Tutela e sicurezza sul
lavoro - norme, disposizioni e decreti
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Norme
di comportamento per l'esercizio autonomo della professione
Norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale
nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento(G.U. 27.V.'70)
Recepimento
della direttiva 92/85/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul
lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento" (G.U.
n.299 del 21.12.1996)
Movimentazione dei carichi
Disposizioni
per l'adempimento di obblighi derivanti dall' appartenenza dell' Italia nella Comunità
Europea
Norme in materia di lavoro
notturno
Norme sul Part-Time
Codice di comportamento dei
dipendenti nel Pubblico Impiego
Pari opportunità
Gestione dei
rifiuti sanitari - decreto 26.06.2000
Tariffario nazionale 2002
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Il "Mobbing"
Piano Sanitario Nazionale -
1998\2000
D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761- G.U. 15 febbraio 1980, n. 45 Stato
giuridico del personale delle unità sanitarie locali
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Contratti ed accordi
nella Sanità pubblica
Contratti ed accordi
nella Sanità privata
Decreto Legislativo 25 novembre 1996, n. 645
"Recepimento della direttiva
92/85/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle
lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento" (G.U.
n.299 del 21.12.1996)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Vsti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;Visto
l'articolo 34 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, recante delega al Governo per il
recepimento della direttiva 92/85/CEE in materia di sicurezza e salute sul lavoro delle
lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento;Visto l'articolo 6, comma 3,
della legge 6 febbraio 1996, n. 52, legge comunitaria 1994, recante proroga dei termini
della delega legislativa contemplata dall'articolo 34 della citata legge n. 146 del
1994;Vista la legge 30 dicembre 1971, n. 1204;Vista la legge 9 dicembre 1977, n. 903;Visto
il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche ed
integrazioni;Visto il decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1969, n.
1335;Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione dell'11 ottobre 1996;Acquisiti i pareri delle competenti commissioni permanenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;Vista la deliberazione del
Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 novembre 1996;Sulla proposta del
Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, di concerto con i Ministri degli affari esteri, di grazia e giustizia, del
tesoro, della sanita', per la funzione pubblica e gli affari regionali, per le pari
opportunita' e per la solidarieta' sociale;
E M A N A
il seguente decreto legislativo:
Art. 1. Campo di applicazione
1. Il presente decreto legislativo prescrive misure per la
tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di
allattamento fino a sette mesi dopo il parto, che hanno informato il datore di lavoro del
proprio stato, conformemente alle disposizioni vigenti.
Art. 2. Linee direttrici
1. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, di concerto con il Ministro della sanita', sentita la Commissione consultiva
permanente di cui all'articolo 26 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modificazioni e integrazioni, sono recepite le linee direttrici elaborate dalla
Commissione dell'Unione europea, concernenti la valutazione degli agenti chimici, fisici e
biologici, nonche' dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la
salute delle lavoratrici di cui all'articolo 1 e riguardanti anche i movimenti, le
posizioni di lavoro, la fatica mentale e fisica e gli altri disagi fisici e mentali
connessi con l'attivita' svolta dalle predette lavoratrici.
2. Con la stessa procedura di cui al comma 1, si provvede
ad adeguare ed integrare la disciplina contenuta nel decreto di cui al comma 1, in
conformita' alle modifiche alle linee direttrici adottate dalla Commissione dell'Unione
europea.
Art. 3. Divieto di esposizione
1. I lavori faticosi, pericolosi ed insalubri, di cui
all'articolo 3, primo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, includono anche tutti
quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro
che sono indicati nell'allegato II.
Art. 4. Valutazione e informazione
1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 3, primo
comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come integrato dall'articolo 3, e fermo
restando quanto stabilito dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25
novembre 1976, n. 1026, il datore di lavoro, nell'ambito ed agli effetti della valutazione
di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modificazioni ed integrazioni, valuta i rischi per la sicurezza e la salute
delle lavoratrici di cui all'articolo 1, in particolare i rischi di esposizione ad agenti
fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all'allegato I nel
rispetto delle linee direttrici stabilite con i decreti di cui all'articolo 2,
individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare.
2. L'obbligo di informazione stabilito dall'articolo 21 del
decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni,
comprende quello di informare le lavoratrici ed i loro rappresentanti per la sicurezza sui
risultati della valutazione di cui al comma 1 e sulle conseguenti misure di protezione e
di prevenzione adottate.
Art. 5. Misure di protezione e di
prevenzione
1. Qualora i risultati della valutazione di cui
all'articolo 4, comma 1, rivelino un rischio per la sicurezza e la salute delle
lavoratrici di cui all'articolo 1, il datore di lavoro adotta le misure necessarie
affinche' l'esposizione al rischio delle lavoratrici sia evitata, modificandone
temporaneamente le condizioni o l'orario di lavoro.
2. Ove la modifica delle condizioni o dell'orario di lavoro
non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro applica
quanto stabilito dall'articolo 3, secondo, terzo e quarto comma, della legge 30 dicembre
1971, n. 1204, dandone contestuale informazione scritta all'ispettorato provinciale del
lavoro competente per territorio, anche ai fini di quanto stabilito dall'articolo 5, primo
comma, lettera c), della legge n. 1204 del 1971.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 trovano
applicazione al di fuori dei casi di divieto sanciti dall'articolo 3, primo comma, della
legge n. 1204 del 1971, come integrato dall'articolo 3.
4. L'inosservanza della disposizione di cui al comma 1 e'
punita con la sanzione di cui all'articolo 31, primo comma, della legge n. 1204 del 1971.
Art. 6. Lavoro notturno
1. In materia di lavoro notturno, per le lavoratrici di cui
all'articolo 1 restano ferme le vigenti disposizioni legislative, regolamentari e
contrattuali.
Art. 7. Esami prenatali
1. Le lavoratrici gestanti di cui all'articolo 1 hanno
diritto a permessi retribuiti per l'effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici
ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbono essere eseguiti
durante l'orario di lavoro.
2. Per la fruizione dei permessi di cui al comma 1 le
lavoratrici presentano al datore di lavoro apposita istanza e successivamente presentano
la relativa documentazione giustificativa attestante la data e l'orario di effettuazione
degli esami.
Art. 8. Aggiornamento allegati
1. Con la procedura di cui all'articolo 2, comma 1, possono
essere modificati o integrati gli elenchi di cui agli allegati I e II in conformita' alle
modifiche adottate in sede comunitaria.
Art. 9. Disposizioni finali
1. Per quanto non diversamente previsto dal presente
decreto, restano ferme le disposizioni recate dal decreto legislativo 19 settembre 1994,
n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni, dalla legge 30 dicembre 1971, n. 1204,
nonche' da ogni altra disposizione in materia.
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INTRODUZIONE
Per Movimentazione manuale dei carichi
(MVC) si intendono le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di
uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, tirare, portare o
spostare un carico
EFFETTI SULLA SALUTE
Lo sforzo muscolare richiesto dalla MVC
determina aumento del ritmo cardiaco e di quello respiratorio ed incide negativamente nel
tempo sulle articolazioni, in particolare sulla colonna vertebrale, determinando
cervicalgie, lombalgie e discopatie.
In relazione allo stato di salute del
lavoratore ed in relazione ad alcuni casi specifici correlati alle caratteristiche del
carico e dell'organizzazione di lavoro, i lavoratori potranno essere soggetti a
sorveglianza sanitaria, secondo la valutazione dei rischi.
I PRINCIPI DELLA PREVENZIONE
Partendo dal presupposto che occorre
evitare la movimentazione manuale dei carichi adottando a livello aziendale misure
organizzative e mezzi appropriati, quali le attrezzature meccaniche, occorre tener
presente che in alcuni casi non è possibile fare a meno della MVC.
In quest'ultima situazione, oltre ad alcuni
accorgimenti che il datore di lavoro adotterà dal punto di vista organizzativo (es.
suddivisione del carico, riduzione della frequenza di sollevamento e movimentazione,
miglioramento delle caratteristiche ergonomiche del posto di lavoro), è opportuno che il
lavoratore sia a conoscenza che la MVC può costituire un rischio per la colonna
vertebrale in relazione a:
1. Caratteristiche del carico:
- è troppo pesante
- 30 Kg per gli uomini adulti
- 20 Kg per le donne adulte
- le donne in gravidanza non possono essere adibite al
trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri
durante la gestazione fino a sette mesi dopo il parto (legge 1204/71);
- è ingombrante o difficile da afferrare;
- non permette la visuale;
- è di difficile presa o poco maneggevole;
- è con spigoli acuti o taglienti;
- è troppo caldo o troppo freddo;
- contiene sostanze o materiali pericolosi;
- è di peso sconosciuto o frequentemente variabile;
- l'involucro è inadeguato al contenuto;
- è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia
di spostarsi;
- è collocato in una posizione tale per cui deve essere
tenuto o maneggiato ad una certa distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del
tronco;
- può, a motivo della struttura esterna e/o della
consistenza, comportare lesioni per il lavoratore, in particolare in caso di urto.
2. Sforzo fisico richiesto:
- è eccessivo
- può essere effettuato soltanto con un movimento di
torsione del tronco
- è compiuto con il corpo in posizione instabile
- può comportare un movimento brusco del corpo
3. Caratteristiche dell'ambiente di
lavoro:
- lo spazio libero, in particolare verticale, è
insufficiente per lo svolgimento dell'attività richiesta
- il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di
inciampo o di scivolamento per le scarpe calzate del lavoratore
- il posto o l'ambiente di lavoro non consentono al
lavoratore la movimentazione manuale dei carichi a un'altezza di sicurezza o in buona
posizione
- il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli
che implicano la manipolazione del carico a livelli diversi
- il pavimento o il punto di appoggio sono instabili
- la temperatura, l'umidità o la circolazione dell'aria
sono inadeguate.
4. Esigenze connesse
all'attività:
- sforzi fisici che sollecitano in particolare la
colonna vertebrale, troppo frequenti o troppo prolungati
- periodo di riposo fisiologico o di recupero
insufficiente
- distanze troppo grandi di sollevamento, di
abbassamento o di trasporto
- un ritmo imposto da un processo che non può essere
modulato dal lavoratore.
Inoltre il lavoratore può correre un
rischio nei seguenti casi:
- inidoneità fisica a svolgere il compito in questione
- indumenti, calzature o altri effetti personali
inadeguati portati dal lavoratore
- insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della
formazione
Esempio di come si deve sollevare in
maniera corretta un carico da terra
Secondo la postura, per un carico di 50 Kg.
la forza che viene esercitata a livello delle vertebre lombari è di 750 Kg. o 150 Kg.
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LEGGE 20 maggio 1970, n. 300
Norme sulla tutela della libertà e dignità
dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e
norme sul collocamento (G.U. 27 maggio 1970, n. 131).
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga la seguente legge:
Titolo I
DELLA LIBERTA' E DIGNITA' DEL
LAVORATORE
Art. 1
(Libertà di opinione)
I lavoratori, senza distinzione di opinioni
politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto nei luoghi dove prestano la loro
opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della
Costituzione e delle norme della presente legge.
Art. 2
(Guardie giurate)
Il datore di lavoro può impiegare le guardie
particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con
regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio
aziendale.
Le guardie giurate non possono contestare ai
lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio
aziendale.
È fatto divieto al datore di lavoro di
adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le
quali non possono accedere nei locali nei quali si svolge tale attività, durante lo
svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze
attinenti ai compiti di cui al primo comma.
In caso di inosservanza da parte di una
guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente articolo, l'Ispettorato
del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il
provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi.
Art. 3
(Personale di vigilanza)
I nominativi e le mansioni specifiche del
personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai
lavoratori interessati.
Art. 4
(Impianti audiovisivi)
E' vietato l'uso di impianti audiovisivi e di
altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.
Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze
organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la
possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere
installati soltanto previo accordo con le Rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in
mancanza di queste, con la Commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del
datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità
per l'uso di tali impianti. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che
rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza
di accordo con le Rappresentanze sindacali aziendali o con la Commissione interna,
l'Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall'entrata in vigore della presente
legge, dettando all'occorrenza le prescrizioni per l'adeguamento e le modalità di uso
degli impianti suddetti. Contro i provvedimenti dell'Ispettorato del lavoro, di cui ai
precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le Rappresentanze sindacali
aziendali o, in mancanza di queste, la Commissione interna, oppure i sindacati dei
lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla
comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.
Art. 5
(Accertamenti sanitari)
Sono vietati accertamenti da parte del datore
di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore
dipendente. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto
attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono
tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. Il datore di lavoro ha la
facoltà di far controllare l'idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed
istituti specializzati di diritto pubblico.
