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Motori elettrici     

E' finalmente giunto il momento di occuparci dei motori  elettrici, che assieme alle batterie sono fonte di grandi incognite e grosse preoccupazioni anche per i piloti più esperti.

Cercheremo  di  affrontare l'argomento in  maniera  abbastanza semplice e diretta, partendo dal presupposto che tutti voi  ne abbiate aperto almeno uno. Il suo interno non è molto  complicato,  anzi  è quasi elementare e uguale per tutti  quelli  di questa classe (che si dicono "in continua a magneti  permanenti").

La  parte  esterna è chiamata "cassa" e dentro  di  essa  sono fissati saldamente una coppia di magneti. La sua estremità  in plastica,  bloccata dalle linguette o meglio fissata  con  due viti,  si  chiama "tappo" e serve da guida e  sostegno  per  i "carboni",  ossia i contatti striscianti che prendono il  nome dal materiale che li contraddistingue. Il cuore del motore è chiamato "indotto" ed è libero di ruota re  su  bronzine o cuscinetti. Esso è costituito  dal  "pacco lamellare" su cui sono ricavate le sedi per i tre avvolgimenti di  filo di rame isolato, il cui numero di spire  generalmente identifica il tipo di motore. Ad un'estremità dell'albero  c'è il  "collettore",  ossia  l'insieme di contatti  in  rame  che ricevono la corrente dai carboni.

Il mio discorso partirà da una semplice base matematica e  poi si svilupperà, in un prossimo articolo, fino  alla  corretta manutenzione.

IL MODELLO MATEMATICO

Non  voglio impressionarvi, è una cosa molto semplice e  credo interessante: mediante due semplicissime equazioni matematiche è possibile spiegare il comportamento di un motore durante il suo funzionamento.

Variando poi alcuni parametri si evidenzieranno alcune anomalie che altrimenti non è possibile spiegare.

Una  prima avvertenza: un modello matematico è un  insieme  di equazioni che descrivono un determinato fenomeno, cioè tentano di imitarlo con un grado di approssimazione che dipende  dalla potenza  della matematica utilizzata e dal tipo  di  approccio desiderato:  ovviamente in questo caso utilizzerò le formule

più semplificate possibile, considerando tutte le equazioni  a regime.

Il modello matematico che utilizzo è il seguente:

1) V = R*i + Kw 2) C = K*i

dove  V  è la tensione ai capi del motore, R è la  Resistenza interna equivalente, K è la costante del motore, w la velocità di  rotazione, C la coppia fornita all'albero e i la  corrente assorbita.

Utilizzando questo modello, le uniche differenze tra un motore e l'altro riguardano la R e il K.
La resistenza interna equivalente è determinata principalmente dalla combinazione delle resistenze dei singoli  avvolgimenti, cui bisogna sommare i termini dovuti ai carboni, alle  perdite sul  collettore e altro. Ovviamente la resistenza  cala  diminuendo le spire e ingrossando i fili.

La  costante K dipende dalle caratteristiche  costruttive  del motore: è direttamente proporzionale al campo  magnetico,  al numero di avvolgimenti (quasi sempre tre) e al numero di spire per avvolgimento.

Moltiplicando  la velocità di rotazione (in rad/sec) per K  si ottiene un termine che dimensionalmente è una tensione. Questa è la cosiddetta "forza controelettromotrice" e nella equazione 1 è l'ultimo termine. Se il motore non è collegato all'alimentazione ma viene fatto girare trascinato, allora i=0 e sempre dalla 1 si ricava:

V = K*w.

Questo è il metodo con cui si misura il K  di  ogni  motore, basta trascinarlo a vuoto ad una velocità nota e poter leggere con un tester la tensione sui suoi morsetti.

Ora  invece lo collego ad un alimentatore che gli dia V e lo faccio  girare a vuoto, misurando la corrente e  la  velocità: sempre  dalla 1 mi accorgo ora che l'unica incognita è R,  che

quindi posso agevolmente calcolare:

R = (V – K*w)/i

La 2 è  molto semplice e immediata: mi dice  che  la  coppia fornita è proporzionale alla corrente assorbita. Il più  classico  grafico  dei motori è quello corrente/velocità, da  cui deriva  immediatamente quello coppia/velocità: in  entrambi  i casi  si suppone che V, K e R siano costanti e non si  muovano per nessun motivo (vedi grafico 1).

Come ho già spiegato in un articolo precedente (vedi "A proposito  del  signor  Joule"), per muovere  la  macchina  occorre applicarle una forza, cioè comandare al motore di fornire  una certa  quantità di coppia. Dividendo la coppia del motore  per il  numero di denti del pignone e moltiplicando  il risultato per  il  numero  di denti della corona (eventualmente ripetendo il calcolo per tutti gli ingranaggi in cascata) si ottiene la coppia sull'asse: questa, moltiplicata per il raggio delle ruote mi quantifica la forza che spinge la macchina. Viceversa  la velocità del modello si ottiene moltiplicando w per il  numero di denti del pignone, dividendo il risultato per il numero  di denti  della  corona e moltiplicando il tutto  per  il  raggio delle ruote (attenti alle unità di misura: w in radianti e  il raggio in metri; il risultato sarà in metri/sec).

IL RENDIMENTO

Possiamo considerare il motore come un trasformatore di  energia:  esso  assorbe energia elettrica (V*i*tempo)  e  fornisce energia meccanica (C*w*tempo).

Purtroppo  per noi questo passaggio ha un costo,  ossia  parte dell'energia assorbita viene irrimediabilmente persa provocando un aumento di temperatura del motore.

Attraversate  da corrente, le spire dissipano una quantità di potenza pari a

R*i^2

Perciò, supponendo  la corrente efficace  (vedi  articolo  "A proposito del signor Joule") di 30 ampere e immaginando una  R di 70 milliohms nella quale sono considerati anche i  carboni, vengono dissipati la bellezza di

0,07*30^2=63 Watt

valore  molto  grande, soprattutto paragonato con  la  potenza fornita dalle batterie, che si può sommariamente  quantificare in:

7,2*22,5=154 Watt

Con questi valori, trascurando altri tipi di perdite, si  vede che  il rendimento medio è circa del 40%: il suo  andamento è opposto alla corrente assorbita dimodochè in rettilineo è alto e in uscita dalle curve è basso (il minimo è all'istante di partenza da fermo). Differenti  percorsi  con combinazioni

diverse tra lento e veloce cambiano il valore di tale  rendimento, influenzando i consumi in maniera considerevole.

