Intorno allo stagno di Chia che anticamente doveva essere molto più
esteso e profondo di oggi, in un ambiente tipicamente lagunare i Fenici
originari di Tiro, Sidone e Ugarit nel Libano;
ma probabilmente provenienti da Kartagine nella costa nord africana
fondarono la città di Bithia.
Le testimonianze più antiche risalgono alla prima metà del VII sec.
a.C. e sono costituite dalle tombe a incinerazione della necropoli e il
santuario impiantato nello stesso periodo sull'isolotto di Su Cardolinu,
meglio conosciuto dai locali come S'Isola Manna.
Alla stessa fase
colonizzatrice secondo il professor F. Barreca, risalgono i resti di
abitazioni individuate sul monte Cogoni, certi ruderi di fortificazioni
militari sull'altare della torre e l'area sacra di Punta Su Sensu dove
ancora in sito sono sparsi blocchi in arenaria i cosiddetti betili,
pietre che gli antichi popoli piantavano nelle aree di culto
considerandole, sacre e dotate di potere magico.
I Muizca Indi stanziati in Colombia, come i fenici usavano praticare il
sacrificio cruento dei bambini, inoltre chiamano Chia la Luna.
Questa straordinaria coincidenza è da porre nel presunto sbarco di
coloni fenici in America, non a caso l'incredibile somiglianza fra le
piramidi egizie e quelle americane.
E' possibile quindi che la parola Chia significhi semplicemente luna e
sia anche l'antico nome dato dai Fenici all'antico centro che molto
probabilmente nel periodo Punico-Romano fu cambiato nella forma Bithia,
che potrebbe significare la stessa cosa.
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E' molto probabile quindi che il popolo di Bithia adorasse la luna, ne
è la prova significativa il fatto che nel monte Setti Ballas a poca
distanza si troverebbero ancora in sito sette sfere di pietra disposta
come l'Orsa Minore una per ogni stella, in quella zone dunque i Vitensi
come venivano gli abitanti di Bithia da Plinio il Vecchio, si recavano
ad adorare la luna un culto che con quello delle acque fu molto praticato
dagli antichi popoli sardi.
Plinio il Vecchio (23 d. C. - 79 d.C.), nomina l'antico centro di Bithia
insieme ad altre diciotto città presenti nell'isola in epoca Romana.
Claudio Tolomeo (100 d.C. - 178 d.C.), ricorda che Bithia distava sei
miglia da Nora, distanza poi verificata dalla scoperta di vari cippi
militari rinvenuti nella località di Santa Margherita di Pula.
Il citato ricorda anche la presenza di uno stagno e di un porto,
fissandone latitudine e longitudine.
In epoca recente uno studioso come l'Angius poneva l'ubicazione
dell'antico centro genericamente nel Sulcis, mentre il Lamarmora nel suo
celebre libro "Viaggio in Sardegna", identificava l'antica
Bithia presso i ruderi di epoca Romana di S.Isidoro, nei pressi di
Teulada.
La "fortuna" volle che nei primi mesi del 1930 una violenta e
potente mareggiata devastasse un tratto del litorale di Chia, mettendo in
luce una antica necropoli, l'intervento dello Stato avvenne nel maggio del
1933.
La fortunatissima campagna di scavi condotta dall'archeologo A. Taramelli
consentì di risolvere il problema topografico, in quanto mentre si
scavava nell'area di un antico tempio venne alla luce una stele con
iscrizione in Neopunico che riporta alla prima linea in nome della città.
Questa epigrafe dimostra in modo inequivocabile che la città manteneva
una organizzazione di tipo indigeno, Sardo-Punico fino alla fine del II
secolo d.C. e rappresenta quindi l'estremo limite della presenza culturale
punica in Sardegna.
Attesta inoltre l'esistenza di Sufeti, (i Sufeti erano i due magistrati
che venivano eletti annualmente dal ceto dominante Punico e messi al
governo); e il nome di uno di essi (Bod Bal), l'epigrafe è stata redatta
sotto un Imperatore che nel testo è menzionato come Cesare Marco Aurelio
Antonino Augusto, identificabile quindi come Marco Aurelio (161 - 180
d.C.) e non Caracalla (211 - 217 d.C.) come hanno sostenuto autorevoli
fonti.
Il motivo determinante di questa affermazione sta nel fatto che nella
manifestazione numismatica riguardante Caracalla consistente in migliaia
di monete non c'è mai l'abbreviazione del nome Marco, mentre sulle monete
con autorità emittente Marco Aurelio è sempre presente.
Nell'iscrizione di Bithia si fa riferimento a un edificio sacro e a
altari, costruiti con le offerte in oro fatte dal popolo e dai nobili di
Bithia.
Dall'espressione popolo molto studiosi hanno dedotto che molto
verosimilmente si possa trattare dell'Assemblea Popolare, una tipica
istituzione pubblica Kartaginese, che incredibilmente in pieno II secolo
d.C. persisteva ancora sull'isola.
Il tempio menzionato nel documento epigrafico è disposto
longitudinalmente a nord-est e si presenta in tre vani, nell'ultima camera
ai piedi dell'altare maggiore venne rinvenuta la statua in arenaria del
Dio Bes, la quale fa presumere che il tempio fosse dedicato a questa
divinità, che secondo antiche credenze rappresentava l'arte, il canto e
la guarigione; è alta 80 cm., ha il braccio destro alzato che saluta, una
corona di penne in testa e la cintura di castità.
La parte più antica della costruzione è stata datata dagli scavatori al
IV secolo a.C..
Nel 1955 la consueta e monotona solitudine di Chia fu animata da un'altra
non meno fortunata campagna di scavi, condotta nell'area del tempio da
alcuni studiosi svedesi venuti nell'isola per scambi culturali e diretti
dal prof. Kunwald.
Nello stesso periodo l'assistente della soprintendenza
sig. Soldati con l'aiuto del restauratore Busano su ordine dell'allora
soprintendente Gennaro Pesce, scavò in un area immediatamente all'esterno
del tempio e vennero alla luce un centinaio di statuette Fittili
antropoidi tutte diverse nel viso e nella posizione delle mani che
indicano la parte malata; inoltre vennero recuperate lucerne brucia
profumi, vasi di terracotta, oggetti di metallo e di osso lavorato, di
pasta vitrea, un tesoretto di monete d'oro Puniche e uno di monete Romane
Repubblicane d'argento e di Bronzo.
Tutto il materiale votivo citato ben si configurava con una divinità
salutare come il Bes, sopratutto le caratteristiche e uniche nel loro
genere figurine di terracotta.
Prodotte esclusivamente dagli antichi ceramisti di Bithia.
Del lunghissimo periodo della dominazione romana esistono moltissime
testimonianze e non solo a Chia e nel suo immediato entroterra ma in tutto
il territorio Mariese. |