Art. 6
(Visite personali di
controllo)
Le visite personali di controllo sono vietate
fuorchè nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio
aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro, o delle materie prime o
dei prodotti. In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a
condizione che siano eseguite all'uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la
dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l'applicazione di sistemi di
selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori. Le ipotesi
nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonchè, ferme restando le
condizioni di cui al secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono
essere concordate dal datore di lavoro con le Rappresentanze sindacali aziendali oppure,
in mancanza di queste, con la Commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del
datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro. Contro i provvedimenti
dell'Ispettorato del lavoro di cui al precedente comma, il datore di lavoro, le
Rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la Commissione interna,
oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo articolo 19 possono ricorrere,
entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la
previdenza sociale.
Art. 7
(Sanzioni disciplinari)
Le norme disciplinari relative alle sanzioni,
alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle
procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori
mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia
è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano (1).
Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del
lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a
sua difesa (1) (2).
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui
aderisce o conferisce mandato (1) (2).
Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere
disposte sanzioni disciplinari che comportano mutamenti definitivi del rapporto di lavoro;
inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della
retribuzione di base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci
giorni. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non
possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per
iscritto del fatto che vi ha dato causa. Salvo analoghe procedure previste dai contratti
collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il
lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei
venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero
conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della
massima occupazione, di un collegio di conciliazione e arbitrato, composto da un
rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in
difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione
disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio.Qualora il datore di
lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a
nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la
sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità
giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla
loro applicazione. (1) Con
sentenza n. 204 del 30 novembre 1982 la Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale dei primi tre commi del presente articolo, interpretati
nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari, per i quali detti commi
non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente
posta dal datore di lavoro. (2) Con sentenza n. 427 del 25 luglio 1989 la Corte
costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del secondo e terzo comma del
presente articolo, nella parte in cui è esclusa la loro applicabilità al licenziamento
per motivi disciplinari irrogato da imprenditore che abbia meno di sedici dipendenti.
Art. 8
(Divieto di indagini sulle
opinioni)
E' fatto divieto al datore di lavoro, ai fini
dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare
indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del
lavoratore, nonchè su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine
professionale del lavoratore.
Art. 9
(Tutela della salute e
dell'integrità fisica)
I lavoratori, mediante loro rappresentanze,
hanno diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni
e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione
di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.
Art. 10
(Lavoratori studenti)
I lavoratori studenti, iscritti e
frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di
qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque
abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che
agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a
prestazioni di lavoro straordinario durante i riposi settimanali. I lavoratori studenti,
compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire
di permessi giornalieri retribuiti. Il datore di lavoro potrà richiedere la produzione
delle certificazioni necessarie all'esercizio dei diritti di cui al primo e secondo comma.
Art. 11
(Attività culturali,
ricreative ed assistenziali e controlli sul servizio di mensa)
Le attività culturali, ricreative ed
assistenziali promosse nell'azienda sono gestite da organismi formati a maggioranza dai
rappresentanti dei lavoratori. Le rappresentanze sindacali aziendali, costituite a norma
dell'articolo 19, hanno diritto di controllare la qualità del servizio di mensa secondo
modalità stabilite dalla contrattazione collettiva (1). N.B.: Rubrica così modificata dall'art. 6, comma 6, D.L. 11
luglio 1992, n. 333. (1) Comma aggiunto dall'art. 6, comma 7, D.L. 11 luglio 1992, n. 333.
Art. 12
(Istituti di patronato)
Gli istituti di patronato e di assistenza
sociale riconosciuti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, per
l'adempimento dei compiti di cui al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato
29 luglio 1947, n. 804, hanno diritto di svolgere, su un piano di parità, la loro
attività all'interno dell'azienda, secondo le modalità da stabilirsi con accordi
aziendali.
Art. 13
(Mansioni del lavoratore)
L'art. 2103 del Codice civile è sostituito
dal seguente: "Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali
è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia
successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte,
senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori
il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e
l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per
sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un
periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non
può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni
tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo".
Titolo II
DELLA LIBERTA' SINDACALE
Art. 14
(Diritto di associazione e di
attività sindacale)
Il diritto di costituire associazioni
sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i
lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro.
Art. 15
(Atti discriminatori)
È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:
a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca
ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore,
discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei
provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua
affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero. Le
disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a
fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso (1). (1) Comma così sostituito dall'art. 13, L. 9
dicembre 1977, n. 903.
Art. 16
(Trattamenti economici
collettivi discriminatori)
E' vietata la concessione di trattamenti
economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio a mente dell'articolo 15. Il
pretore, su domanda dei lavoratori nei cui confronti è stata attuata la discriminazione
di cui al comma precedente o delle associazioni sindacali alle quali questi hanno dato
mandato, accertati i fatti, condanna il datore di lavoro al pagamento, a favore del Fondo
adeguamento pensioni, di una somma pari all'importo dei trattamenti economici di maggior
favore illegittimamente corrisposti nel periodo massimo di un anno.
Art. 17
(Sindacati di comodo)
E' fatto divieto ai datori di lavoro e alle
associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o
altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori.
Art. 18
(Reintegrazione nel posto di
lavoro)
Ferma restando l'esperibilità delle
procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la
sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della
predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato
motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di
lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale,
ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue
dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di
imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni
si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che
nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese
agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se
ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in
ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue
dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro (1). Ai fini del computo del numero dei
prestatori di lavoro di cui al primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con
contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo
indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale
proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla
contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore
di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale (1). Il computo
dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che
prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie (1). Il giudice con la sentenza di cui al
primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore
per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo
un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento
sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e
previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in
ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di
retribuzione globale di fatto (1). Fermo restando il diritto al risarcimento del danno
così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di
chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro,
un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il
lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia
ripreso servizio, nè abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito
della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di
lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti (1). La sentenza pronunciata
nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.Nell'ipotesi di
licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e
del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado
del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o
insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del
lavoratore nel posto di lavoro. L'ordinanza di cui al comma precedente può essere
impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le
disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del Codice di
procedura civile. L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro
che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al
quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto
anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di
una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore. (1) Gli attuali primi 5 commi così sostituiscono
gli originari primi 2 commi per effetto dell'art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108.
Titolo III
DELL'ATTIVITA' SINDACALE
Art. 19
(Costituzione delle
Rappresentanze sindacali aziendali)
Rappresentanze sindacali aziendali possono
essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito: a)
delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano
nazionale (1); b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette
confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di
lavoro applicati nell'unità produttiva (2). Nell'ambito delle aziende con più unità
produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento. (1) Lettera abrogata dall'art. 1, D.P.R. 28 luglio
1995, n. 312, a decorrere dal 28 settembre 1995. (2) L'art. 1, D.P.R. 28 luglio 1995, n.
312, ha abrogato la presente lettera limitatamente alle parole "non affiliate alle
predette confederazioni" e alle parole "nazionali o provinciali", a
decorrere dal 28 settembre 1995.
Art. 20
(Assemblea)
I lavoratori hanno diritto di riunirsi,
nell'unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonchè
durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta
la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione
collettiva. Le riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di
essi - sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle Rappresentanze sindacali
aziendali nell'unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale
e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di
lavoro. Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti
esterni del sindacato che ha costituito la Rappresentanza sindacale aziendale. Ulteriori
modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti
collettivi di lavoro, anche aziendali.
Art. 21
(Referendum)
Il datore di lavoro deve consentire
nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di lavoro, di referendum sia
generali che per categoria, su materie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte
le Rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di
tutti i lavoratori appartenenti all'unità produttiva e alla categoria particolarmente
interessata. Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere
stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali.
Art. 22
(Trasferimento dei dirigenti
delle Rappresentanze sindacali aziendali)
Il trasferimento dall'unità produttiva dei
dirigenti delle Rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei
candidati e dei membri di Commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta
delle associazioni sindacali di appartenenza. Le disposizioni di cui al comma precedente
ed ai commi quarto, quinto, sesto e settimo dell'articolo 18 si applicano sino alla fine
del terzo mese successivo a quello in cui è stata eletta la Commissione interna per i
candidati nelle elezioni della Commissione stessa e sino alla fine dell'anno successivo a
quello in cui è cessato l'incarico per tutti gli altri.
Art. 23
(Permessi retribuiti)
I dirigenti delle Rappresentanze sindacali
aziendali di cui all'articolo 19 hanno diritto, per l'espletamento del loro mandato, a
permessi retribuiti. Salvo clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro
hanno diritto ai permessi di cui al primo comma almeno: a) un dirigente per ciascuna
Rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 200
dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata; b) un dirigente ogni 300 o
frazione di 300 dipendenti per ciascuna Rappresentanza sindacale aziendale nelle unità
produttive che occupano fino a 3.000 dipendenti della categoria per cui la stessa è
organizzata;
c) un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti della categoria per cui è
organizzata la Rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive di maggiori
dimensioni, in aggiunta al numero di cui alla precedente lettera b). I permessi retribuiti
di cui al presente articolo non potranno essere inferiori a otto ore mensili nelle aziende
di cui alle lettere b) e c) del comma precedente; nelle aziende di cui alla lettera a) i
permessi retribuiti non potranno essere inferiori ad un'ora all'anno per ciascun
dipendente. Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma deve
darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le
Rappresentanze sindacali aziendali.
Art. 24
(Permessi non retribuiti)
I dirigenti sindacali aziendali di cui
all'articolo 23 hanno diritto a permessi non retribuiti per la partecipazione a trattative
sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto
giorni all'anno. I lavoratori che intendano esercitare il diritto di cui al comma
precedente devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola tre giorni
prima, tramite le Rappresentanze sindacali aziendali.
Art. 25
(Diritto di affissione)
Le Rappresentanze sindacali aziendali hanno
diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l'obbligo di
predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità produttiva,
pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.
Art. 26
(Contributi sindacali)
I lavoratori hanno diritto di raccogliere
contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali
all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività
aziendale. Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite
ritenuta sul salario nonchè sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali,
i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite
dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la segretezza del versamento
effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale (1). Nelle aziende nelle quali
il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha diritto di
chiedere il versamento del contributo sindacale all'associazione da lui indicata (2). (1) Comma sostituito dall'art. 18, comma 2, L. 23
luglio 1991, n. 223 e successivamente abrogato dall'art. 1, D.P.R. 28 luglio 1995, n. 313,
a decorrere dal 28 settembre 1995. (2) Comma abrogato dall'art. 1, D.P.R. 28 luglio 1995,
n. 313, a decorrere dal 28 settembre 1995.
Art. 27
(Locali delle Rappresentanze
sindacali aziendali)
Il datore di lavoro nelle unità produttive
con almeno 200 dipendenti pone permanentemente a disposizione delle Rappresentanze
sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune
all'interno dell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa. Nelle unità
produttive con un numero inferiore di dipendenti le Rappresentanze sindacali aziendali
hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro
riunioni.
Titolo IV
DISPOSIZIONI VARIE E GENERALI
Art. 28
(Repressione della condotta
antisindacale)
Qualora il datore di lavoro ponga in essere
comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività
sindacale nonchè del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle
associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è
posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti
ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al
presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente
esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il
pretore in funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a norma del
comma successivo (1).
Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione
del decreto alle parti, opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro
che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli
articoli 413 e seguenti del Codice di procedura civile (2).
Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza
pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell'articolo 650 del Codice
penale. L'autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna
nei modi stabiliti dall'articolo 36 del Codice penale. Se il comportamento di cui al primo
comma è posto in essere da una amministrazione statale o da un altro ente pubblico non
economico, l'azione è proposta con ricorso davanti al pretore competente per territorio
(3). Qualora il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive
inerenti al rapporto di impiego, le organizzazioni sindacali di cui al primo comma, ove
intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni,
propongono il ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale competente per
territorio, che provvede in via di urgenza con le modalità di cui al primo comma. Contro
il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione
del decreto alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, che decide con sentenza
immediatamente esecutiva (3). (1)
Comma così sostituito dall'art. 2, L. 8 novembre 1977, n. 847. (2) Comma così sostituito
dall'art. 3, L. 8 novembre 1977, n. 847. (3) Comma aggiunto dall'art. 6, comma 1, L. 12
giugno 1990, n. 146.
Art. 29
(Fusione delle Rappresentanze
sindacali aziendali)
Quando le Rappresentanze sindacali aziendali
di cui all'articolo 19 si siano costituite nell'ambito di due o più delle associazioni di
cui alle lettere a) e b) del primo comma dell'articolo predetto, nonchè nella ipotesi di
fusione di più Rappresentanze sindacali, i limiti numerici stabiliti dall'articolo 23,
secondo comma, si intendono riferiti a ciascuna delle associazioni sindacali unitariamente
rappresentate nella unità produttiva. Quando la formazione di Rappresentanze sindacali
unitarie consegua alla fusione delle associazioni di cui alle lettere a) e b) del primo
comma dell'articolo 19, i limiti numerici della tutela accordata ai dirigenti di
Rappresentanze sindacali aziendali, stabiliti in applicazione dell'articolo 23, secondo
comma, ovvero del primo comma del presente articolo restano immutati.