GLI INCONVENIENTI DELL'ALTA TEMPERATURA

Il calore generato sulle spire provoca un aumento di  temperatura  notevole: è necessario usare una lega  particolare  per saldare  i  capi degli avvolgimenti al collettore,  perchè lo stagno semplice tende a fondersi e depositarsi sulla cassa  in tante minuscole palline. Possiamo prevedere che il rame  delle spire  raggiunga una temperatura di almeno 150°C, per  cui  la sua  resistività aumenta del 40-50%; è facile immaginare  come anche  la  potenza dissipata cresca, variando  notevolmente  i valori precedentemente calcolati. A causa dell'inerzia  termica,  la  temperatura  impiega qualche decina di secondi per raggiungere i valori massimi, e questo in effetti non è sempre tenuto presente da chi collauda al banco o in pista un  motore per  breve  tempo. Piccole differenze nella qualità del  rame possono  causare  un  differente comportamento  del  motore  a temperatura  di regime, addirittura ribaltando i risultati  di un test comparativo tra due propulsori effettuato a freddo.

L'INDOTTO

Anche  la qualità del ferro che costituisce l'indotto è  molto importante:  il campo magnetico "induce" delle  correnti  che circolano all'interno dell'indotto, lungo il ferro, dissipando del calore.

Per ridurre l'entità di questa energia persa (che per forza di cose  proviene dalle batterie) si utilizza  del  ferro  dolce affettato  e  isolato. Ogni foro di bilanciatura  peggiora  le cose  cortocircuitando le lamelle che attraversa, mentre  una diversa qualità di ferro può dare risultati più vantaggiosi.

Sembrerebbe  che per limitare la dissipazione sia  sufficiente diminuire  R  e ciò è in parte vero, ma un conto è  usare  del filo  più  grosso,  un conto è avvolgere meno  spire, il cui numero influenza K, che studieremo più avanti.

In  questi  ultimi anni la tendenza è quella di  aumentare  la sezione  del filo, sfruttando anche l'artifizio  di  avvolgere più  fili sottili in parallelo al posto di uno grosso,  oppure combinazioni  di  uno medio e uno o più sottili con  lo  scopo comunque di ottimizzarne lo spazio occupato. Ricordatevi che a parità di numero di spire, il motore con la R più bassa ha  il rendimento  migliore,  premiando una  disposizione  accorta  e ordinata  dei  fili che ovviamente ne  impiega  una  lunghezza inferiore.

Nel modello matematico considerato non è stato preso in considerazione  il termine induttivo dovuto agli avvolgimenti, che altrimenti  avrebbe  richiesto la  conoscenza  delle  derivate prime.  Tuttavia potete immaginarvi che nel motore, in serie con R, vi sia una L, induttanza equivalente, che a regime  non

interviene ma che col motore alimentato in frequenza gioca  un ruolo fondamentale: il motore può essere visto come un circuito elettrico R-L, ossia un filtro che "spiana" la forma d'onda della corrente. Quando la frequenza di alimentazione è  sufficientemente alta, la corrente assume un andamento più lineare e il calcolo della corrente efficace fornisce un  valore  più basso che si ripercuote favorevolmente sulla potenza  dissipata.

Perciò  quei 30 ampere di  corrente  efficace  potrebbero scendere  a  27/28 con un variatore ad alta  frequenza  e  un motore  dotato  di  un discreto numero di spire,  aumentando quindi considerevolmente il rendimento. Purtroppo non è possibile essere più precisi, tuttavia ritengo che  con  un 15-16 spire e un variatore a 5 KHz  si  ottengano risultati più che apprezzabili.

LA COSTANTE K

Veniamo adesso al famigerato K, il parametro che  caratterizza ciascun  motore: esso è determinato da alcune  caratteristiche geometriche del sistema e dall'intensità del campo  magnetico.

Principalmente ci fornisce la relazione tra coppia e corrente, mentre secondariamente influenza la velocità di rotazione.  Un K alto permette ad un motore di avere molta coppia ma tende  a farlo girare piano, poichè la velocità massima teorica è:

w = (V-R*i)/K

Il  grosso guaio è che K varia con le condizioni di  funzionamento: se siamo in forte assorbimento, la corrente provoca  un campo che, in maniera provvisoria, diminuisce l'efficacia  dei magneti e quindi K (saturazione).

Ciò vuole  dire che in partenza e in forte accelerazione il motore non da coppia, o meglio noi siamo costretti a  chiedere molta più corrente per ottenere la coppia necessaria a spostare la macchina. Lo stesso accade quando i magneti si  scaldano o  prendono  una scottata, tuttavia il  ritorno  a  condizioni normali  è  più  difficile e non sempre  possibile.  Ci  siamo ricondotti  ad un discorso di qualità: esistono  in  commercio magneti  che  non perdono le loro caratteristiche  alle  alte temperature,  oppure che saturano con correnti più alte.  Quest'ultimo fenomeno in particolare si riflette sulla caratteristica  e si può vedere nel grafico 2; purtroppo, al  contrario di un calo permanente dei magneti, la saturazione non è facile da individuare.

Vediamo ora quali sono le principali cause di un aumento di  K

(ovviamente l'opposto provocherà una diminuzione):

Magneti più potenti

Magneti più lunghi

Spessore della cassa maggiore

Diametro cassa minore

Diametro indotto maggiore

Indotto più lungo

Numero maggiore di avvolgimenti (5,7,9...)

Numero maggiore di spire

Tutti  questi argomenti chiariscono perchè l'assemblaggio  di motori  ibridi produce  dei risultati  spesso  inaspettati  e imprevedibili:  inavvertitamente si modificano  dei  parametri che migliorano o peggiorano le caratteristiche precedenti.

