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SOMMARIO:
a) Danno cagionato da animali; b) Divieto di
detenzione; c) Immissioni; d) Omessa custodia e
malgoverno.
a)
Danno cagionato da animali
In
tema di responsabilità per danni cagionati da
animali, l'art. 2052 cod. civ. stabilisce a carico
del proprietario dell'animale una presunzione di
colpa a vincere la quale non è sufficiente la prova
di avere usato la comune diligenza nella custodia
dell'animale, ma occorre la prova del caso fortuito.
In questo è riconducibile anche la colpa del
danneggiato, che, però, per avere effetti
liberatori, deve consistere in un comportamento
cosciente che assorba l'intero rapporto causale, e
cioè in una condotta che, esponendo il danneggiato
al rischio e rendendo questo per ciò stesso
possibile in concreto, si inserisca in detto
rapporto con forza determinante.
* Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1983, n.
1400, Parini c. Olivari.
La
responsabilità sancita dall'art. 2052 c.c. ricorre
tutte le volte che il danno sia stato prodotto, con
diretto nesso causale, dal fatto proprio
dell'animale secundum o contra naturam,
comprendendosi in tale concetto qualsiasi atto o
moto dell'animale quod sensu caret, che dipenda
dalla natura dell'animale medesimo e prescinda
dall'agire dell'uomo.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 1977, n. 261.
La
presunzione di responsabilità per danno cagionato
da animali, ai sensi dell'art. 2052 cod. civ., può
essere superata esclusivamente qualora il
proprietario o colui che si serve dell'animale provi
il caso fortuito e pertanto non può attribuirsi
identica efficacia liberatoria alla semplice prova
dell'uso della normale diligenza nella custodia
dell'animale stesso o della mansuetudine di questo,
essendo, pertanto irrilevante che il suo
comportamento dannoso sia stato causato da impulsi
interni imprevedibili o inevitabili ed essendo,
invece, sufficiente al permanere della suddetta
presunzione che il danno sia stato prodotto con
diretto nesso causale, da fatto proprio
dell'animale.
* Cass. civ., sez. III, 6 gennaio 1983, n. 75,
Ente Teatr. Op. c. Ricci.
La
responsabilità per fatto di animale, di cui
all'art. 2052 c.c., riguarda alternativamente il
proprietario dell'animale e chi si serve
dell'animale, per tutto il periodo in cui lo ha in
uso.
* Pret. civ. Torino, 4 ottobre 1991, in Arch.
civ. 1992, n. 3.
b)
Divieto di detenzione
In
tema di condominio di edifici il divieto di tenere
negli appartamenti comuni animali domestici non può
essere contenuto negli ordinari regolamenti
condominiali, approvati dalla maggioranza dei
partecipanti, non potendo detti regolamenti
importare limitazioni delle facoltà comprese nel
diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente
in esclusiva, sicché in difetto di un'approvazione
unanime le disposizioni anzidette sono inefficaci
anche con riguardo a quei condomini che abbiano
concorso con il loro voto favorevole alla relativa
approvazione, giacché le manifestazioni di voto in
esame, non essendo confluite in un atto collettivo
valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali
atipici, di per sé inidonei ai sensi dell'art. 1987
c.c. a vincolare i loro autori, nella mancanza di
una specifica disposizione legislativa che ne
preveda l'obbligatorietà.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1993, n. 12028.
La
detenzione di animali in un condominio, essendo la
suddetta facoltà una esplicazione del diritto
dominicale, può essere vietata solo se il
proprietario dell'immobile si sia contrattualmente
obbligato a non detenere animali nel proprio
appartamento, non potendo un regolamento
condominiale di tipo non contrattuale, quand'anche
approvato a maggioranza, stabilire limiti (oneri
reali e servitù) ai diritti ed ai poteri dei
condomini sulla loro proprietà esclusiva, salvo che
l'obbligo o il divieto imposto riguardino l'uso, la
manutenzione e la eventuale modifica delle parti di
proprietà esclusiva, e siano giustificati dalla
necessità di tutelare gli interessi generali del
condominio, come il decoro architettonico
dell'edificio.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990,
n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc.
e cond. 1990, 287.
La
detenzione di un animale può integrare in astratto
la fattispecie di cui all'art. 844 cod. civ., in
quanto tale norma, interpretata estensivamente, è
suscettibile di trovare applicazione in tutte le
ipotesi di immissioni che abbiano carattere
materiale, mediato o indiretto e provochino una
situazione di intollerabilità attuale; pertanto, in
mancanza di un regolamento condominiale di tipo
contrattuale che vieti al singolo condomino di
detenere animali nell'immobile di sua esclusiva
proprietà, la legittimità di tale detenzione deve
essere accertata alla luce dei criteri che
presiedono la valutazione della tollerabilità delle
immissioni.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990,
n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc.
e cond. 1990, 287.
Nel
caso in cui un regolamento condominiale di tipo
contrattuale vieti di tenere animali che possano
recare disturbo ai condomini, il giudice, accertati
tali disturbi, può ordinare, con provvedimento di
urgenza, l'allontanamento degli animali dagli
appartamenti in cui sono tenuti.
