INEDITI POESIA

 

SALVO PETTINATO

 

DA "L'IDENTITA' INSERVIBILE"

capitolo 1 Una assenza giustificata

Vittorio Modica, con la coda dell'occhio, all' improvviso letteralmente inquadrò, come se fosse la proiezione di un fotogramma apparsa sul finestrino del bus 64, dove si trovava, un suo compagno di università che non vedeva da circa trent'anni, l' indimenticabile Gianni Mussi.
Il 64 stava attraversando piazza Venezia e lui fu captato in un baleno dalla visione mentre Mussi camminava gesticolando pacchianamente ad impulsi nevrotici sul largo marciapiedi del palazzo veneziano delle assicurazioni, con un passo velocissimo tutto abnorme rispetto a quelli degli altri normali passanti del centro di Roma.
Si trovò per un istante, pur dentro il mezzo pubblico, proprio a dieci metri al massimo dal vecchio amico disperso, che gli sembrò scaricato lì apposta per lui.
"Com' è diventato brutto......", pensò subito," e come sono torve quelle fosse profonde che ha sul volto. Una volta, mi ricordo, erano dei lievi accenti che le ragazze decantavano di continuo......".
Gianni era anche vestito proprio male, con un cappottino marrone senza orli, striminzito e abbottonato in un modo che appariva strano alla vista, e aveva una sciarpa di lana fuori stagione più che inconsueta, perchè strettissima e di colore rosso fuoco. Sembrava quasi una strana cravatta da artista o da clochard.
L'immagine riuscì quindi a Vittorio, nei quattro secondi in cui l' aveva incamerata come se avesse negli occhi un obiettivo a zoom con un rallentatore naturale, una riproduzione molto lontana dal suo vecchio ricordo ro mantico di Gianni Mussi, paradigmatico rampollo di famiglia agiatissima di via Archimede, pieni Parioli cioè, spesso accompagnato dall' autista del padre anche nei posti più ordinari che poteva frequentare da ventenne degli anni settanta.
A casa di Gianni, Vittorio, aveva assaporato più volte quelle che erano rimaste, nei suoi ricordi, le migliori merende della sua vita, servite sempre da un domestico straniero in abbigliamento da servitù , il primo da lui mai visto da vicino nella vita.
Questa era l' immagine essenziale che aveva ancora di tanto in tanto di quella persona, quando faceva le sue improvvise scorribande sul lontano passato. Ma il bus incalzò diritto per la salita di via Cesare Battisti, Mussi si dileguò e tutto, per il dottor Modica, si ridusse ad una triste riflessione applicata sull' ingovernabilità della vita e sulle precarietà che si annidano nei ceppi anche importanti dell' esistenza di tutti, un tipico spunto classico della sua filosofia spicciola.
Il tema, però, lo cacciò in un baleno via dalla mente, come da qualche tempo aveva imparato a fare "al volo" con quelli che ora chiamava i maledetti "pensieri superflui", materiale che in verità aveva sempre prodotto in misura abbondante ma che di recente aveva preso a cacciare via subito con foga, tutte le volte in cui compariva.
Il Vittorio cerebralizzante, si ripeteva con forza, nel passare il tutto al cestino dimenticatoio, come si fa nei computer, era un altro. Era quello degli anni passati, mentre quello attuale era, innanzitutto e sostanzi almente, una persona non perfettamente in ordine per gli affari di testa, che quindi doveva curare con estrema attenzione anche nei minimi particolari.
Non doveva mai perderlo di vista questo assioma, non ostante le episodiche tentazioni contrarie legate alle sue inveterate abitudini mentali del passato. Ora non si poteva consentire più digressioni inutili neanche con il solo pensiero, specie quelle prive di risvolto pratico. A cinquantadue anni, e con uno stato patologico piuttosto serio addosso, doveva mantenere sempre molto centrale la sua perfetta attenzione sulle sole cose che lo riguardavano da vicino, in modo concreto, pratico e difensivo.
Senza essere stabilmente troppo lucido sulle connessioni esatte tra quel fenomeno del rifiuto dei temi seconda ri e il suo stato precario neurologico, sentiva molto chiaro che adesso doveva sopra tutto evitare di riprodurre mentalmente quasi tutte le modalità di pensiero che avevano sempre caratterizzato i flussi mentali della sua persona nel passato.
Il malato, quando vuole reagire davvero al suo problema, deve cambiare le sue abitudini di sempre, pensava. Deve abituarsi a camminare se è stato sempre fermo, bere uno o due bicchieri di vino se non lo ha fatto mai, riposare di più se non si è mai fermato durante il giorno: se la vita di prima ha determinato l' insorgere del malessere che ha, come sentiva essere il suo caso, lui deve rinnovarsi se intende aiutare con la partecipazione il processo naturale di guarigione.
Gli sembrava logico, tutto questo, a prescindere da quello che potevano avergli detto i medici, che gli erano sembrati tutti, chi più chi meno, sin dalle prime consultazioni, alquanto impotenti di fronte alle malattie serie afferenti un punto essenziale dell' essere umano qual è il cervello, in particolare.
Nel suo caso, oltretutto, cominciava a sembrare chiaro che il vero medico sarebbe stato, eventualmente, qualche Signore dell' universo, senza il camice bianco, e possibilmente con il suo aiuto spontaneo e determinato , dato che , in quanto proprieta rio diretto della macchina che si era inceppata, pensava come al solito di avere per forza le sue responsabilità oggettive per il male che lo aveva intaccato, tanto più che non accusava niente che potesse ritenersi venire da fuori.