Purtroppo  i discorsi sui libri e sulla carta non  si  possono riportare facilmente in pista: la scelta del motore da utilizzare va fatta in base all'esperienza e ovviamente alle  batterie e disposizione. Poche spire sono indice di alto consumo  e elevato  regime di rotazione, per cui è necessario mantenersi su  rapporti molto corti.

L'utilizzo di indotti con più spire mano a mano rende il propulsore più parco nei consumi, ma  con velocità nettamente inferiori; il caso limite si raggiunge con gli Standard tradizionali che richiedono il montaggio di  rapporti lunghissimi.

Alquanto  vaghe,  secondo me, le differenze tra mono  e  pluri filari: questi ultimi dovrebbero essere leggermente più cattivi  dei  pari  spire monofilari, con  un  consumo  leggermente superiore  che si può controbilanciare accorciando i rapporti di un qualche percento.

DOVE VANNO I MOTORI

La  tendenza  di questi anni è ovviamente la  diminuzione  del numero  delle spire, causata dalla necessità di  ridurre  la resistenza  interna: siamo partiti nell' 1/12 con 35  spire  e adesso si scende sotto le 10. Purtroppo il prezzo da pagare  è caro, ma per questioni regolamentari non c'è altro da fare: le dimensioni  fisiche del motore (quantità di ferro e  di  rame) dovrebbero  sottostare ad un particolare rapporto  determinato soprattutto  dalla  potenza trasformata. In altre  parole  per produrre motori più potenti bisognerebbe costruirli un po' più grandi.  Rimanendo  al  disotto di  questi  parametri bisogna sopportare  la comparsa di fenomeni indesiderati come  la  già citata saturazione del campo magnetico, l'esagerata  dissipazione del ferro dell'indotto e tutti gli effetti nocivi di una temperatura di funzionamento elevata, costringendo il  propulsore a lavorare con un rendimento scarso.

Si conclude così la prima parte del mio viaggio alla  scoperta dei  motori elettrici: nella seconda parleremo  del  corretto assemblaggio,  dell'anticipo e dei  carboni,  completando  il discorso intrapreso oggi.

Continua oggi il discorso interrotto in precedenza sui motorielettrici utilizzati nei modelli radiocomandati. Dopo avervi fatto venire il mal di testa con discorsi ipotetici e campati in aria non rimane che dare due dritte sulla corretta manutenzione.

Partiamo dall'inizio: se il motore è nuovo occorre un piccolo rodaggio, il cui scopo è quello di adattare bene la superficie dei carboni a quella del collettore senza danneggiare nè gli uni nè l'altro. La forte corrente che attraversa la superficie di contatto forma il caratteristico scintillio che consuma sia i carboni che il collettore, per cui un buon adattamento limita e ritarda i danni, oltre a migliorare l'efficienza del motore (le scintille hanno un prezzo in termini energetici).

Per un buon rodaggio è consigliabile utilizzare un alimentatore regolabile da 2 a 7 volt, con almeno 4 ampere disponibili. A questo punto basta collegare il motore correttamente (cioè rispettando la polarità) e farlo girare piano, a circa 2-3 volt. Ogni quarto d'ora aumentate la tensione per vedere a che velocità comincia a scintillare e se ciò non avviene oltre i 7 volt l'operazione si può dire terminata.

Utilizzare qualche liquido detergente risulta utile, ma ciò deve essere fatto con attenzione; sul mercato esistono tanti prodotti validi, almeno quanti quelli "patacca", perciò occhio alla penna......

Per i più inesperti vale la raccomandazione di non utilizzare assolutamente i classici "pulisci contatti" (per relè e interruttori), che non evaporano e lasciano un deposito oleoso che forma la "mappazza", noto grumo di sporcizia in grado di mettere fuori uso anche il motore più costoso. Tutti gli spray detergenti più noti sono a base di gas che volatilizzano in pochi secondi senza lasciare tracce; alcuni contengono anche delle sostanze che migliorano la scorrevolezza dei contatti senza limitarne l'efficienza, ma secondo me questo effetto non dura oltre la prima sgassata.

Tre sono le avvertenze principali per chi usa gli additivi:

Quasi tutti corrodono la plastica, il lexan e altro, quindi occhio alla carrozzeria, al tavolino ed a tutto ciò che toccate con le mani sporche.

Secondariamente ricordatevi di usarli con regolarità, soprattutto nel caso dell'Off Road. Se il motore è troppo sporco è possibile che si formi la famigerata mappazza nonostante un additivo valido, perciò non lasciate passare più di un quarto d'ora effettivo di marcia tra una pulizia e l'altra.

Ultima raccomandazione, valida soprattutto in gara, quando la trasmittente non è disponibile: poiché occorre far girare il motore mentre lo si pulisce, spesso si collega un alimentatore o un pacco scarico direttamente al motore: bene, è sempre meglio scollegare il variatore che altrimenti verrebbe alimentato in maniera anomala dalla "porta di servizio".

Purtroppo per voi la manutenzione del motore non finisce qui, anzi siamo solo all'inizio! Quando occorre sostituire i carboni generalmente è anche il caso di rettificare il collettore. Questa operazione richiede un esperto dotato di un tornio professionale e consiste nel mangiare qualche decimo di millimetro dal rame del collettore per ridargli la sua forma cilindrica originale; può essere eseguita anche una decina di volte nella vita di un motore, dipende dallo spessore originale del rame e dall'abilità di chi lo lavora. Ho specificato "tornio professionale" perché mi risulta che i diffusissimi tornietti modellistici non soddisfino le caratteristiche di precisione richieste (non dimentichiamoci che il motore supera i 30.000 giri/min.).

