi ti accorgi che è sempre più vicina, si è proprio vicina, è proprio lì e c'è una porta ed un usciere: ti saluta. Tu sei arrivato, ti volti ancora indietro a guardare e ti accorgi che sei solo insieme all'usciere, e una domanda ti salta alla mente, e gliela fai:
    "Com'è che sono solo qui davanti a te". L'usciere sorride e dice:
    "Qui nessuno poteva entrare, la porta era destinata solo a te. Ora me ne vado e la chiudo".

       (1982) X.X.X.           CONTINUA...XXX

 


OTTO

BIANCA

    Cala lentamente il sole e...gli uccelleti con volo breve e silenzioso migrano di frasca in frasca lungo i carpini e le acacie del giardino, finchè si sono posati; le montagne ondulate all'estremo orrizzonte si tingono d'indaco sempre più cupo; cresce il silenzio nei campi e tonio nel sentiero sotto la siepe passa tornando a casa col rastrello del fieno.
    Madonna rossa, che è di sua condizione molto savia gallina, non di quelle, che cantano bene e poi raspano male, ha già ridotto allo steccato del pollaio la sua numerosa figliolanza, e dopo aver starnazzato l'ali tre volte e ammiccato in giro si dispone a chiudere gli occhi, quando bianca, l'ultima schiusa delle sue gallinelle, le si stringe più vicino, alza il becco verso di lei e par le voglia dire qualche cosa.
    "Che hai, figlia mia?"
    "Ah se voi sapeste, madre...."
    "Di su presto, che è ora d'aver già gli occhi chiusi".
    "Quante belle cose ho visto oggi...."
    "Dove?"
    "Sai....per quel buco che s'è fatto sotto nell'uscio un pò fradicio del pollaio..."
    "L'avrai magari allargato un pò col beccoe raspando sotto nella terra. Ebbene?"
    "Sono uscita di là e sono andata un pò a spasso per l'aia. Ma solo un pò, sai?"
    "Male. Non te l'avevo permesso".
    "Ma non me lo avevi vietato. Ho creduto..."
    "Troppa curiosita sta male a giovani ragazze. Ma insomma che hai visto di bello?"
    "Oh, tante cose. Prima di tutto, il mondo di là dal recinto è cosi grande! Non avrei mai creduto che ci fosse tanto cielo e tanta terra."
    "E poi?"
    "E poi, ho visto di là un bel giardino con tanti fiori rossi, gialli e tanta erba fina e poi dell'acqua e poi, sai? quell'oca, tua amica tempo fà, che non avevo più veduto. Era là che si sbatteva in quell'acqua, che era un piacere. E poi...E poi..."
    "E poi....non mi far la grulla, di tutto su dai"
    "E poi sul muricciolo, c'era un gattino...tanto bello! un musino roseo, un paio di baffetti, un pelame bianco e nero. E ma vista e ha fatto una vocina carezzevole e dolce; poi a passini piccoli piccoli, timido veniva a me che ero tutta confusa dal piacere di aver incontrato un animale cosi grazioso e benigno. Uh! mi vien da piangere dalla rabbia; un cagnaccio, con le orecchie dritte e con una vociaccia, che ancora mi batte il cuore, s'è venuto a piantare villanamente tra me e lui, e io sono fuggita e quel povero gattino anche. Non è vero che quel cagnaccio è cattivo?"
    "POvera figlia mia! Si vede che sei uscita per la prima volta nel mondo. E non dovevi senza confidarti prima alla mamma. Sai che dolce animale è quel gatto? Egli ti ha già divorato un fratellino e una sorellina e, se quel povero cane, di cui hai detto ogni male, non giungeva a tempo, divorava pure te con quelle sue crudeli moine. Figlia mia, di là da da questo recinto potrebbe essere la tua sventura.
Sta vicino a tua madre ancora per un pò, che sei piccola e inesperta dei pericoli della vita, aspetta che le ali e il becco diventino più forti, allora potrai avventurarti di là, e ancora abbi a mente, che le carezze spesso coprono inganni, e il burbero è più spesso amico e benefico, che non chi vi si porge con bel viso, morbide e piacenti parole. Se tu potessi intendere ti direi per esempio ad ammaestramento certe cose, che avvengono tra gli uomini e no avrei da andar troppo lontano.
Ma sarebbe troppo lungo e disturbiamo il silenzio fuor d'ora. Tu sarai salva, se avrai a mente le parole di tua mamma. Ricordati. E or chetati e dormi.
    S'udi ancora qualche fremito d'ali, poi nel pollaio fu silenzio fino al biancheggiar del mattino.
 
 

CONTINUA...OTTO


 

Questi racconti che seguono ci son pervenuti da persone che si definiscono molto anziane, e leggendoli si può capire anche che sono stati scritti molti e molti anni fà.