Vittorio non aveva problemi psichiatrici bensì solo e precisamente neurologici, cioè funzionali, da usura diceva lui : non rischiava quello che molti considerano essere la follia o qualcosa di simile, dato che ragionava, quasi sempre, come e meglio di prima, ma era proprio l' hardware, la macchina fisica piazzata dentro il cranio, ad avere problemi, più del software, cioè del programma che aveva determinato, dalla nascita, la sua caratterizzazione esteriore di uomo.
Aveva raggiunto la conclusione che ad essere irregolari, dentro di lui, erano precisamente le cosiddette sinapsi, cioè i collegamenti di impulso neurologico che ci governano tutti: le connessioni tra gli infinitesimi spazi tra si determinano tra le cellule cerebrali. Erano loro, nel loro funzionamento, ad avere qualc he problema, naturalmente dovuto a qualcosa di fisico che lì dentro si era determinato, perchè operavano in modo stabilmente diverso da come avevano fatto sempre prima. E l' effetto coinvolgeva i risultati dell' attività mentale, era un fatto.
E questa non era neanche stata, nei particolari esatti, la conclusione di qualcuno dei vari medici interpellati, ma la ricostruzione che lui aveva messo insieme da solo, ricomponendo con cura i "pezzi del puzzle" tra le mezze affermazioni estorte ai neurologi, quando av eva analizzato con loro certe rilevanti carenze obbiettive che aveva, dato che la materia risultava ufficialmente ancora in pieno sviluppo e soggetta a scoperte rivoluzionanti, di mese in mese, dopo ogni convegno internazionale di clinici.
Tutto restava sperimentale, per la scienza medica, di ciò che riguardava le sue condizioni, e lui si era trovato quasi all' improvviso, dopo un esaurimento nervoso con i fiocchi la cui connessione col suo male era rimasta oscura, in mezzo a questo non invidiabile contesto, nel quale anche orientarsi era un problema delicato da far spazientire perfino un guru tibetano.
Questa delle sinapsi era divenuta la sua migliore conclusione, seguita anche a debite letture, soprattutto su Internet, di atti congressuali internazionali, tutte analisi approfondite ma di contenuto ipotetico ; una conclusione che lui sapeva essere ispirata in buona parte dalle continue perplessità colte nelle pseudodiagnosi che aveva ricevuto nell' ultimo anno, dai dottori, in base a quanto da lui accusato.
Vittorio funzionava apparentemente alla grande, perchè ogni stimolo interpersonale specifico, che gli altri o le cose della vita gli generavano, comportava per lui sempre la reazione più giusta, e aveva ancora il dominio della sua intellettualità profonda, grazie a cui poteva leggere, scrivere, approfondire, continuare nei suoi non trascurabili impegni che pure coinvolgevano la mente.
Le differenze rispetto a ciò che lui sapeva essere il suo stato di prima erano praticamente invisibili perchè coinvolgevano fenomeni interni quanto mai, come la partecipazione emotiva reale e rapida agli stimoli, la soddisfazione, l' entusiasmo, la preoccupazione, la reazione emotiva, il sentimento in genere: lui concludeva che la mancanza del senso di pienezza che le sue condizioni gli rivelavano ogni giorno era sufficiente a generare quelle deficienze così significative, per le quali però era difficilissimo essere creduto perchè chiunque, dalla moglie in poi, erano sempre pronti a parlare di sensazioni psicologiche e a smontare così le sue verità.
Si teneva quindi senza drammi nè ansie la sua assenza radicale di desiderio sessuale, la pienezza della sua solitudine, il gusto di leggere per ore di seguito e di guardare a lungo la televisione, la mancata nostalgia di tutte le amicizie, la scarsa propensione a ridere alle battute di chiunque, ma anche alle incavolature di ogni sorta.
Aveva smesso da tempo di cercare conforti o comprensioni e tirava avanti, senza patemi, in attesa di eventi o di possibili svolte, perchè sentiva di non avere niente di concreto da intraprendere e per fortuna tra i cambiamenti nascosti registrati c'era anche quello della pazienza e dell' assenza di scoraggiamenti e di sensi di fastidio.
Registrava con pienezza, come avesse settant' anni, l' enorme forza logica della buona determinazione a non abbattersi, che sentiva manifestata non dalla virtù ma anch' essa dal nuovo modo d' essere, e capiva meglio di prima che nulla ti lascia solo come la titolarità primaria di un problema personale grosso, specie se non si tr atta di qualcosa di plastico o iconografico, come un incidente stradale, una frattura ingessata o roba simile, su cui tutti fanno a gara a farti vedere come sono sensibili e comprensivi.
Nel quadro dei cambiamenti di modalità di pensiero, attraverso i qual i egli credeva di contribuire al tentativo di cura naturale, fondato ancora solo su vari integratori vitaminici di sostegno, e non su farmaci specifici che nessuno gli aveva prescritto, uno dei suoi nuovi principi quotidiani più imperativi prevedeva dunque che, all'opposto di come aveva fatto sempre, tutte le concentrazioni mentali spontanee, su questioni prive di qualunque impatto pratico, anche se veloci e momentanee, andavano soffocate alla nascita perchè avevano un potere inquinante sulla testa.

