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Domus de Maria
(Provincia di Cagliari)

infogiodomus@tiscalinet.it
In base ai vari siti di interesse archeologico denominati: Sa Domu de S'Orcu, Sa Grutta de Orbai, dei tanti ripari sotto roccia situati nel territorio in modo particolare dell'insediamento preistorico formato dai ripari sotto roccia di Montemaria, la frequentazione umana nel territorio di Domus de Maria si può far risalire all'età del rame (terzo millennio A. C.).
Si ritiene però molto probabile sopratutto per quanto che riguarda la zona a mare che sia stata frequentata anche in epoche molto più antiche.
Presumibilmente a partire dai secoli del secondo millennio (A.C.) come lo provano i tanti nuraghi situati nel territorio, l'aria mariese fu teatro di una nuova e importante manifestazione umana che viene definita civiltà nuragica.


Nuraghe "Baccu Idda"La testimonianza più significativa di quel periodo straordinario è senza dubbio il grande complesso nuragico di Baccu Idda, nell'entroterra di Chia;  purtroppo la parte più importante costituita da almeno tre torri è quasi completamente nascosta alla vista da uno spesso strato di terriccio e da una folta e tipica vegetazione; la parte che risulta visibile è la sola torre di guardia che domina con grande maestosità tutta la piana di Chia.


Intorno allo stagno di Chia che anticamente doveva essere molto più esteso e profondo di oggi, in un ambiente tipicamente lagunare i Fenici originari di Tiro, Sidone e Ugarit nel Libano;
ma probabilmente provenienti da Kartagine nella costa nord africana fondarono la città di Bithia.
Le testimonianze più antiche risalgono alla prima metà del VII sec. a.C. e sono costituite dalle tombe a incinerazione della necropoli e il santuario impiantato nello stesso periodo sull'isolotto di Su Cardolinu, meglio conosciuto dai locali come S'Isola Manna. 

Alla stessa fase colonizzatriceMonte Cogoni secondo il professor F. Barreca, risalgono i resti di abitazioni individuate  sul monte Cogoni, certi ruderi di fortificazioni militari sull'altare della torre e l'area sacra di Punta Su Sensu dove ancora in sito sono sparsi blocchi in arenaria i cosiddetti betili, pietre che gli antichi popoli piantavano nelle aree di culto considerandole, sacre e dotate di potere magico.
I Muizca Indi stanziati in Colombia, come i fenici usavano praticare il sacrificio cruento dei bambini, inoltre chiamano Chia la Luna.
Questa straordinaria coincidenza è da porre nel presunto sbarco di coloni fenici in America, non a caso l'incredibile somiglianza fra le piramidi egizie e quelle americane.
E' possibile quindi che la parola Chia significhi semplicemente luna e sia anche l'antico nome dato dai Fenici all'antico centro che molto probabilmente nel periodo Punico-Romano fu cambiato nella forma Bithia, che potrebbe significare la stessa cosa.

E' molto probabile quindi che il popolo di Bithia adorasse la luna, ne è la prova significativa il fatto che nel monte Setti Ballas a poca distanza si troverebbero ancora in sito sette sfere di pietra disposta come l'Orsa Minore una per ogni stella, in quella zone dunque i Vitensi come venivano gli abitanti di Bithia da Plinio il Vecchio, si recavano ad adorare la luna un culto che con quello delle acque fu molto praticato dagli antichi popoli sardi.
Plinio il Vecchio (23 d. C. - 79 d.C.), nomina l'antico centro di Bithia insieme ad altre diciotto città presenti nell'isola in epoca Romana.
Claudio Tolomeo (100 d.C. - 178 d.C.), ricorda che Bithia distava sei miglia da Nora, distanza poi verificata dalla scoperta di vari cippi militari rinvenuti nella località di Santa Margherita di Pula.
Il citato ricorda anche la presenza di uno stagno e di un porto, fissandone latitudine e longitudine.
In epoca recente uno studioso come l'Angius poneva l'ubicazione dell'antico centro genericamente nel Sulcis, mentre il Lamarmora nel suo celebre libro "Viaggio in Sardegna", identificava l'antica Bithia presso i ruderi di epoca Romana di S.Isidoro, nei pressi di Teulada.
La "fortuna" volle che nei primi mesi del 1930 una violenta e potente mareggiata devastasse un tratto del litorale di Chia, mettendo in luce una antica necropoli, l'intervento dello Stato avvenne nel maggio del 1933.