A.D.G.
 
 
 
 

NON NACQUI TRA LE PIUME, NE' GRANDE

    Non nacqui tra le piume, nè grande.
    Mio padre era, certamente, gentiluomo di nobile razza, antica, anzi crociata; ma senz'altro
titolo che quello di cavaliere di nascita, dato in Piemonte a tutti i discendenti maschi dei rami minori di famiglie patrizie e titolate.
    Rispetto alla nobiltà della famiglia, io ne faccio quella medesima, moderata, ma giusta stima, che Dante, l'Ariosto, il Macchiavelli, il Tasso, il Manzoni, il d'Azeglio e lo stesso Vittorio Alfieri potevano fare della nobiltà della famiglia loro. Un pò d'orgoglio di razza si sente pur sempre; ma orgoglio non vuol dire vanità; il sentirsi nobile può aiutarci non solo a mantenere quello che vi può essere di buono nella tradizione di case antiche, ma ad aggiungervi qualche cosa di proprio, che faccia la nobiltà più degna e più squisita.
   Intanto, devo far conoscere che, quando venni al mondo il 7 aprile di tanti anni fa', alle sette di sera, mio padre era soltanto un modesto capo sezione in un ministero e alquanto infermiticcio. Quattro sorelle e due fratelli mi avevano già preceduto, io venivo settimo nella serie; sono, perciò un cadetto di ramo cadetto, e quindi, secondo le idee araldiche, personaggio di piccolissimo conto.
   Per un caso singolare, tuttavia, quando venni al mondo, mio padre, ebbe una specie di richiamo nostalgico, ai luoghi dove gli avi suoi se ne dormivano in pace, e dopo un anno dalla mia nascita, non resistette alla tentazione di recarsi, con la speranza di una più pronta guarigione, nelle aure più miti della paterna Provenza, a svernare con la famiglia a Nizza, dove nostro nonno era da trentun anni sepolto, dove vivevano ancora alcuni lontani parenti, dove, nel castello, in alcuni possessi, e nelle chiese, si serbavano della famiglia parecchi ricordi. Ciascuno di noi può aver provato, in alcun momento della sua vita, come un dolore nostalgico di una patria lontana non solo nello spazio, ma ancora nel tempo; ci pare talora di avere già vissuto in altri luoghi remoti, in altra età, in un altro mondo, che ricerchiamo con una specie di affanno.
   Io non so come, ma più volte mi sono sentito rapire misteriosamente assai lontano, e credo anzi d'aver già vissuto altra volta, cantando inni vedici, nelle alte valli del Kahsmir, in Grecia, sul Mare Jonio, in Terrasanta, a Firenze, lungo la Vesubia, ed a Nizza, dove se l'immaginazione mi riporta, se il desiderio mi richiama, io vedo risorgere innanzi alla mia mente fantasmi d'una evidenza meravigliosa. Comprendo dunque benissimo come mio padre, uomo assai grave, ma in cui era assai fervida l'immaginazione, dopo essersi, per quasi due anni, occupato intorno ai suoi antenati, ricordando d'aver passato alcuni anni della sua infanzia a Nizza presso il padre malato, e sentendosi malato esso stesso, abbia sentito, a quarantatré anni, un attrazione più forte, se bene dolorosa, verso le vecchie tombe di famiglia. Ma intanto ch'egli si preparava a partire per Nizza, e io dovevo essere ritirato da balia, nacque in casa un'altra sorella. Che fare, dunque, fra tanto trambusto per la partenza, di que'due piccoli ingombri?
   In quel tempo, un viaggio da Torino a Nizza doveva parere un grande avvenimento, e riusciva certamente un mezzo disastro per le famiglie non ricche, che lo dovevano forzatamente intraprendere. Ma i medici, avendo consigliato il clima della Riviera, parve necessario che nostro padre si curasse e che ne guarisse.
   Fu dunque deciso che si mettesse a balia la bambina sui colli di Torino, presso Santa Margherita, e che si pregherebbe la mia balia Teresa che mi aveva appena allora slattato in Riva di Chieri, a riprendermi e tenermi seco per un altro anno, fin che l'intera famiglia facesse ritorno da Nizza.
 