Era il 10 ottobre 2001, e l' autunno tardava a Roma, come quasi tutti gli anni. A Vittorio la cosa faceva più piacere del solito perchè, avvertendo ormai senza remore il nuovo stato di debilitazione, tutti i conforti possibili che si rendevano disponibili, persino un clima atmosferico più favorevole, erano cose che isolava con evidenza nella sua percezione generale dei fatti di vita e che salutava, con molta attenzione, come benvenute.
Quel giorno si sentiva appena contrariato, sul piano pratico, a causa del suo inseparabile motorino rotto, che aveva dovuto lasciare da quel rompiballe sempre triste che era il suo meccanico, per almeno due giorni di riparazioni varie.
Stava andando alla Children Charity Foundation, l'ente morale per cui era attivamente impegnato, da volontario di lusso, da qualche anno.
La sede della Fondazione stava all' inizio di via Nazionale, a cinque fermate di autobus dalla sua bella residenza di corso Vittorio Emanuele II°, la strada chiamata da tutti a Roma, con suo antico e divertito gus to personalissimo, corso Vittorio.
Era lì che viveva con la moglie ricca di famiglia, in un bello e grande appartamento ereditato da lei, piazzato proprio a due passi da piazza Navona. Roba da due miliardi e mezzo almeno, mica una bazzecola.
Quella visita alla Fondazione era importante perchè faceva seguito a due settimane di sua integrale e deliberata latitanza assoluta, anche telefonica, da quegli uffici.
Come si dice a Roma, si era proprio "dato" per tutti quei giorni, con lucidità e determinazione fredda e calcolata.
Un' assenza che risultava totalmente inconsueta, perchè Vittorio era sempre stato un orologio svizzero in tutti gli impegni presi. Per questo era risultata una cosa inaspettata da tutti, e aveva destato preoccupazioni e imbarazzi allarmati nel gruppo degli amministrativi di sede, dato il ruolo decisivo di guida che Vittorio ricopriva in quel contesto.
La Children Foundation era un grosso ente senza scopo di lucro internazionale, notissimo da tempo all' estero e ormai in piena espansione anche in Italia, considerato dai media all'avanguardia nell'aiuto benefico all'infanzia per le difficoltà sociali di ogni tipo.
Con vari passaggi televisivi, con frequenti pagine gratuite sui principali giornali, e grazie anche a testimonial di grande notorietà, che si prestavano a concedere la loro immagine pubblica, l' istituzione si era espansa in ogni dove, in Italia, e raccoglieva in modo capillare, solo tra il pubblico, almeno venti miliardi di lire l'anno per la sua causa, ed aveva rappresentanti di peso in vari comitati e commissioni per l' infanzia anche statali.
La delicata responsabilità dell'amministrazione della rappresentanza di Roma, che era la più importante in Italia, con funzioni di ufficio leader nazionale, era affidata da più di cinque anni al le sapienti mani professionali del dottor Vittorio Modica, di professione direttore amministrativo e finanziario della filiale italiana di una grande multinazionale farmaceutica americana, la nota Priter &Co.
Alla Fondazione, il dottore, riservava, gratis ovviamente, un tempo medio di un'ora al giorno, più, sistematicamente, la mattinata intera del sabato.
La sua rigorosità, naturale ma sempre ponderata, da vero professionista di alto livello, lo rendeva per tutti, lì dentro, una specie di "uomo nero", soprattutto perchè, essendo abituato allo stile efficiente e diretto tipico dell' azienda privata importante, aveva l' attitudine ben allenata ai giudizi drastici ,che sapeva esternare all' impronta senza edulcoranti o metafore, e aborriva d' istinto, all' atto di ogni operazione di contenuto professionale, tutte le effimere diplomazie da ufficio pacifico e tranquillo, come pensava fossero quasi tutti quelli tipicamente romani.