Rendersi conto dello stato del collettore dall'esterno è facile: oltre a assumere un colore rossastro (è il rame che si è cotto), risulta mangiato (cioè con un diametro minore) dove sfregano i carboni. Ma prima di arrivare a questa situazione già grave è possibile accorgersi della formazione di un gradino tra una lamella e l'altra: questo è causato sia dalle scintille, ognuna delle quali mangia una particella di rame, che dal calore, il quale scioglie la base plastica in cui sono affogate le lamelle che formano il collettore. Collegate il motore all'alimentazione e prendetelo in mano: ora (vedi foto) appoggiate un piccolo cacciavite verticalmente sul retro di un carboncino (dove è collegata la treccia di rame) e senza spingere lasciatelo libero di scorrere verticalmente. Più il collettore è irregolare più questo tenderà a saltare via, trasmettendovi delle vibrazioni. Con un po' di esperienza (provate subito anche con motori nuovi) potrete immediatamente rendervi conto se è il caso o meno di intervenire drasticamente col tornio. Per facilitare le cose cercate di utilizzare sempre la stessa tensione a vuoto; io andavo sui 7 volt, ma adesso per alcuni motori è pericoloso superare i 5.

Aprire il motore è un'operazione facile ma che deve essere eseguita meticolosamente: per prima cosa segnate con una tacca la posizione del tappo rispetto alla cassa per non perdere l'anticipo originale, poi togliete molle e carboni, svitate le viti del tappo finchè questo gira, poi ruotandolo trovate la posizione in cui si sfila. Controllate di non aver perso nessuna rondella (possono rimanere attaccare al cuscinetto del tappo) e preparatevi a sfilare l'indotto (con le mani, senza pinze o altri attrezzi "pericolosi"). Recuperate le altre rondelle controllando che non rimangano attaccate ai magneti ma soprattutto segnatevi la posizione di ciascuna, oppure reinseritele al loro posto sull'albero, chiudendo le estremità con due o-ring.

Proseguite questa manutenzione "straordinaria" pulendo tutto con alcool. Se i cuscinetti sono incriccati, potete lavarli lasciandoli qualche ora a mollo in benzina e poi altrettanto in alcool (anche con la cassa e il tappo, se non è possibile smontarli). Infine una goccia d'olio (molto misera) e via verso nuovi orizzonti.

Una volta rettificato, il collettore deve essere pulito dalle sbavature di rame che cortocircuitano le lamelle: il metodo migliore è con l'estremità di un foglio di carta smeriglio N°600 piegata ad "U"; questa va inserita nelle tre fessure tra le lamelle, ma non deve intaccare la superficie appena tornita.

Non è necessario che il collettore sia lucido per essere efficiente tuttavia è possibile usare della pasta abrasiva per lucidarlo o per pulirlo, ma occorre prestare attenzione ai depositi che potrebbe lasciare.

Giunti a questo punto, bisogna riassemblare correttamente, tenendo d'occhio la disposizione delle rondelle.

Come regola generale l'indotto dovrebbe avere circa 0.5 mm di gioco sull'asse, non di meno perchè riscaldandosi aumenta di lunghezza e potrebbe fare attrito. Inoltre deve essere centrato rispetto ai magneti, cioè deve stare nella sua posizione naturale. Se avete dei dubbi togliete le rondelle e montate tutto; ora muovete l'albero e cercate di capire come disporre le rondelle.

Se è possibile occorre che quella (generalmente conica) a contatto col cuscinetto sia di diametro non superiore all'anello interno (così, ruotando, non sfrega contro la cassa del cuscinetto stesso, solidale con l'esterno). Il collettore deve essere protetto con un rondellone plastico che serve per assorbire l'olio e la sporcizia sparati dal cuscinetto; è però consigliabile interporre una rondellina tra questo e il collettore per non tappare l'estremità dei tre canali di separazione delle lamelle, che altrimenti si intaserebbero di polvere di carboni, soprattutto quando usate i detergenti.

Adesso potete inserire l'indotto nella cassa, facendo attenzione che le rondelle non si sfilino attirate dai magneti; potete quindi richiudere il tappo, reinserendolo nella posizione originale. Non rimane che sostituire i carboncini, saldando correttamente l'estremità degli shunt (la treccia di rame): questi devono rimanere morbidi e integri, perciò evitare di far colare troppo stagno su di essi.

Un consiglio: la vite di fissaggio della linguetta al tappo è di ferro, perciò utilizzate un po' di dissaldante per far colare lo stagno più facilmente.

Reinserite le molle originali controllando che una (quasi sempre quella del positivo) non abbia perso un po' di elasticità, nel qual caso è possibile tirarla leggermente con una pinza a becco curvo. La molla deve battere direttamente sul retro del carbone, che a sua volta deve poter scorrere liberamente nella sua sede. Lo shunt va in seguito fatto passare attraverso la fessura per la molla (che deve essere già posizionata) e poi fatto girare sopra la tacca esterna di fissaggio di questa per poi giungere alla sua vite.

Non resta che rieffettuare il rodaggio per ritrovare le condizioni ottimali dei contatti. Ricordatevi che mentre è possibile cambiare i carboni senza tornire il collettore (se non è molto usurato), non consiglio l'opposto: il montare carboncini vecchi su un collettore nuovo rischia di rovinarlo immediatamente.

E' possibile a questo punto modificare l'anticipo, ossia la posizione del tappo rispetto la cassa. Questa necessità nasce dal fatto che il campo magnetico generato dagli avvolgimenti impiega un certo tempo per attivarsi, e ciò avviene più volte per ogni giro dell'albero. Il risultato è uno sfasamento nell'allineamento tra questo e il campo fisso dei magneti; per ovviare a ciò si anticipa l'attivazione di ogni bobina, risultato ottenibile o ruotando l'asse dei carboni (quindi il tappo) nel verso opposto alla rotazione oppure ruotando il collettore (tenendo fissi gli avvolgimenti) in senso concorde. Quest'ultima operazione è improponibile, tuttavia può essere effettuata dal costruttore, che quindi producerebbe degli indotti già anticipati. Spesso alcune tacche sulla cassa aiutano a regolare l'anticipo desiderato, secondo alcuni canoni dettati dal produttore. Come consiglio generale fidatevi dei dati della casa, rammentando che la regolazione è tutto un compromesso: un forte anticipo migliora la resa agli alti regimi e peggiora quella ai bassi, mentre un anticipo ridotto produce gli effetti opposti. Perciò a seconda del tipo di pista conviene lavorare sui rapporti o sull'anticipo, in questo modo:

Su piste lente diminuite l'anticipo se consumate troppo, aumentate i  rapporti se consumate troppo poco;

Su piste veloci, viceversa, aumentate l'anticipo se consumate poco e  riducete i rapporti se consumate troppo.