* Trib. civ. Napoli, ord. 25 ottobre 1990,
Ragosta ed altri c. Miranda e Cario, in Arch. loc. e
cond. 1990, 737.
Il
giudice può, con provvedimento di urgenza ex art.
700 c.p.c., ordinare l'allontanamento di animali
molesti ( nella specie, cane) dal condominio,
affidando l'esecuzione ad organi pubblici, con
divieto assoluto di ritorno nell'edificio
condominiale.
* Trib. civ. Napoli, ord. 8 marzo 1994, in Arch.
loc. e cond. 1994, 337.
Qualora
una norma contenuta in un regolamento condominiale
vieti la detenzione di animali che possano turbare
la quiete o l'igiene della collettività, il
semplice possesso di cani o di altri animali non è
sufficiente a far incorrere i condomini in questo
divieto, essendo necessario che si accerti
effettivamente il pregiudizio causato alla
collettività dei condomini sotto il profilo della
quiete o dell'igiene.
* Pret. civ. Campobasso, 12 maggio 1990, in Arch.
loc. e cond. 1991, 176.
Non
può l'assemblea, con voto di maggioranza, imporre
ad un condomino il divieto di detenere cani negli
appartamenti, ma occorre che il divieto sia posto
nel regolamento condominiale.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv.
giur. edil. 1971, 446.
L'amministratore
del condominio è legittimato ad agire
giudizialmente per il rispetto del regolamento e per
la cessazione di molestie derivanti dalla detenzione
di animali negli appartamenti, e la competenza in
ordine a tale questione spetta al pretore.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv.
giur. edil. 1971, 446.
La
delibera assembleare di approvazione del regolamento
di condominio presa a maggioranza è invalida, perché
limitativa delle proprietà individuali, nella parte
in cui vieta ai condomini di tenere cani anche nelle
logge e nei terrazzi.
* Trib. civ. Messina, 8 aprile 1981, n. 743, in
Riv. giur. dottr. leg. e giur. 1981, 53.
c)
Immissioni
In
caso di regolamento condominiale che vieti
tassativamente di recare ‹‹disturbo ai vicini
con rumori di qualsiasi natura››, il continuo
abbaiare di tre cani pastori ed il suono di una
batteria configurano sia la lesione di tale norma
regolamentare che violazione dell'art. 844 c.c.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1990, In Arch.
loc. e cond. 1991, 792.
d)
Omessa custodia e malgoverno
L'art.
672 c.p. configura tre fattispecie criminose:
‹‹lasciar liberi››, ‹‹custodire senza le
debite cautele››, ‹‹affidare a persona
inesperta›› animali pericolosi. Consuma la
seconda di tali ipotesi colui che, nella sua dimora,
tenga un cane lupo da guardia di grossa taglia,
slegato e privo di museruola, quando al medesimo sia
possibile portarsi nell'ingresso, nella portineria e
in ogni altro luogo ove siano ammessi i visitatori,
per tal modo esposti al rischio di improvvisi
assalti.
* Cass. pen., sez. VI, 17 marzo 1970, n. 684,
Fraschini.
L'obbligo
di custodire e di governare animali dotati di
naturale ed istintiva ferocia o che in determinate
circostanze possano diventare aggressivi incombe sul
detentore a qualsiasi titolo. Risponde, quindi,
della contravvenzione di cui all'art. 672 c.p. il
custode non proprietario di un cane lupo affidatogli
se omette di osservare le regole di condotta
previste dal detto articolo.
* Cass. pen., sez. IV, 29 ottobre 1968, n. 1738,
Scali.
Pericolosi
per l'altrui incolumità devono ritenersi non
soltanto gli animali la cui ferocia è
caratteristica naturale o istintiva, ma tutti quelli
che, sebbene domestici, possono divenire pericolosi
in determinati casi e determinate circostanze. Dal
novero di questi ultimi non si può escludere il
cane normalmente mansueto; per tale categoria di
animali la pericolosità deve essere accertata in
concreto considerando la razza di appartenenza ed
ogni altro elemento rilevante.
* Cass. pen., sez. IV, 3 marzo 1970, n. 822,
Bonichini.
Ai
fini dell'integrazione del reato p.p. dell'art. 672
n. 1 cod. pen. non occorre l'accertamento della
pericolosità dell'animale né l'esposizione e
pericolo della pubblica incolumità e non rileva la
durata, ancorché breve, dell'omessa custodia.
* Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 1982, n. 1942,
(ud. 27 ottobre 1981), Nolli.
I
cani da guardia in genere, e quelli appartenenti
anche per somiglianza alla razza dei pastori
tedeschi in particolare, sono da considerarsi
pericolosi e, quindi, rientranti nella disciplina di
cui all'art. 672 c.p. (omessa custodia e malgoverno
di animali).
* Cass. civ., sez. I, 8 marzo 1990, n. 1840, Vara
c. Pref. Caltaniss.
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