La parola "stronzo" era quanto mai ricorrente nei suoi giudizi, era la più frequente st atisticamente, oltretutto nel contesto di periodi lessicalmente perfetti, e le incavolature espresse in frasi plastiche velocissime venivano annotate e ripetute per mesi alla lettera in quegli uffici.
Già questo bastava a farlo considerare importante e autorevole non ostante fossero ben altri, e ben più fondati, i motivi per cui il riconoscimento di quelle qualità gli spettava ampiamente di pieno diritto.
La sparizione bisettimanale che si concludeva con quel ritorno, per una persona che era stata, sempre e ogni giorno, più che ferma al suo posto, una persona conosciuta per spaccare capelli a iosa nella meticolosità e nel perfezionismo di tutti i suoi passi, aveva generato pertanto quell' impatto di allarme immediato.
L'assenza era stata sofferta come particolarmente problematica, in quello scorcio temporale, perchè ottobre era, tutti gli anni, tempo di reporting contabile europeo, un momento in cui la sua presenza era a dir poco essenziale, tenuto conto che il lavoro di quella fase dell' anno finanziario comportava frequentissimi contatti esteri, con il quartier generale di Londra specialmente.
Alla competenza gestionale si aggiungeva, oltretutto, come fattore decisivo dell' importanza della sua presenza in sede, la sua fluida familiarità con l'inglese, dote che nessun altro degli interni ("I burini metropolitani" , li chiamava lui) poteva vantare e che era imprescindibile nel mezzo delle continue e-mail che piovevano con insistenza coriacea, dall' Inghilterra, in quei giorni, suscitando nel personale amministrativo apprensioni talvolta paranoiche.
Vittorio, comunque, con quell' assenza aveva gestito un gioco strategico tutto suo : ed era nel quadro di quel gioco che rientrava quel pomeriggio con lo scopo conclamato di "fare il punto" del momento e soprattutto per gestire sapientemente un pianificato ampio passaggio temporaneo dei compiti ai suoi principali collaboratori fissi interni.
Insomma, per mollare bene l' "inghippo" per un bel po' e per togliere così elegantemente le tende.
Aveva infatti annunciato al presidente vari giorni di ulteriore prossima assenza, dovuta ad ampie e incontestabili giustificazioni sanitarie riservate che lo riguardavano.
Si era, in ragione di queste dichiarate necessità, guadagnato, anche più facilmente del previsto, a onor del vero, il pieno e comprensivo consenso per una sospensione di funzioni di almeno due mesi, e questo imponeva la trasmissione delle consegne, tanto più che per quel periodo si era riservata anche la sostanziale irreperibilità , visto che sarebbe andato piuttosto lontano da Roma, e sotto un fuso orario scomodissimo sui contatti "per voce" con l'Italia.
I compiti da trasferire riguardavano vari affari su contratti finanziari di investimento della liquidità e alcune scelte di inquadramento contabile per l' ormai immediatamente prossimo bilancio, funzioni nelle quali, grazie a quasi trent' anni di appartenenza ininterrotta al vertice amministrativo della Priter & Co, il dottor Modica si muoveva con una disinvoltura che sembrava più artistica che professionale.
I carichi correnti in associazione non erano affatto difficili da evadere e la gente da coinvolgere, almeno di numero, proprio non mancava, salvo il fatto della assolutamente scarsa sensibilità all' impegno attento sul tavolo da lavoro.
D' altra parte, però, Vittorio pensava, appena un anno prima, quando il suo grave down nervoso, ufficialmente ricondotto anche lì tra i comprensibili esaurimenti da stress cronico, lo aveva ostacolato per più di due mesi, le soluzioni d' emergenza avevano già funzionato in modo più che accettabile: si trattava di reimpostarle, allora, senza farsi venire, come gli capitava una volta, nessun eccessivo complesso di colpa o patema d' animo.
Per tenere al giusto livello, in quella circostanza, la soglia d' efficienza operativa che proprio lui aveva impresso alle cose, primo uomo della storia in quel posto, si trattava solo di smuovere con decisione una giusta dose di buona volontà , ed era anche per questo che, sapiente di vita d' ufficio, si era preparato il terreno con lo "choc da sveglia" della sua previa irreperibilità bisettimanale, certo che avrebbe reso più fertile la riunione. E tutto si svolse effettivamente in modo corrispondente ai suoi accorti progetti.