Naturalmente queste sono indicazioni a grandi linee, perchè aumentare o ridurre troppo non è possibile.

Infine controllate sempre che i condensatori antidisturbo non siano danneggiati, nel qual caso sostituiteli con altri analoghi (nei negozi di elettronica costano 200 lire l'uno). I loro valori variano da 10 nanofarad (103) a 1 microfarad (105), con tensioni sopportabili di almeno 25 volt.

Volutamente ho trascurato i dettagli sui tipi di carboncini in commercio, riservandomi di sviluppare l'argomento in maniera esauriente nei prossimi numeri.
I Motori elettrici sono macchine che trasformano energia elettrica in lavoro meccanico. Appartengono, nella grande maggioranza, a tre gruppi fondamentali: sincroni, con collettore a lamelle.
Motori elettrici: motori sincroni
Sono strutturalmente del tutto simili al generatore (v. alternatore): avvolgimenti di statore, alimentati con tensione alternata trifase, generano un campo magnetico rotante .
Il rotore porta avvolgimenti alimentati in corrente continua attraverso spazzole striscianti su un collettore a due anelli e ruota con la velocità del campo rotante, che ha valore rigorosamente costante, espresso, in giri al minuto, dalla relazione n=60f/p, dove f è la frequenza della tensione di alimentazione e p il numero delle coppie di poli della macchina.
Il m. sincrono, per valori sufficientemente elevati dell'intensità della corrente di eccitazione, può assorbire dalla rete corrente sfasata in anticipo anziché in ritardo, come gli gli altri tipi di m. a corrente alternata, operando un'azione di rifasamento sulla rete.
Il m. sincrono, all'avviamento, deve esser portato alla velocità di di sincronismo, prima di poterne eccitare i poli di rotore e di poterlo utilizzare come tale.
Si usa allo scopo un m. di lancio, o si munisce il rotore rotore di una seconda serie di avvolgimenti, di solito a gabbia, per cui esso esso si avvia come m. asincrono e funziona poi come sincrono: nella fase di avviamento non deve esser caricato meccanicamente.
Durante il f funzionamento normale, non può sviluppare una coppia motrice superiore a un valore ben preciso per ogni macchina. Se il carico meccanico cui è unito esercita sul suo albero una coppia resistente superiore a tale valore di coppia motrice, il m. "perde il passo" e rapidamente rapidamente si arresta. I m. sincroni sono macchine di struttura complessa, più pesante, a pari potenza, di altri tipi di m. elettrico, e più costose.
Il loro impiego si riduce a un limitato numero di azionamenti industriali di rilevante potenza nei quali ha importanza essenziale la costanza della velocità ma tende a diminuire essendo sempre più sensibili e rapidi i sistemi di regolazione in velocità di altri tipi di motore. Molto usati invece, anche se per potenze molto piccole, m. sincroni nei quali i poli del rotore sono costituiti da magneti permanenti, per cui non occorre eccitarli con una corrente continua. Gli avvolgimenti di statore possono essere trifasi o più spesso monofasi: in tal caso si hanno due avvolgimenti statorici disposti a 90º l'uno rispetto all'altro e percorsi da due correnti tra le quali, mediante condensatori, si realizza un certo sfasamento.
La coppia sviluppata è modestissima, ma la velocità di rotazione è rigorosamente costante, per cui i m. sincroni di questo tipo sono d'uso frequentissimo specialmente per temporizzatori e per orologi elettrici che risultano di modesto costo e precisione elevata.
Motori elettrici: motori asincroni Vi appartiene la maggioranza dei m. elettrici per usi industriali e semi-industriali: motopompeper acqua potabile in edifici piccoli e grandi, bruciatori per riscaldamento, grandi impianti di condizionamento, ecc.
In tali lo statore è munito di avvolgimenti induttori analoghi a quelli dei m. sincroni, percorsi da correnti che generano un campo magnetico rotante.
Il rotore porta avvolgimenti indotti chiusi in cortocircuito, non eccitati eccitati dall'esterno, che diventano sedi di forze elettromotrici e quindi di correnti quando esso ruota a una velocità inferiore a quella del campo rotante (velocità di sincronismo) in quanto, in tali condizioni, essi vengono tagliati dalle linee di flusso del campo rotante.
La velocità di di lavoro dei m. sincroni, secondo le caratteristiche costruttive e del carico, è del 2-6% inferiore alla velocità di sincronismo; tale percentuale viene detta scorrimento percentuale, o semplicemente scorrimento. La velocità di lavoro dei m. asincroni è quindi poco variabile al variare delle condizioni di carico e ciò li rende adatti alla maggior parte degli azionamenti industriali a velocità costante. In numerosi casi si usano m. asincroni con due avvolgimenti di statore, che danno due distinte velocità sincrone, e li si accoppia a un cambio a ingranaggi.
Con tale sistema, , p. es., nelle macchine utensili si ottengono, al mandrino, diversi valori di velocità ognuno dei quali può essere considerato costante con sufficiente approssimazione.
Il rotore è costituito da un albero che porta un pacco di lamierini con cave nelle quali vengono disposti i conduttori dell'avvolgimento; nei tipi di potenza piccola e media l'avvolgimento si riduce a una "gabbia" costituita da pochi conduttori di notevole sezione collegati in cortocircuito mediante anelli siti alle due testate del pacco.
Tali avvolgimenti vengono spesso realizzati colando nelle cave del rotore lega leggera fusa; uno stampo di caratteristiche adatte consente di ricavare, con la stessa colata, i due anelli di cortocircuito.
Se viene sovraccaricato, rallenta e oltre un certo limite sviluppa una coppia decrescente, con elevato assorbimento di corrente, e può anche arrestarsi.
Viene protetto contro tale eventualità da teleruttori a scatto termico, detti "teleruttori-salvamotori". La coppia allo spunto è generalmente inferiore alla coppia di lavoro e le correnti assorbite allo spunto e ai bassi regimi sono molto intense. Per limitarne l'intensità si possono collegare gli avvolgimenti statorici a stella in fase di avviamento e commutarli a triangolo quando il m. ha raggiunto la velocità di lavoro.
