Presentazione
La produzione della porcellana si afferma a Napoli con la Real Fabbrica di Capodimonte (1740-1759), prosegue senza alcuna continuità con Ferdinando (1772-1806), quindi, una volta dismessa la Fabbrica a ridosso del Palazzo Reale, riprende nel decennio francese nei locali del Monastero di Santa Maria della Vita alla Sanità. Alla direzione era il francese Poulard Prad al quale furono concessi tutti i materiali, le macchine e le paste della fabbrica reale. Dopo il 1821 ogni legame con le antiche manifatture era ormai spezzato.
La lavorazione si polverizza in una moltitudine di laboratori a conduzione familiare con a capo gli occasionali fuoriusciti. Fu un attingere a mani basse e maldestramente nei diversi repertori delle une e delle altre, senza mai compiere passi in avanti. Quando ciò fu tentato, furono compiuti alla insegna della improvvisazione, poco a confronto con l’impegno sperimentale e di alta qualità della produzione carolina e ferdinandea, sempre caratterizzata dall’attività sinergica di figure di alta professionalità nei settori di loro competenza. Carlo di Borbone chiama a raccolta gli artisti di Corte, Caselli e Gricci, Ferdinando non è da meno: Venuti, Tagliolini ed altri.
I temi affrontati sono sempre collegati alle necessità d’uso. Le forme degli oggetti sono quelle che derivano dalle funzioni e dalle ritualità del tempo.
I decori corrispondono alla necessità di comunicare ed enfatizzare gli ambienti della quotidianità e dei fasti, i paesaggi, le architetture, a descrivere la vita e i costumi nei possedimenti del Regno, le campagne di scavi archeologici, senza dire di quanto significasse anche il gioco e l’ironia. Tutta la produzione delle scene di genere o le caricature del povero Tanucci, che pure in questa vicenda aveva recitato un ruolo di prima linea sono significativi dello humor perfettamente in sintonia con la pittura di Longhi e con lo spirito ironico e trasgressivo di Hogart.
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La produzione napoletana, come le altre ad essa coeva, interpreta con coerenza e attenzione le trasformazioni dei modelli di comfort, della moda, delle abitudini e vizi della borghesia. E’ attenta al continuo mutare del gusto e della cultura. Viene a determinarsi, insomma, un fermento che ha il suo interesse non solo e non tanto nei bei decori, nelle belle statuine, nei begli oggetti d’uso corrente, quanto nella capacità essere una produzione viva e vitale, fondata su una perfezione di esecuzione, su tecnologie e uso di materiali altamente competitivi. Purtroppo, tutto termina qui, mentre altrove, in Europa, lo scenario andava radicalmente modificandosi; la porcellana aveva raggiunto a Sévres, a Vienna, in Inghilterra e altrove livelli molto alti di scientificità e precisione nei processi chimici e produttivi per far fronte ad una domanda di mercato in forte ascesa e allargata a un target di consumatori marcatamente differenziato. Le manifatture che seguirono, Giustiniani, Del Vecchio e altre, contarono assai poco nel panorama fuori dalle mura e in quello internazionale e meno ancora, se non nulla quelle che seguirono dalla età postunitaria fino ad oggi, nell’azione di rimasticazione dei vecchi stilemi.
La conservazione di siffatte memorie storiche, se sono riconoscibili e hanno ancora un senso nell’immaginario della collettività devono essere riproposte, non fosse altro per recuperare il potenziale di manualità ed esperienze maturate, ma non possono essere riproposte identicamente in un contesto mutato, ma solo nella continuità. Se si continuano a ripetere forme del passato in modo acritico, si annienta la tradizione. Wedgwood, Royal Copenaghen, Meissen, solo per citarne alcune, nacquero pressappoco nello stesso periodo e, come avvenne a Napoli, si affermarono presto come manifatture ben strutturate, se non come vere e proprie industrie. Alcune di esse sono attive ancora oggi. Hanno conservato la loro identità e riconoscibilità, pur avendo modernizzata la loro produzione; hanno meccanizzato e serializzato i procedimenti di lavorazione; usano materie diverse, ma non hanno abbassato la qualità per risultare competitivi nei costi. Sono sempre supportate da una struttura tecnico-artistica come, adesso più che mai, si richiede per la estrema competitività dei mercati.
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