Vittorio si era accostato a Children Charity circa sei anni prima, a seguito di una forte spinta etica che aveva avvertito, quasi all' improvviso, dopo aver visto un certo film sul Brasile incentrato sui problemi dello sfruttamento anche sessuale della gioventù disadattata. Un tema che considerò bestiale, nei cui confronti aveva oltretutto già preso, da qualche tempo, a sentirsi sempre più attento.
Quella nuova sensibilità , che si era estesa soprattutto al fattore della sopravvivenza e della fame quotidiana, lo aveva persino sorpreso per le proporzioni raggiunte, visto che ogn i giorno si informava, consultava, chiedeva, si documentava in ufficio per via informatica sulla materia.
Per fornirsi di affidabili e complete spiegazioni razionali su quella sua risposta personale così intensa, come del resto era solito fare, quando stav a completamente bene, a proposito di ogni fatto nuovo che lo riguardasse, aveva ritenuto di poter realizzare che alla base ci dovesse stare di più della semplice visione razionale del fatto pur grave dello sfruttamento scatenato di quelle sofferenze: aveva pensato a una sorta di sua reazione spontanea, anche se elaborata e indiretta, alle sue scarsissime soddisfazioni di padre di un' unica figlia, che allora era già un' adolescente viziatissima da madre e nonna.
Ma forse un fattore concomitante poteva essere la sua passata condizione di figlio unico cresciuto in terre povere e rimasto presto lontano dai genitori nonchè, accanto a ciò, l' importante consapevolezza malamente nascosta anche a sè stesso, con la solita scusante del radicale impegno sul lavoro, di non avere dedicato mai alcun pensiero adeguato alla gravità di quelle dure condizioni esistenziali, così come, per la verità, a nessun altro tema sociale. \par Insomma , una specie di diffusissimo complesso di colpa moderno, volendo semplificare.
Ma era una questione da prendere con un approccio serio quel passo. Non doveva essere come scegliersi un hobby, lo capiva bene. L' infanzia e la gioventù evidentemente avevano preso a motivarlo all' improvviso, e del tutto naturalmente, molto di più rispetto al resto del ventaglio possibile di valori etici offerti dal mondo. Quindi si sentiva come scelto, come chiamato a una vocazione salvifica cui offrirsi con l' unico livello di dedizione di cui era capace per sua natura, cioè quello totalizzante.