La fortunatissima campagna di scavi condotta dall'archeologo A. Taramelli consentì di risolvere il problema topografico, in quanto mentre si scavava nell'area di un antico tempio venne alla luce una stele con iscrizione in Neopunico che riporta alla prima linea in nome della città.
Questa epigrafe dimostra in modo inequivocabile che la città manteneva una organizzazione di tipo indigeno, Sardo-Punico fino alla fine del II secolo d.C. e rappresenta quindi l'estremo limite della presenza culturale punica in Sardegna.
Attesta inoltre l'esistenza di Sufeti, (i Sufeti erano i due magistrati che venivano eletti annualmente dal ceto dominante Punico e messi al governo); e il nome di uno di essi (Bod Bal), l'epigrafe è stata redatta sotto un Imperatore che nel testo è menzionato come Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto, identificabile quindi come Marco Aurelio (161 - 180 d.C.) e non Caracalla (211 - 217 d.C.) come hanno sostenuto autorevoli fonti.
Il motivo determinante di questa affermazione sta nel fatto che nella manifestazione numismatica riguardante Caracalla consistente in migliaia di monete non c'è mai l'abbreviazione del nome Marco, mentre sulle monete con autorità emittente Marco Aurelio è sempre presente.
Nell'iscrizione di Bithia si fa riferimento a un edificio sacro e a altari, costruiti con le offerte in oro fatte dal popolo e dai nobili di Bithia.
Dall'espressione popolo molto studiosi hanno dedotto che molto verosimilmente si possa trattare dell'Assemblea Popolare, una tipica istituzione pubblica Kartaginese, che incredibilmente in pieno II secolo d.C. persisteva ancora sull'isola.


Il tempio menzionato nel documento epigrafico è disposto longitudinalmente a nord-est e si presenta in tre vani, nell'ultima camera ai piedi dell'altare maggiore venne rinvenuta la statua in arenaria del Dio Bes, la quale fa presumere che il tempio fosse dedicato a questa divinità, che secondo antiche credenze rappresentava l'arte, il canto e la guarigione; è alta 80 cm., ha il braccio destro alzato che saluta, una corona di penne in testa e la cintura di castità.
La parte più antica della costruzione è stata datata dagli scavatori al IV secolo a.C..
Nel 1955 la consueta e monotona solitudine di Chia fu animata da un'altra non meno fortunata campagna di scavi, condotta nell'area del tempio da alcuni studiosi svedesi venuti nell'isola per scambi culturali e diretti dal prof. Kunwald. 

Nello stesso periodo l'assistente della soprintendenza sig. Soldati con l'aiuto del restauratore Busano su ordine dell'allora soprintendente Gennaro Pesce, scavò in un area immediatamente all'esterno del tempio e vennero alla luce un centinaio di statuette Fittili antropoidi tutte diverse nel viso e nella posizione delle mani che indicano la parte malata; inoltre vennero recuperate lucerne brucia profumi, vasi di terracotta, oggetti di metallo e di osso lavorato, di pasta vitrea, un tesoretto di monete d'oro Puniche e uno di monete Romane Repubblicane d'argento e di Bronzo.
Tutto il materiale votivo citato ben si configurava con una divinità salutare come il Bes, sopratutto le caratteristiche e uniche nel loro  genere figurine di terracotta.
Prodotte esclusivamente dagli antichi ceramisti di Bithia.
Del lunghissimo periodo della dominazione romana esistono moltissime testimonianze e non solo a Chia e nel suo immediato entroterra ma in tutto il territorio Mariese.

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