Art. 30
(Permessi per i dirigenti
provinciali e nazionali)
I componenti degli organi direttivi,
provinciali e nazionali, delle associazioni di cui all'articolo 19 hanno diritto a
permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle
riunioni degli organi suddetti.
Art. 31
(Aspettativa dei lavoratori
chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali provinciali e
nazionali)
I lavoratori che siano eletti membri del
Parlamento nazionale o del Parlamento europeo o di assemblee regionali ovvero siano
chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in
aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato (1).
La medesima disposizione si applica ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali
provinciali e nazionali. I periodi di aspettativa di cui ai precedenti commi sono
considerati utili a richiesta dell'interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e
della determinazione della misura della pensione a carico della assicurazione generale
obbligatoria di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modifiche
ed integrazioni, nonchè a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie
di previdenza sostitutive dell'assicurazione predetta, o che ne comportino comunque
l'esonero. Durante i periodi di aspettativa l'interessato, in caso di malattia, conserva
il diritto alle prestazioni a carico dei competenti enti preposti alla erogazione delle
prestazioni medesime. Le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma non si applicano
qualora a favore dei lavoratori siano previste forme previdenziali per il trattamento di
pensione e per malattia, in relazione all'attività espletata durante il periodo di
aspettativa (2). N.B.: L'art.
22, comma 39, L. 23 dicembre 1994, n. 724, ha interpretato la normativa prevista dal
presente articolo nel senso della sua applicabilità ai dipendenti pubblici eletti nel
Parlamento nazionale, nel Parlamento europeo e nei consigli regionali. (1) Comma così
sostituito dall'art. 2, L. 13 agosto 1979, n. 384. (2) Comma interpretato autenticamente
dalla L. 9 maggio 1977, n. 210.
Art. 32
(Permessi ai lavoratori
chiamati a funzioni pubbliche elettive)
I lavoratori eletti alla carica di
consigliere comunale o provinciale che non chiedano di essere collocati in aspettativa
sono, a loro richiesta, autorizzati ad assentarsi dal servizio per il tempo strettamente
necessario all'espletamento del mandato, senza alcuna decurtazione della retribuzione. I
lavoratori eletti alla carica di sindaco o di assessore comunale, ovvero di presidente di
giunta provinciale o di assessore provinciale, hanno diritto anche a permessi non
retribuiti per un minimo di trenta ore mensili. N.B.: Le disposizioni di questo articolo sono state sostituite
dalle disposizioni contenute nella L. 27 dicembre 1985, n. 816, limitatamente "a
quanto espressamente disciplinato" nella legge stessa (cfr. art. 28, L. n. 816/1985).
Titolo V
NORME SUL COLLOCAMENTO
Art. 33
(Collocamento)
La commissione per il collocamento, di cui
all'art. 26 della legge 29 aprile 1949, n. 264, è costituita obbligatoriamente presso le
sezioni zonali, comunali e frazionali degli Uffici provinciali del lavoro e della massima
occupazione, quando ne facciano richiesta le organizzazioni sindacali dei lavoratori più
rappresentative. Alla nomina della commissione provvede il direttore dell'Ufficio
provinciale del lavoro e della massima occupazione, il quale, nel richiedere la
designazione dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, tiene conto del
grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e assegna loro un termine di 15
giorni, decorso il quale provvede d'ufficio. La commissione è presieduta dal dirigente
della sezione zonale, comunale, frazionale, ovvero da un suo delegato, e delibera a
maggioranza dei presenti. In caso di parità prevale il voto del presidente. La
commissione ha il compito di stabilire e di aggiornare periodicamente la graduatoria delle
precedenze per l'avviamento al lavoro, secondo i criteri di cui al quarto comma
dell'articolo 15 della legge 29 aprile 1949, n. 264. Salvo il caso nel quale sia ammessa
la richiesta nominativa, la sezione di collocamento, nella scelta del lavoratore da
avviare al lavoro, deve uniformarsi alla graduatoria di cui al comma precedente, che deve
essere esposta al pubblico presso la sezione medesima e deve essere aggiornata ad ogni
chiusura dell'ufficio con l'indicazione degli avviati. Devono altresì essere esposte al
pubblico le richieste numeriche che pervengono dalle ditte. La commissione ha anche il
compito di rilasciare il nulla osta per l'avviamento al lavoro ad accoglimento di
richieste nominative o di quelle di ogni altro tipo che siano disposte dalle leggi o dai
contratti di lavoro. Nei casi di motivata urgenza, l'avviamento è provvisoriamente
autorizzato dalla sezione di collocamento e deve essere convalidato dalla commissione di
cui al primo comma del presente articolo entro dieci giorni. Dei dinieghi di avviamento al
lavoro per richiesta nominativa deve essere data motivazione scritta su apposito verbale
in duplice copia, una da tenere presso la sezione di collocamento e l'altra presso il
direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro. Tale motivazione scritta deve essere
immediatamente trasmessa al datore di lavoro richiedente. Nel caso in cui la commissione
neghi la convalida ovvero non si pronunci entro venti giorni dalla data della
comunicazione di avviamento, gli interessati possono inoltrare ricorso al direttore
dell'Ufficio provinciale del lavoro, il quale decide in via definitiva, su conforme parere
della commissione di cui all'articolo 25 della legge 29 aprile 1949, n. 264. I turni di
lavoro di cui all'articolo 16 della legge 29 aprile 1949, n. 264, sono stabiliti dalla
commissione e in nessun caso possono essere modificati dalla sezione. Il direttore
dell'Ufficio provinciale del lavoro annulla d'ufficio i provvedimenti di avviamento e di
diniego di avviamento al lavoro in contrasto con le disposizioni di legge. Contro le
decisioni del direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro è ammesso ricorso al Ministro
per il lavoro e la previdenza sociale. Per il passaggio del lavoratore dall'azienda nella
quale è occupato ad un'altra occorre il nulla osta della sezione di collocamento
competente. Ai datori di lavoro che non assumono i lavoratori per il tramite degli uffici
di collocamento, sono applicate le sanzioni previste dall'articolo 38 della presente
legge. Le norme contenute nella legge 29 aprile 1949 n. 264, rimangono in vigore in quanto
non modificate dalla presente legge.
Art. 34
(Richieste nominative di
manodopera)
A decorrere dal novantesimo giorno
dall'entrata in vigore della presente legge, le richieste nominative di manodopera da
avviare al lavoro sono ammesse esclusivamente per i componenti del nucleo familiare del
datore di lavoro, per i lavoratori di concetto e per gli appartenenti a ristrette
categorie di lavoratori altamente specializzati, da stabilirsi con decreto del Ministro
per il lavoro e la previdenza sociale, sentita la commissione centrale di cui alla legge
29 aprile 1949, n. 264.
Titolo VI
DISPOSIZIONI FINALI E PENALI
Art. 35
(Campo di applicazione)
Per le imprese industriali e commerciali, le
disposizioni [dellart. 18 e] (1) del titolo III, ad eccezione del primo comma
dell'articolo 27, della presente legge si applicano a ciascuna sede, stabilimento,
filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti. Le stesse
disposizioni si applicano alle imprese agricole che occupano più di cinque dipendenti. Le
norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali che
nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese
agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti anche se
ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti. Ferme
restando le norme di cui agli articoli 1, 8, 9, 14, 15, 16 e 17, i contratti collettivi di
lavoro provvedono ad applicare i principi di cui alla presente legge alle imprese di
navigazione per il personale navigante (2). (1) Parole soppresse dallart. 6, L. 11 maggio 1990, n. 108.
(2) La Corte costituzionale ha dichiarato: a) l'illegittimità costituzionale parziale del
presente comma, nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al predetto
personale anche dell'art. 18 della stessa legge (sent. 3 aprile 1987, n. 96); b)
l'illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede la
diretta applicabilità al predetto personale anche dell'art. 18 della stessa legge, come
modificato dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108 - "Disciplina dei
licenziamenti individuali" (sent. 31 gennaio 1991, n. 41); c) l'illegittimità
costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede la diretta
applicabilità al predetto personale dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 7 della medesima legge
(sent. 23 luglio 1991, n. 364).
Art. 36
(Obblighi dei titolari di
benefici accordati dallo Stato e degli appaltatori di
opere pubbliche)
Nei provvedimenti di concessione di benefici
accordati ai sensi delle vigenti leggi dallo Stato a favore di imprenditori che esercitano
professionalmente un'attività economica organizzata e nei capitolati di appalto attinenti
all'esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante
l'obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti
dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti
collettivi di lavoro della categoria e della zona. Tale obbligo deve essere osservato sia
nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella successiva, per
tutto il tempo in cui l'imprenditore beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie
concesse dallo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge. Ogni infrazione al
suddetto obbligo che sia accertata dall'Ispettorato del lavoro viene comunicata
immediatamente ai Ministri nella cui amministrazione sia stata disposta la concessione del
beneficio o dell'appalto. Questi adotteranno le opportune determinazioni, fino alla revoca
del beneficio, e nei casi più gravi o nel caso di recidiva potranno decidere l'esclusione
del responsabile, per un tempo fino a cinque anni, da qualsiasi ulteriore concessione di
agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Le disposizioni di cui
ai commi precedenti si applicano anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o
creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali l'Ispettorato del lavoro
comunica direttamente le infrazioni per l'adozione delle sanzioni.
Art. 37
(Applicazione ai dipendenti da
enti pubblici)
Le disposizioni della presente legge si
applicano anche ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti da enti pubblici che
svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica. Le disposizioni della
presente legge si applicano altresì ai rapporti di impiego dei dipendenti dagli enti
pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali.
Art. 38
(Disposizioni penali)
Le violazioni degli articoli 2, 4, 5, 6, 8 e
15, primo comma, lettera a), sono punite, salvo che il fatto non costituisca più grave
reato, con l'ammenda da lire 300.000 (1) a lire 3.000.000 (1) o con l'arresto da 15 giorni
ad un anno. Nei casi più gravi le pene dell'arresto e dell'ammenda sono applicate
congiuntamente. Quando, per le condizioni economiche del reo, l'ammenda stabilita nel
primo comma può presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha
facoltà di aumentarla fino al quintuplo. Nei casi previsti dal secondo comma, l'autorità
giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti
dall'articolo 36 del Codice penale. (1) Importo così elevato a norma dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689.
Art. 39
(Versamento delle ammende al
Fondo adeguamento pensioni)
L'importo delle ammende è versato al Fondo
adeguamento pensioni dei lavoratori.
Art. 40
(Abrogazione delle
disposizioni contrastanti)
Ogni disposizione in contrasto con le norme
contenute nella presente legge è abrogata. Restano salve le condizioni dei contratti
collettivi e degli accordi sindacali più favorevoli ai lavoratori.
Art. 41
(Esenzioni fiscali)
Tutti gli atti e documenti necessari per
l'attuazione della presente legge e per l'esercizio dei diritti connessi, nonchè tutti
gli atti e documenti relativi ai giudizi nascenti dalla sua applicazione sono esenti da
bollo, imposte di registro o di qualsiasi altra specie e da tasse.
|
Il decreto allinea lItalia alla direttiva
europea sullorario di lavoro.
Sono adibiti al lavoro notturno con priorità assoluta i lavoratori e
le lavoratrici che né facciano richiesta. Ciò comporta ovviamente la modifica degli
orari preesistenti per il personale operante nellambito lavorativo dove si attiva
richiesta/e di volontariato notturno.La nuova impostazione oraria deve essere preceduta
dalla consultazione della rappresentanza sindacale unitaria aziendale e deve concludersi
entro sette giorni. Dal lavoro notturno sono escluse le lavoratrici in gravidanza e quelle
con figli fino ad un anno di età. Non si può obbligare al lavoro notturno (se non
disposte) le donne con figli fino a tre anni di età , quelle con figli disabili e il
genitore (padre o madre ) che per precise cause fosse lunico convivente di un figlio
con meno di dodici anni. Chi viene adibito a lavoro notturno è soggetto a riduzione di
orario (stabilito dagli accordi nazionali) e beneficia della relativa maggiorazione
retributiva .
Decreto Legislativo 26 novembre 1999, n. 532
Disposizioni in materia di lavoro notturno, a norma dell'articolo 17,
comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25"
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;Vista la direttiva n.
93/104/CE del Consiglio del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti
dell'organizzazione dell'orario di lavoro, ed in particolare gli articoli 8, 9, 10, 11 e
12;Visto l'articolo 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25;Visto l'articolo 45
della legge 17 maggio 1999, n. 144, come modificato dall'articolo 1, comma 2, lettera b),
della legge 2 agosto 1999, n. 263, di conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 1° luglio 1999, n. 214;Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei
Ministri, adottata nella riunione del 5 novembre 1999;Visto il parere della Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;Acquisiti i
pareri delle competenti commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 26 novembre 1999;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro
per le politiche comunitarie e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di
concerto con i Ministri della sanità, degli affari esteri, della giustizia, del tesoro,
del bilancio e della programmazione economica, per la funzione pubblica e per gli affari
regionali; Emana il seguente decreto legislativo:
Articolo 1
Campo di applicazione
1. Il presente decreto si applica a tutti i datori di lavoro pubblici e
privati che utilizzino lavoratori e lavoratrici con prestazioni di lavoro notturno, ad
eccezione di quelli operanti nei settori del trasporto aereo, ferroviario, stradario,
marittimo, della navigazione interna, della pesca in mare, delle altre attività in mare,
nonché delle attività dei medici in formazione. Nei confronti del personale dirigente e
direttivo, del personale addetto ai servizi di collaborazione familiare e dei lavoratori
addetti al culto dipendenti da enti ecclesiastici o da confessioni religiose, non trova
applicazione la disposizione di cui all'articolo 4.
