Il pianeta acciaio
regia: Emilio Marsili
soggetto: Luciano Emmer
testo: Dino Buzzati
fotografia: Ubaldo Marelli, Mario Volpi
musica: Franco Potenza
voce: Arnoldo Foà
produzione: Ondatelerama
I 1962, 35 mm, colore, 20 min.

1° premio assoluto al Festiva siderurgico del Lussemburgo
1° premio assoluto alla Rassegna Nazionale del film industriale
Osella di bronzo alla Mostra di Venezia del Documentario
Corona ferrea al Festival Internazionale di Monza

Il film racconta la storia della formazione dell’Italsider, nata dalla fusione dell’Ilva con la Cornigliano, attraverso la visione dei suoi quattro grandi centri produttivi: Cornigliano, Piombino, Bagnoli e Taranto.

È un “canto sull’acciaio”, dove la materia piegata dall’uomo acquista una sua vita autonoma, di personaggio; pellicola che rischia a volte la compiacenza figurativa, ma che non mi sembra scada a lambiccato formalismo, posto che, pur nello stile fantasticante scelto, resta sempre alla base la valorizzazione dello sforzo e della creatività dell’uomo. Con le sue immagini streganti, mostra quanto “spettacolo” si possa creare anche con un documentario specializzato. Il commento è di Dino Buzzati, il soggetto di Luciano Emmer e la fotografia di Ubaldo Marelli e Mario Volpi (un direttore di fotografia tra i migliori di questo campo in cui ha lavorato anche con Ivens): nomi che mettono già in evidenza il1ivello di alta qualità dei film ltalsider. (Ernesto G. Laura, Anche tra i film industriali i film d’autore, in “Bianco e Nero” n. 6, 1963)

“Si poteva parlare dell’acciaio in diversi modi” – scrive Emmer riassumendo il soggetto – “In maniera puramente tecnica, con fredde statistiche tradotte in immagini, o in maniera poetica, direi umana, anche se taluni aggettivi potrebbero sembrare non adatti ad una realtà così dura. Ma è una realtà che coinvolge la volontà dell’uomo: una materia plasmata dal suo lavoro di benessere in un mondo migliore. Per questo ho scelto la seconda maniera, raccontando quello che, di profondamente umano, si muove intorno all’acciaio”. Certo i tempi mutati, i problemi, le crisi recenti, possono oggi assegnare un significato distorto a queste dichiarazioni. Ma si era allora nel 1962, all’inizio di un boom economico che prometteva quello che la realtà non ha poi mantenuto e si “credeva” nella siderurgia come forza trainante dell’economia nazionale.
Realizzato con notevole perizia tecnica (“mi si dice – scrive Marsili – che i tecnici degli stabilimenti passarono momenti rabbiosi durante le riprese: lo capisco. Ma per me era un incantamento: conservare sullo schermo quelle tenebre, quelle luci. Ricordo che correvo come un matto da un traliccio ad un ponte gru; che sfioravo, da perfetto incosciente, i bordi delle infuocate strade su cui corrono baramme e vergelle”), sostenuto da una sincera convinzione aziendale, Il pianeta acciaio ebbe critiche molto favorevoli per l’avvertibile compatezza stilistica. Più volte venne presentato abbinato al restaurato Col ferro e col fuoco per rendere manifesta la trasformazione avvenuta nella fabbrica, per evidenziarne i progressi tecnologici e, pure, per affermare il diverso modo di lavorare raggiunto nei diversi reparti. (Bertieri 1985, op. cit.)