Alcuni
anni fa conobbi il segno pittorico di Gierut prima di ri-conoscere il
Gierut uomo. Ne ebbi un’impressione immediata (fatto che considero
sempre di buon auspicio), senza diaframmi né fronzoli intellettualistici
o con il solito codazzo di stramberie, snobismi, tic e sbuffi che spesso
accompagnano (più spesso precedono) un artista.
Mi
colpì nei segni la TENSIONE oltre lo SPAZIO, verso l’Infinito “senza
cornice” che premeva in quei quadri …
Ecco:
chiamarli quadri, delimitarli in qualche modo mi sembrò già un refuso del pensiero, una
gaffè consumata più verso me stesso, un voltarmi all’indietro che non
si confaceva alla situazione. I paesaggi erano tempestosi, gli spazi
e le atmosfere da condizione pre-genetica
sospesa tra caos e cosmos, tra il non-pensato e il congegno di una Mente
che stava avviando poderosamente i motori, attesa da una moltitudine di
informazioni.
Poi mi trovai di fronte uno spirito ribelle, insofferente, inquieto e
inesorabilmente destinato a farsi inquietante, a trasmettere una
insoddisfazione senza pudori.
Artisti come Gierut sembrano provenire
da un altro pianeta, che non è solo quello improbabile di uno spazio in
cui non ci ritroviamo più.
I paesaggi intensi e lacerati che ebbi modo di ammirare stupendomi,
apparentemente così vicini a certe visioni del romanticismo più
tormentato, sembravano appartenere ad un tempo che non sfiora più il
nostro quotidiano.
Avrei scoperto nel tempo, in affinità elettiva concretata quasi subito da
un intensa collaborazione, che l’artista ama il mistero e nello spazio
ne cerca la soluzione, della “rivelazione”, che finisce per rivelarsi
essa stessa pretesto, movente, innesco.
Così,
dopo essere rimasto così piacevolmente stupefatto da questo “cercatore
di infinito”, presi atto che la caparbietà con cui aveva condotto la
sua indagine era anche la mia.
Quelli
che per Gierut erano segni, toponimi di una mappa interiore
incessantemente ridisegnata, per me corrispondevano alle parole su cui
intesso ogni giorno la mia percezione del mistero.
I miei studi, la sete di progettualità che mi tiene compagnia al pari
della sua, ci hanno condotto a unirci, a edificare
sogni e condividerli con altri, a scrutare con rinnovate energie il
limite dove finito e infinito
si confondono. Segno e scrittura, parola e colore, suono che si fa
immagine e immagine che
sprigiona suoni infiniti hanno percorso
in questo tempo molte vie.
Mostre,
pubblicazioni, conferenze, iniziative culturali…
Un vissuto comune fatto di reciproche sollecitazioni hanno contribuito in
ciascuno di noi ad elevare la
soglia delle aspirazioni, a tendere l’arco dell’immaginazione, ad
esplorare e provare spazi creativi, profondità meditative
scenari di comunicazione.
“A volte”, confessa Gierut “sento di trascrivere ciò che non è nel
reale, ma nel tempo che fu e
che sarà”.
Questo
è infinito che si fa segno e candidamente l’artista traduce in parola.
Il
nostro modo diverso eppure complementare di esplorare il mondo si esprime
in me con la PAROLA, in lui con il SEGNO, in una comune direzione: rendere
effabile l’ineffabile del cosmo: “ E Dio DISSE…”
Non può non essere taccia di un desiderio che nel nostro limite ci
travaglia ogni giorno, talora ci inebria, tal’altra ci rende folli,
raramente ci rasserena, sicuramente ci aiuta a vivere.
La nostra intesa è stata preparata da un caso, da una circostanza
fortuita o da un disegno?
Qualcuno ha scritto che “il caso è forse lo pseudonimo di Dio quando
non vuole firmare”.
Non
so né mi preoccupa più di tanto chi abbia deciso questo incontro, e lo
ringrazio chiunque egli sia.
Fatto
non casuale è certamente la frequentazione da parte di Gierut del sacro
come terreno indagine e di esperienza, sicuramente parte
determinante del suo
percorso artistico e umano.
Per questo il TRADURRE, inteso nei suoi molteplici meta-significati, è
diventato altro elemento comune su cui si è misurata
negli anni il nostro sodalizio. L’idea di INFINITISMO, di cui
Gierut si è fatto portavoce
e sostenitore, ha avuto dunque una sorta di gestazione per stadi, una
coerenza determinata da concomitanze, di cui forse anch’io sono entrato
a far parte. Ragionando per grandi salti, si potrebbero ricordare le
nature sospese tra l’uscita cosmogonia da un indecifrabile caos e
l’energia incontrollabile che l’anima, quasi a voler recuperare
l’infinito da cui sono state materializzandosi; la cifra del sacro
presente in alcuni lavori di ispirazioni religiosa; l’intensa
lettura del francescano
“Cantico di frate Sole”, il cui afflato lirico non trascura la ricerca
di una sintesi tra finito
e infinito che vi pulsano in ogni sua parte, ancor più sollecitata
dalla contemplazione e dalla gioia di chi si scopre parte privilegiata di
un Tutto. Infine, la quanto mai ardita e rarefatta traduzione figurativa
del poema religioso di Unamuno “il Cristo di Velazquez”, cui il
sottoscritto ha fornito l’apporto testuale.
In
Gierut, dunque, le potenzialità dell’infinito come tensione creativa e
non meramente contemplativa, al cui interno si sostanziano fenomenicamente
e figurativamente gli indizi, le soste, gli slanci, le scoperte, per
assumere una ben individuabile connotazione comunicativa, sono altrettante
fonti di energia, segmenti di un non-finito che si autodetermina e
rafforza proprio in virtù della propria incommensurabilità.
Enunciando
i valori dell’INFINITISMO Gierut non ha che fatto propria la candida
confessione di Roland Barthes: “Vengo per sognare la mia ricerca ad alta
voce”.
Quella ricerca era presente e viva in ogni suo segno , colore, sussulto
creativo, slancio oltre il limite, tormento o insofferenza, sosta già di
nuovi cammini.
Un bellissimo versetto biblico recita: ”I vostri giovani vedranno
visioni, i vostri vecchi sogneranno sogni”.
Quelli pulsano di futuro e sono graditi a Dio , questi si nutrono di
passato, di rimpianti, ricordi, felicità non vissute o spazi che non si
è voluto o potuto oltrepassare, ormai prigionieri del sonno e della
notte.
Gierut
è una “corda tesa” (l’anagrafe non c’entra) tra visione e sogno.
Si
tratta di una tensione sospesa
tra il gettare una sguardo sull’incommensurabile e il riportarlo come un
viaggio verso l’ignoto in sogni in cui cerca di conservare la vitalità
incontaminata della visione nell’energia dei sogni e dei loro simboli ma
senza mai permettere ad essi di tradirsi nella quiete del nulla.
Infine, anche e forse soprattutto per
questo, con artisti come Gierut INFINITO non resta una parola “figlia
dell’aria”, ma riveste ogni giorno di carne e sangue, rivelandosi come
il “fiat” e il senso ultimo dell’universo.
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