2. Nei riguardi delle forze armate e di polizia, dei servizi di protezione civile, ivi
compresi quelli del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché nell'ambito delle
strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalità istituzionali alle
attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le norme del
presente decreto sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al
servizio espletato e per la specifica disciplina del rapporto di impiego, con le modalità
individuate con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e
della previdenza sociale, della sanità, del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica e per la funzione pubblica, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto.
Articolo 2
1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto si
intende per:
a) lavoro notturno: l'attività svolta nel corso di un periodo di
almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo fra la mezzanotte e le cinque del
mattino; b) lavoratore notturno:1) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno
svolga, in via non eccezionale, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero;
2) qualsiasi lavoratore che svolga, in via non eccezionale, durante il
periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro normale secondo le norme
definite dal contratto collettivo nazionale di lavoro. In difetto di disciplina collettiva
è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un
minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato
in caso di lavoro a tempo parziale.
2. I contratti collettivi individuano le condizioni e i casi di
eccezionalità nell'adibizione al lavoro notturno di cui al comma 1, lettere a) e b).
Articolo 3
Limitazioni al lavoro notturno
1. Sono adibiti al lavoro notturno con priorità assoluta i lavoratori
e le lavoratrici che ne facciano richiesta, tenuto conto delle esigenze organizzative
aziendali.
2. Fuori dei casi previsti dall'articolo 5, commi 1 e 2, della legge 9
dicembre 1977, n. 903 [2], come sostituito dall'articolo 17, comma 1, della legge 5
febbraio 1999, n. 25, e dall'articolo 15 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345, la
contrattazione collettiva può determinare ulteriori limitazioni all'effettuazione del
lavoro notturno, ovvero ulteriori priorità rispetto a quelle di cui al comma 1.
Articolo 4
Durata della prestazione
1. L'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto
ore nelle ventiquattro ore, salvo l'individuazione da parte dei contratti collettivi,
anche aziendali, che prevedano un orario di lavoro plurisettimanale, di un periodo di
riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite.
2. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, previa
consultazione delle organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente più
rappresentative e delle organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, viene stabilito un
elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o
mentali, il cui limite è di otto ore nel caso di ogni periodo di ventiquattro ore.
3. Il periodo minimo di riposo settimanale di cui agli articoli 1 e 3
della legge 22 febbraio 1934, n. 370, non viene preso in considerazione per il computo
della media se cade nel periodo di riferimento stabilito dai contratti collettivi di cui
al comma 1.
Articolo 5
Tutela della salute
1. I lavoratori notturni devono essere sottoposti a cura e a spese del
datore di lavoro, per il tramite del medico competente di cui all'articolo 17 del decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, come modificato dal decreto legislativo 19 marzo
1996, n. 242:
a) ad accertamenti preventivi volti a constatare l'assenza di
controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti;
b) ad accertamenti periodici almeno ogni due anni per controllare il loro stato di salute;
c) ad accertamenti in caso di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro
notturno.
Articolo 6
Trasferimento al lavoro diurno
1. Nel caso in cui sopraggiungano condizioni di salute che comportano
l'inidoneità alla prestazione di lavoro notturno, accertata tramite il medico competente,
è garantita al lavoratore l'assegnazione ad altre mansioni o altri ruoli diurni.
2. La contrattazione collettiva definisce le modalità di applicazione
delle disposizioni di cui al comma 1 e individua le soluzioni nel caso in cui
l'assegnazione prevista dal citato comma non risulti applicabile.
Articolo 7
Riduzione dell'orario di lavoro e maggiorazione retributiva
1. La contrattazione collettiva stabilisce la riduzione dell'orario di
lavoro normale settimanale e mensile nei confronti dei lavoratori notturni e la relativa
maggiorazione retributiva. 2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale provvede a
verificare periodicamente, e almeno annualmente, le disposizioni introdotte dai contratti
collettivi nazionali ai sensi del comma 1.
Articolo Rapporti sindacali
1. L'introduzione del lavoro notturno è preceduta dalla consultazione
delle rappresentanze sindacali unitarie, ovvero delle rappresentanze sindacali aziendali
e, in mancanza, delle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni
dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; la consultazione
è effettuata e conclusa entro sette giorni a decorrere dalla comunicazione del datore di
lavoro.
Articolo 9
Doveri di informazione
1. Il datore di lavoro, prima dell'adibizione al lavoro, informa i
lavoratori notturni e il rappresentante della sicurezza sui maggiori rischi derivanti
dallo svolgimento del lavoro notturno, ove presenti.
2. Il datore di lavoro garantisce l'informazione sui servizi per la
prevenzione e la sicurezza, nonché la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per
la sicurezza, ovvero delle organizzazioni sindacali di cui all'articolo 8, per le
lavorazioni che comportano i rischi particolari di cui all'articolo 4, comma 2.
Articolo 10
Comunicazione del lavoro notturno
1. Il datore di lavoro informa per iscritto la direzione provinciale
del lavoro - settore ispezione del lavoro, competente per territorio, con periodicità
annuale, dell'esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in
regolari turni periodici, quando esso non sia previsto dal contratto collettivo; tale
informativa va estesa alle organizzazioni sindacali di cui all'articolo 8. Resta fermo
quanto previsto dall'articolo 12 del regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955 .
Articolo 11
Misure di protezione personale e collettiva
1. Durante il lavoro notturno il datore di lavoro garantisce, previa
informativa alle rappresentanze sindacali di cui all'articolo 8, un livello di servizi e
di mezzi di prevenzione o di protezione adeguati alle caratteristiche del lavoro notturno
e assicura un livello di servizi equivalente a quello previsto per il turno diurno.
2. Il datore di lavoro, previa consultazione con le rappresentanze
sindacali di cui all'articolo 8, dispone, ai sensi degli articoli 40 e seguenti del
decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, per i lavoratori notturni che effettuano le
lavorazioni che comportano rischi particolari di cui all'elenco definito dall'articolo 4,
comma 2, appropriate misure di protezione personale e collettiva.
3. I contratti collettivi possono prevedere modalità e specifiche
misure di prevenzione relativamente alle prestazioni di lavoro notturno di particolari
categorie di lavoratori, quali quelle individuate con riferimento alla legge 5 giugno
1990, n. 135, e alla legge 26 giugno 1990, n. 162.
Articolo 12
Sanzioni
1. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti: a) con la
sanzione di cui all'articolo 89, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 19 settembre
1994, n. 626, per la violazione della disposizione di cui all'articolo 5; b) con la
sanzione amministrativa da L. 100.000 a L. 300.000 per ogni giorno e per ogni lavoratore
adibito al lavoro notturno oltre i limiti temporali di cui all'articolo 4.
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Nuove norme sul
Part-time Il Consiglio dei Ministri del 28.01.2000 ha emanato
le nuove norme sul Part time
Il provvedimento recepisce le disposizioni
comunitarie. Abolisce la soglia massima stabilita in Azienda e prevede invece incentivi
per chi opta per il lavoro a tempo parziale con la possibilità anche di effettuare lavoro
straordinario. Viene stabilito definitivamente che il Part time orizzontale
è quello in cui la riduzione oraria rispetto al tempo pieno è riferita al normale orario
giornaliero ; il Part time verticale è invece quello dove lattività
lavorativa si svolge a tempo pieno ( normale orario ) , ma limitatamente a periodi
predeterminati nella settimana-mese-anno ( esempio una settimana a tempo pieno e settimana
successiva libera oppure un mese a tempo pieno ed il successivo libero).La scelta del
tempo parziale è sempre condizionata al consenso del lavoratore che potrà anche
esercitare il diritto di ripensamento e quello di non vedersi discriminato nei diritti
contrattuali previsti per il tempo pieno. A garanzia del lavoratore che opta per il part
time deve essere formalizzato uno specifico patto scritto e sottoscritto dal lavoratore
stesso e dal datore di lavoro.
"Attuazione
della direttiva 97/81/Ce del Consiglio del 15 dicembre 1997, relativo allaccordo
quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dallUNCE, dal CEEP e dalla CES".
VISTI gli articoli 76 e 87 della Costituzione; VISTA la direttiva 97/81/CE del
Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa allaccordo quadro sul lavoro a tempo
parziale concluso dallUNICE, dal CEEP e dalla CES; VISTA la legge 5 febbraio 1999,
n.25, recante: "Disposizioni per ladempimento di obblighi derivanti
dallappartenenza dellItalia alle Comunità europee (legge comunitaria
1998)" ed in particolare larticolo 2, nonché lallegato A alla citata
legge n. 25 del 1999. VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del
SULLA PROPOSTA del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro
del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i ministri degli affari esteri,
della giustizia, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, delle pari
opportunità, per la funzione pubblica:
EMANA
il seguente decreto legislativo:
Articolo
1
(Definizioni)
1. Nel rapporto di lavoro subordinato lassunzione può avvenire a tempo pieno o a
tempo parziale. 2. Ai fini del presente decreto legislativo si intende: a) per "tempo
pieno" lorario normale di lavoro di cui allarticolo 13, comma 1 della
legge 24 giugno 1997, n. 196, e successive modificazioni, o leventuale minor orario
normale fissato dai contratti collettivi applicati; b) per "tempo parziale"
lorario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto un lavoratore,
che risulti comunque inferiore a quello indicato nella lettera a); c) per "rapporto
di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale" quello in cui la riduzione di orario
rispetto al tempo pieno è prevista in relazione allorario normale giornaliero di
lavoro; d) per "rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale" quello in
relazione al quale risulti previsto che lattività lavorativa sia svolta a tempo
pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana del mese o
dellanno; e) per "lavoro supplementare" quello corrispondente alle
prestazioni lavorative svolte oltre lorario di lavoro concordato fra le parti ai
sensi dellarticolo 2, comma 2, ed entro il limite del tempo pieno. 3. I contratti
collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, i
contratti collettivi territoriali stipulati dai medesimi sindacati ed i contratti
collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali, di cui
allarticolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni, con
lassistenza dei sindacati che hanno negoziato e sottoscritto il contratto collettivo
nazionale applicato, possono consentire che il rapporto di lavoro a tempo parziale si
svolga secondo una combinazione delle due modalità indicate nelle lettere c) e d) del
comma 2, provvedendo a determinare le modalità temporali di svolgimento della specifica
prestazione lavorativa ad orario ridotto, nonché le eventuali implicazioni di carattere
retributivo della stessa. 4. Le assunzoni a termine di cui alla legge 18 aprile 1962 n.
230, e successive modificazioni, possono essere effettuate anche con rapporto a tempo
parziale, ai sensi dei commi 2 e 3.
Articolo
2.
(Forma
e contenuti del contratto di lavoro a tempo parziale).
1. Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini e per
gli effetti di cui allarticolo 8, comma 1. Il datore di lavoro è tenuto a dare
comunicazione dellassunzione a tempo parziale alla Direzione provinciale del lavoro
competente per territorio mediante invio di copia del contratto entro trenta giorni dalla
stipulazione dello stesso. Fatte salve eventuali più favorevoli previsioni dei contratti
collettivi di cui allarticolo 1, comma 3, il datore di lavoro è altresì tenuto ad
informare le rappresentanze sindacali aziendali, ove esistenti, con cadenza annuale,
sullandamento delle assunzioni a tempo parziale, la relativa tipologia ed il ricorso
al lavoro supplementare. 2. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale
indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale
dellorario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e allanno.
Clausole difformi sono ammissibili solo nei termini di cui allarticolo 3, comma 7.
Articolo
3
(Modalità
del rapporto di lavoro a tempo parziale. Lavoro supplementare, lavoro straordinario,
clausole elastiche).