Questa soluzione viene adottata per m. con rotore a gabbia e permette di ridurre l'intensità della corrente di spunto a un terzo del valore che avrebbe se gli avvolgimenti statorici fossero collegati a triangolo. Viene però ridotto nella stessa proporzione anche il valore della coppia di spunto.
Nei tipi di maggior potenza il m. porta avvolgimenti veri e propri, connessi a un collettore a tre anelli, sul quale strisciano tre serie di spazzole.
Queste sono a loro volta collegate alle tre fasi di un reostato, per cui all'avviamento gli avvolgimenti rotorici risultano collegati in serie al reostato, che ne limita l'assorbimento di corrente ma non influisce sul valore valore della coppia massima sviluppata. Dimensionando questo opportunamente, si può ottenere che il m. sviluppi la coppia massima allo spunto.
Una volta avviato il m., il reostato viene progressivamente disinserito, in modo che il m. sviluppi la coppia massima in corrispondenza di valori crescenti della velocità di rotazione. Alla velocità normale di lavoro, il reostato risulta del tutto disinserito e le spazzole vengono collegate in cortocircuito. Il m. asincrono sta acquistando maggior interesse con il progresso dell'elettronica di potenza.
Può infatti essere alimentato mediante un invertitore* trifase a frequenza variabile, con il che il m. asincrono diventa un m. a velocità variabile, adatto alla trazione elettrica e agli altri azionamenti a velocità variabile. Derivati dagli asincroni trifasi (o in genere polifasi) sono gli asincroni monofasi. In essi si ha uno statore che porta, come nei m. sincroni monofasi, due avvolgimenti, alimentati da una rete in alternata monofase, ma percorsi da da correnti tra loro sfasate per mezzo di condensatori, che generano quindi un campo rotante. Per potenze basse (pochi watt), si ha un unico avvolgimento e il pacco di lamierini che lo porta è abbracciato per parte della sua sezione da un anello in rame (anello sfasatore), sufficiente a ottenere un campo rotante, seppure di debole intensità (tali m. vengono detti "a spira in cortocircuito" o "a bobina-schermo").
I m. asincroni monofasi, nonostante abbiano rendimenti bassi, sono largamente usati per elettrodomestici di vario genere (ventilatori, frigoriferi, condizionatori, termoconvettori, lavatrici, ecc.) poiché sono costruttivamente semplici e silenziosi e non richiedono manutenzione anche per anni. Recentemente i m. monofasi sono stati semplificati al massimo, per renderne la costruzione più economica.
Si sono così realizzati m. di notevole semplicità costruttiva e di costo contenuto, caratterizzati però da rendimenti molto bassi, che possono scendere anche al di sotto del 10%.
Ciò spiega perché il consumo degli elettrodomestici di costruzione recente è mediamente assai più elevato, a pari prestazioni, di quello dei corrispondenti apparecchi di costruzione meno recente.
Il tema è stato preso in seria considerazione in recenti congressi e conferenze, in quanto la potenza unitaria degli elettrodomestici è bassa, ma la loro enorme diffusione è tale che essi costituiscono una voce importante del consumo globale di energia. Il loro basso rendimento comporta quindi, nel bilancio generale dei consumi energetici, un fattore di irrecuperabile spreco per cifre assolute e percentuali di pieno rilievo.
I m. asincroni per uso industriale generale sono stati oggetto di una estesa normalizzazione a livello europeo, nel campo delle potenze piccole e medie: in particolare sono state normalizzate le prestazioni, i livelli di potenza, le tensioni, le dimensioni, gli alberi, gli attacchi e i fissaggi.
È stato possibile così diminuire fortemente il numero dei modelli presenti sul mercato e costruire i tipi normalizzati in serie molto più grandi, con una forte riduzione dei costi sia di produzione sia di manutenzione.
Hanno acquistato maggior interesse negli ultimi anni, ed è prevedibile si diffonderanno diffonderanno sempre di più nel futuro, i m. asincroni a velocità variabile in relazione soprattutto allo sviluppo degli inverter.
Motori elettrici: motore con collettore a lamelle
Costruttivamente è simile alla dinamo. Se si eccitano i poli di statore e si alimenta, attraverso le spazzole, l'avvolgimento posto sul rotore, si genera una coppia motrice dovuta all'interazione dei flussi generati dalle correnti di statore e di rotore.
L'uso tipico del m. con collettore a lamelle è quello con alimentazione in corrente continua in trazione elettrica e negli azionamenti industriali che richiedono velocità variabile entro ampi limiti e coppie elevate allo spunto.
È un m. molto flessibile e può essere alimentato senza inconvenienti a tensioni variabili entro larghi limiti, fornendo, per tale motivo, caratteristiche meccaniche differenti.
L'avvolgimento di statore (induttore) e quello di rotore (indotto) possono essere connessi in serie o in parallelo, con possibilità di regolazione indipendente delle due correnti che lipercorrono.
Tipico della trazione elettrica è il m. con avvolgimento induttore in serie all'indotto, in quanto sviluppa la massima coppia allo spunto. In tali condizioni, la coppia sarebbe così elevata da provocare slittamenti e la corrente così intensa da danneggiare la macchina, per cui l'avviamento avviene inserendo in serie al m. un reostato (detto appunto di avviamento), che viene poi gradualmente disinserito dato che, con la rotazione, si genera nel rotore una forza controelettromotrice che provvede a limitare la corrente.
Il m. con collettore a lamelle, a eccitazione in serie, può essere alimentato in corrente alternata monofase, se opportunamente dimensionato e munito di poli lamellati e, nei tipi più grandi, di spazzole speciali stratificate in diversi materiali.