 
 

TERESA

    Teresa, non domandava proprio nulla di meglio; e io che non avevo, fino a quel tempo, veduto altro di bello che lei, non me ne sono, di certo lagnato. Antonio, il marito era il mio buon balio; ma, poiché la casa rustica che questo contadino abitava era sua, lo conoscevano tutti nel villaggio col nome di Toni dla ca'. Brav'uomo, d'umore allegro, bonaccione, amava anch'esso il suo baliotto e gli faceva frequenti carezze, cercando come poteva, di divertirlo; ma, tutta la mia tenerezza, talora furibonda, era per l'amorosa nutrice.
    Forse un pò di merito ci avrà avuto, ai miei occhi sempre aperti spesso aguzzi e penetranti, la sua bellezza, la sua gioventù, la sua vivacità. Teresa aveva occhi sfavillanti, che s'inumidivano facilmente per tenerezza ed una voce grossa che veniva su da un gran cuore, un pò rauca da principio, quando si levava, ma che, a pena vibrata, si schiariva, facendosi arguta, squillante e quasi argentina. Nel sorridere, mostrava denti bianchissimi: la carnagione rosea del volto e un seno soavemente ondulato che mi fu frequente dolcissimo guanciale alla testina bionda, dovettero contribuire a farmela amare assai più. Ma essa era poi anche vigile, intelligente e appassionata; i soli baci caldi e appassionati che ho avuto nella mia infanzia sono stati i suoi, e mi pare, dopo tanti anni, sentirmeli ancora fremere sulle guance.
    Teresa, era anche una brava tessitrice e stava molte ore al giorno al suo telaio.
    La prima musica che ho dunque intesa, nella mia prima vita, fu il monotono e misterioso tic-tac di quel telaio. La ninna nanna, quasi elagica, del futuro lavoratore doveva dunque essere ilrumore della spola che strisciava e scorreva su e giù, ora lenta, ora guizzante e ballante per la trama. L'ho sempre ancora negli orecchi;e così bene, che ogni volta che mi sono di poi trovato a passare, in alcun villaggio, innanzi ad alcuna casa, onde s'alzasse il noto rumore, ho provato, irresistibile, il bisogno di entrarvi, quasi che, a capo del telaio,dovessi ancora veder moversi le bianche, agili mani della mia bella nutrice, mentre gli occhi carezzavano un bambinello in culla che le sorrideva.
 
 
 


RICORDI INFANTILI


    Io vissi, interamente beato, a Riva di Chieri, presso la mia balia, come un libero contadinello,
baloccandomi sopra l'aia, senza un pensiero al mondo, con la mia cara sorellina di latte, che divento poi anch'essa, come sua madre, un fiore di bellezza.
Un cane da pagliaio, un maialetto, i polli e i tacchini furono pertanto i miei primi compagni di gioco, coi quali non mi ricordo di aver mai avuto litigio; e forse, per questo lontano,vago, incosciente ricordo, quando ritorno in campagna, il mio posto prediletto è ancora sempre l'aia, dove ho ruzzolato, nella mia prima età, dove mi sono spesso gettato bocconi, con le braccia distese, su monti di fieno fresco e odoroso, su monti di grano nei quali affondavo lieto, per sentirmelo strusciar di sotto le mani e i piedi, su monti di foglie, dove devo avere scartocciato e spannocchiato anch'io il grano turco, canticchiando, al chiaro di luna. Perciò, se non ritrovo l'aia, mi pare che la campagna manchi del suo maggior centro di animazione, come la casa civile priva di salotto.Tutti i rumori e lavori agresti mi seducono ancora e m' invitano irresistibilmente.Non so come e perché, ma il monotono concerto a S doppia, delle cicale, il trillo arguto del grillo solitario, il gracidare delle rane, il belare degli agnelli, il muggir delle vacche, tutte cose che sogliono dare molta noia agli altri, a me non solo non recano alcun disturbo, ma procurano invece un certo senso di piacere. Tutto ciò, senza alcun dubbio, deve accadere per forza di un fascino misterioso. La natura mi ha abbracciato forte, interamente, unicamente nella mia prima infanzia. E' stato perciò necessario usare un pò di violenza, per distaccarmi da essa e farmi rientrare, come un forzato nella vita cittadina.
   Nato per sentire vivamente e nutrito col buon latte, ho ricevuto allora alcune profonde impressioni che non si sono potute cancellare anche in una vita poi, troppo diversa; il che può anche spiegare certi miei scatti, impeti, e ritorni appassionati a cose che paiono tanto lontane da quelle che sono o dovrebbero essere le mie occupazioni e preoccupazioni presenti. La mia prima natura, la prima vita, che fu buona, pura e schietta mi richiama fortemente a se; e, se io fossi capace d'invidia, mi farebbe invidiare soltanto i pastori e i contadini che la possono godere tutta, e che diverrebbero i primi e più cari poeti del mondo se potessero intenderla, come l'intesero divinamente i primi pastori Arii che cantavano gl'inni vedici, lassù nelle alte valli del Dardistan, del Citral e del Kashmir, ai piedi di quell'altoPamir, che fu detto il tetto del mondo.

A.D.G.


 

P.M.G.