1. Il datore di lavoro ha facoltà di richiedere lo svolgimento di prestazioni
supplementari rispetto a quelle concordate con il lavoratore ai sensi dellarticolo
2, comma 2, nel rispetto di quanto previsto dai commi 2, 3, 4 e 6. 2. Il contratto
collettivo, stipulato dai soggetti indicati nellarticolo 1, comma 3, che il datore
di lavoro effettivamente applichi, stabilisce: a) Il numero massimo di ore di lavoro
supplementare effettuabili in ragione di anno, ove la determinazione è effettuata in sede
di contratto collettivo territoriale o aziendale è comunque rispettato il limite
stabilito dal contratto collettivo nazionale; b) il numero massimo di ore di lavoro
supplementare effettuabili nella singola giornata lavorativa; c) le causali obiettive
in relazione alle quali si consente di richiedere ad un lavoratore a tempo parziale lo
svolgimento di lavoro supplementare. In attesa delle discipline contrattuali di cui al
presente comma e fermo restando quanto previsto dal comma 15, il ricorso al lavoro
supplementare è ammesso nella misura massima del 10 per cento della durata
dellorario di lavoro a tempo parziale riferita a periodi non superiori ad un mese e
da utilizzare nellarco di più di una settimana. 3. Leffettuazione di
prestazioni di lavoro supplementare richiede in ogni caso il consenso del lavoratore
interessato. Leventuale rifiuto dello stesso non costituisce infrazione
disciplinare, nè integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento. 4. Le
ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, salva la facoltà per i
contratti collettivi di cui al comma 2 di applicare una percentuale di maggiorazione
sullimporto della retribuzione oraria globale di fatto, dovuta in relazione al
lavoro supplementare. In alternativa a quanto previsto in proposito dallarticolo 4,
comma 2 lettera a), i contratti collettivi di cui al comma 2, possono anche stabilire che
lincidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi
indiretti e differiti sia determinata convenzionalmente mediante lapplicazione di
una maggioranza forfettaria sulla retribuzione dovuta per la singola ora di lavoro
supplementare. 5. Nel rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale è
consentito lo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie in relazione alle
giornate di attività lavorativa. A tali prestazioni si applica la disciplina legale e
contrattuale vigente, ed eventuali successive modifiche ed integrazioni, in materia di
lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno. Salva diversa previsione dei contratti
collettivi di cui allarticolo 1, comma 3, i limiti trimestrale ed annuale stabiliti
dalla legge 27 novembre 1998, n. 409, si intendono riproporzionati in relazione alla
durata della prestazione lavorativa a tempo parziale. 6. Le ore di lavoro
supplementare di fatto svolte in misura eccedente quella consentita ai senti del comma 2
comportano lapplicazione di una maggiorazione del 50 per cento sullimporto
della retribuzione oraria globale di fatto per esse dovuta. I contratti collettivi di cui
allarticolo 1, comma 3, possono elevare la misura della maggiorazione; essi possono
altresì stabilire criteri e modalità per assicurare al lavoratore a tempo parziale, su
richiesta del medesimo, il diritto al consolidamento nel proprio orario di lavoro, in
tutto od in parte, del lavoro supplementare svolto in via non meramente
occasionale. 7. Ferma restando lindicazione nel contratto di lavoro della
distribuzione dellorario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed
allanno, i contratti collettivi, di cui allarticolo 1, comma 3, applicati dal
datore di lavoro interessato, hanno la facoltà di prevedere clausole elastiche in ordine
alla sola collocazione temporale della prestazione lavorativa, determinando le condizioni
e le modalità a fronte delle quali il datore di lavoro può variare detta collocazione,
rispetto a quella inizialmente concordata col lavoratore ai sensi dellarticolo 2,
comma 2. 8. Lesercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare la
collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo parziale comporta in favore
del lavoratore un preavviso di almeno dieci giorni. Lo svolgimento del rapporto di lavoro
a tempo parziale ai sensi del comma 7 comporta altresì in favore del lavoratore il
diritto ad una maggiorazione della retribuzione oraria globale di fatto, nelle misura
fissata da contratti collettivi di cui al medesimo comma 7. 9. La disponibilità allo
svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi del comma 7 richiede il
consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche
contestuale al contratto di lavoro. Nel patto è fatta espressa menzione della data di
stipulazione, della possibilità di denuncia di cui al comma 10, delle modalità di
esercizio della stessa nonché di quanto previsto dal comma 11. 10. Durante il corso
di svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale il lavoratore potrà denunciare il
patto di cui al comma 9, accompagnando alla denuncia lindicazione di una delle
seguenti documentate ragioni: a) esigenze di carattere familiare; b) esigenze di
tutela della salute certificata dal competente Servizio sanitario
pubblico; c)necessità di attendere ad altra attività lavorativa subordinata o
autonoma. La denuncia, in forma scritta, potrà essere effettuata quando siano
decorsi almeno cinque mesi dalla data di stipulazione del patto e dovrà essere altresì
accompagnata da un preavviso di un mese in favore del datore di lavoro. I contratti
collettivi di cui al comma 7 determinano i criteri e le modalità per lesercizio
della possibilità di denuncia anche nel caso di esigenze di studio o di formazione e
possono, altresì individuare ulteriori ragioni obiettive in forza delle quali possa
essere denunciato il patto di cui al comma 9. Il datore di lavoro ha facoltà di
rinunciare al preavviso. 11. Il rifiuto da parte del lavoratore di stipulare il patto di
cui al comma 9 e lesercizio da parte dello stesso del diritto di ripensamento di cui
al comma 10 non possono integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di
licenziamento. 12. A seguito della denuncia di cui al comma 10 viene meno la facoltà
del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa
inizialmente concordata ai sensi dellArticolo 2, comma 2. Successivamente alla
denuncia, nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro è fatta salva la
possibilità di stipulare un nuovo patto scritto in materia di collocazione temporale
elastica della prestazione lavorativa a tempo parziale, osservandosi le disposizioni del
presente articolo. 13. Leffettuazione di prestazioni lavorative supplementari o
straordinarie, come pure lo svolgimento del rapporto secondo le modalità di cui al comma
7, sono ammessi esclusivamente quando il contratto di lavoro a tempo parziale sia
stipulato a tempo indeterminato e, nel caso di assunzioni a termine, limitatamente a
quelle previste dallarticolo 1, comma 2, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n.
230. I contratti collettivi di cui allarticolo 1, comma 3, applicati dal datore di
lavoro interessato, possono prevedere la facoltà di richiedere lo svolgimento di
prestazioni lavorative supplementari o straordinarie anche in relazione ad altre ipotesi
di assunzione con contratto a termine conentite dalla legislazione vigente. 14. I
centri per limpiego e i soggetti autorizzati allattività di mediazione fra
domanda ed offerta di lavoro, di cui rispettivamente agli articoli 4 e 10 del decreto
legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, sono tenuti a dare, ai lavoratori interessati ad
offerte di lavoro a tempo parziale, puntuale informazione della disciplina prevista dai
commi 3,7,8,9,10,11,12 e 13 preventivamente alla stipulazione del contratto di lavoro. Per
i soggetti di cui allarticolo 10 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469,
la mancata fornitura di detta informazione costituisce comportamento valutabile ai fini
dellapplicazione della norma di cui al comma 12, lettera b), del medesimo articolo
10. 15. Ferma restando lapplicabilità immediata della disposizione di cui al
comma 3, le clausole dei contratti collettivi in materia di lavoro supplementare nei
rapporti di lavoro a tempo parziale, vigenti alla data di entrata in vigore del presente
decreto legislativo, continuano a produrre effetti sino alla scadenza prevista e comunque
per un periodo non superiore ad un anno.
Articolo
4
(Principio
di non discriminazione).
1. Fermi restando i divieti di discriminazione diretta ed indiretta previsti dalla
legislazione vigente, il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno
favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello
inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai
contratti collettivi di cui allarticolo 1, comma 3, per il solo motivo di lavorare a
tempo parziale. 2. Lapplicazione del principio di non discriminazione comporta
che:
a) il lavoratore a tempo parziale benefici dei medesimi diritti di un lavoratore a
tempo pieno comparabile in particolare per quanto riguarda limporto della
retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e delle ferie annuali; la durata del
periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia; infortuni sul lavoro,
malattie professionali; lapplicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza
dei lavoratori nei luoghi di lavoro; laccesso ad iniziative di formazione
professionale organizzate dal datore di lavoro; laccesso ai servizi sociali
aziendali; i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai
contratti collettivi di lavoro; i diritti sindacali, ivi compresi quelli di cui al titolo
III della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. I contratti collettivi
di cui allarticolo 1, comma 3, possono provvedere a modulare la durata del periodo
di prova e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia
qualora lassunzione avvenga con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo
verticale; b) il trattamento del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in
ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa in particolare per quanto
riguarda limporto della retribuzione globale e delle singole componenti di essa;
limporto della retribuzione feriale; limporto dei trattamenti economici per
malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità. Resta ferma la
facoltà per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi, di cui
allarticolo 1, comma 3, di prevedere che la corresponsione ai lavoratori a tempo
parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, sia effettuata
in misura più che proporzionale.
Articolo
5
(Tutela
ed incentivazione del lavoro a tempo parziale).
1. Il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo
pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in
rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento. Su accordo
delle parti risultante da atto scritto, redatto su richiesta del lavoratore con
lassistenza di un componente delal rappresentanza sindacale aziendale indicato dal
lavoratore medesimo o, in mancanza di rappresentanza sindacale aziendle nellunità
produttiva, convalidato dalla direzione provinciale del lavoro competente per territorio,
è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo
parziale. Al rapporto di lavoro a tempo parziale risultante dalla trasformazione si
applica la disciplina di cui al presente decreto legislativo. 2. In caso di
assunzione di personale a tempo pieno il datore di lavoro è tenuto a riconoscere un
diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività
presso unità produttive site entro 100 Km. dallunità produttiva interessata dalla
programmata assunzione, adibiti alle stesse mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a
quelle con riguardo alle quali è prevista lassunzione, dando priorità a coloro
che, già dipendenti, avevano trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo
parziale. A parità di condizioni, il diritto di precedenza nellassunzione a tempo
pieno potrà essere fatto valere prioritariamente dal lavoratore con maggiori carichi
familiari; secondariamente si terrà conto della maggiore anzianità di servizio, da
calcolarsi comunque senza riproporzionamento in ragione della pregressa ridotta durata
della prestazione lavorativa. 3. In caso di assunzione di personale a tempo parziale
il datore di lavoro è tenuto a darne tempestiva informazione al personale già dipendente
con rapporto a tempo pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito
comunale, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali
dellimpresa, ed a prendere in considerazione le eventuali domande di trasformazione
a tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno. Su richiesta del lavoratore
interessato, il rifiuto del datore di lavoro dovrà essere adeguatamente motivato. I
contratti collettivi di cui allarticolo 1, comma 3, possono provvedere ad
individuare criteri applicativi con riguardo alla disposizione di cui al primo periodo del
presente comma. 4. I benefici contributivi previsti dallarticolo 7, comma 1,
lettera a), del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla
legge 19 luglio 1994, n. 451, possono essere riconosciuti con il decreto del Ministro del
Lavoro e della previdenza sociale previsto dal citato articolo, da emanarsi entro trenta
giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, anche in misura differenziata
in relazione alla durata dellorario previsto dal contratto di lavoro a tempo
parziale, in favore dei datori di lavoro privati imprenditori e non imprenditori e degli
enti pubblici economici che provvedano ad effettuare, entro il termine previsto dal
decreto medesimo, assunzioni con contratto a tempo indeterminato e parziale ad incremento
degli organici esistenti calcolati con riferimento alla media degli occupati nei dodici
mesi precedenti la stipula dei predetti contratti.
Articolo
6
(Criteri
di computo dei lavoratori a tempo parziale).
1. In tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si
renda necessario laccertamento della consistenza dellorganico, i lavoratori a
tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione
allorario svolto, rapporto al tempo pieno così come definito ai sensi
dellarticolo 1, con arrotondamento allunità della frazione di orario
superiore alla metà di quello pieno. 2. Ai soli fini dellapplicabilità della
disciplina di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive
modificazioni, i lavoratori a tempo parziale si computano come unità intere, quale che
sia la durata della loro prestazione lavorativa.