Tale tipo di m. è stato utilizzato spesso in trazione elettrica (oggi si tende però a utilizzare rotabili con raddrizzatori statici a bordo e m. in continua) e viene largamente usato per piccole potenze negli elettrodomestici (macinacaffè, lucidatrice, aspirapolvere) per la forte coppia di spunto e il buon rapporto potenza/peso, anche se è rumoroso e ha solitamente una commutazione non perfetta che può recare qualche disturbo alle ricezioni radiofoniche e televisive.
L'avvento massiccio dei sistemi a chopper ha comportato lo studio di m. adatti a funzionare con una tensione di alimentazione praticamente continua, che contiene però una componente alternata (m. a corrente ondulata).
I m. di questo tipo sono sostanzialmente dei m. a corrente continua, ma richiedono un circuito magnetico laminato e un accurato studio della commutazione.
Il rendimento risulta alquanto più basso di quello dei normali normali m. a corrente continua in quanto vi sono perdite per isteresi e per correnti parassite nel circuito magnetico.
Altri tipi di motori elettrici:
Tutti gli altri m. elettrici possono ricondursi ai tre principali: A) il m. lineare a induzione, o semplicemente m. lineare, l'unico m. elettrico non rotante.
Per comprenderne il funzionamento è opportuno osservare che, benché normalmente nei m. asincroni l'avvolgimento induttore si trovi sullo statore e l'indotto sul rotore, il m. funziona anche se si scambiano le funzioni dei due avvolgimenti. Il m. lineare può essere pensato allora come un m. asincrono di diametro infinito con indotto fisso o, più precisamente, come un m. aperto lungo una generatrice e sviluppato in un piano, al quale è solidale l'indotto, che potrebbe essere del tipo a gabbia ma generalmente è costituito da una semplice piastra in materiale conduttore.
Tra indotto e induttore nasce una forza che provoca la traslazione di quest'ultimo.
M. lineari sono spesso usati per muovere grandi porte scorrevoli di capannoni o hangar mentre sono in corso esperimenti in vista di applicazioni del m. lineare in trazione elettrica, disponendo tra i binari una lamina di alluminio che funziona da indotto e installando sul veicolo gli avvolgimenti induttori. Si avrebbero così veicoli con ruote esclusivamente portanti, affidati al m. lineare per la marcia e la frenatura, capaci di elevate velocità. Permane grave il problema di ridurre i traferri tra lamina e poli, che abbassa ancora il già basso rendimento di tale tipo di motore.
I m. a repulsione, di non grande potenza, sono strutturati come i m. con collettore a lamelle alimentati in alternata monofase, ma hanno le spazzole chiuse in cortocircuito e spostabili sul collettore.
Alimentando l'avvolgimento di statore si generano per induzione nell'avvolgimento del rotore delle forze elettromotrici che fanno circolare una corrente tra le spazzole. Il rotore risulta allora sollecitato da unacoppia meccanica il cui valore dipende dalla posizione delle spazzole sul collettore (in particolare è nullo quando le spazzole si trovano sull'asse dei poli). Non sono molto usati.
I m. a riluttanza di basso rendimento ma di notevole semplicità costruttiva e basso costo, si usano per potenze molto piccole.
Presentano uno statore con avvolgimenti disposti come quelli di un m. asincrono e un rotore con avvolgimenti a gabbia su un nucleo magnetico che presenta ampie scanalature scanalature longitudinali.
Si avviano in base al principio di funzionamento degli asincroni e, una volta giunti in prossimità della velocità di sincronismo, la raggiungono e la mantengono in quanto il rotore tende a disporsi in ogni istante nella posizione posizione nella quale, per effetto delle scanalature del rotore, la riluttanza del del circuito magnetico del m. è minima.
I m. a isteresi, anch'essi costruiti per piccole potenze, presentano uno statore simile a quello dei m. m. asincroni monofasi, talvolta del tipo a spira in cortocircuito, che genera genera un campo rotante. Il rotore è costituito da uno o più anelli in acciaio, che all'avviamento si comporta analogamente a un rotore a gabbia gabbia di m. asincrono. Una volta raggiunta una velocità vicina a quella sincrona, la raggiunge e la mantiene, in quanto il materiale che costituisce costituisce il rotore, che ha un alto valore del campo coercitivo, rimane magnetizzato per isteresi. I m. a isteresi sono usati, p. es., in orologi elettrici e giradischi. E) Il m. Schrage, a velocità variabile, ha ormai scarsa applicazione a causa della sua complessità. Presenta un rotore con due collettori, uno a tre anelli e uno a lamelle, a cui fanno capo rispettivamente un avvolgimento analogo a quello induttore dei m. asincroni trifasi e un avvolgimento analogo a quello di un rotore delle macchine a corrente continua.
Lo statore porta tre avvolgimenti ognuno dei quali fa capo a due spazzole che poggiano sul collettore a lamelle.
Tali spazzole possono essere spostate, facendo loro assumere diverse posizioni. Mediante tale spostamento si ottengono variazioni nella velocità di regime del motore. F) Per il metamotore, v. metadinamo.
Altri tipi di motori: motori ad energia meccanica potenziale
Sono m. che sfruttano l'accumulo di energia meccanica precedentemente fornita loro naturalmente (p. es. manualmente dall'uomo) o raccolta in altro modo o da altri m. primi. Si differenziano per il tipo di accumulatore impiegato. L'esempio più diffuso è il m. a molla impiegato negli orologi, nei giocattoli e in alcuni strumenti portatili.
Nei Nei m. a molla questa, che generalmente è a spirale, restituisce l'energia accumulata in fase di carica deformandosi elasticamente, e la scarica può essere resa graduale da un oscillatore (bilanciere o pendolo) e da uno scappamento (orologio). La carica viene fornita a mano o con un automatismo automatismo che sfrutta le oscillazioni del polso, o, per gli orologi da tavolo, le variazioni di temperatura, di illuminazione, di pressione, ecc. dell'ambiente.