Si augurava, in verità, arrivando a Children Charity con le credenziali di cui disponeva, e con le alte presentazioni favorite dall' azienda in cui lavorava, di poter essere subito coinvolto in chissà quante iniziative ricche di umanità e di partecipazione emotiva. Tutto il c ontrario, aveva pensato con trepidazione, del mondo della finanza cui apparteneva sul lavoro, dove le principali novità di cui discutere con colleghi e superiori erano i tassi e le quotazioni di qualcosa.
Pregustava, dopo le telefonate dei primi contatti, impegni nella formazione culturale e civica dei ragazzi in difficoltà , occupandosi della quale avrebbe potuto attingere, era certo, o almeno sperava, alla sua storia di uomo del Sud, di persona partecipe di un bel percorso di crescita che lo aveva portato, senza raccomandazioni, dalle assolate strade sterrate della periferia di Catania, dove per anni aveva giocato al pallone tutto il pomeriggio, ai circuiti di docenza universitaria di Roma.
Dava per scontata, da persona discretamente colta quale era, lett ore assiduo e attento di filosofia e di scienze sociali, la partecipazione a impegnativi progetti nell'istruzione civica di base per i ragazzini immigrati, o per quelli italiani davvero indigenti, per i figli di detenuti, per i piccoli rom, per i loro gen itori se del caso.
Poi, però, appena messi i piedi dentro la Fondazione, siccome l'opportunismo degli uomini abbonda anche negli ambienti più puri, era stato subito catturato dalle urgenze degli inquadramenti contabili, dai rapporti con i vari commercialist i esterni, dalla gestione della liquidità e dai contatti operativi con gli sponsor.
Il suo assorbimento professionale, negli affari amministrativi era stato presto assoluto, e lui non era immune da responsabilità per questo: sapeva benissimo che, non ostante la cristallinità dei suoi propositi originari verso le aree calde della "causa" infantile, si era in verità concesso ai compiti gestionali che gli erano stati assegnati senza una vera resistenza, anche per la tentazione di rendersi subito apprezzato e quindi sicuro di sè anche nel nuovo ambiente. Quei lavori che aveva assunto in Fondazione rientravano quindi pienamente nelle aree in cui aveva maggiori capacità , quelle che, secondo qualche medico, sarebbero state, pochi anni dopo, responsabili, in parte, per la sua incontrollata abnegazione, dei suoi futuri malanni.
Ma tutti questi erano fatti ormai andati, nonchè quanto mai lontani in quei giorni di ottobre 2001.

In quello scorcio temporale lo scenario della sua esistenza era diventato ormai, tutto sommato, abbastanza nitido e sgombro, ben più fluido dei tremendi mesi appena passati.
Tutto era sotto suo controllo, si poteva dire. Una forma di controllo che certo era alquanto inconsueta e speciale, rispetto alle situazioni normali di tutti, ma che era innegabilmente attivo e operante.
Anche in quei giorni ,cioè, in osservanza delle sue "nuove" forme di auto-governo, per come ora lui inquadrava lo svolgersi della sua vita concreta, tutti i fatti che maturavano intorno alla sua esistenza, compresa quella riunione in Fondazione, contavano solo relativamente, presi in se stessi.
Tutti erano, infatti, per lui, solo premesse immediate e subordinate della cosa incombente ritenuta più importante, posta in cima al menù generale del momento, come cornice al complesso delle sue nuove funzioni cerebrali.
Nel caso si trattava del suo vicinissimo progetto di viaggio di piacere negli Stati Uniti.

 

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