Articolo
7
(Applicabilità
nel settore agricolo)
1. Le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto
legislativo ai rapporti di lavoro del settore agricolo, anche con riguardo alla
possibilità di effettuare lavoro supplementare o di consentire la stipulazione di una
clausola elastica di collocazione della prestazione lavorativa nei rapporti a tempo
determinato parziale, sono determinate dai contratti collettivi nazionali di lavoro
stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
Articolo
8
(Sanzioni)
1. Nel contratto di lavoo a tempo parziale la forma scritta è richiesta a fini di
prova. Qualora la scrittura risulti mancante, è ammessa la prova per testimoni nei limiti
di cui allarticolo 2725 del codice civile. In difetto di prova in ordine alla
stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su richiesta del lavoratore potrà
essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a
partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia giudizialmente accertata. Resta
fermo il diritto alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese
antecedentemente alla data suddetta. 2. Leventuale mancanza o indeterminatezza
nel contratto scritto delle indicazioni di cui allarticolo 2, comma 2, non comporta
la nullità del contratto di lavoro a tempo parziale. Qualora lomissione riguardi la
durata della prestazione lavorativa, su richiesta del lavoratore può essere dichiarata la
sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del
relativo accertamento giudiziale. Qualora invece lomissione riguardi la sola
collocazione temporale dellorario, il giudice provvede a determinare le modalità
temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con riferimento
alle previsioni dei contratti collettivi di cui allarticolo 3, comma 7, o, in
mancanza con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilità
familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione del reddito
derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività
lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente la
data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in
aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo
di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa. Nel corso del
successivo svolgimento del rapporto, è fatta salva la possibilità di concordare per
iscritto una clausola elastica in ordine alla sola collocazione temporale delal
prestazione lavorativa a tempo parziale, osservandosi le disposizioni di cui
allarticolo 3. In luogo del ricorso allautorità giudiziaria, le controversie
di cui al presente comma ed al comma 1 possono essere risolte mediante le procedure di
conciliazione ed eventualmente di arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali di
lavoro di cui allarticolo 1, comma 3. 3. In caso di violazione da parte del
datore di lavoro del diritto di precedenza di cui allarticolo 5, comma 2, il
lavoratore ha diritto al risarcimento del danno in misura corrispondente alla differenza
fra limporto della retribuzione percepita e quella che gli sarebbe stata corrisposta
a seguito del passaggio al tempo pieno nei sei mesi successivi a detto passaggio. 4. La
mancata comunicazione alla Direzione provinciale del lavoro, di cui allarticolo 2,
comma 1, secondo periodo, comporta lapplicazione di una sanzione amministrativa di
lire trentamila per ciascun lavoratore interessato ed ogni giorno di ritardo. I
corrispondenti importi sono versati a favore della gestione contro la disoccupazione
dellistituto nazionale della previdenza sociale (INPS).
Articolo
9
(Disciplina
previdenziale).
1. La retribuzione minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei contributi
previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando alle
giornate di lavoro settimanale ad orario normale il minimale giornaliero di cui
allarticolo 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e dividendo limporto così
ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale previsto dal contratto
collettivo nazionale di categoria per i lavoratori a tempo pieno. 2. Gli assegni per
il nucleo familiare spettano ai lavoratori a tempo parziale per lintera misura
settimanale in presenza di una prestazione lavorativa settimanale di durata non inferiore
al minimo di ventiquattro ore. A tal fine sono cumulate le ore prestate in diversi
rapporti di lavoro. In caso contrario spettano tanti assegni giornalieri quante sono le
giornate di lavoro effettivamente prestate, qualunque sia il numero delle ore lavorate
nella giornata. Qualora non si possa individuare lattività principale per gli
effetti dellarticolo 20 del Testo Unico delle norme sugli assegni familiari,
approvato con decreto del Presidente della repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive
modificazioni, gli assegni per il nucleo familiare sono corrisposti direttamente
dallINPS. Il comma 2 dellarticolo 26 del citato Testo Unico è sostituito dal
seguente: "Il contribuo non è dovuto per i lavoratori cui non spettano gli assegni a
norma dellarticolo 2". 3. La retribuzione da valere ai fini
dellassicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei
lavoratori a tempo parziale è uguale alla retribuzione tabellare prevista dalla
contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di lavoro a tempo pieno. La
retribuzione tabellare è determinata su base oraria in relazione alla durata normale
annua della prestazione di lavoro espressa in ore. La retribuzione minima oraria da
assumere quale base di calcolo dei premi per lassicurazione di cui al presente comma
è stabilita con le modalità di cui al comma 1. 4. Nel caso di trasformazione del
rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai
fini della determinazione dellammontare del trattamento di pensione si computa per
intero lanzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente
allorario effettivamente svolto lanzianità inerente ai periodi di lavoro a
tempo parziale.
Articolo
10
(disciplina
del part-time nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
1. Ai sensi dellarticolo 2, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.
29, le disposizioni del presente decreto, ove non diversamente disposto, si applicano
anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, fermo
restando quanto previsto da disposizioni speciali in materia e, in particolare,
dallarticolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, dallarticolo 6 della
legge 28 maggio 1997, n. 140, dallarticolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449,
dallarticolo 22 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 e dallarticolo 20 della
legge 23 dicembre 1999, n. 488. 2. Le amministrazioni hanno lobbligo di
addebitare al dirigente responsabile le conseguenze patrimoniali derivanti
dalleventuale applicazione dellarticolo 8, qualora la violazione sia dovuta a
dolo o colpa grave.
Articolo
11
(Abrogazioni)
1. Sono abrogati: a) larticolo 5 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726,
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863; b) la lettera a) del
comma 1 dellarticolo 7 del decreto legge 16 maggio 1994, n. 451, limitatamente alle
parole "alla data di entrata in vigore del presente decreto ovvero sulla base di
accordi collettivi di gestione di eccedenze di personale che contemplino la trasformazione
di contratti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale", nonché larticolo 13,
comma 7, della legge 24 giugno 1997, n. 196.
Articolo
12
(Verifica)
1. Entro il 31 dicembre 2000 il Ministro del lavoro e della previdenza sociale precede
ad una verifica, con le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, degli effetti delle
disposizioni dettate dal presente decreto legislativo, con particolare riguardo alle
previsioni dellarticolo 3, comma 2, in materia di lavoro supplementare e
allesigenza di controllare le ricadute occupazionali delle misure di incentivazione
introdotte, anche ai fini delleventuale esercizio del potere lesiglativo delegato di
cui allarticolo 1, comma 4, della legge 5 febbraio 1999, n. 25.
|
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA
DECRETO 28 novembre 2000
Codice di comportamento dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni.
(GU n. 84 del 10-4-2001)
IL MINISTRO PER LA FUNZIONE PUBBLICA
Visto
l'art.2 della legge 23 ottobre 1992, n.421, recante delega al Governo per
la razionalizzazione e la revisione della disciplina in materia di pubblico impiego;Visto
l'art.11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.59, il quale, nel piu' ampio quadro della
delega conferita al Governo per la riforma della pubblica amministrazione, ha, tra
l'altro, specificamente conferito al Governo la delega
per apportare modificazioni ed integrazioni al decreto legislativo 3
febbraio 1993,n. 29,Visto il decreto legislativo 31 marzo 1998, n.80, recante nuove
disposizioni in materia di organizzazione e
di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie
di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'art.11, comma 4,
della predetta legge n.59 del 1997;Visto, in particolare, l'art.58-bis del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n.29, come
sostituito dall'art.27 del predetto decreto legislativo n. 80 del 1998;Visto il decreto
del Ministro della funzione pubblica 31 marzo 1994, con il quale e' stato adottato il
codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ai sensi
dell'art.58-bis del predetto decreto legislativo n.29 del 1993;Ritenuta la necessita' di
provvedere all'aggiornamento del predetto codice di comportamento
alla luce delle modificazioni intervenute all'art.58-bis del decreto legislativo n. 29 del
1993;Sentite le confederazioni sindacali rappresentative;
Decreta:
Art.
1.Disposizioni di carattere generale
1. I principi e i contenuti del presente codice
costituiscono specificazioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealta' e
imparzialita', che qualificano il
corretto adempimento della prestazione lavorativa. I dipendenti pubblici - escluso il
personale militare, quello della polizia di Stato ed il Corpo di polizia penitenziaria,
nonche' i componenti delle magistrature e dell'Avvocatura
dello Stato - si impegnano ad osservarli all'atto dell'assunzione in
servizio.
2. I contratti collettivi provvedono, a norma
del-l'art. 58-bis, comma 3, del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n.29, al coordinamento con le previsioni in materia di responsabilita' disciplinare. Restano
ferme le disposizioni riguardanti le altre forme di responsabilita' dei pubblici
dipendenti.
3. Le
disposizioni che seguono trovano applicazione in tutti i casi in cui non siano applicabili norme di legge o di regolamento
o comunque per i profili non diversamente
disciplinati da leggi o regolamenti. Nel rispetto dei principi enunciati dall'art.2, le
previsioni degli articoli 3 e seguenti possono essere integrate e specificate dai codici
adottati dalle singole amministrazioni ai sensi dell'art.58-bis,
comma 5, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29
Art. 2.
P r i n
c ip i
1. Il dipendente conforma la sua condotta al dovere
costituzionale di servire esclusivamente la Nazione con disciplina ed onore e di rispettare i
princi'pi di buon andamento e
imparzialita' dell'amministrazione. Nell'espletamento dei propri compiti, il dipendente assicura il rispetto della
legge e persegue esclusivamente l'interesse pubblico; ispira le proprie decisioni ed i
propri comportamenti alla cura dell'interesse pubblico che gli e' affidato.
2. Il
dipendente mantiene una posizione di indipendenza, al fine di evitare di prendere
decisioni o svolgere attivita' inerenti alle sue mansioni in situazioni, anche solo apparenti, di conflitto di interessi.
Egli non svolge alcuna attivita' che contrasti con il corretto adempimento dei compiti
d'ufficio e si impegna ad evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli
interessi o all'immagine della pubblica amministrazione.
3. Nel rispetto dell'orario di lavoro, il dipendente
dedica la giusta quantita' di tempo e di energie allo svolgimento delle proprie
competenze, si impegna ad adempierle nel modo
piu' semplice ed efficiente nell'interesse dei cittadini e assume le responsabilita'
connesse ai propri compiti.
4. Il dipendente usa e custodisce con cura i beni di
cui dispone per ragioni di ufficio e non utilizza a fini privati le informazioni di cui
dispone per ragioni di ufficio.
5. Il
comportamento del dipendente deve essere tale da stabilire un rapporto di fiducia e collaborazione tra i cittadini e
l'amministrazione. Nei rapporti con i cittadini, egli dimostra la massima disponibilita' e
non ne ostacola l'esercizio dei diritti.
Favorisce
l'accesso degli stessi alle informazioni a cui abbiano titolo e, nei limiti in cui cio'
non sia vietato, fornisce tutte le notizie e informazioni necessarie per valutare le
decisioni dell'amministrazione e i comportamenti dei dipendenti.
6. Il dipendente limita gli adempimenti a carico dei
cittadini e delle imprese a quelli indispensabili e applica ogni possibile misura di
semplificazione dell'attivita' amministrativa, agevolando, comunque, lo svolgimento, da
parte dei cittadini, delle attivita' loro consentite, o comunque non contrarie alle norme
giuridiche in vigore.
7. Nello svolgimento dei propri compiti, il
dipendente rispetta la distribuzione delle
funzioni tra Stato ed enti territoriali. Nei limiti delle proprie competenze, favorisce
l'esercizio delle funzioni e dei compiti da parte dell'autorita' territorialmente
competente e funzionalmente piu' vicina ai cittadini interessati
Art. 3.
Regali
e altre utilita'
1. Il dipendente non chiede, per se' o per altri, ne'
accetta, neanche in occasione di festivita',
regali o altre utilita' salvo quelli d'uso di modico valore, da soggetti
che abbiano tratto o comunque possano trarre benefici da decisioni o attivita' inerenti
all'ufficio.
2. Il dipendente non chiede, per se' o per altri, ne'
accetta, regali o altre utilita' da un subordinato o da suoi parenti entro il quarto
grado. Il dipendente non offre regali o altre utilita' ad un sovraordinato o a suoi
parenti entro il quarto grado, o conviventi, salvo quelli d'uso di modico valore.
Art. 4.
Partecipazione
ad associazioni e altre organizzazioni
1. Nel rispetto della disciplina vigente del
diritto di associazione, il dipendente
comunica al dirigente dell'ufficio la propria adesione ad associazioni ed organizzazioni,
anche a carattere non riservato, i cui interessi siano coinvolti dallo svolgimento
dell'attivita' dell'ufficio, salvo che si tratti di partiti politici o sindacati.
2. Il dipendente non costringe altri dipendenti ad
aderire ad associazioni ed organizzazioni,
ne' li induce a farlo promettendo vantaggi di carriera.
Art. 5.
Trasparenza
negli interessi finanziari
1. Il dipendente informa per iscritto il dirigente
dell'ufficio di tutti i rapporti di
collaborazione in qualunque modo retribuiti che egli abbia avuto nell'ultimo quinquennio,
precisando:
a) se
egli, o suoi parenti entro il quarto grado o conviventi, abbiano ancora rapporti
finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione
b) se
tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in
attivita' o decisioni inerenti all'ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate.
2. Il dirigente, prima di assumere le sue funzioni,
comunica all'amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari
che possano porlo in conflitto di interessi
con la funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti entro il quarto grado o
affini entro il secondo, o conviventi che esercitano
attivita' politiche, professionali o economiche
che li pongano in contatti frequenti con l'ufficio che egli dovra' dirigere o che siano
coinvolte nelle decisioni o nelle attivita'
inerenti all'ufficio. Su motivata richiesta del dirigente competente in materia di affari generali
e personale, egli fornisce ulteriori
informazioni sulla propria situazione patrimoniale e tributaria
Art. 6.
Obbligo
di astensione
1. Il dipendente si astiene dal partecipare
all'adozione di decisioni o ad attivita' che
possano coinvolgere interessi propri ovvero: di suoi parenti entro il quarto grado o conviventi; di individui od
organizzazioni con cui egli stesso o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o
rapporti di credito o debito; di individui od organizzazioni di cui egli sia tutore,
curatore, procuratore o agente; di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati,
societa' o stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente o dirigente. Il
dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano
gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il dirigente dell'ufficio.