Sempre nel campo degli orologi vengono usati i m. a peso che furono i primi impiegati e attualmente vengono preferiti a quelli a molla quando si dispone dello spazio per installarli, perché trasmettono ai ruotismi una sollecitazione costante. In applicazioni moderne la ricarica manuale è sostituita da un automatismo che, giunto il peso a un certo livello, mette in moto un m. elettrico.
Il contrappeso di alcuni impianti di sollevamento (ascensori, ecc.) può essere considerato la forma più semplice di m. a peso.
Ultimo esempio sono i m. a volano che hanno impiego assai limitato. Un volano di momento di inerzia J portato alla velocità w (p. es. da un m. primo con coppia limitata) possiede una energia energia cinetica E=Jw2/2 che può restituire o in un breve intervallo, come nelle presse, nei magli, ecc. con momenti resistenti molto alti, oppure in un lungo intervallo con bassi momenti resistenti come in taluni giocattoli ove viene anche accelerato a mano. In applicazioni particolari si è impiegato il volano per trazione, raccogliendo energia in tratti discendente per restituirla nelle rampe. Sono usati nei giocattoli, p. es. nelle automobiline a frizione.
Motori a energia naturale:
Sono tali tutti quei m. che sfruttano l'energia disponibile in varie forme e misure in natura.
In ultima analisi tutti i m. sfruttano un'energia presente in natura, tuttavia vengono raggruppati sotto questa dizione quelli la cui energia di alimentazione è fornita direttamente da agenti naturali. Tra questi si ricordano il vento (v. aeromotore), il sole, le maree, i fiumi e i bacini bacini montani (v. turbina idraulica) e le fonti geotermiche.
M. a energia naturale possono essere considerati anche quelli ad azione muscolare animale o umana, che costituiscono la forma più antica di motore.
Motore a ioni:
È questo un tipo nuovo di m. che è tuttora in fase teorica; esso permetterebbe di utilizzare la spinta fornita dall'eiezione ad altissima velocità di particelle caricate elettricamente, accelerate pure elettricamente.
Il m. a ioni, previsto per la propulsione di veicoli spaziali, potrebbe permettere l'ottenimento di spinte assai modeste, se rapportate a quelle fornite da razzi con propellenti chimici e al peso del propulsore, ma con una spesa minima di materiale da eiettare, date le elevate velocità con cui questo potrebbe venir espulso. Un m. a ioni, utilizzante, p. es., ioni ottenuti caricando positivamente, mediante una griglia metallica incandescente, atomi di cesio, potrebbe avere velocità di eiezione dell'ordine dei 2.000.000 di m/s, ciò consentirebbe l'ottenimento di elevati impulsi specifici e quindi di ridotti consumi di massa da espellere.
Tuttavia la ridotta spinta ottenibile, specie se rapportata al vistoso peso del complesso necessario per produrre gli ioni e del sistema per accelerarli, fanno sì che un tale m. potrebbe essere utilmente impiegato solo per missioni di grande durata, con partenza dal vuoto, negli spazi intersiderali.
Motore a plasma
Si tratta di un m. teorico che utilizzerebbe, per fini propulsivi, l'eiezione da un ugello di un flusso di gas fortemente ionizzato, costituente appunto un plasma, accelerato dall'azione di un campo elettromagnetico. Questa tecnica di propulsione, anche se non ha ancora superato la fase sperimentale, presenta un notevole interesse per possibili applicazioni spaziali, dato che l'elevata velocità con cui il plasma può venir eiettato, dell'ordine dei 300.000 m/s, consente eccezionali impulsi specifici, nonché vistose economie nelle masse gassose da eiettare. Le tecniche seguite seguite per eiettare plasma ad alta velocità prevedono di utilizzare soprattutto tubi d'urto, in cui il plasma viene prodotto mediante scariche elettriche, e accelerato lungo il condotto da forze elettromagnetiche. Questi sistemi, impiegati soprattutto per ottenere singole scariche, ma che hanno aperto la strada a tecniche basate su scariche ripetute e anche continue, hanno peraltro rendimenti piuttosto ridotti. A questo fenomeno, oltre al fatto che il peso di un m. a plasma è assai elevato in rapporto alla spinta da questo fornita, sono da attribuirsi le attualmente scarse scarse possibilità di utilizzazione pratica di questo motore. Il prevedibile impiego del m. a plasma è quello su veicoli spaziali impegnati in missioni interplanetarie di lunga durata, cui anche una spinta ridotta, purché applicata per tempi considerevoli, consentirebbe di raggiungere elevatissime velocità finali.
Motore a fotoni
È il più teorico dei m. in quanto basato sulla possibilità di utilizzare l'emissione di energia radiante, sotto forma di fotoni, da parte di una superficie a temperatura convenientemente elevata. Tale m., data l'insuperabile velocità dei fotoni, sarebbe caratterizzato da valori eccezionali dell'impulso specifico, il cui ordine di grandezza sarebbe circa 40.000 volte più elevato di quello ottenibile con propellenti chimici, e corrispondentemente da ridottissimi valori della massa espulsa nell'unità di tempo. Prima di poter elaborare in sede tecnica un m. a fotoni occorre risolvere, però, numerosi problemi (tra cui diversi di metallurgia) anche teorici. È comunque prevedibile che la sua utilizzazione utilizzazione avverrà per mezzi interstellari, dato che permetterebbe di raggiungere velocità eccezionalmente elevate, fornendo spinte di esigua entità ma per intervalli di tempo estremamente lunghi.
Bibliografia
Per le generalità e i motori termici: G. Giambelli, Lezioni di fisica tecnica, tecnica, Milano, 1964; A. Capetti, Motori termici, Torino, 1967; C. Bossaglia, Il motore a due tempi di alte prestazioni, Roma, 1968; C. Taylor, The International-Combustion Engine in Theory and Practice, Cambridge (Mass.), 1968; C. Corrado, Motori a combustione interna, Milano, 1969; D. Giacosa, Motori termici, Milano, 1986. Per i motori elettrici: A. E. Fitzgerald, C. Kingsley, Electric Machinery, New York, York, 1961; A. Barbagelata, P. De Pol, Macchine e apparecchi elettrici, Milano, 1968; L. Olivieri, E. Ravelli, Elettrotecnica, vol. II, Padova, 1972; P. Criscuoli, Motori trifasi a induzione di piccola e media potenza, , Milano, 1987.