PER UN SOLDO DI SPILLE

    Ricordo di aver trovato fra le" note intorno alla vita" di Alfonso Daudet una raccolta di pensieri e di osservazioni (che il romanziere veniva scrivendo col proposito di servirsene poi nella concezione de' suoi nuovi lavori) queste parole: "Dire la pietà che mi ispirano i piccoli mercanti che non vendono mai nulla ". La penna arguta dello scrittore parigino, abituata a tratteggiare finemente i costumi e la corruzione dell'alta società, non si fermò però mai, ch'io sappia, a quel umile soggetto; ma non importa: l'artista ne aveva avuta, sia pure per un momento, la visione, e ne era restato commosso.
    Io conoscevo tempo addietro uno di questi rivenditori, un povero vecchio, che si trascinava a stento su e giù per il breve marciapiede di una via centrale della città, appoggiandosi al suo bastone, dondolando continuamente il capo canuto. Vendeva spille: e il primo pensiero che mi venne spontaneo e triste alla mente, non appena per la prima volta lo vidi, fu questo: quante spille dovra vendere il poveretto per guadagnarsi il pane per una sola giornata?
    Lo seguii con l'occhio. Egli offriva la sua merce a tutti i passanti: spille d'ogni grandezza e d'ogni specie: piccole e gialle, luccicanti sulle carte rosee; più grosse del colore azzurrognolo dell'acciaio dai capi perlacei trasparenti; e poi spilloni e spilloncini lunghi ed acuminati, che aspettavano di penetrare e sparire nella massa nera , bionda o castana, d'una testa di donna. Il valore di poche lire fra tutto, forse anche meno; ed erano allineate nella cassettina che il rivenditore si portava dinanzi al petto, sospesa a una funicella che gli girava intorno al collo.
    Il vecchio offriva la sua merce a ogni persona che passava. Quaranta spille al soldo!quaranta spille al soldo...
Ma nessuno si fermava a guardare, nessuno poneva la mano in tasca per levarne la piccola moneta. Ed io pensavo: da quante ore il poveretto aspetterà che qualcuno gli paghi un soldo di pane?
    Ecco: passa una donna del popolo, frettolosa ed affaccendata, con un fagotto sotto il braccio: "quaranta spille il soldo! " e la mano tremante porge una carta di spille....Un'occhiata indifferente e....
nulla. Ma in lui, ne' suoi occhi, quale subitanea espressione di attesa, quel rapido lampo di speranza subito spento!...
    Poi più nulla per un pezzo. La gente passa e passa sul marciapiede, ma nessuno si ferma, ma nessuno ha bisogno di spille. Dunque? "dunque forse non vi sarà il pane per questa sera.
    "Quaranta spille al soldo!quaranta spille al soldo!...
    Questa è una signora: forse la moglie di qualche impiegato a duemila e cinquecento, che è uscita dando la mano al suo bambino tutto biondo e ricciuto, con l'intenzione di fare qualche piccola spesa. E si ferma: finalmente!...
    "Quante al soldo?"
    "Quaranta, signora."
    "Datemene cinquanta!" e offre la moneta.
    "Cinquanta? impossibile...
    "No? e rapidamente si rimette il soldo in tasca e si allontana...
    "Senta, senta, signora!... Il povero vecchio la richiama agitando la mano... ma essa non si rivolta; cerca di raggiungerla... impossibile essa cammina troppo veloce, ed egli barcolla sul suo bastone...
    Ma con quale occhiata d'ansia dolorosa l'ha seguita per un momento! e con quale espressione di avvilimento e di sconforto ha lasciato ricadere la mano, mentre quasi gli occhi gli si spingevano...
E si ferma: il capo gli dondola più che mai, la voce gli muore in gola... S'appoggia allo spigolo di un negozio: forse la debolezza sta per vincerlo, forse la fame che gli contrae lo stomaco e gli fa piegare i ginocchi... Ma no! egli mormora di nuovo: "Quaranta spille al soldo, quaranta spille al soldo!..."
    E allora (la via rumoreggia di carrozze, auto e pedoni, e le lampade elettriche, improvvisamente accese, illuminano la spensierata scena di ogni sera, il passeggio dei ricchi e dei felici) allora una fanciulla, una piccola operaia uscita forse in quel momento dal laboratorio, una brunetta timida e vergognosa nella veste troppo corta e rattoppata, con lo scialetto nero, tirato sugli occhi, si distacca dalla folla e chiede a voce bassa:
    "Un soldo di spille!"
    E il vecchio, drizzando vivamente la testa e col viso improvvisamente illuminato da un'espressione d'infinita dolcezza e d'amore, trae dalla cassettina una carta rosea fiammante e le dice:
    "Prendi: cinquanta per un soldo!"
 
 

P.M.G.                  CONTINUA P.M.G.



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