Art. 7.
Attivita'
collaterali
1. Il dipendente non accetta da soggetti
diversi dall'amministrazione retribuzioni o
altre utilita' per prestazionialle quali e' tenuto per lo svolgimento dei propri compiti
d'ufficio.
2. Il dipendente non accetta incarichi di
collaborazione con individui od organizzazioni che abbiano, o abbiano avuto nel biennio
precedente, un interesse economico in decisioni o attivita' inerenti all'ufficio.
3. Il dipendente non sollecita ai propri superiori il
conferimento di incarichi remunerati.
Art. 8.
Imparzialita'
1. Il dipendente,
nell'adempimento della prestazione lavorativa, assicura la
parita' di trattamento tra i cittadini che vengono in contatto con
l'amministrazione da cui dipende. A tal fine, egli non rifiuta ne' accorda ad alcuno prestazioni che siano normalmente accordate
o rifiutate ad altri.
2. Il dipendente si attiene a corrette modalita' di
svolgimento dell'attivita' amministrativa di
sua competenza, respingendo in particolare ogni illegittima pressione, ancorche'
esercitata dai suoi superiori.
Art. 9.
Comportamento
nella vita sociale
1. Il dipendente non sfrutta la posizione che
ricopre nell'amministrazione per ottenere utilita' che non gli spettino. Nei rapporti
privati, in particolare con pubblici
ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni, non menziona ne' fa altrimenti intendere, di
propria iniziativa, tale posizione, qualora cio' possa nuocere all'immagine
dell'amministrazione.
Art.
10.
Comportamento
in servizio
1. Il
dipendente, salvo giustificato motivo, non ritarda ne' affida ad altri dipendenti il compimento di attivita' o l'adozione
di decisioni di propria spettanza.
2. Nel
rispetto delle previsioni contrattuali, il dipendente limita le assenze dal luogo di
lavoro a quelle strettamente necessarie.
3. Il dipendente non utilizza a fini privati
materiale o attrezzature di cui dispone per
ragioni di ufficio. Salvo casi d'urgenza, egli non utilizza le linee telefoniche
dell'ufficio per esigenze personali. Il dipendente che dispone di mezzi di trasporto
dell'amministrazione se ne serve per lo svolgimento dei suoi compiti d'ufficio e non vi
trasporta abitualmente persone estranee all'amministrazione.
4. Il dipendente non accetta per uso personale, ne'
detiene o gode a titolo personale, utilita'
spettanti all'acquirente, in relazione all'acquisto di beni o servizi per ragioni di
ufficio.
Art.
11.
Rapporti
con il pubblico
1. Il dipendente in diretto rapporto con il pubblico
presta adeguata attenzione alle domande
di ciascuno e fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al comportamento
proprio e di altri dipendenti dell'ufficio. Nella trattazione delle pratiche egli rispetta
l'ordine cronologico e non rifiuta prestazioni a cui sia tenuto motivando genericamente
con la quantita' di lavoro da svolgere o la mancanza di tempo a disposizione. Egli
rispetta gli appuntamenti con i cittadini e
risponde sollecitamente ai loro reclami.
2. Salvo il diritto di esprimere valutazioni e
diffondere informazioni a tutela dei diritti
sindacali e dei cittadini, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell'immagine
dell'amministrazione. Il dipendente tiene informato il dirigente dell'ufficio dei propri
rapporti con gli organi di stampa.
3. Il dipendente non prende impegni ne' fa promesse
in ordine a decisioni o azioni proprie o
altrui inerenti all'ufficio, se cio' possa generare o confermare sfiducia
nell'amministrazione o nella sua indipendenza ed imparzialita'.
4. Nella redazione dei testi scritti e in tutte
le altre comunicazioni il dipendente
adotta un linguaggio chiaro e comprensibile.
5. Il dipendente che svolge la sua attivita'
lavorativa in una amministrazione che
fornisce servizi al pubblico si preoccupa del rispetto degli standard di qualita' e di
quantita' fissati dall'amministrazione nelle apposite carte dei servizi. Egli si preoccupa di assicurare la
continuita' del servizio, di consentire agli utenti la scelta tra i diversi erogatori e di
fornire loro informazioni sulle modalita' di
prestazione del servizio e sui livelli di qualita'.
Art.
12.
Contratti
1. Nella stipulazione di contratti per conto
dell'amministrazione, il dipendente non ricorre a mediazione o ad altra opera di terzi,
ne' corrisponde o promette ad alcuno
utilita' a titolo di intermediazione, ne' per facilitare o aver facilitato la conclusione
o l'esecuzione del contratto.
2. Il dipendente non conclude, per conto
dell'amministrazione, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o
assicurazione con imprese con le quali abbia stipulato contratti a titolo privato nel
biennio precedente. Nel caso in cui
l'amministrazione concluda contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o
assicurazione, con imprese con le quali egli abbia concluso
contratti a titolo privato nel biennio precedente, si astiene dal
partecipare all'adozione delle decisioni ed
alle attivita' relative all'esecuzione del contratto.
3. Il
dipendente che stipula contratti a titolo privato con imprese con cui abbia concluso, nel
biennio precedente, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento ed
assicurazione, per conto dell'amministrazione, ne informa per iscritto il dirigente
dell'ufficio.
4. Se
nelle situazioni di cui ai commi 2 e 3 si trova il dirigente, questi informa per iscritto il dirigente competente in materia di
affari generali e personale.
Art.
13.
Obblighi
connessi alla valutazione dei risultati
1. Il dirigente ed il dipendente forniscono
all'ufficio interno di controllo tutte le
informazioni necessarie ad una piena valutazione dei risultati conseguiti dall'ufficio presso il quale prestano servizio.
L'informazione e' resa con particolare riguardo alle seguenti finalita': modalita' di
svolgimento dell'attivita' dell'ufficio; qualita' dei servizi prestati; parita' di
trattamento tra le diverse categorie di cittadini e utenti; agevole accesso agli uffici,
specie per gli utenti disabili; semplificazione e celerita' delle procedure; osservanza
dei termini prescritti per la conclusione delle procedure; sollecita risposta a reclami,
istanze e segnalazioni.
Art.
14.
Abrogazione
1. Il
decreto del Ministro della funzione pubblica 31 marzo 1994 e' abrogato.
Il
presente decreto sara' comunicato alla Corte dei conti per la registrazione e pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Roma,
28 novembre 2000 Il Ministro: Bassanini
Registrato
alla Corte dei conti il 20 febbraio 2001
Ministeri
istituzionali, registro n. 2, foglio n. 111
|
Legge 10 aprile 1991, n. 125 Azioni positive per la
realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro
Art. 1
(Finalità)
1. Le disposizioni contenute nella presente legge hanno
lo scopo di favorire l'occupazione femminile e di realizzare, l'uguaglianza sostanziale
tra uomini e donne nel lavoro, anche mediante l'adozione di misure, denominate azioni
positive per le donne, al fine di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la
realizzazione di pari opportunità.
2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in
particolare lo scopo di:
a) eliminare le disparità di fatto di cui le donne sono
oggetto nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella
progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
b) favorire la diversificazione delle scelte
professionali delle donne in particolare attraverso l'orientamento scolastico e
professionale e gli strumenti della formazione; favorire l'accesso al lavoro autonomo e
alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici
autonome e delle imprenditrici;
c) superare condizioni, organizzazione e distribuzione
del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei
dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera
ovvero nel trattamento economico e retributivo;
d) promuovere l'inserimento delle donne nelle attività,
nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in
particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
e) favorire, anche mediante una diversa organizzazione
del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilità
familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due
sessi.
3. Le azioni positive di cui ai commi 1 e 2 possono
essere promosse dal Comitato di cui all'articolo 5 e dai consiglieri di parità di cui
all'articolo 8, dai centri per la parità e le pari opportunità a livello nazionale,
locale e aziendale, comunque denominati, dai datori di lavoro pubblici e privati, dai
centri di formazione professionale, dalle organizzazioni sindacali nazionali e
territoriali, anche su proposta delle rappresentanze sindacali aziendali o degli organismi
rappresentativi del personale di cui all'articolo 25 della legge 29 marzo 1983, n. 93.
Art. 2
(Attuazione di azioni positive, finanziamenti)
1. Le imprese, anche in forma cooperativa, i loro
consorzi, gli enti pubblici economici, le associazioni sindacali dei lavoratori e i centri
di formazione professionale che adottano i progetti di azioni positive di cui all'articolo
1, possono richiedere al Ministero del lavoro e della previdenza sociale di essere ammessi
al rimborso totale o parziale di oneri finanziari connessi all'attuazione dei predetti
progetti ad eccezione di quelli di cui all'articolo 3.
2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale,
sentito il Comitato di cui all'articolo 5, ammette i progetti di azioni positive al
beneficio di cui al comma 1 e, con lo stesso provvedimento, autorizza le relative spese.
L'attuazione dei progetti di cui al comma 1 deve comunque avere inizio entro due mesi dal
rilascio dell'autorizzazione.
3. Con decreto emanato dal Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sono stabilite le modalità di
presentazione delle richieste, di erogazione dei fondi e dei tempi di realizzazione del
progetto. In ogni caso i contributi devono essere erogati sulla base della verifica
dell'attuazione del progetto di azioni positive, o di singole parti, in relazione alla
complessità del progetto stesso. La mancata attuazione del progetto comporta la decadenza
del beneficio e la restituzione delle somme eventualmente già riscosse. In caso di
attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata, la cui
valutazione è effettuata in base ai criteri determinati dal decreto di cui al presente
comma.
4. I progetti di azioni positive concordate dai datori
di lavoro con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale
hanno precedenza nell'accesso al beneficio di cui al comma 1.
5. L'accesso ai fondi comunitari destinati alla
realizzazione di programmi o progetti di azioni positive, ad eccezione di quelli di cui
all'articolo 3, è subordinato al parere del Comitato di cui all'articolo 5.
6. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della
presente legge le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le regioni,
le province, i comuni e tutti gli enti pubblici non economici, nazionali, regionali e
locali, sentiti gli organismi rappresentativi del personale di cui all'articolo 25 della
legge 29 marzo 1983, n. 93, o in loro mancanza, le organizzazioni sindacali locali
aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, sentito
inoltre, in relazione alla sfera d'azione della propria attività, il Comitato di cui
all'articolo 5 o il consigliere di parità di cui all'articolo 8, adottano piani di azioni
positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli
che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel
lavoro tra uomini e donne.
Art. 3
(Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante
la formazione professionale)
1. Al finanziamento dei progetti di formazione
finalizzati al perseguimento dell'obiettivo di cui all'articolo 1, comma 1, autorizzati
secondo le procedure previste dagli articoli 25, 26 e 27 della legge 21 dicembre 1978, n.
845, ed approvati dal Fondo sociale europeo, è destinata una quota del fondo di rotazione
istituito dall'articolo 25 della stessa legge, determinata annualmente con deliberazione
del Comitato interministeriale per la programmazione economica. In sede di prima
applicazione la predetta quota è fissata nella misura del dieci per cento.
2. La finalizzazione dei progetti di formazione al
perseguimento dell'obiettivo di cui all'articolo 1, comma 1, viene accertata, entro il 31
marzo dell'anno in cui l'iniziativa deve essere attuata, dalla commissione regionale per
l'impiego. Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato di cui
all'articolo 5.
3. La quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 è
ripartita tra le regioni in misura proporzionale all'ammontare dei contributi richiesti
per i progetti approvati.
Art. 4
(Azioni in giudizio)
1. Costituisce discriminazione, ai sensi della legge 9
dicembre 1977, n. 903, qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto
pregiudizievole discriminando anche in via indiretta i lavoratori in ragione del sesso.
2. Costituisce discriminazione indiretta ogni
trattamento pregiudizievole conseguente alla adozione di criteri che svantaggino in modo
proporzionalmente maggiore i lavoratori dell'uno o dell'altro sesso e riguardino i
requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa.
3. Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione
attuate da imprese private e pubbliche la prestazione richiesta deve essere accompagnata
dalle parole "dell'uno o dell'altro sesso", fatta eccezione per i casi in cui il
riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della
prestazione.
4. Chi intende agire in giudizio per la dichiarazione
delle discriminazioni ai sensi dei commi 1 e 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure
di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di
conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile anche tramite il
consigliere di parità di cui all'articolo 8, comma 2, competente per territorio.
5. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto -
desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi
retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla
progressione in carriera ed ai licenziamenti - idonei a fondare, in termini precisi e
concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti o comportamenti discriminatori in
ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sulla insussistenza della
discriminazione.
6. Qualora il datore di lavoro ponga in essere un atto o
un comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche quando non siano
individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni, il
ricorso può essere proposto dal consigliere di parità istituito al livello regionale,
previo parere non vincolante del collegio istruttorio di cui all'articolo 7, da allegare
al ricorso stesso, e sentita la commissione regionale per l'impiego. Decorso inutilmente
il termine di trenta giorni dalla richiesta del parere al collegio istruttorio, il ricorso
può essere comunque proposto.
7. Il giudice, nella sentenza che accerta le
discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del comma 6, ordina al datore
di lavoro di definire, sentite le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro
mancanza, le organizzazioni sindacali locali aderenti alle organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative sul piano nazionale, nonché il consigliere regionale per la
parità competente per territorio, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
Nella sentenza il giudice fissa un termine per la definizione del piano.
8. In caso di mancata ottemperanza alla sentenza di cui
al comma 7 si applica l'articolo 650 del codice penale richiamato dall'articolo 15 della
legge 9 dicembre 1977, n. 903.
9. Ogni accertamento di atti o comportamenti
discriminatori ai sensi dei commi 1 e 2, posti in essere da imprenditori ai quali siano
stati accordati benefici ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, ovvero che abbiano
stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o
di forniture, viene comunicato immediatamente dall'ispettorato del lavoro ai Ministri
nelle cui amministrazioni sia stata disposta la concessione del beneficio o dell'appalto.
Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca del
beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di recidiva, possono decidere l'esclusione del
responsabile per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di
agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Tale disposizione si
applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di appalti
concessi da enti pubblici, ai quali l'ispettorato del lavoro comunica direttamente la
discriminazione accertata per l'adozione delle sanzioni previste.
10. Resta fermo quanto stabilito dall'articolo 15 della
legge 9 dicembre 1977, n. 903.
Art. 5
(Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di
parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici)
1. Al fine di promuovere la rimozione dei comportamenti
discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza delle
donne nell'accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione professionale e di carriera è
istituito, presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il Comitato
nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di
opportunità tra lavoratori e lavoratrici.
2. Fanno parte del Comitato:
a) il Ministro del lavoro e della previdenza sociale o,
per sua delega, un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente;
b) cinque componenti designati dalle confederazioni
sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
c) cinque componenti designati dalle confederazioni
sindacali dei datori di lavoro dei diversi settori economici, maggiormente rappresentative
sul piano nazionale;
d) un componente designato unitariamente dalle
associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo più
rappresentative sul piano nazionale;
e) undici componenti designati dalle associazioni e dai
movimenti femminili più rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della
parità e delle pari opportunità nel lavoro;
f) il consigliere di parità componente la commissione
centrale per l'impiego.
3. Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato,
senza diritto di voto:
a) sei esperti in materie giuridiche, economiche e
sociologiche, con competenze in materia di lavoro;
b) cinque rappresentanti, rispettivamente, dei Ministeri
della pubblica istruzione, di grazia e giustizia, degli affari esteri, dell'industria, del
commercio e dell'artigianato, del Dipartimento della funzione pubblica;
c) cinque funzionari del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale con qualifica non inferiore a quella di primo dirigente, in
rappresentanza delle Direzioni generali per l'impiego, dei rapporti di lavoro, per
l'osservatorio del mercato del lavoro, della previdenza ed assistenza sociale nonchè
dell'ufficio centrale per l'orientamento e la formazione professionale dei lavoratori.
4. I componenti del Comitato durano in carica tre anni e
sono nominati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Per ogni componente
effettivo è nominato un supplente.
5. Il Comitato è convocato, oltre che ad iniziativa del
Ministro del lavoro e della previdenza sociale, quando ne facciano richiesta metà più
uno dei suoi componenti.
6. Il Comitato delibera in ordine al proprio
funzionamento e a quello del collegio istruttorio e della segreteria tecnica di cui
all'art. 7, nonché in ordine alle relative spese.
7. Il vicepresidente del Comitato è designato dal
Ministro del lavoro e della previdenza sociale nell'ambito dei suoi componenti.
Art. 6
(Compiti del Comitato)
1. Per il perseguimento delle finalità di cui all'art.
5, comma 1, il Comitato adotta ogni iniziativa utile ed in particolare:
a) formula proposte sulle questioni generali relative
all'attuazione degli obiettivi della parità e delle pari opportunità, nonché per lo
sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente che direttamente incide sulle
condizioni di lavoro delle donne;
b) informa e sensibilizza l'opinione pubblica sulla
necessità di promuovere le pari opportunità per le donne nella formazione e nella vita
lavorativa;
c) promuove l'adozione di azioni positive da parte delle
istituzioni pubbliche preposte alla politica del lavoro, nonché da parte dei soggetti di
cui all'art. 2;
d) esprime, a maggioranza, parere sul finanziamento dei
progetti di azioni positive ed opera il controllo sui progetti in itinere verificandone la
corretta attuazione e l'esito finale;
e) elabora codici di comportamento diretti a specificare
le regole di condotta conformi alla parità e ad individuare le manifestazioni anche
indirette delle discriminazioni;
f) verifica lo stato di applicazione della legislazione
vigente in materia di parità;
g) propone soluzioni alle controversie collettive, anche
indirizzando gli interessati all'adozione di piani di azioni positive per la rimozione
delle discriminazioni pregresse e la creazione di pari opportunità per le lavoratrici;
h) può richiedere all'ispettorato del lavoro di
acquisire presso i luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e
femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e promozione
professionale;
i) promuove una adeguata rappresentanza di donne negli
organismi pubblici nazionali e locali competenti in materia di lavoro e formazione
professionale;
l) redige il rapporto di cui all'art. 10.
Art. 7
(Collegio istruttorio e segreteria tecnica)
1. Per l'istruzione degli atti relativi alla
individuazione e alla rimozione delle discriminazioni e per la redazione dei pareri al
comitato di cui all'articolo 5 e ai consiglieri di parità, è istituito un collegio
istruttorio così composto:
a) il vicepresidente del Comitato di cui all'articolo 5,
che lo presiede;
b) un magistrato designato dal Ministero di grazia e
giustizia fra quelli che svolgono funzioni di giudice del lavoro;
c) un dirigente superiore del ruolo dell'ispettorato del
lavoro;
d) gli esperti di cui all'articolo 5, comma 3, lettera
a);
e) il consigliere di parità di cui all'articolo 8,
comma 4.
2. Ove si renda necessario per le esigenze di ufficio, i
componenti di cui alle lettere b) e c) del comma 1, su richiesta del Comitato di cui
all'articolo 5 possono essere elevati a due.
3. Al fine di provvedere alla gestione amministrativa ed
al supporto tecnico del comitato e del collegio istruttorio è istituita la segreteria
tecnica. Essa ha compiti esecutivi alle dipendenze della presidenza del Comitato ed è
composta di personale proveniente dalle varie direzioni generali del Ministero del lavoro
e della previdenza sociale, coordinato da un dirigente generale del medesimo Ministero. La
composizione della segreteria tecnica è determinata con decreto del Ministro del lavoro e
della previdenza sociale, sentito il Comitato.
4. Il Comitato ha facoltà di deliberare in ordine la
stipula di convenzioni per la effettuazione di studi e ricerche.
Art. 8
(Consiglieri di parità)
1. I consiglieri di parità di cui al decreto-legge 30
ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863,
sono componenti a tutti gli effetti delle rispettive commissioni regionali per l'impiego.
2. A livello provinciale è nominato un consigliere di
parità presso la commissione circoscrizionale per l'impiego che ha sede nel capoluogo di
provincia, con facoltà di intervenire presso le altre commissioni circoscrizionali per
l'impiego operanti nell'ambito della medesima provincia.
3. I consiglieri di parità di cui ai commi 1 e 2 sono
nominati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale su designazione del competente
organo delle regioni, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a
livello nazionale e devono essere scelti tra persone che abbiano maturato un'esperienza
tecnico-professionale di durata almeno triennale nelle materie concernenti l'ambito della
presente legge.
4. Il consigliere di parità di cui all'articolo 4,
comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56, è componente con voto deliberativo della
commissione centrale per l'impiego.
5. Qualora si determini parità di voti nelle
commissioni di cui ai commi 1, 2 e 4 prevale il voto del presidente.
6. Oltre ai compiti ad essi assegnati dalla legge
nell'ambito delle competenze delle commissioni circoscrizionali regionali e centrale per
l'impiego, i consiglieri di parità svolgono ogni utile iniziativa per la realizzazione
delle finalità della presente legge. Nell'esercizio delle funzioni loro attribuite, i
consiglieri di parità sono pubblici funzionari e hanno l'obbligo di rapporto
all'autorità giudiziaria per i reati di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle
funzioni medesime. I consiglieri di parità, ai rispettivi livelli, sono componenti degli
organismi di parità presso gli enti locali regionali e provinciali.
7. Per l'espletamento dei propri compiti i consiglieri
di parità possono richiedere all'ispettorato del lavoro di acquisire presso i luoghi di
lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo
stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale.
8. I consiglieri di parità di cui al comma 2 e quelli
regionali competenti per territorio, ferma restando l'azione in giudizio di cui
all'articolo 4, comma 6, hanno facoltà di agire in giudizio sia nei procedimenti promossi
davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro che davanti al tribunale
amministrativo regionale su delega della lavoratrice ovvero di intervenire nei giudizi
promossi dalla medesima ai sensi dell'articolo 4.
9. I consiglieri di parità ricevono comunicazioni sugli
indirizzi dal comitato di cui all'articolo 5 e fanno ad esso relazione circa la propria
attività. I consiglieri di parità hanno facoltà di consultare il comitato e il
consigliere nazionale di parità su ogni questione ritenuta utile.
10. I consiglieri di parità di cui ai commi 1, 2 e 4,
per l'esercizio delle loro funzioni, sono domiciliati rispettivamente presso l'ufficio
regionale del lavoro e della massima occupazione, l'ufficio provinciale del lavoro e della
massima occupazione e presso una direzione generale del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale. Tali uffici assicurano la sede, l'attrezzatura, il personale e quanto
necessario all'espletamento delle funzioni dei consiglieri di parità. Il Ministro del
lavoro e della previdenza sociale, con proprio decreto, può modificare la collocazione
del consigliere di parità nell'ambito del Ministero.
11. Oltre al gettone giornaliero di presenza per la
partecipazione alle riunioni delle commissioni circoscrizionali, regionali e centrale per
l'impiego, spettano ai consiglieri di parità gettoni dello stesso importo per le giornate
di effettiva presenza nelle sedi dove sono domiciliati in ragione del loro ufficio, entro
un limite massimo fissato annualmente con decreto del Ministro del lavoro e della
previdenza sociale. L'onere relativo fa carico al bilancio del Ministero del lavoro e
della previdenza sociale.
12. Il consigliere di parità ha diritto, se lavoratore
dipendente, a permessi non retribuiti per l'espletamento del suo mandato. Quando intenda
esercitare questo diritto, deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro, di regola
tre giorni prima.
Art. 9
(Rapporto sulla situazione del personale)
1. Le aziende pubbliche e private che occupano oltre
cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione
del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato
delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei
passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell'intervento
della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e
pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.
2. Il rapporto di cui al comma 1 è trasmesso alle
rappresentanze sindacali aziendali e al consigliere regionale di parità.
3. Il primo rapporto deve essere redatto entro un anno
dalla data di entrata in vigore della presente legge, in conformità alle indicazioni
definite, nell'ambito delle specificazioni di cui al coma 1, dal Ministro del lavoro e
della previdenza sociale, con proprio decreto da emanarsi entro tre mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge.
4. Qualora, nei termini prescritti, le aziende di cui al
comma 1 non trasmettano il rapporto, l'Ispettorato regionale del lavoro, previa
segnalazione dei soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse a provvedere entro
sessanta giorni. In caso di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui all'articolo 11
del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955, n. 520. Nei casi più gravi
può essere disposta la sospensione per un anno di benefici contributivi eventualmente
goduti dall'azienda.
Art. 10
(Relazione al Parlamento)
1. Trascorsi due anni dalla data di entrata in vigore
della presente legge, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale riferisce, entro
trenta giorni, alle competenti commissioni parlamentari del Senato della Repubblica e
della Camera dei deputati sull'attuazione della legge stessa, sulla base di un rapporto
redatto dal Comitato di cui all'articolo 5.
Art. 11
(Copertura finanziaria)
1. Per il funzionamento degli organi di cui agli
articoli 5 e 7, a decorrere dal 1991, è autorizzata la spesa di lire 1.000 milioni annui.
Per il finanziamento degli interventi previsti dall'articolo 2 è autorizzata, a decorrere
dal 1991, la spesa di lire 9.000 milioni annui. Con decreto del Ministro del lavoro e
della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, viene stabilita la
misura del compenso da corrispondere ai componenti del Comitato nazionale di cui
all'articolo 5 e del Collegio istruttorio e della segreteria tecnica di cui all'articolo
7.
2. All'onere di lire 10.000 milioni annui nel triennio
1991-1993 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai
fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del
Ministero del tesoro per l'anno 1991 utilizzando l'accantonamento "Finanziamento del
Comitato nazionale per la parità presso il Ministero e delle azioni positive per le pari
opportunità".
3. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare,
con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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